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    Ecco la stretta sui contributi pubblici preparata da Giorgetti

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    Il governo introduce un giro di vite sulla gestione dei fondi pubblici destinati a società, enti, organismi e fondazioni. La bozza di Dpcm, elaborata dal ministero dell’Economia in base alle prescrizioni della legge di Bilancio 2025, stabilisce i criteri per identificare i “contributi di entità significativa” e disciplina gli obblighi di comunicazione e verifica per i soggetti beneficiari.Secondo il provvedimento, rientrano nella categoria dei contributi rilevanti quelli erogati dallo Stato o da enti pubblici non economici vigilati, per almeno un milione di euro annui o pari al 50% del totale delle entrate del beneficiario. Esclusi invece i contributi con finalità generali, quelli di natura corrispettiva, retributiva o concessi sotto forma di credito d’imposta.Le nuove regole impongono un monitoraggio stringente: i soggetti erogatori dovranno comunicare entro il 28 febbraio di ogni anno l’elenco delle realtà finanziate, mentre i collegi sindacali e di revisione contabile delle società destinatarie dovranno redigere e inviare al Mef una relazione dettagliata sull’impiego dei fondi entro il 30 aprile dell’anno successivo. LEGGI TUTTO

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    L’allarme dell’Ocse: il debito sovrano e societario ha superato i 100 mila miliardi di dollari

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    L’Ocse tira le fila del debito mondiale. E lo fa, forse, in uno dei momenti più delicati, considerando che in questi giorni l’Ue ha aperto alla possibilità ai propri paesi membri di aumentare il debito pur di accrescere le spese nella difesa. Opzione che non trova il favore della premier Giorgia Meloni che, durante l’incontro odierno con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha ribadito la necessità di porre l’accento sulla partecipazione del capitale privato, per esempio attraverso il modello InvestEu, e su strumenti europei davvero comuni che non pesino direttamente sul debito degli stati. Ipotesi che effettivamente trova un riscontro concreto nelle cifre identificate nella seconda edizione del ‘Global Debt Report’ pubblicato oggi dall’Ocse.Il debito sovrano e societario supera i 100mila miliardi di dollariSecondo l’associazione, l’anno scorso i governi e aziende a livello mondiale hanno raccolto sul mercato obbligazionario oltre 25mila miliardi di dollari, ossia 10 mila miliardi di dollari in più rispetto al periodo precedente al Covid e quasi il triplo rispetto al 2007. Un’impennata frutto dell’“eredità della crisi finanziaria del 2008 e della pandemia”, che ha spinto i governi a emettere grandi programmi di sostegno finanziati tramite debito “per attutire l’impatto degli shock e facilitare la ripresa”, spiega nella nota l’Ocse.Ancora più allarmante il dato riguardo il debito sovrano e societario. Stiamo parlando di oltre 100mila miliardi di dollari nel 2024. E non è tutto. Dopo una temporanea riduzione dovuta all’inflazione, anche il rapporto debito/Pil è tornato a crescere, passando dall’82% nel 2023 all’84% nel 2024 e con una previsione dell’85% nel 2025.17 mila miliardi di obbligazioni sovraneAndando avanti, il rapporto evidenzia che l’emissione di obbligazioni sovrane nei paesi Ocse dovrebbe raggiungere un record di 17mila miliardi di dollari nel 2025. Anche i mercati emergenti hanno visto un aumento del debito, con emissioni passate da mille miliardi nel 2007 a oltre 3 mila miliardi nel 2024. Il debito obbligazionario delle aziende ha ripreso a crescere dopo due anni di riduzioni dovute all’inflazione, raggiungendo i 35mila miliardi di dollari a fine 2024, a cui si aggiungono 25 mila miliardi di dollari in prestiti sindacati e almeno 1.600 miliardi di dollari in credito privato.Sale il rapporto tra pagamenti di interessi e PilIn salita anche il rapporto tra pagamenti di interessi e Pil, salito al 3,3% nell’Ocse, superando la spesa per la difesa. E non è tutto. Il rapporto evidenzia che “quasi il 45% del debito sovrano Ocse scadrà entro il 2027, con un alto fabbisogno di rifinanziamento a breve termine”. Nei mercati emergenti, invece, il debito in scadenza nei prossimi tre anni è vicino al 40%, con i paesi a basso reddito e ad alto rischio più esposti, avendo oltre la metà del debito in scadenza in questo periodo. Anche un terzo delle obbligazioni societarie scadrà entro il 2027, e i costi di interesse saliranno a meno che i rendimenti non calino drasticamente.Negli ultimi anni, molte aziende hanno emesso debito senza aumentare proporzionalmente gli investimenti produttivi, utilizzandolo invece per rifinanziamenti e distribuzioni di dividendi agli azionisti. Questo rende improbabile che il debito si ripaghi attraverso ritorni su investimenti produttivi.“Impatto significativo sui bilanci pubblici e aziendali” LEGGI TUTTO

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    La recessione tedesca sta pesando sull’economia italiana. Secondo il “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” dell’Istat, la contrazione economica della Germania ha avuto un impatto negativo di 0,2 punti percentuali sulla crescita del Pil italiano sia nel 2023 sia nel 2024. L’effetto principale si è manifestato sulla riduzione delle esportazioni, con un calo di 0,9 punti percentuali nel 2024, accompagnato da una lieve flessione degli investimenti (-0,1 punti percentuali).L’industria italiana ha subito un rallentamento, con una riduzione del fatturato pari al 3,4% nel 2024, mentre nel settore manifatturiero il calo è stato del 3,5%. Solo pochi comparti, tra cui la farmaceutica (+8,2%) e la riparazione e manutenzione macchinari (+6,5%), hanno registrato risultati positivi. L’occupazione ne ha risentito con una riduzione delle unità di lavoro dello 0,2% nel 2023 e dello 0,1% nel 2024, anche se il tasso di disoccupazione è rimasto stabile.Esportazioni a rischio tra crisi tedesca e dazi UsaL’Italia ha registrato nel 2024 un avanzo commerciale verso gli Stati Uniti di 34,7 miliardi di euro, con la Meccanica (10,8 miliardi), il settore Alimentare-bevande-tabacco (oltre 7 miliardi), il Tessile-abbigliamento-pelli (oltre 5 miliardi) e i Mezzi di trasporto (6,1 miliardi) tra i comparti trainanti. Tuttavia, l’introduzione di dazi da parte degli Stati Uniti potrebbe costituire un pericolo per la nostra economia, considerando che tra il 2019 e il 2023 l’export italiano verso gli USA era aumentato del 47,5%, mentre nel 2024 ha registrato un calo del 3,6%.Il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, ha sottolineato: “I risultati del ‘Rapporto sulla competitività dei settori produttivi’ danno conto della crescente polarizzazione delle relazioni commerciali attorno a Stati Uniti e Cina con una relativa marginalizzazione dell’economia europea”. Ha inoltre evidenziato la vulnerabilità di circa 23mila imprese italiane all’export e 4.600 all’import, un dato preoccupante considerando l’interdipendenza della nostra economia con il commercio globale.Le criticità intrinseche del sistema-ItaliaTra i principali problemi evidenziati dal rapporto Istat la bassa produttività, l’incapacità di crescere e la forte dipendenza da pochi committenti.Secondo i dati raccolti, sei imprese italiane su dieci operano in condizioni di monocommittenza, ovvero dipendono quasi esclusivamente da un unico cliente o da una ristretta cerchia di committenti. Questo le rende estremamente vulnerabili a qualsiasi cambiamento nel mercato o a crisi del loro principale cliente, con conseguenze potenzialmente disastrose sulla loro sopravvivenza.A questo si aggiunge una produttività stagnante, che negli ultimi anni ha visto un incremento inferiore rispetto alla media europea. Le Pmi italiane faticano a investire in innovazione e digitalizzazione, fattori ormai imprescindibili per la competitività a livello globale.Il rapporto suggerisce la necessità di politiche industriali mirate a incentivare la diversificazione dei clienti, il rafforzamento della struttura aziendale e un maggiore accesso a strumenti di innovazione tecnologica. In un contesto economico sempre più incerto, la capacità di adattarsi e ridurre la dipendenza da un singolo committente diventa cruciale per la resilienza del sistema produttivo italiano.Italia ed Europa ai margini delle nuove dinamiche globaliL’Italia è fortemente dipendente dalle esportazioni e dalla fornitura di beni intermedi dall’estero, e la fragilità dell’Europa nel contesto globale è un ulteriore elemento di rischio. Lucia Aleotti, vicepresidente di Confindustria per il Centro Studi, ha dichiarato: “La globalizzazione ha subito un rallentamento strutturale, con catene del valore più corte, barriere commerciali in aumento e una governance multilaterale sempre più fragile. Questo scenario sta ridisegnando gli equilibri economici globali, creando due aree economiche fulcro dell’economia, Stati Uniti e Cina. L’Europa sta rimanendo completamente ai margini”.Aleotti ha inoltre sottolineato la necessità di un cambio di passo per il Vecchio Continente: “Bisogna guardare a nuovi sbocchi commerciali per i nostri prodotti e nuovi fornitori, ma è soprattutto vitale che l’Europa torni immediatamente a guardare i fondamentali dell’industria e dell’economia. Servono misure ispirate dalla vita reale delle imprese e non dai suggerimenti di burocrati”. LEGGI TUTTO

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    Lagarde come Draghi: “Il nostro mandato è il whatever it takes”

    “La capacità di generare o meno profitti non impedirà la nostra capacità di soddisfare il nostro mandato ‘Whatever it takes’. Una banca centrale non è a scopo di lucro, perché se lo facessimo non rispetteremmo il mandato, che è quello della stabilità dei prezzi. Ci sono state delle perdite nell’ultimo paio d’anni, ce ne potrebbero essere anche altre, e queste perdite sono state causate dalle variazioni dei tassi di interesse. Ma abbiamo avuto significativi profitti negli ultimi anni. I profitti per tutto il sistema euro tra il 2012 e il 2021 sono stati 300 miliardi di euro”. Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, audita dalla commissione Affari economici del Parlamento Ue, ha usato le stesse parole di Mario Draghi per ribadire il principale mandato dell’Eurotower. Lo scopo non è generare profitti dagli acquisti di titoli di Stato o dall’attività interbancaria, ma puntellare la moneta unica nei momenti di crisi. Va detto che, viste alcune incertezze durante l’esercizio del suo ruolo di presidente, una simile presa di posizione era tutt’altro che scontata.L’effetto nocivo dei dazi di Trump e i rimedi”Per quanto riguarda l’impatto di misure commerciali specifiche come i dazi, la situazione è ovviamente ancora in evoluzione e qualsiasi stima è soggetta a notevole incertezza. La Banca centrale europea suggerisce che una tariffa statunitense del 25 per cento sulle importazioni dall’Europa ridurrebbe la crescita dell’area dell’euro di circa 0,3 punti percentuali nel primo anno”. Lo ha affermato la presidente della Bce, Christine Lagarde, in audizione al Parlamento Ue. “Una risposta europea sotto forma di aumento dei dazi sulle importazioni statunitensi aumenterebbe ulteriormente questa percentuale a circa mezzo punto percentuale”. Ha aggiunto Lagarde: “La risposta all’attuale cambiamento nelle politiche commerciali degli Stati Uniti dovrebbe essere una maggiore, e non minore, integrazione commerciale, sia con i partner commerciali in tutto il mondo che all’interno dell’Ue. L’integrazione commerciale, compresi gli accordi di libero scambio, è stata un motore di prosperità economica e può proteggere dalle misure commerciali unilaterali”.Unicredit-Commerz, il rischio di una “too big to fail””Il 13 marzo la Bce ha pubblicato la decisione di non opporsi al piano di Unicredit di convertire i derivati in una posizione che le garantirebbe una partecipazione significativa nel capitale di Commerzbank. È un dato di fatto e non aggiungerò altro”, ha ricordato la presidente della Bce. Ma “sapete tutti che abbiamo attraversato il periodo in cui c’erano aziende troppo grandi per fallire” e quindi “un quadro che supporti la resilienza delle banche è di fondamentale importanza”. Il senso del ragionamento, dunque, è che – nonostante l’ok alla scalata di Piazza Gae Aulenti dell’istituto tedesco – l’Eurotower sia in qualche misura preoccupata dalla gestione di un’eventuale crisi del conglomerato determinata dal prevedibile aumento delle sofferenze in Germania, conseguente ai due anni di recessione. Una preoccupazione condivisibile ma che dovrebbe essere anche estesa anche alle grandi banche europee con interessi in Germania, in primo luogo ai colossi “autoctoni”.La politica monetariaRiguardo alla politica monetaria e all’inflazione, Lagarde ha dichiarato: “Siamo determinati a garantire che l’inflazione si stabilizzi in modo sostenibile al nostro obiettivo di medio termine del 2%.; soprattutto nelle attuali condizioni di crescente incertezza, seguiremo un approccio dipendente dai dati e riunione per riunione per determinare l’appropriata posizione di politica monetaria”. Dunque, non ci sarà nessuna revisione del bias (anzi, sarebbe meglio dire dell’assenza di bias), come auspicati da autorevoli economisti e in primis dal governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, che aveva chiesto di tenere conto delle tendenze macroeconomiche per assicurarsi che gli effetti della politica monetaria si trasmettano immediatamente ai mercati senza, invece, creare effetti indesiderati. Una circostanza che purtroppo si è spesso verificata vanificando i benefici dei tagli. Ecco perché Lagarde ha ribadito che “non ci stiamo impegnando in anticipo su un particolare percorso di tasso”.Il monitoraggio di ReArm EuropeIn merito agli 800 miliardi di investimenti per la difesa previsti dal piano ReArm Europe, la numero uno dell’Eurotower ha precisato che “ovviamente avranno delle conseguenze, sia in termini di crescita della produzione, sia in termini di inflazione e livello dei prezzi. Da dove provengono i prodotti che verranno acquistati? Per reperire i finanziamenti, sarà necessaria una combinazione di approcci nazionali? Tutti questi fattori avranno un impatto e determineranno il livello esatto dei cambiamenti che produrranno crescita, inflazione e costo del finanziamento”. “Credo che presteremo molta attenzione a questo aspetto. Ci siamo lamentati così tanto del fatto che gli investimenti erano in ritardo. Certo, bisogna investire bene, ma gli investimenti sono ben accetti”, aggiunge.“Se la Germania investe, è tutto ok”Il piano tedesco di investimenti da mille miliardi di euro annunciato dal cancelliere in pectore Friedrich Merz “avrà uno sviluppo temporale di 12 anni” e, osservando la reazione dei mercati, “quello che guardo è come sono aumentati i rendimenti”, ha sottolineato Lagarde. Le aspettative sono di una una crescita finanziata da un’ulteriore emissione obbligazionaria nel corso di quei 12 anni. “Quindi, se si guarda al rendimento decennale, c’è stato un aumento significativo”, ha spiegato ma “non è sufficiente guardare ai rendimenti, bisogna guardare agli spread per vedere come i mercati apprezzano anche i rischi all’interno dell’Europa e quelli si sono effettivamente ristretti, non si sono allargati”, ha precisato.Ulteriori sanzioni alla Russia poco “rispettose” del diritto “Qualsiasi cosa” come un sequestro degli asset russi immobilizzati “dovrebbe realmente tenere conto delle conseguenze sulla stabilità finanziaria, nell’ordine monetario, dei principi di diritto internazionale che desideriamo tanto vedere rispettati da un paese come la Russia, anziché violarli. E penso che su entrambi i fronti i governi dovranno riflettere a lungo e attentamente prima di decidere di muoversi in qualsiasi direzione”. Lo ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde nel suo intervento in Commissione Econ al Parlamento europeo.Rispondere alla minaccia trumpiana delle stablecoinInfine, sul tema dell’euro digitale, Lagarde ha puntualizzato che “la Bce sarà pronta e avrà finito a ottobre i compiti a livello tecnico, di stabilità finanziaria e di definizione di un quadro regole unico”. Ha espresso la “sincera speranza” che anche l’Eurocamera possa riuscire a portare a termine il suo iter legislativo entro quella data. L’obiettivo, ha puntualizzato, è “rimuovere la vulnerabilità a cui siamo esposti per quanto riguarda le stablecoin statunitensi, criptovalute ancorate al valore del dollaro, che l’amministrazione Usa targata Donald Trump è intenzionata a promuovere all’infuori degli Stati Uniti”. Il rischio, ha proseguito, è che “in assenza di alternative eurocentriche queste possano prendere piede, a scapito del ruolo dell’euro sulla scena globale e della sovranità monetaria dell’Eurogruppo”.”Dobbiamo essere pronti a tutto e rafforzare la nostra determinazione a essere più forti”, ha affermato aggiungendo che “il resto sono speculazioni”. “Dobbiamo garantire che non si sia vulnerabili in nessun modo; procedere rapidamente sull’euro digitale; garantire infrastrutture di pagamenti che funzionino bene e sviluppare l’unione dei mercati dei capitali a ritmo accelerato”, ha rimarcato. LEGGI TUTTO

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    “Stop Timmermans, ora serve una Unione più sensibile verso cittadini e agricoltori”

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    Un’Europa più forte e coraggiosa, che sappia dare risposte per la difesa del reddito degli agricoltori e per la tutela della salute dei cittadini, anche attraverso una maggiore attenzione nella valutazione dei cibi sintetici, cioè ottenuti con colture cellulari e fermentazione di precisione. È la richiesta scaturita dalla piazza dei 20mila agricoltori radunati ieri a Parma sotto le bandiere gialle di Coldiretti guidati dal presidente Ettore Prandini e dal segretario generale Vincenzo Gesmundo. Dalla piazza è emerso anche che la trasparenza sugli scaffali Ue non potrà essere realizzata appieno senza garantire reciprocità negli accordi internazionali, dove i prodotti alimentari dei Paesi Extra Ue devono assicurare le stesse garanzie di quelli europei in termini di utilizzo di agrofarmaci e rispetto dei diritti dei lavoratori. A Parma c’era anche Luigi Scordamaglia, capo area mercati e politiche comunitarie di Coldiretti e ad di Filiera Italia, oltre che paladino del Made in Italy.Scordamaglia, non capita spesso di vedere Coldiretti in sintonia con la Ue. Una manifestazione così numerosa di agricoltori a favore dell’Efsa, l’autorità Ue per la sicurezza alimentare, appare sorprendente viste le tensioni anche recenti con Bruxelles.«Nessuna sorpresa. Ieri Coldiretti ha dato una grande prova di dialogo sociale con 20mila agricoltori che hanno sfilato nel cuore della food valley italiana a sostegno di un’Europa sempre più a tutela della sua agricoltura, dei suoi territori e soprattutto dei suoi cittadini consumatori. Non in conflitto, ma invece alleati di quelle istituzioni come Efsa che sono il baricentro della struttura europea che garantisce la sicurezza del cibo».Una dimostrazione così partecipata fa pensare a obiettivi condivisi.«Il direttore generale di Efsa ci ha voluto incontrare condividendo le preoccupazioni sollevate da Coldiretti e fornendo risposte alle nostre istanze. Addirittura ha precisato che la richiesta di Coldiretti di fare luce coincide con l’obiettivo Efsa».Quali erano le preoccupazioni cui si riferisce?«Abbiamo avanzato due richieste. La prima era che anche alle istanze pervenute prima dello scorso 1 febbraio vengano applicate le nuove linee guida Efsa adottate il 27 giugno 2024 e contenenti maggiori garanzie (in vigore da febbraio, ndr). L’autorità ci ha assicurato che nelle valutazioni dei prodotti destinati al consumo umano non verrà fatta alcuna differenza tra istanze presentate prima e dopo il febbraio di quest’anno».Avete parlato anche dei rischi potenziali nei prodotti di laboratorio che non sono presenti tra i novel food finora valutati e approvati dall’Efsa?«È la seconda preoccupazione. Abbiamo perciò chiesto e ottenuto che nella valutazione di questi prodotti siano utilizzati i tre livelli di analisi previsti dalle linee guida in vigore e dunque analisi relative alla letteratura scientifica, studi su sperimentazione animale e studi clinici sull’uomo».Erano dunque strumentali gli allarmi di chi vi accusava di voler intimidire l’autorità Ue?«Francamente non abbiamo tempo da dedicare alle accuse di politici senza praticamente elettori, ma con oligarchi come il finanziere George Soros alle spalle, che badano più agli interessi di chi specula in Borsa su latte a carni artificiali che alla salute delle persone».Insomma, l’Europa non è più la matrigna cattiva da voi spesso contrastata per norme sperequate o inutilmente costose?«Questa semplificazione non è mai valsa per Coldiretti che ha sempre ritenuto che l’Europa abbia contribuito in maniera importante alla serenità e alla speranza di milioni di uomini. Allo stesso tempo, proprio perché teniamo al futuro dell’Europa non abbiamo mai fatto mancare le nostre critiche ogni qualvolta ritenute necessarie. Siamo l’organizzazione che più di altre ha attaccato le follie del commissario Timmermans e ne siamo fieri perché la sua ideologia avrebbe portato a trasformare l’Unione in un grande mercato alla mercé delle altre aree produttive del mondo. Noi non siamo in guerra con l’Europa, ma la vogliamo più coraggiosa e più forte».Dobbiamo dunque attenderci altre manifestazioni targate Coldiretti in favore dell’Unione? LEGGI TUTTO

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    Quello che nascondono le parole di Elkann

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    Nel suo intervento alla Commissione Attività Produttive della Camera, il presidente di Stellantis John Elkann ha voluto rassicurare sulla presenza del gruppo in Italia e al tempo stesso puntare il dito contro l’Europa per le difficoltà del settore automotive.Maserati resta in ItaliaUno dei passaggi chiave della sua audizione è stato dedicato al futuro di Maserati, un marchio storico che negli ultimi anni ha affrontato incertezze sul suo destino produttivo. Elkann ha affermato in modo chiaro: “Voglio confermare che Maserati rimarrà italiana, con i modelli che verranno sviluppati e prodotti in Italia, così come il nostro impegno per il marchio”. Un annuncio che arriva in un momento di grande dibattito sul futuro dell’industria automobilistica nazionale e che risponde alle preoccupazioni di lavoratori e sindacati.Le colpe dell’EuropaElkann ha poi spostato l’attenzione sulle difficoltà che Stellantis – e l’intero comparto automobilistico – stanno affrontando, individuando nella politica europea la causa principale della crisi: “Le difficoltà del mercato dell’auto non sono legate a Stellantis, ma al mercato europeo, che dal 2019 è l’unico a non essere tornato ai livelli pre-Covid”. Un’affermazione che suona come un atto d’accusa verso le scelte della Commissione Europea in materia di transizione ecologica e regolamentazione del settore.Il presidente di Stellantis ha evidenziato il ritardo dell’Europa rispetto ad altre aree del mondo, come Stati Uniti e Cina, che hanno saputo riprendersi meglio dalla crisi pandemica: “Negli Stati Uniti e in Cina il mercato è cresciuto rispetto al 2019, in Europa è calato”.Un impegno da mantenereNonostante le difficoltà del settore, Elkann ha ribadito l’importanza dell’Italia all’interno della strategia di Stellantis, ricordando il valore dell’industria automobilistica nazionale e degli stabilimenti produttivi: “Siamo fieri della nostra storia industriale italiana e del contributo che l’Italia continua a dare alla nostra azienda”. LEGGI TUTTO