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    Un commissario per Taranto

    Siamo al capolavoro dell’ipocrisia istituzionale. Taranto vuole spegnere l’ex Ilva ma senza perdere nemmeno una mensilità. Si invoca la “salute pubblica”, si piange sulle “morti da inquinamento”, si sventola il vessillo del green deal pugliese, e intanto si fa la coda sotto i portoni ministeriali per strappare nuovi bonus, cassa integrazione illimitata, prepensionamenti ad personam e finanziamenti a pioggia. Una sceneggiata tragicomica, degna del miglior teatro napoletano. Ma qui non si ride: si paga. E a pagare, come sempre, è lo Stato. Cioè noi contribuenti, che in 13 anni di rimandi da un tribunale a un consiglio comunale e viceversa abbiamo visto andare in fumo una ricchezza economica stimata in 40-50 miliardi.Da troppo tempo assistiamo al balletto dei ricatti locali, orchestrato da una classe dirigente che gioca su due tavoli con la disinvoltura dei bari vecchio stampo. I sindaci fanno i paladini dell’ambiente, ma poi trattano sottobanco per garantire continuità di reddito a una città che ha fatto del piagnisteo un’industria nell’idea che esista un diritto al salario indipendentemente dalla produzione. Se la classe dirigente locale ritiene che l’acciaieria sia incompatibile con la salute pubblica tesi su cui vi è ampia letteratura ma anche numerose e autorevoli opinioni divergenti allora lo dica con chiarezza e si assuma la responsabilità di costruire un nuovo modello di sviluppo, con i propri mezzi e le proprie competenze.La Regione Puglia tuona contro l’impianto, ma allo stesso tempo firma progetti di riconversione industriale che gridano vendetta al cielo: milioni di euro per parchi eolici che non esistono, corsi di formazione per lavori che non verranno mai svolti, start-up inventate per assumere amici degli amici. La solita commedia italiana del voto di scambio mascherato da giustizia climatica.E il governo? Il governo ci casca. A ogni tavolo convocato al ministero delle Imprese (che non a caso è diventato il confessionale del disastro), c’è un nuovo Piano di Rilancio scritto col carboncino sul tovagliolo. Tre righe in croce, una slide e una promessa: “Faremo un nuovo modello produttivo green, sostenibile e a impatto zero”. Ma nessuno dice con quali soldi. Nessuno dice con quali competenze. Nessuno dice dove finiranno i quasi 20.000 lavoratori tra diretti e indotto che ruotano intorno all’ex Ilva come satelliti di un pianeta in rovina. E soprattutto, nessuno osa toccare il punto: questa fabbrica o la chiudi per davvero, pagando il prezzo politico ed economico di un’intera area deindustrializzata, o la rilanci con investimenti seri, manager credibili e regole certe. Ma la mezza misura tenerla in coma farmacologico con i soldi pubblici è la via più vile.Invece, gli enti locali pretendono l’impossibile: chiudere l’acciaieria e conservare l’economia che ha generato; spegnere le cokerie, ma continuare a incassare il salario; non produrre più acciaio, ma mantenere in servizio l’indotto. È l’economia dell’assistenzialismo puro, il modello reddito di cittadinanza aziendale. Nessuno produce, ma tutti pretendono. E lo Stato paga, senza fiatare. Perché guai a dire che l’Ilva dà lavoro: è più comodo dire che uccide, ma nel frattempo tutti vivono grazie ad essa.E allora basta. Basta prendere in giro i cittadini italiani. Basta scambiare la transizione ecologica con l’estorsione mascherata. Se Taranto non vuole più l’Ilva, lo dica chiaramente. Ma con la stessa chiarezza accetti il prezzo: niente più soldi, niente più agevolazioni, niente più illusioni. Si riconverta, ma a spese sue. Si inventi un futuro nuovo, ma senza la badante statale a portata di bonifico. E i sindacati smettano di minacciare scioperi ad ogni respiro: perché non esiste diritto allo stipendio senza produzione.Se invece si decide che l’acciaio serve perché serve, e chi dice il contrario è un ideologo con la pancia piena allora si lavori per rilanciare davvero l’impianto. Si investa in tecnologia, si selezionino dirigenti veri, si adottino soluzioni industriali serie, magari copiando modelli tedeschi o giapponesi, dove l’ambiente è compatibile con la produzione. Ma per favore, basta con questa ridicola farsa. LEGGI TUTTO

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    Ex Ilva, dopo il bando un commissario

    Riparte la gara sull’ex Ilva di Taranto. E tra le tante novità che entro il 15 settembre porteranno uno o più investitori a presentare nuove offerte per il polo della siderurgia italiana, si fa strada anche un’ipotesi allo studio del Mimit per neutralizzare i signori del no. L’istituzione di una figura speciale, un commissario con poteri unici che in caso di «preminente interesse strategico» possa avere la forza legislativa di accelerare le procedure di approvazione.La procedura è definita fast track e sarebbe una sorta di corsia preferenziale che consente al commissario straordinario di procedere più rapidamente nell’attuazione di interventi, superando alcune fasi burocratiche. In pratica, un jolly in mano al Mimit per neutralizzare l’azione del sindaco di Taranto Piero Bitetti e i suoi continui tentativi di tenere in ostaggio il rilancio dell’ex Ilva. L’ultimo si è consumato ieri in serata quando, recependo le indicazioni dei capigruppo di maggioranza, ha annunciato «la propria contrarietà alla firma dell’accordo di programma proposto dal governo». I capigruppo di maggioranza «ritengono superfluo spiega in una nota – convocare nei prossimi giorni il consiglio comunale in quanto l’accordo così formulato è lacunoso e privo di garanzie per la città». Bitetti chiede di adottare un decreto-legge speciale per Taranto, ma il Mimit dicendosi «stupefatto» ha deciso di tirare dritto. «È da irresponsabili continuare a rinviare ogni decisione, disattendendo gli impegni assunti. Così si lede il principio costituzionale della leale collaborazione tra gli organi dello Stato, mettendo a rischio decine di migliaia di lavoratori», precisano fonti del Mimit che confermano la convocazione del 12 agosto, ribattezzato dal ministro Adolfo Urso «il giorno della responsabilità» in cui il sindaco dovrà dare risposte. E a cui farà seguito anche un vertice con sindacati, indotto e associazioni d’impresa.Intanto si procede con il nuovo bando. Nel dettaglio, le offerte vincolanti dovranno essere presentate entro il 15 settembre 2025 e si prevede che «la decarbonizzazione del sito di Taranto non sia più un’opzione, ma diventi un obbligo vincolante».I soggetti interessati dovranno impegnarsi «allo spegnimento delle aree a caldo alimentate a carbone nel più breve tempo possibile, alla realizzazione fino a un massimo di tre forni elettrici per coprire l’intera capacità produttiva autorizzata (6 milioni tonnelate, ndr) e al pieno rispetto delle prescrizioni della nuova Aia», spiega il Mimit. Il governo assicura, inoltre, il proprio supporto, anche attraverso la società pubblica Dri d’Italia, per la costruzione di impianti di preriduzione destinati ad alimentare i futuri forni elettrici.Sul fronte occupazionale, quello della tutela dei lavoratori rimane un principio inderogabile, pienamente condiviso e rafforzato dal costante confronto con i sindacati.Un’ulteriore novità riguarda lo stabilimento di Genova (Cornigliano): potrà essere prevista la realizzazione di un forno elettrico e di impianti di prima lavorazione funzionali all’attività del sito.Rispetto al precedente bando, la nuova offerta vincolante dovrà anche prevedere l’acquisto dell’intero magazzino e includere una nuova versione del piano industriale con indicati i dipendenti che l’offerente intende mantenere nel perimetro aziendale. LEGGI TUTTO

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    Scattano i dazi di Trump. L’Ue: “Investimenti promessi agli Usa non sono vincolanti”

    Con l’entrata in vigore oggi dei dazi statunitensi del 15% sui prodotti agroalimentari europei – e quindi anche italiani – assistiamo all’ennesima prova della politica commerciale stucchevole e aggressiva portata avanti da Donald Trump. Minacciare nuovi aumenti tariffari in un momento di profonda incertezza economica è un comportamento illogico e fuori luogo: servirebbero diplomazia, senso delle istituzioni e correttezza politica, non propaganda e chiusure unilaterali”, dichiara Andrea Tiso, presidente nazionale Confeuro. “In questo quadro – prosegue – accogliamo con favore l’apertura del ministro Lollobrigida, che nel Tavolo con i rappresentanti delle Indicazioni Geografiche convocato dal Masaf, ha indicato tra i punti cardine dell’azione del governo la ricerca di nuovi mercati per il nostro Made in Italy. È una linea che Confeuro promuove da tempo: diversificare le destinazioni dell’export è oggi una priorità strategica per proteggere le nostre produzioni agricole di qualità dai capricci geopolitici e commerciali dei grandi blocchi economici”.“Aprire nuovi mercati – continua Tiso – significa garantire maggiore stabilità ai nostri produttori, in particolare alle piccole e medie imprese agricole che sono le più esposte all’impatto delle barriere tariffarie. È anche una risposta concreta all’instabilità internazionale e alla necessità di rafforzare la nostra produzione agroalimentare. In attesa di capire l’impatto reale di questi nuovi dazi americani – conclude Tiso – dunque, chiediamo al governo Meloni di attivarsi subito a livello diplomatico, negoziando esenzioni per alcune categorie di prodotti e puntando con forza all’obiettivo tariffa zero per l’agroalimentare italiano. Al tempo stesso, è fondamentale aumentare i sostegni e le compensazioni per le imprese più colpite: non possiamo permetterci di lasciare indietro chi ogni giorno porta la qualità del nostro cibo nel mondo”, chiosa il presidente nazionale di Confeuro. LEGGI TUTTO

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    10 domande e 10 risposte sul Ponte

    Contro il Ponte sullo Stretto in questi anni sono state dette molte cose, alcune vere e molte altre false: abbiamo provato a dare risposte su costi, impatto ambientale, resistenza a vento e terremoti. L’opera sarà lungo 3.666 metri, il più grande al mondo con una campata sospesa di 3.300 metri, con una vita stimata in 200 anni. L’impalcato sarà largo 60,4 metri, con tre corsie stradali per senso di marcia (veloce, normale, di emergenza) e due binari ferroviari capaci di ospitare treni veloci fino a 292 km orari. Le coppie di cavi che sostengono le torri, interamente in acciaio ad altissima resistenza, sono formate da 44.323 fili di acciaio del diametro di 1,26 metri ciascuno. A realizzarlo sarà il consorzio Eurolink, guidato dall’italiana Webuild assieme al colosso giapponese IHI (Ishikawajima-Harima Heavy Industries) specializzato in ponti sospesi in Giappone e in Turchia e il gruppo spagnolo Sacyr, che con Webuild ha lavorato all’ampliamento del Canale di Panama. Tra i progettisti c’è lo studio danese Cowi, che in 90 anni di vita ha firmato il Ponte sui Dardanelli e il Great Belt Bridge in Danimarca. Si stima che in cantiere lavoreranno in media 4.300 addetti l’anno, con picchi di 7mila e un totale di 110mila.È vero che non si può costruire perché lo Stretto è una zona sismica?Le costruzioni di ponti sospesi in zona sismica avvengono da sempre in ogni parte del mondo in aree con capacità di generare terremoti più forti dello Stretto di Messina come Turchia, Giappone o California. La faglia che attraversa lo Stretto di Messina non è in grado di produrre terremoti superiori a 7,1 della scala Richter, eppure il Ponte sullo Stretto è progettato per restare in campo elastico anche con magnitudo superiore.È vero che la costruzione del Ponte sullo Stretto devasterà l’ambiente?Il Ponte è stato studiato per ridurre al minimo l’impatto ambientale: il progetto ha ottenuto il parere favorevole della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale del ministero dell’Ambiente sia sulla Valutazione di impatto ambientale sia sulla Valutazione di incidenza ambientale. Una serie di misure di mitigazione e di compensazione salvaguarderanno il più possibile gli habitat e le specie protette e la trasformazione territoriale indotta dal progetto.È vero che il Ponte creerà seri problemi agli uccelli migratori?Molte associazioni ambientaliste sostengono che il Ponte si trovi su un corridoio cruciale per la migrazione di molte specie, tra cui rapaci e cicogne, che dall’Africa si dirigono verso l’Europa settentrionale. Ma le quote medie di volo di questi uccelli sono significativamente più alte rispetto all’altezza del Ponte e delle torri. Anche per l’illuminazione del Ponte è stato sviluppato un sistema adatto alle esigenze percettive degli uccelli.È vero che i cantieri dell’opera toglieranno l’acqua diretta a Messina e Villa San Giovanni?Per l’approvvigionamento dei cantieri del Ponte sullo Stretto è stato valutato uno specifico piano di sostenibilità idrica. Anche per seguire l’evoluzione temporale del cantiere è stata individuata come soluzione la realizzazione di nuovi campi pozzi. L’acqua che verrà stoccata è stimata di molto superiore ai fabbisogni dei cantieri, il cui surplus verrà immesso in rete già durante l’esecuzione dell’opera, che sarà lasciata a disposizione dei Comuni.È vero che si corre il rischio di chiusura del Ponte a causa del forte vento?Il Ponte sarà operativo 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, senza interruzioni del traffico causate dal vento. Questo è reso possibile grazie alla particolare conformazione aerodinamica dell’impalcato e alle barriere antivento, progettate per garantire la sicurezza degli utenti. Il Ponte è infatti progettato per resistere a venti fino a 216 km/h un valore che non è mai stato registrato in oltre venti anni di monitoraggi eolici.È vero che le grandi navi mercantili e passeggeri non passano sotto il Ponte?Il Ponte ha un’altezza – il cosiddetto franco navigabile – di 72 metri sul livello del mare che non ha effetti su navi da crociera e porta container. Chi accede al Mediterraneo passa per il canale di Suez sotto l’Al Salam Bridge, il cui franco navigabile è di 70 metri. Le moderne portaerei Usa possono avere altezze superiori, la Gerald Ford è alta 76 metri dalla chiglia all’antenna più alta. Ma in navigazione, con un pescaggio di 12 metri, l’altezza effettiva è 64 metri.È vero che l’Unione europea non ha mai finanziato la costruzione del Ponte?L’opera costerà quasi 15 miliardi e genererà effetti sul Pil per 23 miliardi, grazie anche ai 100mila posti di lavoro previsti. L’Europa ha inserito il Ponte nel corridoio europeo Ten-T e l’ha già finanziato: nel 2024, la Società Stretto di Messina e l’Agenzia Ue Cinea (Climate, infrastructure and environment executive agency) hanno firmato il Grant Agreement per il cofinanziamento europeo dei costi di progettazione esecutiva della parte ferroviaria.È vero che il Ponte è già costato all’Italia diversi miliardi di euro?Dal 1981 a oggi sono stati fatti investimenti pari a circa 300 milioni, come risulta dal bilancio societario del 2023, per la ricerca, gli studi di fattibilità sulle 3 soluzioni di attraversamento, lo sviluppo e la verifica delle tre fasi di progettazione (di Massima, Preliminare e Definitiva), l’esperimento di quattro gare internazionali nonché le attività per il riavvio del 2023. Un importo in linea con i parametri internazionali nonostante il Ponte abbia caratteristiche eccezionali.È vero che il Ponte di Messina ha sottratto al Mezzogiorno moltissime risorse?I 13,5 miliardi di investimento sono e restano per il Sud, il Ponte è un’infrastruttura strategica che fa parte di un più ampio piano di sviluppo infrastrutturale che si sta implementando nel Mezzogiorno, con un totale di circa 120 miliardi di euro di investimenti ferroviari decisi per collegare l’Italia da Nord a Sud. Inoltre, secondo uno studio della Regione Sicilia, essere isola «costa» oltre 6 miliardi di euro all’anno pari al 7,4 per cento del Pil. LEGGI TUTTO

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    Affare da oltre 23 miliardi e 37mila posti di lavoro. I pedaggi sotto dieci euro

    Una campata unica lunga 3,3 chilometri, un’altezza di 72 metri per consentire il passaggio delle navi, due piloni che sfiorano 400 metri, un sistema di sospensione con cavi da 1,26 metri di diametro per una lunghezza totale di 5,32 chilometri che rappresentano un primato ingegneristico. Sono alcune delle peculiarità del Ponte sullo Stretto di Messina che sarà firmato principalmente da WeBuild, capolfila del consorzio Eurolink (composto anche dalla giapponese IHI e dalla spagnola Sacyr) e storica azienda di costruzioni italiana. “L’approvazione del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina da parte del Cipess segna l’inizio di una nuova stagione di visione, coraggio e fiducia nelle capacità dell’industria italiana e di tutto il comparto produttivo del settore infrastrutturale”, ha commentato Pietro Salini, ad di Webuild . “Siamo al servizio dell’Italia da 120 anni – ha aggiunto – e la nostra storia è legata a opere che hanno segnato il progresso del Paese: l’alta velocità ferroviaria, l’Autostrada del Sole, le metropolitane di Roma, Milano e Napoli, ospedali, stadi e dighe. Oggi, con 30 progetti strategici e 18.500 lavoratori all’opera, continuiamo a rafforzare la competitività del sistema Italia”. Il progetto ospiterà tre corsie stradali per senso di marcia, due binari ferroviari e due corsie di servizio, garantendo un collegamento stabile, veloce ed efficiente tra il continente e la Sicilia per i suoi oltre 5 milioni di abitanti. Avrà una capacità massima di 200 treni al giorno e 6.000 veicoli l’ora, e sarà aperto 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno.In particolare, il ponte è progettato per resistere a eventi sismici e venti estremi, dotato di sistemi di monitoraggio intelligente per garantire sicurezza e manutenzione predittiva. L’altezza sul livello del mare dell’impalcato del Ponte sarà di 72 metri per una ampiezza di 600 metri. Il franco navigabile arriverà a 70 metri in condizioni di pieno carico delle corsie stradali e due treni passeggeri in contemporanea, parametri in linea o superiori a quelli dei ponti esistenti sulle grandi vie di navigazione internazionali. Non una cattedrale nel deserto. Il Ponte sarà il cuore di un ampio sistema infrastrutturale integrato: oltre 40 chilometri di nuove strade e ferrovie, tre stazioni ferroviarie sotterranee, una decina di viadotti e numerose gallerie, un centro direzionale all’avanguardia. Queste opere complementari avranno un impatto trasformativo sulla mobilità di territori che beneficeranno di imponenti investimenti infrastrutturali.L’opera si unirà alla direttrice ferroviaria Palermo-Catania-Messina in Sicilia e alla futura linea AV/AC Salerno-Reggio Calabria sul versante calabrese. La delibera del Cipess segue la firma dell’atto aggiuntivo al contratto tra la società concessionaria Stretto di Messina e il contraente generale Eurolink, guidato da Webuild, per un valore di 10,6 miliardi.Nel primo anno di cantiere verranno coinvolti 10.000 nuovi occupati, allargando lo sguardo le Ula (Unità lavorative) saranno 120.000. LEGGI TUTTO

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    Sferzata della Corte sullo smart working

    Nel 2025 la spesa per i redditi da lavoro dipendente nelle pubbliche amministrazioni raggiungerà 201 miliardi di euro, in crescita del 2,3% rispetto all’anno precedente. A fornire il dato è la Corte dei Conti nella Relazione annuale sul costo del lavoro pubblico. Una cifra significativa, che rappresenta circa il 9% del Pil nazionale e che è destinata a salire anche nei prossimi anni: +2,4% nel 2026, +0,5% nel 2027 e +1,7% nel 2028.Numeri che riflettono l’impatto dei rinnovi contrattuali già previsti dalla legge di Blancio e la necessità di allineare le retribuzioni all’inflazione. La Corte osserva, infatti, che nel decennio 2015-2024 gli stipendi pubblici sono cresciuti in linea con i prezzi al consumo, salvo il biennio 2022-2023, quando l’impennata dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto di tutte le categorie, pubbliche e private.Nel 2023 la retribuzione media lorda di un dipendente pubblico è stata di 39.890 euro, con un aumento del 3,1% sul 2022. Ma le differenze tra comparti sono ampie: dai 33.124 euro dell’Istruzione ai 52.469 euro dei comparti autonomi (come magistratura e forze dell’ordine), passando per i 41.710 euro delle Funzioni centrali e i 43.883 euro della Sanità.Al di là delle cifre, la Corte evidenzia alcune criticità strutturali. A partire dall’invecchiamento della forza lavoro, effetto di una moratoria sulle assunzioni durata oltre un decennio. Solo di recente, anche grazie agli interventi del Pnrr, si è avviato un processo di rinnovamento. Le nuove assunzioni iniziano a riequilibrare la situazione, ma la Corte avverte: servirà tempo per abbassare l’età media e colmare il divario generazionale.Non mancano osservazioni sul tema del lavoro agile, divenuto consuetudine in molti uffici pubblici dopo l’esperienza pandemica. «È necessario che le amministrazioni valutino con la massima attenzione l’utilizzo dello smart working», si legge nel documento. Lo strumento, utile a conciliare vita e lavoro, va inquadrato in una logica di efficienza e miglioramento dei servizi alla collettività. LEGGI TUTTO

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    Meccanica, moda e auto: ecco quanto possono costare i dazi al 15%

    L’accordo commerciale siglato tra Stati Uniti e Unione Europea ha evitato una guerra dei dazi, ma lascia sul tavolo una minaccia pesante: se Bruxelles non rispetterà l’impegno da 600 miliardi di dollari in investimenti verso beni statunitensi, scatteranno dazi al 35%. A lanciare l’avvertimento è stato oggi il presidente americano Donald Trump, in un’intervista alla CNBC. Intanto, secondo l’analisi di Boston Consulting Group (BCG) contenuta nello studio “The EU-US Trade Agreement: Some Clarity and Ongoing Uncertainty”, l’intesa già raggiunta prevede un’aliquota standard del 15% sulle esportazioni europee, con effetti dirompenti su interi comparti produttivi – e per l’Italia, in particolare, un conto salatissimo.Una nuova fase, i rischi per l’ItaliaL’accordo evita le previsioni più drammatiche – con dazi fino al 50% – ma fissa il livello tariffario più elevato degli ultimi decenni. La media delle aliquote effettive sulle esportazioni europee è passata dall’1,4% al 16%. In Italia l’impatto è ancora più severo: si sale dal 2,2% al 18%, un balzo di oltre nove volte rispetto alla fine del 2024. Un cambiamento di scala che obbliga le imprese a ripensare in fretta strategie, supply chain e mercati di sbocco.I settori colpiti: metalli, meccanica, fashion. Ma è l’automotive a pagare il prezzo più altoI comparti più esposti vedono aumenti nei costi commerciali stimati tra gli 8 e i 9 miliardi di dollari ciascuno. I metalli toccano il 33% di incidenza sulle esportazioni verso gli Usa, il fashion e lusso il 24%, i macchinari meccanici il 20%. Tuttavia, il comparto potenzialmente più penalizzato è quello biofarmaceutico, che – se colpito dalla tariffa piena – potrebbe subire un impatto da oltre 22 miliardi di dollari a livello europeo. Per l’Italia, i numeri parlano chiaro. Il settore moda e lusso registra 1,6 miliardi di dollari in dazi aggiuntivi, seguito dalla meccanica con 1,5 miliardi e dai metalli con 1,2 miliardi. Ma è l’automotive a trovarsi nel punto più critico: le carrozzerie italiane, che fanno largo uso di acciaio e alluminio, rischiano dazi fino al 38%, complici le restrizioni della Section 232 americana.Made in Italy: vulnerabilità e resilienzaNonostante la portata dello shock, alcune caratteristiche del tessuto produttivo italiano potrebbero attutire l’impatto. “La struttura industriale italiana, fatta in larga parte di aziende familiari e di media dimensione, ci dà una certa agilità”, spiega Davide Di Domenico, Managing Director e Senior Partner di BCG. “Le imprese più colpite saranno quelle che operano in settori commoditizzati, dove non è possibile trasferire l’aumento dei costi al cliente. Al contrario, i marchi del Made in Italy che operano in nicchie premium, soprattutto nel lusso, possono avere maggiori margini di manovra. Ma anche in questi segmenti, l’effetto sui volumi di domanda potrebbe essere significativo”. LEGGI TUTTO

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    Dazi, Bruxelles: “Accordo Usa-Ue pronto al 95%”. Aliquota al 15% per tutti, tranne acciaio e alluminio

    “Il tetto massimo del 15% onnicomprensivo si applica ai dazi settoriali, ad eccezione di acciaio e alluminio. Gli Stati Uniti hanno riconosciuto che il tetto massimo si applica anche a settori come quello farmaceutico e dei semiconduttori e ad altri settori che in futuro potrebbero essere soggetti alle tariffe al termine della procedura ai sensi […] LEGGI TUTTO