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    La buona notizia sul Pil

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    Le buone notizie meritano sempre di essere evidenziate con il rilievo dovuto. In Italia succede raramente perché la storia è nota sono gli interessi di parte a dettare la linea della comunicazione. E così quando in questi giorni l’Istat certifica una crescita del prodotto interno lordo migliore del previsto, ecco che il dato viene riferito e commentato per lo più con una certa dose di sopportazione. Quasi fosse una cattiva notizia anziché buona. Cioè, un segnale concreto di crescita sostanzialmente inapprezzato dai troppi che perseguono la strada dell’interpretazione ideologica della realtà. Ma, malgrado loro, la realtà esiste. E allora ecco il dato fornito dall’Istat che ci permette di manifestare un realistico ottimismo: nel primo trimestre del 2025 crescita del Pil dello 0,3 per cento. Un buon avvio di anno, significativo anche nel confronto con le maggiori economie industriali europee, leggi Francia e Germania. Infatti, le indicazioni che provengono da quei Paesi sono sulla falsariga dell’Italia seppur con una piccola differenza in negativo. Se poi aggiungiamo l’altra ottima notizia diffusa nei giorni scorsi a proposito della conferma dei record dell’occupazione, i motivi per esprimere soddisfazione non mancano tenuto conto del quadro complessivo dell’economia globale, perlomeno complicato. LEGGI TUTTO

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    Imprese, la risposta di Cascasco ad Orsini: “FI ha già presentato piano industriale per Paese”

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    Con una nota arriva la risposta di Maurizio Casasco, deputato di Forza Italia e responsabile del dipartimento economia del partito, alle parole pronunciate oggi dal presidente di Confindustria Emauele Orsini sulla necessità di un piano industriale.Le parole di Casasco”È importante sottolineare – spiega Casasco – che Forza Italia, dopo avere ascoltato le categorie produttive e il mondo del lavoro, ha già elaborato e presentato a Milano lo scorso gennaio un articolato “Piano industriale per l’Italia e per l’Europa”. Forza Italia, attraverso il proprio segretario nazionale Antonio Tajani ha poi consegnato il documento completo a tutti i partiti e il Partito Popolare Europeo lo ha fatto suo al Congresso di Valencia, votando la nostra risoluzione sulla competitività. Un documento strutturato, di analisi, che individua le priorità e propone soluzioni immediate e di medio termine per rafforzare le competitività e la produttività del nostro Paese e dell’Europa, stimolando gli investimenti in R&D e la capacità di fare innovazione”. LEGGI TUTTO

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    Dazi, un boomerang sul Pil degli Usa

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    Perché Donald Trump si è fissato con i dazi? E perché il Pil americano del primo trimestre 2025, cioè l’inizio della presidenza Trump, è stato addirittura negativo: -0,3%? Rispondere a queste due domande è l’occasione per chiarire alcune relazioni contabili tra le grandezze economiche aggregate. Può essere utile per comprendere anche le prossime mosse tra Usa ed Europa. E dovete crederci: non sono questioni troppo tecniche o complesse.Partiamo dal Pil, di cui si parla sempre per misurare la salute dell’economia nazionale. Ebbene si può dire che il Pil è il reddito nazionale (Y), cioè la somma di tutti i redditi prodotti nel Paese. Il Pil è uguale alle spese che genera, che sono di tre tipi: i consumi (C, per semplicità uniamo quelli privati delle famiglie e quelli pubblici dello Stato); gli investimenti (I); e la differenza tra export e import (X, cioè tra la parte di produzione nazionale che viene venduta all’estero, meno quella parte di consumi prodotti però oltre confine). In altri termini X è la bilancia commerciale. Contabilmente: Y=C+I+X. Nello stesso tempo, con un’altra equivalenza, il Pil (Y) cioè il nostro reddito, è uguale alla somma di quello che spendiamo (C) con ciò che invece risparmiamo (S). Se del reddito nazionale avanza qualcosa, allora significa che è stato generato risparmio. Quindi, S=Y-C: il risparmio è uguale al reddito meno i consumi. Infine, si può concludere che – sostituendo il risparmio nella formula del reddito nazionale – S=I+X: il risparmio nazionale finanzia gli investimenti, più o meno la bilancia commerciale.Basta aver presente queste semplici formule contabili per capire cosa vuole fare Trump e cosa sta succedendo nel mondo.In Usa le importazioni superano di gran lunga le esportazioni: la bilancia commerciale è negativa, X è negativo. Ma il Pil invece no, cresce (almeno fino al 2024) a ritmi sostenuti. Quindi, se Y è positivo nonostante il deficit commerciale, significa che negli Usa si consuma più di quanto si produce e si risparmia meno di quanto si investe. La differenza viene colmata dalle importazioni, che contabilmente sono un debito verso l’estero. Ecco perché Trump mette i dazi: vuole abbassare le importazioni e alzare in valore di X. Quello che non è chiaro è come possa pensare che questo accada senza una parallela contrazione dei consumi, che quindi annullerebbe l’effetto dazi rispetto al Pil. Ma questa è un’altra storia, che riguarda gli effetti futuri.Si può però dire che un’idea degli effetti futuri si è avuta con il dato del Pil del primo trimestre 2025 uscito a fine aprile e risultato negativo. E’ stato l’esito del boom delle importazioni accumulate in vista dei dazi, annunciati in aprile ma attesi dal mercato già da gennaio. In pratica quell’X della formula del reddito nazionale ha mandato il rosso l’intero Y, anche a parità di consumi e investimenti. Mentre in Europa e in Italia è successo l’esatto opposto: per noi la X della bilancia commerciale è esplosa in positivo, grazie al boom delle esportazioni. E infatti abbiamo registrato un Pil più alto delle previsioni grazie al saldo super positivo della bilancia commerciale. LEGGI TUTTO

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    Inflazione in lieve aumento: ad aprile +2% su base annua

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    L’Istat certifica un’accelerazione dell’inflazione nel mese di aprile 2025. Secondo le stime preliminari, «l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,2% su base mensile e del 2% su aprile 2024», contro il +1,9% del mese precedente. La rilevazione è in linea con le attese degli analisti.A spingere il dato sono soprattutto gli aumenti nei prezzi degli Energetici regolamentati (da +27,2% a +32,9%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +1,6% a +4,4%). Aumenti anche per gli alimentari freschi e trasformati. In controtendenza, gli Energetici non regolamentati tornano in territorio negativo (-2,9%) e rallentano anche i tabacchi (da +4,6% a +3,4%).L’inflazione di fondo acceleraAnche l’inflazione di fondo, che esclude alimentari freschi ed energetici, segna un’accelerazione: da +1,7% a +2,1%. Sale anche quella al netto dei soli beni energetici (da +1,8% a +2,2%). L’Istat sottolinea inoltre l’aumento dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” (da +2,1% a +2,6%), segno che le famiglie continuano a percepire rincari sui beni di uso quotidiano.Consumi in calo: la percezione dell’inflazione pesa sulle scelteL’effetto immediato dell’inflazione sui comportamenti d’acquisto è evidenziato dall’Osservatorio Findomestic. Ad aprile, le intenzioni d’acquisto degli italiani per i prossimi tre mesi sono scese del 4,1%. «L’aumento dell’inflazione certificato dall’Istat nel mese di marzo è stato percepito dai consumatori», spiega Claudio Bardazzi, responsabile dell’Osservatorio. La quota di persone che avverte «prezzi in forte crescita» è salita di due punti percentuali, mentre il 75% continua a percepire un generale aumento del costo della vita.Auto e beni durevoli in frenataA guidare il calo della propensione al consumo è il settore dell’auto nuova, che cede il 16,3% dopo una ripresa registrata a marzo. Ma il rallentamento riguarda anche altri beni durevoli: elettrodomestici (-15,3%), TV (-13,6%), mobili (-12,9%) e impianti di isolamento termico (-9,9%).Lieve ripresa per tecnologia e casaIn controtendenza, crescono le intenzioni di acquisto di motoveicoli (+30%), fotocamere (+29,6%) e monopattini elettrici (+25,5%). Anche il settore della casa mostra segnali positivi con aumenti per infissi (+5,5%), pompe di calore (+4,2%) e caldaie a biomassa (+10,5%), quest’ultime al massimo da un anno. Bene anche la tecnologia: PC (+3,3%) e tablet (+6,7%). LEGGI TUTTO

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    Il Pil è migliore delle attese. Giorgetti: “L’Italia fa meglio di altri in Europa”

    Ascolta ora Nel primo trimestre del 2025 l’economia italiana ha registrato una crescita dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti e dello 0,6% su base annua. Lo comunica l’Istat nella stima preliminare diffusa oggi, precisando che il dato è espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2020, corretti per gli effetti di calendario e […] LEGGI TUTTO

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    Dazi, è scontro fra Trump e Amazon

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    Tra scontri (con Amazon) e dietrofront (sull’auto) continua il cortocircuito sui dazi. Una telenovela commerciale che ieri ha coinvolto per la prima volta una delle quattro Big Four, Amazon, in un botta e risposta senza precedenti con la Casa Bianca.Il gruppo fondato da Jeff Bezos non ha «mai preso in considerazione la possibilità di esporre nel prezzo dei suoi prodotti il costo dei dazi», ha detto ieri un portavoce della società spiegando che la «squadra che gestisce il negozio ultra low cost Amazon Haul ha considerato l’esposizione del costo dei dazi su alcuni prodotti. Ma alla fine questa iniziativa non è mai stata presa in considerazione dal sito principale». Una precisazione ufficiale, quella del colosso di Seattle, arrivata a stretto giro dalle accuse della Casa Bianca che definivano l’ipotesi come un «atto ostile e politico».La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt si era anche domandata: «Perché Amazon non l’ha fatto quando l’amministrazione Biden ha portato l’inflazione al livello più alto degli ultimi 40 anni?». Secondo la Cnn, Donald Trump avrebbe telefonato direttamente a Bezos per lamentarsi. «Certo che era inc…ato – ha riferito un funzionario della Casa Bianca – perché un’azienda multimiliardaria dovrebbe scaricare i costi sui consumatori?». Di lì la marcia indietro della big tech. Nonostante la smentita, però, Amazon ha accusato il colpo e a un’ora dalla chiusura viaggiava in calo di mezzo punto percentuale. Secondo alcuni report, circa il 70% dei beni venduti su Amazon proviene dalla Cina, sottoposta a dazi fino al 145% dagli Usa. Jeff Bezos è un «bravo ragazzo; è stato fantastico, ha risolto il problema molto rapidamente e ha fatto la cosa giusta», ha detto Trump.In parallelo ieri è arrivata l’attesa scelta distensiva nei confronti del settore auto. Il tycoon ha annunciato durante un comizio in Michigan, patria dell’auto, che ridurrà alcuni dazi sui componenti esteri utilizzati per l’assemblaggio di veicoli negli Usa scongiurando il rischio che le case automobilistiche siano colpite da un cumulo di tariffe – in particolare quelle già in vigore su acciaio e alluminio – oltre a quelle specifiche del comparto auto. Il dazio del 25% sui veicoli prodotti all’estero, entrato in vigore a inizio aprile, non sarà invece revocato, ma verranno introdotti meccanismi di rimborso retroattivi. In particolare, le case auto potranno ottenere un rimborso sui dazi fino a un importo pari al 3,75% del valore dell’auto prodotta negli Usa nel primo anno, una soglia che scenderà al 2,75% nel secondo.Intanto, è stata raggiunta una prima intesa bilaterale con un Paese sulle tariffe. L’India «sta andando alla grande», «penso che abbiamo un accordo sui dazi», ha detto Trump. Il segretario al Commercio Howard Lutnick aveva annunciato la conclusione di un trattato, ma «devo aspettare che il loro primo ministro e il loro Parlamento l’approvino». LEGGI TUTTO

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    Auto, la politica pro “made in Usa” nuocerà più all’Europa che alla Cina

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    Per i big cinesi dell’auto i dazi verso gli Usa non rappresentano una minaccia e difficilmente fermeranno la loro ascesa globale: solo il 2% dei veicoli e il 12% dei componenti, infatti, sono direttamente esportati negli States. Dei 400 miliardi di beni spediti negli Usa, solo il 5% riguarda il settore automotive.È quanto risulta dal rapporto che AlixPartners, società di consulenza leader nel mondo, ha presentato in concomitanza con lo svolgimento del Salone dell’Auto di Shanghai. Diverso, invece, il discorso per le case europee. Dario Duse, managing director di AlixPartners, descrive i dazi Usa, se confermati, come una vera minaccia. L’esempio portato: Germania e Italia, insieme, inviano negli Usa circa 45 miliardi di dollari tra veicoli e componenti, circa un quinto del totale esportato. Come tutelarsi? «Per le aziende – la ricetta di Duse – è fondamentale agire rapidamente sulle leve tattiche disponibili per stabilire un costante monitoraggio sull’evoluzione dei dazi e, di conseguenza, attivare azioni di contenimento, quali ottimizzazione doganale, protezione della liquidità o ribilanciamento dei prezzi».Con i dazi confermati ai livelli attuali, ma anche ridotti, a subire le conseguenze sarà sempre l’accessibilità all’acquisto delle auto a causa dell’impennata dei listini. Negli Usa, in proposito, i prezzi sono già saliti da una media di 31mila a una media di 48mila dollari tra il 2019 e il 2024 e, con le tariffe, potranno crescere di altri 10-15mila dollari. Secondo AlixPartners, «quello dei prezzi sarà un tema che nell’anno diventerà ancora più centrale». Nel 2024 le esportazioni cinesi sono cresciute del 23%, raggiungendo quota 6,4 milioni di veicoli, oltre il 50% del Giappone. I marchi di Pechino, entro il 2030, varranno per il 30% del mercato globale (+21% sul 2024).Da parte sua, il mercato interno cinese salirà quest’anno a 26,8 milioni (+4%), in netto contrasto con i cali in Europa e Usa. In più, a causa della forte sovracapacità produttiva (un centinaio i brand locali attivi), costruttori e fornitori continueranno a cercare nuovi sbocchi all’estero. Ungheria, Spagna e Turchia i Paesi preferiti per produrre in Europa dove, per fine decennio, la quota cinese passerà dall’8% attuale al 12%, con una produzione di oltre 1 milione di veicoli. Duse, reduce dal Salone di Shanghai, spiega anche il cambio di strategia delle case occidentali (Audi e Volkswagen, in particolare) costrette, per rimanere competitive sul quel mercato, a «cinesizzarsi», cioè a «sviluppare prodotti in Cina per la Cina». LEGGI TUTTO

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    Dazi, le merci già in calo. E Bessent attacca la Cina

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    Nei porti americani stanno arrivando sempre meno navi cargo. Si tratta dei primi effetti della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Secondo il Financial Times, i gruppi di logistica hanno comunicato un drastico calo delle prenotazioni di container in arrivo negli Stati Uniti dopo l’introduzione dei super dazi al 145% sulle importazioni cinesi. Il porto di Los Angeles, principale via d’ingresso per le merci del Dragone, prevede che gli arrivi programmati nella settimana che inizia il 4 maggio saranno inferiori di un terzo rispetto all’anno precedente. Stesso calo è atteso nel trasporto aereo. Secondo gli ultimi dati disponibili del servizio di tracciamento dei container Vizion, a metà aprile le prenotazioni di container standard dalla Cina agli Stati Uniti erano inferiori del 45% rispetto all’anno precedente.Nonostante questo, i mercati azionari alternano momenti di ottimismo (in Europa, il Ftse Mib ha chiuso positivo a +0,31%) a momenti di negatività (ieri sera, intorno alle 20 italiane, Wall Street perdeva con l’S&P 500 lo 0,90% dopo una prima seduta in positivo). Al di là della retorica delle parti in causa, entrambi i Paesi sembrano orientati a dialogare. «Credo che spetti alla Cina allentare la tensione, perché ci vendono cinque volte di più di quanto vendiamo noi a loro, e quindi queste tariffe del 120%, 145% sono insostenibili», ha detto Scott Bessent (foto), segretario al Tesoro americano alla Cnbc. Intanto, anche ieri la Cina ha ribadito che non sono in corso dei colloqui con gli Stati Uniti e che non ci sono stati contatti telefonici negli ultimi giorni, contrariamente a quanto affermato dal presidente statunitense, Donald Trump. LEGGI TUTTO