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    In Italia le grandinate sono aumentate

    I nubifragi, le trombe d’aria e le grandinate che negli ultimi giorni hanno colpito il Nord Italia, dal Friuli Venezia Giulia alla Lombardia, sono stati dovuti allo spostamento verso sud dell’anticiclone responsabile della precedente ondata di calore: l’incontro tra correnti d’aria fredda provenienti da nord con l’aria calda e umida sopra la Pianura Padana ha causato una serie di temporali molto intensi. È un fenomeno tipico della stagione estiva e che tuttavia secondo studi recenti è diventato più frequente negli ultimi anni, probabilmente per via del cambiamento climatico.«Dal 1999 al 2021 nel bacino del Mediterraneo le grandinate sono aumentate», spiega Sante Laviola, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (ISAC-CNR) ed esperto dell’uso dei satelliti per la meteorologia: «In particolare nell’ultimo decennio sono aumentate del 30 per cento, lo abbiamo misurato grazie ai satelliti». Laviola è uno degli autori di alcuni studi che hanno permesso di capire delle cose in più sulla grandine, un fenomeno meteorologico ancora relativamente poco compreso a causa della storica difficoltà di raccogliere dati al riguardo.Le grandinate possono verificarsi in qualunque punto del pianeta ma avvengono con frequenza molto maggiore in alcune regioni per via della morfologia del loro territorio: c’è più probabilità che si generino dove ci sono alte montagne che influiscono sulla circolazione delle masse d’aria nell’atmosfera. Ad esempio grandina con particolare frequenza nella grande pianura al centro degli Stati Uniti, tra gli Appalachi e le Montagne Rocciose, che è anche detta “Tornado Alley”, “corridoio delle trombe d’aria” (le trombe d’aria sono spesso associate alla grandine). Anche l’Italia, avendo due estese catene montuose, è molto soggetta a grandinate, specialmente nella Pianura Padana e ancora più in particolare in Friuli Venezia Giulia, le cui aree pianeggianti sono quasi completamente circondate dalle montagne.Non è comunque solo la forma del territorio a influire sulla probabilità che avvenga una grandinata, ma anche le condizioni atmosferiche, e per questo ci sono stagioni dell’anno in cui grandina più di frequente. In Italia la stagione delle grandinate è storicamente compresa tra aprile e ottobre, anche se in anni recenti sembra essersi estesa fino a novembre.È più probabile che grandini d’estate perché questo fenomeno si crea all’interno delle cosiddette nubi convettive, che sono dovute alla presenza di masse d’aria calda e umida nell’atmosfera e si possono riconoscere perché si sviluppano molto in verticale. Quando la superficie terrestre è particolarmente calda e lo è per molte ore al giorno, l’aria più vicina a terra sale verso l’alto portandosi dietro l’acqua evaporata dal suolo e dagli specchi d’acqua. Se salendo in quota le masse d’aria calda e umida incontrano aria più fredda, il vapore acqueo condensa, formando una nube: è detta convettiva perché in fisica si definisce “moto convettivo” quel fenomeno per cui un fluido riscaldato si muove verso l’alto, mentre quello più freddo e denso va verso il basso.«All’interno delle nubi convettive», spiega Laviola, «le correnti ascendenti e discendenti sollevano ingenti quantità di masse d’acqua sotto forma di goccioline. Nel percorso verso l’alto si accrescono, si raffreddano fino a superare un livello di temperatura che si chiama “zero termico”, cioè dove c’è il passaggio di stato dal liquido al solido: quindi l’acqua ghiaccia. Ai cristalli d’acqua ghiacciata si avvicinano altre goccioline che ghiacciano attorno al nucleo principale, che è l’embrione del chicco di grandine, e lo rendono più grande: immaginiamo nuclei di ghiaccio che si muovono in un mare di piccole goccioline, salendo e scendendo». A volte succede anche che chicchi diversi si uniscano, creando grandine di grosse dimensioni.Legnano poco fa … pic.twitter.com/m6beddy2DG— Roberto Luraghi (@LuraghiRoberto) July 24, 2023A un certo punto le masse di ghiaccio diventano così grandi che la forza di gravità vince la spinta verso l’alto delle correnti ascensionali e quindi inizia a grandinare.È ciò che è successo negli ultimi giorni nel Nord Italia: l’aria vicina al suolo era molto calda per l’ondata di calore causata dall’anticiclone, una zona di alta pressione in cui l’aria tende a spostarsi dall’alto verso il basso. Quando l’anticiclone si è spostato verso sud, l’aria vicina alla superficie ha cominciato a salire, arrivando poi a formare nubi convettive.Fino a qualche decennio fa la grandine poteva essere studiata con molti limiti perché essendo un fenomeno fugace e molto localizzato, cioè che si verifica per poco tempo, di solito mezz’ora al massimo, su aree circoscritte, c’è poco tempo per rilevarla e non è detto che si abbiano gli strumenti adeguati per studiarla: le dimensioni dei chicchi di grandine infatti si misurano a terra coi grelimetri, pannelli orizzontali con una superficie di circa 20 centimetri per 40 che si deforma all’impatto con i chicchi di grandine. In Italia sono sufficientemente diffusi solo in Friuli Venezia Giulia, una regione storicamente molto interessata dalla grandine.Nell’ultima ventina d’anni però le osservazioni dirette coi grelimetri e coi radar meteorologici hanno potuto essere ampliate grazie ai satelliti dotati di strumenti di radiometria a microonde, che permettono di rilevare la presenza di chicchi di grandine all’interno delle nubi, e di farlo per un ampio territorio contemporaneamente. Dato che non misurano i chicchi caduti a terra, restituiscono la probabilità di una grandinata e delle dimensioni dei suoi chicchi, ma grazie a dei modelli matematici possono comunque fornire dati utili agli scienziati per capire quanto spesso grandina in una regione. Permettono inoltre di studiare anche le grandinate che avvengono in mare.Laviola e i suoi colleghi hanno appunto sviluppato un modo per sfruttare i dati dei satelliti a questo scopo e così hanno scoperto che dal 1999 al 2021 la frequenza delle grandinate nel bacino del Mediterraneo è aumentata. Vale sia per le grandinate con chicchi con diametro compreso tra i 2 e i 10 centimetri, che danneggiano sempre le coltivazioni e anche altre cose progressivamente al crescere delle dimensioni, sia per le cosiddette supergrandinate o grandinate estreme, quelle con chicchi dal diametro superiore ai 10 centimetri, che sono distruttive per qualunque cosa.In una delle recenti grandinate in Friuli è stato peraltro battuto il record europeo per chicco di grandine col diametro maggiore: 19 centimetri.Can confirm 19 cm based on the cloth pic.twitter.com/7OGda2s932— Federico Pavan (@PavanFederico00) July 25, 2023Il gruppo di ricerca di cui fa parte Laviola ha anche cercato di capire se il recente aumento delle grandinate possa essere legato al cambiamento climatico. Il problema è che 22 anni di dati non sarebbero sufficienti per dirlo, dato che «tutto quello che accade a una scala inferiore a cinquant’anni non è climatologia». Per questo i ricercatori hanno indagato sui cinquant’anni precedenti utilizzando altri tipi di dati: non sulla grandine, dato che non ce ne sono, ma su altre variabili atmosferiche che però hanno una forte influenza sulla probabilità di grandinate e su cui invece sono disponibili dati storici europei per il bacino del Mediterraneo a partire dal 1949.Una di queste variabili è la temperatura superficiale del Mediterraneo, che influenza la probabilità di grandinate perché più è alta più evaporazione genera: e questa è in aumento da decenni a causa del cambiamento climatico. Le altre sono un indice che dice quanta energia potenziale c’è nell’atmosfera che può generare moti convettivi, la temperatura media alla quota in cui si genera la convezione e l’altezza dello zero termico, cioè la quota in cui l’acqua liquida diventa ghiaccio: tutte queste variabili sono aumentate dal 1949 a oggi, anche per via del cambiamento climatico. E indirettamente hanno permesso di ricostruire che in questi decenni le condizioni favorevoli alle grandinate sono state sempre più frequenti.«Se gli ultimi settant’anni hanno dimostrato un trend in crescita, è abbastanza inverosimile che la tendenza cambi in futuro», conclude Laviola, «ma per il futuro abbiamo degli scenari, non previsioni. Aumenteranno le grandinate? Probabilmente sì, ma non sicuramente sì». LEGGI TUTTO

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    La tecnica per far piovere di più

    Il cloud seeding, in italiano qualcosa come “inseminazione delle nuvole”, è una tecnica di stimolazione artificiale delle piogge basata sulla diffusione di getti di ioduro d’argento o di ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato solido) all’interno di determinate nuvole, da aerei appositi o tramite cannoni da terra. È nota in meteorologia fin dagli anni Cinquanta, ma esistono da tempo dubbi e perplessità sulla sua efficacia e sulla sua concreta utilità. Per questo motivo, nel corso dei decenni, il suo utilizzo è sostanzialmente rimasto un fenomeno di nicchia.Da qualche tempo, anche a causa dell’intensificazione dei fenomeni associati al cambiamento climatico, il cloud seeding è tuttavia considerato da un crescente numero di agenzie governative, agricoltori e imprenditori un modo relativamente abbordabile di mitigare alcuni effetti a breve termine dei prolungati periodi di siccità. Ad aziende che offrono servizi di questo tipo ricorre da tempo il governo degli Emirati Arabi Uniti, un paese molto poco piovoso. Ma ultimamente la richiesta è aumentata anche negli Stati Uniti occidentali e in Messico, dove il cloud seeding è visto come un’alternativa più economica a tecnologie più impegnative come la desalinizzazione dell’acqua pompata nell’entroterra dall’Oceano Pacifico o dal Golfo del Messico.In Italia, dove esperimenti di stimolazione artificiale della pioggia furono condotti per alcuni anni in Puglia, Sicilia, Sardegna e Basilicata, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, il cloud seeding è generalmente tradotto come “inseminazione delle nuvole”. La sperimentazione diede buoni risultati soltanto nel primo anno, in Puglia: una media del 30 per cento in più di precipitazioni rispetto alla media cinquantennale nell’area di intervento. Dopo il primo anno una prolungata siccità condizionò i risultati dell’esperimento, riducendo drasticamente la presenza di sistemi nuvolosi adatti a stimolare le precipitazioni e mostrando uno dei principali limiti di questa tecnica.In sostanza ogni attività di cloud seeding richiede prima di tutto l’individuazione di nuvole sufficientemente cariche di umidità e adatte anche per altre caratteristiche, in cui iniettare le sostanze in grado di favorire la condensazione del vapore e aumentare le precipitazioni. «È come prendere una spugna gocciolante e strizzarla», ha spiegato al Wall Street Journal Jonathan Jennings, meteorologo della West Texas Weather Modification Association, un’associazione che su autorizzazione dello stato del Texas si occupa fin dagli anni Novanta di un progetto di induzione delle piogge in sei contee occidentali.Secondo dati condivisi dall’associazione il cloud seeding è in grado di aumentare del 15 per cento le piogge annuali in una determinata area, rispetto ai livelli normali. E questo aumento si traduce in circa 50 mm di precipitazioni in più all’anno: acqua che può essere utilizzata per irrigare le coltivazioni durante i periodi di siccità e in generale per ricaricare le falde acquifere sotterranee, a cui attingono agricoltori, allevatori e residenti nelle zone rurali del Texas occidentale. Altri utilizzi del cloud seeding – meno comuni ma in alcuni casi di lunghissima durata, come in Colorado – riguardano l’induzione di nevicate più abbondanti nelle stazioni sciistiche.(DooFi/Wikimedia)L’idea del cloud seeding risale alla fine della Seconda guerra mondiale: nel novembre 1946 il chimico e meteorologo statunitense Vincent Schaefer, dopo aver condotto diversi studi ed esperimenti sulla formazione del ghiaccio in alta quota, riuscì a stimolare la formazione di cristalli di ghiaccio tramite la dispersione di ghiaccio secco all’interno di una nube nelle montagne del Berkshire, in Massachusets. Schaefer lavorava da anni nell’impianto di ricerca industriale della General Electric, a Schenectady, nello stato di New York, e lì aveva avuto l’opportunità di collaborare stabilmente con il fisico e chimico statunitense Irving Langmuir, che nel 1932 aveva vinto il premio Nobel per le sue ricerche nell’ambito della chimica delle superfici.– Leggi anche: Le inusuali piogge artificiali negli Emirati Arabi UnitiOgni nube è formata da miliardi di goccioline d’acqua, che evapora da oceani, mari, corsi d’acqua, suolo e vegetazione. Perché si formi la pioggia è necessario che il vapore acqueo portato verso l’alto dalle correnti ascensionali e contenuto nell’atmosfera terrestre si condensi intorno ai nuclei di condensazione: minuscole particelle igroscopiche – cioè in grado di assorbire molecole d’acqua – che permettono alle goccioline di cui è composta la nube di aumentare di volume. Questo fa sì che la forza di gravità esercitata sulle goccioline diventi a un certo punto maggiore delle forze ascensionali che agiscono all’interno della nube, determinando l’effettiva caduta della pioggia (o della neve, a seconda della temperatura in quota).In pratica Schaefer scoprì, un po’ per caso e dopo vari tentativi, che il ghiaccio secco poteva fungere da nucleo di condensazione e favorire la formazione di cristalli di ghiaccio all’interno della nube. Anche un altro suo collega alla General Electric, lo statunitense Bernard Vonnegut, peraltro fratello maggiore dello scrittore Kurt, lavorò alla ricerca sul cloud seeding. E scoprì che lo ioduro d’argento, un composto dalla struttura simile a quella dei cristalli di ghiaccio, poteva essere utilizzato al posto del ghiaccio secco e ancora più efficacemente per produrre pioggia e neve.Il direttore delle operazioni di volo della Weather Modification Inc., una società di cloud seeding del North Dakota, sistema su un aereo i contenitori di sostanze da disperdere in volo prima di un intervento, fuori dalla sede della compagnia a Fargo, il 20 settembre 2017 (Foto AP/Dave Kolpack)Nonostante la scoperta fosse stata accolta con entusiasmo da Schaefer, Langmuir e Vonnegut, e nonostante la tecnica fosse anche relativamente economica, il cloud seeding non attirò un esteso interesse da parte di governi e agenzie. O perlomeno non quello che ci si aspetterebbe che si sviluppi intorno a una scoperta potenzialmente in grado di modificare il clima. Negli Stati Uniti, come raccontato nel 2010 dallo Smithsonian, un fatto avvenuto nel 1947 in Florida condizionò in parte la percezione pubblica della scoperta.In uno dei suoi numerosi esperimenti con il ghiaccio secco e le nubi, Langmuir volle verificare l’ipotesi che il cloud seeding possa servire a disperdere l’energia degli uragani prima che si abbattano a terra, “prosciugando” le nuvole prima che si spostino verso i centri abitati. La mattina del 13 ottobre 1947, due giorni dopo che un uragano aveva colpito Miami per poi perdere potenza e spostarsi verso Jacksonville, Langmuir fece spargere un’ottantina di chilogrammi di ghiaccio secco da un Boeing B-17 dell’aeronautica statunitense mentre l’aereo, decollato da una base militare a Tampa, volava circa 150 metri sopra la tempesta. Una volta conclusa l’operazione il B-17 tornò alla base.La tempesta, che fino a quel momento si era spostata verso nord-est e aveva perso potenza, riprese slancio e si diresse verso la costa atlantica per poi abbattersi a terra vicino a Savannah, in Georgia. L’uragano causò danni per decine di milioni di dollari e provocò la morte di alcune persone. Nel giro di qualche giorno cominciarono a circolare sui giornali locali informazioni e racconti sull’operazione del B-17. I militari non condivisero dettagli sul volo, ma negarono che l’esperimento avesse potuto in alcun modo deviare la tempesta. Pur in mancanza di dati su cui basare una correlazione tra la forza e la direzione dell’uragano e il volo del B-17, l’esperimento di Langmuir influenzò l’opinione pubblica riguardo a quei primi tentativi di modificare artificialmente il clima.Un’altra ragione dello scetticismo che da sempre circola intorno al cloud seeding riguarda il fatto che non sia possibile avere alcuna prova definitiva della sua efficacia: come ha detto a The Hustle una persona che lavora nel settore, «non è che stai creando fiocchi di neve di colore diverso». In altre parole, dal momento che il tempo è imprevedibile, non è possibile avere alcuna certezza che nell’area in cui ghiaccio secco o ioduro d’argento sono stati diffusi nelle nuvole non avrebbe piovuto o nevicato comunque, anche senza cloud seeding.Lo scetticismo non ha tuttavia impedito che nel corso degli anni nascessero diverse società che si occupano di cloud seeding, tra cui la Seeding Operations and Atmospheric Research (SOAR), che lavora da oltre un decennio nel programma di induzione delle piogge nelle contee aderenti del Texas occidentale, con contratti da 300mila dollari all’anno.Secondo un dipendente della SOAR sentito da The Hustle l’intera industria statunitense del cloud seeding non supera i 10 milioni di dollari all’anno, il che lo rende in ogni caso un settore ancora abbastanza di nicchia. Altre società lavorano sia negli Stati Uniti che all’estero. La Weather Modification Inc., con sede nel North Dakota, è considerata la più grossa nel settore e ha contratti multimilionari in tutto il mondo, incluso un accordo a lungo termine con l’Arabia Saudita.Società come la SOAR e la Weather Modification Inc. utilizzano principalmente ioduro d’argento (ma anche ioduro di potassio o ghiaccio secco), che viene disperso in volo da aeroplani di piccole e medie dimensioni. Sono guidati da piloti abili a muoversi tra nuvole cariche di umidità e che di solito nei voli normali, sia per comodità che per sicurezza, si cerca perlopiù di evitare.Un’altra tecnica di cloud seeding è quella che utilizza le stesse sostanze ma erogandole da terra, in alcuni casi tramite mezzi di artiglieria. Nel 2008, in occasione dei Giochi olimpici a Pechino, circolarono a lungo le immagini di dipendenti pubblici impegnati a utilizzare cannoni antiaerei e lanciarazzi caricati a ioduro d’argento per indurre le piogge nelle periferie e disperdere nuvole che avrebbero potuto raggiungere il centro e disturbare la cerimonia di apertura. La Cina è uno dei paesi che investe di più nel cloud seeding: in totale circa 40mila persone per 500mila operazioni meteorologiche condotte tra il 2002 e il 2012.Un funzionario del programma di modifica del tempo nella contea cinese dello Xiangshan mostra un cannone utilizzato in operazioni di cloud seeding a Pechino, in Cina, il 19 luglio 2007 (China Photos/Getty Images)In uno studio del 2017 tre ricercatori del dipartimento di Scienze dell’atmosfera e geografia dell’Università Nazionale di Taiwan (NTU) associarono i regimi autoritari a un maggiore utilizzo del cloud seeding. Notarono in generale nei paesi non democratici una maggiore ambizione dei governi a modificare il clima, un minore dissenso nell’opinione pubblica riguardo a queste tecniche e una minore capacità di verificare e controllare i risultati delle operazioni meteorologiche.– Leggi anche: Come la Cina vuole controllare il meteoL’efficacia del cloud seeding nel produrre un aumento statisticamente significativo delle precipitazioni continua a essere oggetto di dibattito accademico, con risultati di volta in volta contrastanti a seconda dello studio e degli esperti presi in considerazione. Nel 2018, dopo aver esaminato i diversi programmi di cloud seeding attivi nel mondo, l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) definì il cloud seeding una tecnologia promettente ma affermò che la variabilità naturale in ogni sistema di nubi rende difficile quantificare quanto sia efficace.Uno studio molto citato del 2014, condotto da diversi enti di ricerca per lo stato del Wyoming, stimò che le operazioni di cloud seeding erano riuscite a incrementare il livello delle precipitazioni del 5-15 per cento, ma il valore più alto riguardava soltanto i casi in cui erano comunque presenti condizioni ideali di partenza. E in ogni caso, come sintetizzato da The Hustle, «alcuni centimetri in più in una stagione non mettono fine a una siccità, né trasformano Phoenix in una palude».Rispetto ad altri interventi molto costosi e impegnativi, come per esempio la costruzione di impianti di desalinizzazione o la deviazione del corso dei fiumi, il cloud seeding rimane una tecnica sicuramente più economica: che è anche una delle ragioni principali per cui la ricerca in materia continua in molti stati e paesi a essere finanziata. Ma anche i sostenitori più autorevoli concordano nel considerarla, nella migliore delle ipotesi, una tecnica con un impatto molto limitato sulle precipitazioni e praticamente nullo sugli effetti a lungo termine del cambiamento climatico. «Non facciamo piovere. Possiamo soltanto ottenere più pioggia dalle nuvole che Dio ci manda», ha detto un dipendente della SOAR. LEGGI TUTTO

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    L’ameba mangia-cervello, parliamone

    Caricamento playerA inizio luglio nello stato indiano del Kerala un quindicenne è morto a causa di una meningoencefalite amebica primaria (PAM), una infezione causata da Naegleria fowleri soprannominata spesso “ameba mangia-cervello”. Il quindicenne era stato ricoverato per una sospetta encefalite a fine giugno e in seguito i medici avevano scoperto la causa del malessere, non riuscendo però a trattarlo. La PAM è una condizione estremamente rara, ma con un tasso molto alto di letalità, superiore al 95 per cento. È nota da circa 60 anni ed è studiata da tempo non solo per il particolare comportamento dell’ameba e del nostro sistema immunitario per provare a distruggerla, ma anche per il modo in cui si contrae l’infezione: di solito inizia tutto con un banale spruzzo d’acqua.Anche se viene chiamata ameba mangia-cervello, N. fowleri non è tecnicamente un’ameba vera e propria, ma alterna forme flagellate ad ameboidi: in sostanza ci assomiglia molto in alcuni stadi del suo ciclo vitale. Come altri suoi simili, N. fowleri è ghiotta di batteri dei quali va a caccia per spezzarli e nutrirsene. In natura vive solamente in acqua dolce e prolifera negli stagni, nei laghi, nelle fonti termali e talvolta in tratti di fiumi e torrenti dove la corrente è tranquilla. Può però essere trovata anche nelle tubature degli acquedotti, nelle fontane e nelle piscine, in particolare se l’acqua non è trattata adeguatamente per essere resa potabile attraverso l’aggiunta di cloro.N. fowleri prolifera soprattutto al caldo e per questo tende a essere più presente nell’acqua tra la fine della primavera e l’estate. Il periodo coincide con quello in cui si frequentano le piscine o si va a nuotare al lago, di conseguenza le infezioni avvengono con maggiore frequenza nella stagione calda. Si stima infatti che ogni anno milioni di persone vengano in contatto con l’ameba senza particolari problemi: se si beve accidentalmente un po’ d’acqua contaminata gli acidi dello stomaco provvedono a distruggere l’ospite indesiderata e non ci sono problemi. Se invece si inala qualche goccia d’acqua la storia cambia.In piscina o al lago ci si tuffa e si nuota, ma soprattutto si producono molti spruzzi d’acqua all’interno dei quali ci sono milioni di virus, batteri e in qualche raro caso N. fowleri. Basta inalare un po’ d’acqua perché l’ameba si ritrovi nel naso e inizi a esplorarne l’interno alla ricerca di batteri di cui nutrirsi. La mucosa nasale, che contiene sostanze che favoriscono la neutralizzazione di molti agenti esterni, non interagisce in modo significativo con N. fowleri e così nemmeno le prime difese del sistema immunitario. L’ameba passa inosservata e nella maggior parte dei casi dopo qualche tempo muore, salvo non riesca a intercettare qualcosa che l’attira moltissimo più in profondità nella cavità nasale: le cellule nervose dell’olfatto.(Wikimedia)Le cellule olfattive utilizzano diversi segnali chimici per trasmettere le informazioni che poi il nostro cervello provvederà a trasformare in sensazioni, come riconoscere il profumo di una brioche appena sfornata o quello di un gelsomino fiorito. Una delle sostanze impiegate per queste comunicazioni è l’acetilcolina, una molecola molto importante per la trasmissione nervosa e che N. fowleri è attrezzata per riconoscere. Non è ancora oggi molto chiaro come mai l’ameba abbia sviluppato questa capacità, che è poi alla base del modo in cui riesce a infettare il nostro organismo.Lo scambio di acetilcolina tra le cellule olfattive e il cervello è molto frequente e viene seguito da N. fowleri, che in questo modo riesce ad aprirsi la strada verso il cervello. Le amebe non dovrebbero esserci tra le terminazioni delle cellule olfattive e per questo la loro presenza viene notata dal sistema immunitario, che tenta un primo attacco con i granulociti neutrofili, cellule poco specializzate che mettono in atto sistemi alquanto rudimentali per distruggere gli agenti esterni. Utilizzano sostanze chimiche per provare a fare a pezzi e dissolvere le amebe, ma è una lotta impari che raramente termina con la distruzione di tutti gli invasori.N. fowleri prosegue il proprio viaggio lungo le terminazioni delle cellule olfattive e, di solito entro una decina di giorni da quando era stata inalata, riesce infine a raggiungere il cervello dove la sua attività viene ulteriormente stimolata dalla grande disponibilità di acetilcolina. Qui l’ameba produce particolari molecole che fanno a pezzi i neuroni, in modo che se ne possa nutrire. Inizia a moltiplicarsi e a trasformarsi, sviluppando minuscole ventose che si attaccano e distruggono le membrane delle cellule, nutrendosi di parte del loro contenuto.Stadi del ciclo vitale di N. fowleri, da sinistra: cisti, trofozoide e forma flagellata (Wikimedia)In questa fase il sistema immunitario tenta un nuovo attacco, sempre attraverso i granulociti neutrofili cui si aggiungono altre cellule immunitarie come quelle della microglia, responsabili della difesa immunitaria nel sistema nervoso centrale. Anche in questo caso è un attacco di prima difesa non specializzato, una sorta di bombardamento a tappeto che provoca ulteriori danni alla materia cerebrale e che ha però scarso effetto sulle amebe, che riescono a difendersi e a neutralizzare le cellule immunitarie. Il sistema immunitario non riesce nemmeno a organizzare una difesa più specifica attraverso gli anticorpi, che dovrebbero segnalare alle cellule immunitarie specializzate gli obiettivi da colpire. La risposta immunitaria porta a un’infiammazione e alla febbre, che di solito è utile per rallentare virus e batteri, ma che in questo caso può poco contro un’ameba che prolifera soprattutto al caldo.Nell’area dell’infezione iniziano ad accumularsi liquidi che comportano un aumento della pressione intracranica. È di solito in questa fase che compaiono i primi sintomi come febbre, mal di testa e nausea: sono quasi sempre lievi e tali da non suscitare grandi preoccupazioni o da spingere a cercare l’aiuto di un medico. In pochi giorni i sintomi peggiorano con la comparsa di allucinazioni, stati confusionali e una grande stanchezza. L’infiammazione prosegue con il cervello sempre più gonfio e compresso nella scatola cranica.È di solito in questa fase che un paziente arriva in ospedale, in condizioni precarie e con una diagnosi difficile da fare. L’infezione da N. fowleri è molto rara e non sempre conosciuta, di conseguenza le prime analisi sono dirette verso malattie e condizioni più comuni, come forme di meningite e di encefalite. Il tempo è un fattore importante, ma anche nel caso di una diagnosi precoce le possibilità di sopravvivenza sono molto basse. Non c’è una cura e i trattamenti sperimentati in questi anni si sono rivelati nella maggior parte dei casi inefficaci.I casi di PAM da N. fowleri vengono solitamente trattati con l’amfotericina B, un antimicotico che porta alla rottura della membrana cellulare dell’ameba e alla sua morte. Il trattamento non è però particolarmente efficace e la quasi totalità dei pazienti muore ugualmente. Negli ultimi tempi è stato anche sperimentato l’impiego della miltefosina, un antiparassitario che interviene sui processi di comunicazione cellulari, ma anche in questo caso i risultati non sono stati molto promettenti.Per quanto possa apparire spaventosa, un’infezione da N. fowleri è estremamente rara, e questo è bene ricordarlo sempre. Da quando fu scoperta negli anni Sessanta ne sono stati identificati circa 450 casi in tutto il mondo e solo sette persone sono sopravvissute. In generale, è molto più probabile morire per annegamento in acque contaminate dall’ameba che per via della sua inalazione. Anche se ogni anno qualcuno deve fare i conti con un’infezione probabilmente mortale, l’ameba non costituisce un’emergenza sanitaria.Dagli studi condotti finora sembra che N. fowleri proliferi soprattutto quando non deve competere con altri organismi che si nutrono delle sue stesse cose a cominciare dai batteri. In assenza di competizione, la concentrazione dell’ameba aumenta sensibilmente e sembra che anche in questo abbiano un ruolo le attività umane. Lo sversamento di acqua calda a valle dei processi industriali, per esempio, causa la morte di numerosi microrganismi e favorisce invece quelli che prosperano soprattutto a temperature più alte.L’interesse intorno a N. fowleri è comunque grande non solo per la ricerca di una cura davvero efficace, ma per le caratteristiche stesse dell’”ameba mangia-cervello”. Molti aspetti della sua storia evolutiva non sono ancora chiari, né sappiamo quali eventi l’abbiano resa così agguerrita e avida di cellule del nostro cervello. LEGGI TUTTO

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    Il luogo più caldo della Terra

    Caricamento playerDa diversi giorni negli Stati Uniti come in altri paesi del mondo si stanno registrando temperature massime molto al di sopra della media per questo periodo dell’anno. Nel weekend nella Death Valley, un parco nazionale che si trova in California ed è generalmente considerato il posto più caldo della Terra, il Servizio meteorologico nazionale degli Stati Uniti ha registrato temperature intorno ai 53 °C.Queste temperature, eccezionali anche per la Death Valley, hanno attirato decine di turisti nella zona. Molti di loro sono andati a Furnace Creek, un’area del parco dove si trova il centro visitatori con un grande termometro digitale esposto, nella speranza di documentare le temperature straordinariamente elevate di questi giorni con foto e selfie. Secondo alcune previsioni la temperatura potrebbe aumentare ulteriormente nei prossimi giorni, superando il record di 56,7 °C che viene fatto risalire a più di un secolo fa.Finora la temperatura più alta sulla superficie della Terra ufficialmente registrata risale al 10 luglio del 1913, quando nella Death Valley furono raggiunti i 56,7 °C. Non tutti i meteorologi ritengono affidabile quella misurazione, ma il record del 1913 fu ufficializzato dopo uno studio del 2013 dell’Organizzazione meteorologica mondiale, che giudicò non affidabile la temperatura di 58 °C registrata erroneamente nel settembre del 1922 in Libia, a cui apparteneva il record fino a quel momento.Temperature simili sono state rilevate poche altre volte negli anni e quasi sempre nella Death Valley. Daniel Swain, climatologo dell’Università della California, ha spiegato al New York Times che potrebbero esserci luoghi più caldi della Death Valley, come alcune parti del Sahara, che però sono troppo remoti per un monitoraggio affidabile. Secondo gli standard stabiliti dall’Organizzazione meteorologica mondiale infatti i termometri devono essere schermati dal sole e sollevati dal suolo, come quelli ufficiali utilizzati nella Death Valley. Tenendo conto di queste valutazioni la valle è attualmente considerata il posto più caldo della Terra.Death Valley broke a high temp record today!🤔 A world record? NO.That’s 134° (July 10th, 1913).🤔 A daily record? YES!127° WAS the hottest July 16th (2005, 1972).Furnace Creek observed 128° today (so far!) @ 2:20p PDT, breaking the daily record.🥵#DeathValleyWxRecords pic.twitter.com/0JfwHdF6Df— NWS Las Vegas (@NWSVegas) July 16, 2023La Death Valley è una depressione desertica nella parte est della California, al confine con il Nevada. Le alte temperature dipendono dalla profondità e dalla forma della valle, che è lunga e stretta, si trova a circa 86 metri sotto il livello del mare ed è circondata da alte catene montuose. Il nome, che in italiano significa Valle della Morte, era stato dato a questa zona da un gruppo di colonizzatori che vi si persero attorno alla metà del 1800: uno solo di loro morì ma gli altri temettero di non sopravvivere proprio per le dure condizioni climatiche.La particolare conformazione della Death Valley favorisce l’accumulo di calore al suolo, rallentando gli scambi con l’aria circostante, spesso stagnante. Le regioni desertiche che confinano con la Death Valley, specialmente a est e a sud, portano aria già calda verso la valle, pressoché priva di vegetazione e rocciosa. Nelle giornate d’estate le temperature raggiungono spesso i 49 °C, anche all’ombra, e di notte scendono intorno ai 30 °C. D’inverno invece sono più miti e si avvicinano ai 20 °C durante il giorno.La valle si può visitare tutto l’anno ma d’estate può essere particolarmente pericoloso fare escursioni per via del caldo troppo intenso, che può causare forti insolazioni o altri malori, e in casi più rari anche la morte. Ogni anno più di un milione di turisti visita il parco, molti di loro tra luglio e agosto, e per prevenire possibili situazioni di pericolo sul sito ufficiale della Death Valley vengono pubblicati quotidianamente aggiornamenti sulle condizioni meteo, eventuali restrizioni e avvisi, e tutte le informazioni necessarie per organizzare in sicurezza i viaggi nella valle. Tra queste per esempio è consigliato pianificare qualsiasi tipo di escursione prima delle dieci di mattina oppure dopo le quattro del pomeriggio, così come è scritto anche sui cartelli segnaletici che si trovano lungo il percorso, e se le condizioni sono troppo pericolose alcuni sentieri possono essere chiusi. LEGGI TUTTO

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    “Caronte”, “Cerbero”, “Minosse”

    Molti giornali italiani e stranieri si riferiscono all’ondata di calore che in questi giorni sta interessando l’Italia con un nome proprio, “Caronte”. Si fa qualcosa del genere anche per uragani e tempeste, i cui nomi però sono scelti da servizi meteorologici pubblici o dal coordinamento tra vari paesi, rispettando precisi criteri condivisi. I nomi delle ondate di calore che riguardano l’Italia invece sono un’iniziativa indipendente del popolare sito di previsioni ilMeteo: da anni sono usati dai media sebbene l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) delle Nazioni Unite sia contraria ad attribuire nomi alle ondate di calore.Antonio Sanò, presidente di ilMeteo e inventore dei nomi italiani delle ondate di calore, racconta: «Nel giugno 2012 ci fu un’ondata di caldo e siccome in altri paesi c’era già la tendenza a dare nomi, decisi di farlo anche io e diedi il nome “Scipione l’Africano” all’ondata di calore arrivata a giugno a causa dell’anticiclone africano». Il nome venne poi adottato anche da alcuni giornali e quindi pochi giorni dopo, all’inizio di luglio, Sanò replicò l’iniziativa, chiamando “Caronte” la successiva ondata di calore: «Mandai un comunicato all’Ansa con il nuovo nome e dopo cinque minuti era sulla prima pagina del Corriere della Sera».Anche l’attuale ondata di calore è stata chiamata “Caronte” da ilMeteo perché è a sua volta arrivata a luglio. I nomi degli uragani assegnati dalla WMO vengono scelti a partire da una lista di nomi femminili e maschili decisa all’inizio di ogni anno: un nome può essere ripetuto se sono passati almeno sei anni dall’ultima volta in cui era stato usato, e sono esclusi solo i nomi usati per uragani così distruttivi che risulterebbe inappropriato e disorientante riutilizzare. Sanò invece ripropone sempre lo stesso nome per ogni ondata di calore che secondo i criteri di ilMeteo ha caratteristiche simili, e spesso sono ispirati alla Commedia di Dante Alighieri.Parlando della prima “Caronte”, Sanò spiega: «Feci questa associazione mentale: nel linguaggio popolare si dice fa un caldo “infernale”, l’inferno per antonomasia è quello della Divina Commedia in cui Caronte è il traghettatore delle anime. C’era questa analogia col mese di luglio e quindi scrissi “Arriva Caronte che ci traghetterà nel cuore dell’estate”». Anche “Minosse”, un altro nome usato da ilMeteo per le ondate di calore, è un personaggio dell’Inferno, e così “Cerbero”: le associazioni tra le ondate di calore e i nomi di ilMeteo sono prima di tutto metaforiche e quindi qualitative, e poi sono legate al periodo in cui si verificano, mentre non rispondono a definiti intervalli di temperature.«Caronte causa caldo opprimente su tutta l’Italia e sul Mediterraneo e si verifica nella prima parte del mese di luglio», continua Sanò: «“Cerbero” è un nome che abbiamo usato per la prima volta quest’anno: sapevamo che l’ondata di calore non sarebbe stata la prima, cioè “Scipione”, e nemmeno la più forte, quella che traghetta nel cuore dell’estate, cioè “Caronte”, quindi è stato scelto un nome nuovo».La WMO definisce come ondata di calore un periodo di vari giorni e notti in cui si registrano temperature inusualmente più alte rispetto alla media di quello stesso luogo per un trentennio di riferimento. Ogni paese poi può adottare definizioni più precise in base alle valutazioni dei propri servizi meteorologici nazionali (in Italia di solito si parla di ondata di calore quando si verifica un periodo di almeno 3 giorni consecutivi in cui la temperatura media giornaliera è significativamente superiore alla media del periodo 1981-2010 o 1991-2020). In generale non c’è comunque un’unica temperatura di soglia oltre la quale si parla di ondata di calore: è diversa da località a località, sulla base della relativa storia climatica. Questa è una delle ragioni per cui sarebbe difficile dare nomi condivisi alle ondate di calore.Un’altra è che mentre tempeste e uragani sono fenomeni che si possono identificare con precisione e per cui è molto facile fare previsioni precise, le ondate di calore sono meno definite e possono avere conseguenze molto diverse in territori diversi: c’è il rischio che quindi un’indicazione associata a un nome preciso sia corretta per una zona e meno per un’altra.Per Sanò il vantaggio dell’uso dei nomi è comunicativo: «La scienza può diffondersi solo se diventa per tutti e i nomi sono un modo per avvicinare la gente a questo argomento: negli ultimi anni c’è stato un aumento dell’interesse per la meteorologia anche grazie a un modo di comunicare che abbiamo introdotto anche noi, più popolare, complice il cambiamento climatico».Anche altre persone che si occupano di clima avevano ipotizzato che attribuire dei nomi propri alle ondate di calore potesse essere utile per motivi di comunicazione, e in particolare per far prendere coscienza a più persone possibili dei rischi legati a questi fenomeni. Per questo nell’ottobre del 2022 la WMO Services Commission, una delle commissioni dell’organizzazione, si era riunita per valutare questa possibilità, ma aveva concluso all’unanimità che non convenisse farlo per varie ragioni.In aggiunta a quelle già citate, una ragione è che non è mai stato provato con degli studi appositi che nominare le ondate di calore aiuti a ricordare i rischi corsi in passato in occasione di ondate precedenti e che aiuti a capire bene i rischi attuali. Per la WMO c’è inoltre il rischio che l’uso di nomi non ufficiali riduca l’autorevolezza degli enti pubblici che sono deputati a dare indicazioni e allerte sul meteo.«Dare dei nomi alle ondate di calore mette l’attenzione su aspetti sbagliati», ha ribadito la WMO in un comunicato del 18 luglio: «Dare un nome proprio a una singola ondata di calore è fuorviante per l’attenzione del pubblico e dei media, li distoglie dai messaggi più importanti, quelli che riguardano chi è a rischio e come bisogna occuparsene». In pratica per la WMO la pratica di assegnare nomi non ufficiali può creare confusione nella comunicazione e conseguenze negative, oltre a far perdere tempo ai servizi meteorologici pubblici.IlMeteo esiste dal 2000 ed è diventato particolarmente popolare dal 2010, cioè da quando ha iniziato a diffondersi l’uso delle app sugli smartphone. Stando ai dati della società di rilevazione Audiweb aggiornati allo scorso maggio ha poco più di 6 milioni di utenti unici al giorno. La sua pratica di assegnare nomi propri alle ondate di calore è stata criticata dal Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, l’unico ente pubblico che produce previsioni del tempo in Italia. L’editoriale di un numero della Rivista di meteorologica aeronautica dello scorso anno diceva che l’attribuzione di questi nomi avrebbe «poco a che fare con un’analisi seria di ciò che accade da un punto di vista meteorologico».Dal 2021 il Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, che peraltro contribuisce alle previsioni della WMO, assegna i nomi alle perturbazioni cicloniche più intense che interessano il Mediterraneo centrale, che poi sono usati in tutta Europa per identificarle. LEGGI TUTTO

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    Il grande caldo nell’emisfero boreale

    Caricamento playerDa alcuni giorni in parte dell’Europa, del Nord Africa, dell’Asia e del Nord America si registrano temperature massime molto al di sopra della media per questo periodo dell’anno. Secondo le previsioni in Europa si potrebbero raggiungere nuovi record, specialmente in Italia dove per Sicilia e Sardegna sono previste massime fino a 48 °C martedì. Negli Stati Uniti la grande ondata di calore sta interessando in particolare il sud e gli stati occidentali, con una massima di 53,9 °C registrata nella Death Valley in California, spesso uno dei posti più caldi del pianeta. In Cina sono stati raggiunti i 52,2 °C secondo le prime rilevazioni provvisorie: se confermate, sarebbe un nuovo record per la temperatura più alta mai registrata nel paese.L’Europa sta affrontando una seconda ondata di calore in appena una settimana, con temperature alte soprattutto in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Il caldo interessa inoltre buona parte del bacino del Mediterraneo ed è causato da un sistema di alta pressione proveniente dal Nord Africa, che ha ridotto la probabilità di precipitazioni e portato a condizioni in parte comparabili con quelle dell’agosto del 2021, quando in alcune zone della Sicilia si erano registrate massime intorno ai 48,8 °C.Nei giorni scorsi il ministero della Salute aveva segnalato un alto livello di rischio a causa del caldo in 16 città. Secondo le previsioni martedì 18 luglio ci sarà un aumento marcato delle temperature massime e minime, probabilmente con nuovi record. A Roma si prevedono massime intorno ai 42-43 °C, al di sopra del record dei 40,5 °C registrato nell’agosto del 2007. Il fronte di aria calda in arrivo da sud-ovest sull’Italia è mostrato in buona parte delle elaborazioni effettuate utilizzando dati satellitari, che rilevano gli spostamenti di masse d’aria a diverse temperature nell’atmosfera.⚠️🔴♨️🇮🇹The arrival of the severe #heatwave over #Italy is visible in the RGB Airmass product by #eumetview.Look at the red area of very warm air slowly extending on the peninsula and the islands in the latest 12hrs(until 14.30UTC) #Caronte #Weather @Giulio_Firenze @climatemon pic.twitter.com/ar00cqHj1R— antonio vecoli 🛰️🇪🇺#️⃣ (@tonyveco) July 16, 2023In Spagna sono previste temperature massime ben al di sopra dei 40 °C in buona parte del centro-sud del paese, zone in cui fa già solitamente molto caldo d’estate, ma anche in questo caso con probabili nuovi record rispetto alle rilevazioni degli anni scorsi.#Predicción de #temperaturas máximas y mínimas para #hoy y sus variaciones (2/2). https://t.co/nkt7p7WaxU pic.twitter.com/0lsHkfuS1Q— AEMET (@AEMET_Esp) July 17, 2023L’ondata di caldo sul Mediterraneo e il Sud Europa è dovuta a un anticiclone, cioè un sistema di alta pressione, che si presenta spesso in estate e che comporta periodi con poche piogge, scarsa nuvolosità e poco vento. A differenza dei fronti di bassa pressione, gli anticicloni si muovono più lentamente e possono interessare per giorni, talvolta settimane, estese porzioni di territorio. La loro permanenza in aree dove solitamente fa già molto caldo, come la zona desertica del Sahara, li rende ancora più stabili e caldi. L’anticiclone attuale secondo le previsioni impiegherà almeno un paio di settimane per dissipare parte della propria energia, sotto forma di calore, prima di lasciare spazio alle piogge.Negli ultimi anni è stata osservata una maggiore permanenza degli anticicloni sull’Europa, così come la loro capacità di spingersi più verso nord rispetto a quanto avveniva alcuni decenni fa. Il cambiamento è ormai evidente, ma ricondurre singoli fenomeni agli effetti del riscaldamento globale è difficile e richiede molte analisi. In generale si è comunque osservato un cambiamento delle correnti atmosferiche, con andamenti compatibili con le ondate di caldo rilevate negli ultimi anni e con i prolungati periodi di siccità.Una analisi sull’ultima ventina di anni in Europa ha segnalato come le ondate di calore siano diventate più intense e frequenti. Lo scorso anno vari paesi europei come Spagna, Francia e Italia avevano superato in più occasioni i 40 °C di temperatura massima giornaliera. Il fenomeno era stato ricondotto da alcuni studi al cambiamento climatico, con avvisi sull’aumentato rischio di avere estati più calde con maggiore frequenza.Nel Nord America un altro sistema di alta pressione sta causando un marcato aumento delle temperature massime, con avvisi e allerte da parte delle autorità negli Stati Uniti e che nel complesso riguardano un’area in cui vivono oltre 100 milioni di persone. A Las Vegas, nel Nevada, le previsioni segnalano che si potrebbero raggiungere i 47,2 °C, segnando un nuovo record per la città. Non molto distante, a Phoenix in Arizona, la temperatura media giornaliera non è scesa sotto i 43 °C per più di due settimane, mentre a El Paso in Texas si è attestata intorno ai 38 °C.Una misurazione con un termometro non ufficiale della temperatura a Furnace Creek nella Death Valley, California, Stati Uniti (David McNew/Getty Images)In Asia la situazione non è migliore, con molti paesi che hanno dovuto affrontare più ondate di calore già a partire dallo scorso aprile. In Cina domenica 16 luglio è stato registrato un nuovo record con una temperatura massima di 52,2 °C nella città di Sanbao, nella regione autonoma dello Xinjiang. Il record precedente era di 50,3 °C ed era stato registrato nel 2015 nella depressione in cui si trova il lago di Ayding, sempre nello Xinjiang. Il territorio cinese è molto ampio e comprende aree climatiche diverse tra loro, di conseguenza sono frequenti forti sbalzi di temperatura in alcune aree. Negli ultimi anni, però, i fenomeni estremi sono diventati più frequenti e con maggiori effetti rispetto a un tempo.China just experienced its highest temperature in recorded history, topping out at an unbelievable 52.2°C (126°F).This crushes the country’s previous all-time high by 1.7°C (3°F). pic.twitter.com/CrmdgGgm7g— Colin McCarthy (@US_Stormwatch) July 16, 2023Parte della Cina sud-orientale si sta intanto preparando all’arrivo del tifone Talim, che porterà forti venti e piogge sulla costa. Alcune zone sono state evacuate e ci si attende che le precipitazioni diventino più intense entro martedì. Anche il Vietnam si sta preparando al passaggio del tifone e ha disposto l’evacuazione di circa 30mila persone nelle aree che si prevede saranno maggiormente interessate. Secondo le autorità locali, il tifone potrebbe essere uno dei più intensi degli ultimi anni per il golfo del Tonchino, nel Mar Cinese Meridionale.Il passaggio del tifone Talim a Hong Kong lunedì 17 luglio 2023 (AP Photo/Louise Delmotte)In Giappone sono stati diffusi avvisi alla popolazione per i rischi dovuti alle alte temperature, con massime intorno ai 40 °C. In Corea del Sud il presidente Yoon Suk-yeol ha detto di voler ripensare le strategie adottate per affrontare le ondate di calore e più in generale gli eventi atmosferici estremi, in particolare dopo le forti alluvioni che hanno interessato il paese negli ultimi giorni. Le piogge intense hanno causato inondazioni e allagamenti nei quali sono morte almeno 40 persone, mentre oltre 100mila hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Nel paese ci sono stati estesi blackout e la risposta delle autorità all’emergenza è stata giudicata carente.È probabile che nel corso di questa estate ci saranno altre ondate di calore, così come è possibile che l’anno in corso si riveli il più caldo mai registrato. Sull’andamento delle temperature potrebbe incidere anche “El Niño”, l’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e che influenza buona parte del clima del pianeta, contribuendo a un aumento della temperatura media globale.Domenica intanto la temperatura media globale della superficie marina (SST) ha raggiunto i 20,98 °C, con una nuova anomalia record rispetto al periodo di riferimento 1991-2020: 0,64 °C in più.La prima settimana di luglio è stata definita dall’Organizzazione meteorologica mondiale come la più calda mai registrata, sulla base dei dati preliminari finora raccolti, che saranno poi ulteriormente studiati e analizzati. Secondo gli esperti è probabile che da qui a fine agosto si registreranno nuovi record, dovuti sia agli effetti del riscaldamento globale dovuto alle attività umane sia all’influenza di El Niño. LEGGI TUTTO

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    Oggi si dovrà fare attenzione al caldo in 15 città italiane

    Caricamento playerPer la giornata di sabato il ministero della Salute ha previsto il più alto livello di rischio per ondate di calore in 15 diverse città italiane, tra cui Roma e Firenze, e per domenica in 16 città. Il livello di rischio più alto, che corrisponde al 3 ed è colloquialmente chiamato “bollino rosso”, segnala quelle condizioni meteorologiche che possono avere effetti negativi per la salute non solo per le persone più vulnerabili, come anziani, bambini molto piccoli e malati di malattie croniche, ma anche per le persone sane. L’Italia è entrata in una fase di ondata di calore l’8 luglio e secondo le previsioni del Servizio meteorologico dell’Aeronautica militare oggi si raggiungeranno temperature massime tra i 38 e i 40 °C in Sardegna, Sicilia e Puglia.Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale si parla di ondata di calore quando per almeno sei giorni consecutivi la temperatura massima registrata è superiore al novantesimo percentile delle temperature registrate in quel giorno dell’anno rispetto a un periodo di riferimento (che può essere dal 1981 al 2010 e dal 1991 al 2020, se ci sono i dati disponibili). L’attuale ondata riguarda l’Italia e tutta l’Europa centro-meridionale. Venerdì il sito archeologico dell’Acropoli di Atene, in Grecia, è stato chiuso nelle ore più calde della giornata, dalle 12 alle 17, a causa delle alte temperature, che in questi giorni hanno più volte superato i 40 °C.Le principali raccomandazioni del ministero della Salute da seguire nelle città con il livello di rischio più alto sono: evitare di esporsi al caldo e alla luce diretta del sole tra le 11:00 e le 18:00, che sono le ore più calde della giornata, e in particolare non fare attività fisica all’aria aperta in quegli orari; indossare indumenti di colori chiari e tessuti leggeri, ripararsi la testa con dei cappelli e usare gli occhiali da sole; proteggere la pelle esposta con creme solari; bere molta acqua e ricordarsi di portarsela dietro in caso di lunghi viaggi in macchina; non lasciare persone anziane e bambini non autosufficienti in macchine parcheggiate al sole, anche se per poco tempo.Nel mondo le ondate di calore stanno diventando più frequenti e durature a causa del cambiamento climatico dovuto alle emissioni di gas serra delle attività umane e anche per questo in anni recenti sono stati raggiunti vari record di temperatura più alta. Quello europeo era stato registrato nell’agosto del 2021 a Siracusa, in Sicilia, quando vennero misurati 48,8 °C, e secondo le previsioni nella prossima settimana si potrebbe arrivare a temperature simili. Secondo le osservazioni satellitari dell’Agenzia spaziale europea (ESA) la temperatura del suolo – che deve essere distinta da quella dell’aria, è quella che percepiscono ad esempio i cani sulle zampe quando escono a passeggio – ha già raggiunto i 47 °C il 10 luglio. In aggiunta ai rischi per la salute le ondate di calore aumentano le possibilità che gli incendi boschivi dolosi diventino più ampi e difficili da spegnere.After the hottest June on record, July is not looking so fresh either. 🌡️A major heatwave is predicted to rise temperatures as high as 48°C.This map shows Land surface temperatures reaching 46°C in Rome and Madrid, and 47°C in Seville.#Cerberus🔗 https://t.co/lEwVxkecb2 pic.twitter.com/LAyKdL4LDF— ESA Earth Observation (@ESA_EO) July 13, 2023L’ondata di calore riguarda anche il mar Mediterraneo, che è tra i grandi bacini d’acqua in cui le temperature stanno aumentando di più a causa del riscaldamento globale. Il 13 luglio, sempre secondo le osservazioni satellitari, la temperatura superficiale marina era di almeno 5 °C superiore alla media in gran parte del Mediterraneo occidentale.#ImageOfTheDayAccording to @MercatorOcean, a “moderate” heatwave is ongoing in the western Mediterranean SeaOn 13 July, the Sea Surface Temperature Anomaly along the coasts of Southern Spain & North Africa was ~ +5°C above the reference value for the period⬇️@CMEMS_EU data pic.twitter.com/AVS5OcBc14— 🇪🇺 DG DEFIS #StrongerTogether (@defis_eu) July 14, 2023 LEGGI TUTTO

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    Robert Oppenheimer, il “padre dell’atomica”

    Caricamento playerIn una lettera inviata al fratello Frank nell’ottobre del 1929, Julius Robert Oppenheimer ammise di avere talvolta «bisogno della fisica più che degli amici», una frase che descrive meglio di molte altre citazioni più famose il “padre della bomba atomica”. All’epoca Oppenheimer aveva 25 anni, una laurea in chimica e un dottorato, studiava meccanica quantistica e fisica nucleare. Le ambizioni non gli mancavano, ma difficilmente avrebbe immaginato che una quindicina di anni più tardi avrebbe diretto uno dei più importanti progetti scientifici mai organizzati, per costruire e testare le prime armi nucleari. Una tecnologia che nel bene e nel male avrebbe segnato per sempre la vita del suo inventore.La vita di Oppenheimer e le vicende intorno alla creazione dell’atomica sono al centro dell’atteso film Oppenheimer scritto e diretto dal regista statunitense Christopher Nolan, che sarà distribuito negli Stati Uniti e in altre parti del mondo dal prossimo 21 luglio, mentre in Italia dovremo attendere il 23 agosto. Il film ha riportato l’attenzione su uno degli scienziati più famosi e complessi del Novecento, su ciò che fu in grado di realizzare in pochi anni alla fine della Seconda guerra mondiale, sui dilemmi etici e personali nell’avere creato una delle armi più potenti e distruttive nella storia dell’umanità.J. Robert Oppenheimer era nato il 22 aprile del 1904 a New York in una famiglia di origini ebraiche: la madre faceva la pittrice, mentre il padre era un importatore di tessuti emigrato negli Stati Uniti dal Regno di Prussia alla fine del diciannovesimo secolo. A scuola Oppenheimer aveva mostrato da subito un certo interesse per le materie scientifiche e in particolare per la chimica, disciplina in cui si laureò nel 1925 ad Harvard. Dopo un breve periodo a Cambridge, nel Regno Unito, si trasferì in Germania per studiare all’Università Georg-August di Gottinga dove insegnava Max Born, uno dei più importanti fisici dell’epoca e tra i principali teorici della meccanica quantistica.Alto e molto magro, al punto da apparire talvolta emaciato, Oppenheimer fumava sigarette in continuazione e saltava spesso i pasti, soprattutto nei periodi di studio più intensi. Era molto solitario e alternava periodi di giovialità ad altri di profonda depressione, nei quali non cercava la compagnia di nessuno. Sembrava effettivamente che preferisse la fisica agli amici, anche se in Germania aveva fatto conoscenza e avviato buoni rapporti con alcuni dei fisici più importanti di inizio Novecento come Werner Heisenberg, Enrico Fermi, Paul Dirac e Wolfgang Pauli.Oppenheimer partecipava con grande interesse alle lezioni: fin troppo, a detta dei suoi colleghi, e mostrava una grande passione per lo sviluppo e l’analisi delle teorie in ambiti della fisica all’epoca ancora poco esplorati. In quel periodo fu autore di varie ricerche scientifiche e, dopo avere conseguito il dottorato sotto Born nel 1927, tornò negli Stati Uniti per lavorare al California Institute of Technology e ad Harvard: promettente e capace era molto conteso, di conseguenza i due istituti avevano dovuto trovare un compromesso per averlo entrambi. Fu poi il turno della University of California, Berkeley, dove insegnò e divenne poi docente di ruolo nel 1936.In quella decina di anni si occupò di astronomia teorica, fisica nucleare, meccanica quantistica e naturalmente di relatività, argomento molto dibattuto all’epoca. Fu tra i primi a ipotizzare l’esistenza del positrone, l’antiparticella dell’elettrone, due anni prima della sua scoperta. Si dedicò allo studio delle stelle di neutroni, l’ultimo stadio di vita delle stelle con una massa molto grande, anche in questo caso teorizzando cose e oggetti che si sarebbero scoperti molti anni dopo, compresi quelli che oggi chiamiamo buchi neri.A detta dei colleghi e degli studenti che lavoravano con lui, c’era poco in grado di distogliere Oppenheimer dal suo grande interesse per la fisica. Le cose iniziarono a cambiare dopo l’ascesa del nazismo in Germania, cui Oppenheimer guardava con preoccupazione, come molti altri membri della comunità scientifica negli Stati Uniti. A metà anni Trenta aveva iniziato a fare donazioni per aiutare i fisici tedeschi a lasciare la Germania nazista e si avvicinò ai movimenti progressisti e a quelli comunisti. I finanziamenti e le frequentazioni di quei gruppi gli sarebbero costati cari negli anni Cinquanta, quando Oppenheimer finì sotto inchiesta nel periodo del maccartismo e della “caccia ai comunisti”.Fu con quelle frequentazioni che conobbe prima Jean Tatlock, che faceva parte del partito comunista statunitense, con cui ebbe una breve e travagliata relazione, e in seguito Katherine Puening con la quale si sposò nel 1940. L’anno seguente ebbero il primo figlio, Peter, e tre anni dopo Katherine. Oppenheimer aveva però riallacciato i rapporti con Tatlock, circostanza che in seguito avrebbe attirato ulteriori sospetti da parte di chi riteneva fosse un comunista. Tra indagini e sospetti, sembrava altamente improbabile se non impossibile che Oppenheimer potesse essere messo a capo di un progetto segreto per far finire il prima possibile la Seconda guerra mondiale.Nell’autunno del 1941, prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra, il governo statunitense aveva approvato il finanziamento di un programma per sviluppare un nuovo tipo di arma, mai sperimentata prima: una bomba atomica, che sfruttasse le conoscenze e le scoperte fatte negli ultimi anni sull’energia, la materia e il suo funzionamento. Non c’era tempo da perdere perché il primo che avesse disposto di una tecnologia di quel tipo avrebbe sicuramente vinto la guerra, e gli statunitensi e i loro alleati temevano che i nazisti o i sovietici potessero arrivarci prima di loro.La bomba atomica sarebbe stato il frutto di una enorme mobilitazione di scienziati, ingegneri e tecnici, che avrebbe coinvolto le migliori menti soprattutto nel campo della fisica. Lo sapeva bene James B. Conant, tra i membri del Comitato nazionale della ricerca per la difesa, istituzione che aveva proprio il compito di condurre ricerche scientifiche e sperimentazioni per lo sviluppo di nuovi sistemi di guerra. Conant conosceva Oppenheimer dai tempi di Harvard e nella primavera del 1942 gli propose di iniziare a lavorare allo studio dei neutroni veloci, che si producono nella fissione nucleare in processi altamente energetici. Oppenheimer accettò e iniziò a coinvolgere studenti e altri ricercatori a Berkeley, compresi Edward Teller e Hans Bethe.A settembre dello stesso anno, intanto, il programma per l’atomica si era strutturato meglio ed era nato il Progetto Manhattan, sotto la guida di Leslie R. Groves Jr. delle forze armate statunitensi. Il progetto avrebbe coinvolto centri di ricerca e basi militari in varie zone degli Stati Uniti, ma avrebbe avuto un laboratorio di ricerca principale per studiare e sviluppare l’atomica.Julius Robert Oppenheimer a sinistra e Leslie Groves a Los Alamos, New Mexico (Keystone/Getty Images)Groves scelse Oppenheimer come direttore del laboratorio, sorprendendo molti colleghi considerate le molte voci circolate sui suoi orientamenti politici. Oppenheimer aveva 38 anni e una specchiata carriera accademica, certo, ma non aveva mai coordinato il lavoro di tante persone in progetti di grandi dimensioni. Groves era però persuaso che fosse la persona più adatta: riflessivo e taciturno, dava l’idea di qualcuno che avrebbe svolto il difficile compito che gli era stato assegnato senza interferire con le scelte e le decisioni dei militari, principali responsabili del progetto.Le esigenze di segretezza resero necessaria l’identificazione di un luogo remoto e fuori da sguardi indiscreti dove condurre le ricerche, il più velocemente possibile. Oppenheimer conosceva alcune zone nel New Mexico dove aveva un ranch e alla fine fu scelto un pianoro, non troppo distante da Santa Fe, dove sorgeva una scuola, il cui edificio fu riadattato per costruire le prime strutture di quello che sarebbe poi diventato famoso come il laboratorio di ricerca e sviluppo di Los Alamos.Parte dell’area tecnica di Los Alamos, New Mexico (Wikimedia)La quantità di persone necessaria per sviluppare l’atomica e per gestire il laboratorio fu ampiamente sottostimata. Inizialmente Oppenheimer riteneva che qualche centinaio di persone sarebbe stato più che sufficiente per l’impresa: un paio di anni dopo a Los Alamos erano circa in 6mila. Tra questi c’erano molti militari, ma anche alcuni dei più famosi o promettenti fisici dell’epoca, che lavoravano senza sosta al Progetto Manhattan. Si erano trasferiti nel deserto del New Mexico con le loro famiglie e Los Alamos era diventato via via una piccola città, molto controllata per ovvi motivi di sicurezza e segretezza.Oppenheimer dirigeva il lavoro dei gruppi di ricerca, sia dei fisici teorici sia di quelli sperimentali, non sempre facili da mettere d’accordo. Dopo la guerra, molti ricercatori di Los Alamos avrebbero raccontato che Oppenheimer non offriva molte idee o suggerimenti, ma era sempre presente in una sala riunioni o in un laboratorio quando stava per succedere qualcosa di importante. Era una presenza rassicurante e che aiutava i gruppi a lavorare, condividere le scoperte ed elaborare i passi successivi per raggiungere il loro obiettivo, spesso muovendosi in territori ancora poco esplorati della fisica nucleare.Le sperimentazioni erano dedicate alle reazioni di fissione scoperte nel 1938, dove i nuclei di atomi pesanti – come gli isotopi plutonio 239 e uranio 235 – vengono indotti a spezzarsi liberando una grande quantità di energia termica. Passare dalla teoria alla pratica non era però semplice, sia per quanto riguardava l’approvvigionamento degli isotopi, sia nello sviluppare un sistema che fosse stabile e sicuro, fino al momento della detonazione. Il plutonio veniva prodotto altrove in reattori sperimentali, ma divenne evidente che le sue caratteristiche non si conciliavano con un primo modello di bomba (metodo di innesco “balistico”) che era stato esplorato nei primi tempi di Los Alamos.Davanti a queste difficoltà, nell’estate del 1944 Oppenheimer decise di riorganizzare buona parte del lavoro dei laboratorio, per concentrarsi su un sistema a implosione che, sfruttando l’esplosione di varie cariche intorno al nocciolo della bomba, comprimeva il materiale fissile fino a innescare la reazione nucleare. Lo sviluppo dell’altro tipo di bomba fu portato avanti da un gruppo più piccolo e utilizzando l’uranio per evitare i problemi incontrati con il plutonio.Alla fine i gruppi di lavoro di Los Alamos impiegarono appena due anni per superare le grandi difficoltà nello sviluppo dell’atomica. La mattina del 16 luglio 1945 nel deserto della Jornada del Muerto, sempre nel New Mexico, fu sperimentata la prima detonazione di un’arma nucleare della storia. Un grande bagliore accompagnato dalla produzione di un’alta nube incandescente confermò il successo dell’esperimento, per nulla scontato. Fino a pochi istanti prima, tutte le persone coinvolte compreso Oppenheimer avevano forti dubbi sul fatto che quella prima bomba atomica potesse funzionare.Oppenheimer assistette con soddisfazione da un bunker di osservazione e in seguito raccontò di avere pensato ai versi di uno dei testi sacri dell’induismo, del quale era un profondo e appassionato conoscitore: «Sono diventato Morte, il distruttore di mondi». Quella frase sarebbe diventata la più celebre e citata di Oppenheimer, anche se non fu pronunciata in quel momento, stando alle testimonianze delle persone che erano con lui.Appena tre settimane dopo quell’esperimento, “Little Boy”, la bomba atomica all’uranio, fu sganciata su Hiroshima in Giappone, e tre giorni dopo l’ordigno al plutonio “Fat Man” sulla città giapponese di Nagasaki. Le due gigantesche esplosioni causarono la morte di circa duecentomila persone (le stime variano molto) in uno dei più terribili eccidi della storia, e sono convenzionalmente considerate ciò che portò alla fine della Seconda guerra mondiale, una guerra che però aveva già i propri vincitori da diverso tempo.A Los Alamos il successo del bombardamento di Hiroshima fu accolto con un misto di sollievo e compiacimento, per avere portato a termine qualcosa che appena due anni prima appariva impossibile, ma anche di orrore per l’enorme numero di persone uccise. Le opinioni, comprese quelle di Oppenheimer, furono più nette e critiche per il successivo bombardamento di Nagasaki, ritenuto strategicamente non necessario dal punto di vista militare.In quell’estate del 1945 Robert Oppenheimer era diventato per tutti il “padre della bomba atomica”, una paternità difficile da sostenere man mano che diventavano evidenti non solo gli effetti immediati dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, ma anche quelli successivi legati alle alte dosi di radiazioni, che causarono sofferenze a migliaia e migliaia di persone giapponesi e lutti che segnarono le generazioni successive. In un colloquio organizzato nell’autunno di quell’anno con Harry Truman, l’allora presidente degli Stati Uniti, Oppenheimer confessò di «sentirmi le mani sporche di sangue». Truman rimase colpito e offeso da quell’affermazione, tanto da interrompere all’istante l’incontro e da dire in seguito a un proprio assistente: «Non voglio mai più vedere quel figlio di puttana in quest’ufficio».Insieme ai gruppi di ricerca di Los Alamos, Oppenheimer aveva portato a termine un’impresa scientifica e tecnica con pochi precedenti, aprendo nuove conoscenze e opportunità legate alle tecnologie nucleari. Al tempo stesso, però, aveva reso possibile la costruzione dell’arma più potente e mortale mai realizzata con il potenziale di distruggere l’intera umanità. Dopo i bombardamenti sul Giappone, Oppenheimer avrebbe convissuto per sempre con questo dilemma difficile da risolvere, e probabilmente proprio per questo divenne uno dei più convinti sostenitori della necessità di istituire regole comuni e internazionali per tenere sotto controllo la proliferazione delle armi nucleari.Oppenheimer durante un’audizione a Washington, DC, dopo la fine della Seconda guerra mondiale (AP Photo,File)Oppenheimer divenne uno dei membri più importanti della Commissione per l’energia atomica (AEC), istituita nel 1946 dal governo statunitense per sostenere lo sviluppo e il controllo delle tecnologie nucleari. In incontri, lezioni e conferenze illustrò quali potessero essere gli usi pacifici della fissione nucleare per esempio per produrre energia elettrica, insistendo sulla necessità di costituire un’organizzazione internazionale sul nucleare. Ipotizzò che ogni paese rinunciasse a parte della propria sovranità nel settore, in modo da avere un sistema condiviso per l’uso pacifico delle tecnologie nucleari. Segnalò anche i pericoli della cosiddetta “corsa agli armamenti”, che avrebbe portato a una proliferazione di testate nucleari, visto che altri paesi a cominciare dall’Unione Sovietica avevano sviluppato programmi per la ricerca e la produzione di bombe atomiche. I suoi appelli rimasero in buona parte inascoltati.Nel 1949 Oppenheimer si oppose inoltre allo sviluppo di una bomba a idrogeno, basata sulla fusione nucleare, il processo che fa funzionare il Sole e che sarebbe stata molto più potente delle bombe a fissione. Il governo degli Stati Uniti decise però diversamente e nel 1952 fu condotto il primo test su grande scala di una bomba H, fatta esplodere nelle Isole Marshall nell’oceano Pacifico. Oppenheimer partecipò alla stesura di un approfondito rapporto dopo il test, nel quale si segnalava che né gli Stati Uniti né l’Unione Sovietica avrebbero potuto mai raggiungere una superiorità nucleare, portando quindi a molti rischi e allo sviluppo di bombe sempre più potenti.L’insediamento di Dwight D. Eisenhower a presidente degli Stati Uniti nel gennaio del 1953 portò Oppenheimer a essere più ascoltato, specialmente nei suoi inviti al governo di mantenere un approccio più aperto e trasparente sui propri piani nucleari, visto come una via per ridurre le tensioni con l’Unione Sovietica. Oppenheimer divenne molto influente, ma al tempo stesso osteggiato da politici e militari che teorizzavano approcci più aggressivi nell’impiego degli arsenali nucleari per fare deterrenza.Nell’autunno del 1953 al potentissimo capo dell’FBI, J. Edgar Hoover, arrivò una segnalazione da parte di William Liscum Borden, già capo del Comitato sull’energia atomica del Congresso e fervente sostenitore dello sviluppo di arsenali nucleari. Il messaggio diceva che molto probabilmente Oppenheimer era una spia sovietica, rispolverando le informazioni sulle sue vecchie frequentazioni con comunisti prima della guerra. In poche settimane, a Oppenheimer fu prospettato di perdere l’accesso a buona parte delle informazioni riservate dell’AEC sul nucleare e gli fu proposto di dimettersi, evitando un’inchiesta vera e propria sul suo conto. Ritenendo di non avere nulla da nascondere, Oppenheimer rifiutò la proposta e l’anno seguente fu più volte interrogato sulle sue vecchie amicizie, i suoi orientamenti politici e la sua opposizione alla bomba a idrogeno.L’inchiesta avvenne nel pieno del maccartismo, dal nome del senatore Joseph McCarthy a capo della principale commissione per la repressione delle attività ritenute antiamericane. In quel periodo negli Stati Uniti si assistette a una ricerca spasmodica e ossessiva di persone che mostrassero comportamenti ritenuti sovversivi perché filo-comunisti, con l’obiettivo di fermarle e di impedire loro di avere un qualsiasi ruolo nella società. Moltissime persone furono accusate ingiustamente, perdendo il lavoro e la propria reputazione.Oppenheimer nel suo studio a Princeton nel 1954 (AP Photo)Durante le audizioni Oppenheimer faticò a fornire testimonianze coerenti e mostrò in più occasioni la propria insofferenza per l’inchiesta, che riteneva assurda e con accuse infondate. In realtà, è ormai opinione diffusa tra i suoi biografi che per un certo periodo fosse stato un convinto sostenitore del partito comunista, e che ne avesse finanziato le attività. Nel 1954 Oppenheimer perse ufficialmente le proprie autorizzazioni di sicurezza e qualsiasi influenza diretta sulle decisioni del governo statunitense sul nucleare.Oppenheimer continuò comunque a tenere discorsi e conferenze concentrandosi sul ruolo della scienza nella società, sulle implicazioni di ciò che era stato ottenuto a Los Alamos e sull’importanza di mantenere un dialogo aperto tra le nazioni per tenere sotto controllo il rischio posto dagli arsenali nucleari. Nel 1963 ricevette il premio Enrico Fermi dal governo degli Stati Uniti, segno di un parziale processo di riabilitazione nei suoi confronti. Non avendo comunque più i permessi di sicurezza continuò ad avere un ruolo marginale nelle decisioni politiche.A sessant’anni continuava a essere solitario e a preferire soprattutto la compagnia della fisica e delle sue sigarette: era un fumatore incallito e ne accendeva una dopo l’altra. Nel 1965 gli fu diagnosticato un cancro alla gola e né la chemioterapia né un trattamento con le radiazioni si rivelarono efficaci per fermare o per lo meno rallentare la malattia. Morì il 15 aprile del 1967 nella propria casa di Princeton (New Jersey), fu cremato e le sue ceneri furono disperse in mare. Sette giorni dopo il “padre dell’atomica” avrebbe compiuto 63 anni.Il 16 dicembre 2022 il governo degli Stati Uniti annullò la decisione con cui Oppenheimer era stato privato delle proprie autorizzazioni di sicurezza, riconoscendo la gestione fallace della vicenda nel 1954: «Col passare del tempo, sempre più prove sono emerse sui pregiudizi e sulle ingiustizie del processo a cui il dottor Oppenheimer fu sottoposto, mentre le prove della sua lealtà e del suo amore per il paese sono solo state ulteriormente confermate». LEGGI TUTTO