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    Lagarde pronta a lasciare la Bce? Ecco dove potrebbe andare

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    Christine Lagarde avrebbe preso in considerazione l’idea di lasciare anticipatamente la guida della Banca centrale europea per assumere la presidenza del World Economic Forum (Wef). A rivelarlo è Klaus Schwab, fondatore e ormai ex presidente del Wef, in un’intervista al Financial Times.Secondo quanto riportato, i colloqui tra Lagarde e Schwab andrebbero avanti da anni, con l’obiettivo di preparare una transizione alla guida dell’istituzione con sede a Ginevra, celebre per il suo appuntamento annuale a Davos che riunisce l’élite globale della politica e della finanza. L’ultimo incontro tra i due sarebbe avvenuto ad aprile a Francoforte, dove Lagarde avrebbe confermato l’interesse a subentrare “non oltre l’inizio del 2027”.Il mandato di Lagarde alla Bce scade formalmente a ottobre dello stesso anno e, secondo fonti a conoscenza dei fatti, la dirigente francese avrebbe dato la propria disponibilità a condizione di completare prima l’opera di contenimento dell’inflazione nell’Eurozona, riportandola in linea con il target del 2%. Obiettivo che – secondo le ultime proiezioni – sembra ormai vicino.Tuttavia, permangono dubbi sulla possibilità concreta di un’uscita anticipata, nonostante, sempre secondo Schwab, fossero già stati predisposti dettagli pratici come un appartamento a Villa Mundi, di proprietà del Wef, affacciata sul Lago di Ginevra, per consentire a Lagarde di iniziare a lavorare sul nuovo incarico.Una successione complicataL’eventuale partenza anticipata della presidente Bce aprirebbe uno scenario inedito per la governance monetaria europea, alimentando un’inevitabile corsa alla successione. La nomina del presidente dell’istituto di Francoforte è storicamente frutto di complessi equilibri politici tra i paesi membri dell’Unione. Lagarde sarebbe la seconda presidente della Bce a lasciare l’incarico prima della scadenza naturale, dopo Wim Duisenberg. La portavoce dell’istituto ha intanto ribadito che Lagarde “è pienamente impegnata a portare a termine il suo mandato”.Dopo Schwab, l’incertezzaIl Wef, intanto, si trova in una fase di transizione delicata. Schwab, che ha fondato l’organizzazione nel 1971, è stato costretto a dimettersi anticipatamente dopo nuove accuse di comportamenti impropri, che si sono aggiunte a quelle – archiviate – emerse nei mesi precedenti. Al suo posto è stato nominato in via provvisoria l’ex Ceo di Nestlé, Peter Brabeck-Letmathe.“Ho paura che, se l’incertezza continua a gravare sull’organizzazione, Christine Lagarde possa decidere di non accettare la carica”, ha dichiarato Schwab, esprimendo il timore che il suo piano di successione possa naufragare. Al momento, però, il Wef ha chiarito che non esiste alcun accordo formale con Lagarde.Dal canto suo, la presidente della Bce non ha rilasciato commenti ufficiali. Ma le indiscrezioni sollevano interrogativi su come la leader europea intenda concludere il suo incarico e, soprattutto, sul futuro dell’istituzione che guida.Davos chiama, ma l’Europa guardaUn’eventuale transizione alla guida del Wef rappresenterebbe per Lagarde una nuova fase della sua carriera ai vertici delle istituzioni globali, dopo essere stata ministra dell’Economia in Francia, direttrice del Fmi e ora presidente della Bce. E anche dal punto di vista economico, l’incentivo non manca: la nuova posizione potrebbe valere circa il doppio del suo attuale stipendio annuale da 466mila euro. LEGGI TUTTO

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    La doppia sfida delle imprese

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    C’è chi ironicamente ha definito il fagiolo europeo di Giorgia Meloni e il tappo al collo delle bottiglie di plastica di Roberta Metsola, i momenti «più alti» dell’annuale assemblea di Confindustria svoltasi ieri a Bologna. Ironia sciocca, perché in quelle due battute, che insieme a una miriade di altre geniali idee partorite dagli euroburocrati di Bruxelles sono il portato legislativo di una stagione che vorremmo poter dimenticare, c’è il paradosso contro il quale il presidente della Confindustria, Emanuele Orsini, si è scagliato con parole nette, sostenuto da una premier che non ha mancato di ricordare quanti auto-dazi dovremmo rimuovere prima di pensare alle nuove tariffe targate Usa. Ma ciò che in particolare ha colpito è la veemenza con la quale la presidente del Parlamento europeo, in perfetto italiano, ha stigmatizzato le politiche perseguite dalla precedente Commissione, dichiarandosi pronta ad affiancare l’Italia nell’opera di riequilibrio legislativo nell’Unione. Del resto, l’aver anteposto l’ideologia al realismo e alla neutralità tecnologica, con tempi e obiettivi ambientali assurdi, sta presentando un conto salatissimo a famiglie e imprese. Per non dire del maggior costo che in particolare l’Italia subisce sul fronte dell’energia, la più cara in assoluto in Europa che non solo pesa sulle bollette domestiche, ma mette a rischio una voce fondamentale del nostro Pil: per vincere nella gara dell’export non basta sfornare le eccellenze che molti ci invidiano, se poi il prezzo per acquistarle non è concorrenziale per i costi di produzione più elevati. E qui le cause non sono solo le becere norme europee, ma anche scelte assai poco meditate da parte di un mondo politico italiano privo di visione, se non peggio, anche quando le soluzioni sarebbero alla portata. LEGGI TUTTO

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    La Perla salva, spunta un investitore

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    Dopo anni di lotte delle operaie e le complicate vicende che sono seguite al fallimento, uno dei simboli della moda Made In Italy è salvo: La Perla, marchio bolognese della lingerie di lusso, ha un acquirente che nelle prossime settimane presenterà il nuovo piano industriale per rilanciare un’azienda diventata simbolo della crisi del lavoro, ma anche dell’orgogliosa difesa di una manifattura super specializzata che dell’azienda è uno degli asset insostituibili.L’annuncio è arrivato dal ministro per le Imprese Adolfo Urso, che ha partecipato a un tavolo che si è tenuto nello stabilimento di via Mattei, alla periferia di Bologna. «Grazie all’impegno straordinario dei commissari – ha detto Urso – dei curatori italiani, dei liquidatori inglesi e dello staff del Mimit, abbiamo individuato una soluzione industriale per una delle crisi più emblematiche del settore moda, tra le più complesse mai affrontate dal ministero, per la prima volta alle prese con più procedure in diversi Paesi, con una complessità legale che appariva inestricabile. Un grande successo frutto di un lavoro di squadra». LEGGI TUTTO

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    Orsini: “Subito un Piano Straordinario: imprese italiane a rischio tenuta”

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    nostro inviato a BolognaUn Piano Industriale Straordinario per salvare la manifattura italiana e rimettere in moto la crescita del Paese. È la proposta lanciata dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, dall’assemblea annuale (che ieri si è tenuta per la prima volta non a Roma ma a Bologna per «valorizzare i territori») rivolgendosi direttamente al premier Meloni e alla presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola. «Servono almeno 8 miliardi l’anno per tre anni da destinare agli investimenti produttivi, utilizzando le risorse del Pnrr che non potranno essere spese entro il 2026», ha detto Orsini sottolineando che solo in questo modo si può evitare il rischio di deindustrializzazione in Italia. L’obiettivo è ambizioso: «raggiungere almeno il 2% di crescita del Pil nel prossimo triennio».«O si potenzia l’Ires premiale o si ripristina un’Ace (l’aiuto alla crescita economica abolito da quest’anno; ndr) per l’industria, strumenti più che mai essenziali per patrimonializzare e incrementare gli investimenti del sistema produttivo italiano», ha rimarcato il numero uno degli industriali. La produzione cala da due anni, e la crisi sta bloccando gli investimenti in impianti e macchinari. L’occupazione tiene solo grazie allo sforzo delle imprese. «Tra le grandi imprese industriali associate a Confindustria, due su tre (67,9%) stanno trattenendo i propri dipendenti nonostante il calo dell’attività. Di queste, oltre un terzo (34,8%) lo fa per mantenere le competenze già presenti in azienda, consapevole delle difficoltà nel reperire nuovo personale qualificato. Ma per quanto potremo ancora farlo?», si è chiesto retoricamente.Un’ampia parte del discorso è stata dedicata alla critica delle disfunzionalità delle regolamentazioni europee. «Non possiamo indebitare i costruttori europei costringendoli ad acquistare le quote di CO2 da Byd e Tesla per rispettare i vincoli europei che ci siamo autoimposti. È una vera pazzia», ha ribadito Orsini. «Non vogliamo buttare via gli investimenti miliardari fatti per trasformare il diesel in un motore pulito e performante. Come non vogliamo costringere gli automobilisti ad usare auto elettriche di altri continenti», ha affermato.Anche «il Patto di Stabilità deve consentire un grande piano di sostegno agli investimenti dell’industria, in ogni Paese europeo. Altrimenti, non è un patto per la crescita. È un patto per il declino dell’Europa», ha detto Orsini. Per questo, serve un nuovo orizzonte comune. «Bisogna lavorare seriamente alla creazione del mercato unico degli investimenti e dei risparmi, a maggior ragione visto che oggi importanti flussi finanziari potrebbero abbandonare gli Stati Uniti.Perché serve un nuovo patto per l’Europa? Se con la nuova temperie trumpiana, «anche solo 300 medie imprese decidesserodi spostare la produzione all’estero, le ricadute negative riguarderebbero almeno 100mila occupati», ha spiegato Orsini. Di qui l’appelloi a Metsola. «Mentre negoziamo con l’amministrazione americana, dobbiamo accelerare sugli accordi di libero scambio con altre aree del mondo per diversificare gli sbocchi del nostro export», ha rilevato. LEGGI TUTTO

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    Washington avverte Pirelli: “A rischio le vendite in Usa”

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    Pirelli Cyber Tyre, ovvero la tecnologia basata su pneumatici sensorizzati che, per la prima volta, è in grado di far dialogare le gomme con l’intelligenza dei veicolo, finisce al centro dell’ennesimo battibecco tra Stati Uniti e Cina. Il governo americano, infatti, avrebbe avvertito Pirelli sulla possibilità che i veicoli contenenti gli pneumatici con sistema hardware e software Cyber Tyre potrebbero essere soggetti a restrizioni nella vendita sul suo mercato. Il motivo: le preoccupazioni di Washington legate all’influenza del socio cinese, Sinochem, azionista al 37% del gruppo della Bicocca, davanti a Camfin (recentemente salita al 27% circa).Tutto questo solleva, infatti, interrogativi da parte dell’Authority americana a proposito della potenziale influenza cinese sulla tecnologia e sui dati raccolti dal sistema Cyber Tyre.L’avviso informale, descritto in una lettera datata 25 aprile dal Bureau of Industry and Security (Bis) del Dipartimento del commercio e riportato dall’agenzia Bloomberg, sostiene che i costruttori di vetture, che integrano la tecnologia Pirelli Cyber Tyre nei loro prodotti connessi, potrebbero dover richiedere un via libera specifico per poter vendere tali mezzi nel Paese.L’avviso del «Bis», per il gruppo capeggiato da Marco Tronchetti Provera, conferma la preoccupazione per i piani di sviluppo negli Stati Uniti. Dalla Bicocca, per ora, nessun commento. Da tempo il management di Pirelli aveva avvisato i soci dei possibili rischi derivanti dalle normative americane e avviato trattative con gli stessi soci per trovare una soluzione anche a livello di governance. Trattative che, in occasione della trimestrale, Pirelli aveva fatto sapere che si erano concluse senza esito positivo.Era stato Andrea Casaluci, amministratore delegato di Pirelli, a illustrare lo scorso anno al «Festival of Speed» di Goodwood, la nuova iniziativa della Bicocca, una vera rivoluzione hi-tech per il mondo degli pneumatici. «Tale sistema – le parole del top manager – aggiunge alle funzioni degli pneumatici, che rappresentano l’unico punto di contatto tra il veicolo e l’asfalto, quella di dialogare con i sistemi di controllo di stabilità del mezzo, tra i quali l’Abs, l’Esp e il controllo della trazione».La tecnologia Cyber Tyre, già proposta sperimentalmente su McLaren Artura e Audi Rs3 Anniversary, riguarda anche gli pneumatici P Zero Corsa, P Zero Trofeo Rs e P Zero Winter sviluppati appositamente per l’hypercar Pagani Utopia, prima auto al mondo ad avere di serie questa soluzione.Un caso al contrario, rispetto a quello che interessa Pirelli, ha riguardato l’americana Tesla di Elon Musk. Alle auto elettriche a stelle e strisce, che vengono prodotte anche nello stabilimento di Shanghai, il governo di Pechino aveva proibito il passaggio attraverso alcune zone definite sensibili. In questo caso le autorità cinesi non avevano digerito la presenza di troppi sensori e telecamere a bordo delle vetture. LEGGI TUTTO

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    Immatricolazioni auto, ad aprile Tesla dimezza le vendite rispetto un anno fa

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    In Europa immatricolazioni di auto in aprile pressoché stabili rispetto al medesimo mese del 2024 (-0,3%) e lo stesso vale se si prende in considerazione il primo quadrimestre dell’anno: -0,4%, in volumi 4.459.077 veicoli complessivi. Il mese scorso, solo due dei cinque major market (incluso il Regno Unito) registrano un rialzo: +7,1% la Spagna e +2,7% l’Italia. La Germania resta stabile (-0,2%), mentre calano la Francia (-5,6%) e il Regno Unito, in contrazione a doppia cifra (-10,4%).Confermato dai dati resi noti da Acea, l’Associazione dei costruttori europei di auto, il tracollo dell’americana Tesla (-49%) con 7.261 vetture immatricolate (erano state ben 14.228 nell’aprile 2024) e male, per la società di Elon Musk, anche i primi quattro mesi dell’anno: -38,8%, ovvero 61.320 auto acquistate (dalle precedenti 100.255). Leader nelle vendite di auto elettriche fino al 2024, Tesla e stata superata in questa categoria in Europa nel mese di aprile da ben dieci marchi, tra cui Volkswagen, Bmw, Renault e, soprattutto, dall’agguerrito concorrente cinese Byd. A danneggiare Tesla sono, in particolare, le posizioni assunte dal suo numero uno Musk e le sue azioni all’interno del «Doge», la Commissione dell’amministrazione Trump incaricata di operare drastici tagli alla spesa federale.Nel primo trimestre del 2025, le vendite di Tesla sono così diminuite del 13% su base annua a livello mondiale, con un calo particolarmente marcato nell’Ue. Da segnalare la crescita continua in Europa di Saic, gruppo cinese presente con il marchio britannico Mg: +24,5% ad aprile (21.677 auto vendute) e +31,2% da gennaio, ovvero 100.011 unità. La quota mercato complessiva di Saic in Europa è del 2,2%. LEGGI TUTTO

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    Meloni: “Il governo è con le imprese. La Ue cancelli i dazi interni”

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    Orgoglio nazionale, ambizione europea e una promessa di concretezza. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, interviene all’assemblea annuale di Confindustria con un discorso denso di annunci, rivendicazioni e aperture al mondo produttivo. Di fronte alla platea degli industriali riuniti al Teatro EuropAuditorium, la premier rilancia il progetto “Make in Italy”, spinge sul rilancio del mercato unico europeo e raccoglie la proposta del presidente degli industriali Emanuele Orsini per un piano straordinario a favore dell’industria italiana.Tra i risultati rivendicati, la premier ha citato il miglioramento del giudizio da parte dell’agenzia Moody’s – «una cosa che non accadeva da circa 25 anni» – e una ritrovata attrattività per gli investitori esteri. Tra gli esempi elencati: «Microsoft ha annunciato un investimento da 4,3 miliardi di euro», «Google ha scelto la Sicilia per realizzare una rete di cavi sottomarini», mentre «gli Emirati Arabi Uniti […] hanno annunciato di voler investire in Italia 40 miliardi di euro». “Il messaggio che vogliamo lanciare all’Europa e al mondo intero è ‘Make in Italy’”, ha detto Meloni, spiegando che “non si tratta di uno slogan, ma di una strategia che abbiamo già concretizzato con il programma per gli investimenti esteri in Italia, attraverso norme che semplificano le procedure e l’introduzione di un commissario unico, un solo interlocutore per garantire tempi rapidi e risposte certe”.Uno dei passaggi più rilevanti del suo intervento ha riguardato il mercato interno dell’Unione europea, che secondo la premier presenta ancora troppe distorsioni e ostacoli. “Consideriamo fondamentale, a maggior ragione in un quadro di instabilità dei mercati internazionali, che l’Europa abbia il coraggio di rimuovere quei dazi interni che si è autoimposta”, ha affermato, citando uno studio del Fondo monetario internazionale secondo cui “il costo medio per vendere beni tra gli Stati dell’Ue equivale a una tariffa del 45%, rispetto al 15% stimato per il commercio interno negli Stati Uniti”. Nei servizi, ha aggiunto, “la tariffa media stimata arriva al 110%. Non può essere sostenibile”. Per questo, ha sottolineato, “il rilancio del mercato unico europeo è una priorità, anche per mettere l’Europa al riparo da scelte protezionistiche di altri Paesi”.Particolarmente sentito anche il passaggio sul costo dell’energia, tema caldo per il mondo imprenditoriale. Meloni ha annunciato che il governo sta “lavorando a un’analisi del funzionamento del mercato italiano per comprendere se eventuali anomalie nella formazione del prezzo unico nazionale possano essere la causa di aumenti ingiustificati, perché sarebbe inaccettabile se ci fossero speculazioni sulla pelle di chi produce e crea occupazione”. Uno dei temi centrali affrontati è stato quello dell’energia, definito dalla premier «la questione più urgente da affrontare». A questo proposito ha annunciato l’intenzione di «riprendere il cammino del nucleare, puntando alle tecnologie più innovative per realizzare i mini reattori sicuri e puliti», ribadendo che si tratta di «una scelta coraggiosa per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione rafforzando però la competitività».Sulla transizione ecologica, Meloni ha criticato le scelte dell’Ue: «Solo chi non aveva mai messo piede in un capannone poteva pensare di cambiare tecnologia per norma», ha affermato, accusando Bruxelles di aver «scelto la strada forzata della transizione verso una sola tecnologia, l’elettrico, le cui filiere sono oggi in larga parte controllate dalla Cina».Il discorso si è poi spostato sulle politiche industriali nazionali. Dopo aver ascoltato la proposta di Orsini per un piano straordinario a sostegno dell’industria, Meloni ha dichiarato: “Sono d’accordo. Il governo sta già lavorando insieme al settore produttivo e alle parti sociali per una politica industriale di medio e lungo periodo”. E ha aggiunto: “Ci siamo, anche a partire dalle semplificazioni. Penso si debba procedere in modo più spedito e mi prendo l’impegno personalmente ad occuparmene. Ci sono cose che si possono fare più velocemente”.Non solo promesse, ma anche riferimenti operativi. La presidente del Consiglio ha ricordato che “nell’ultimo incontro a Palazzo Chigi ho proposto un patto con il sistema produttivo” e che il governo ha già “individuato circa 15 miliardi nel Pnrr che vorrei fossero rimodulati per sostenere l’occupazione e aumentare la produttività”. Non è mancato un accenno alla necessità di rilanciare gli investimenti: “Siamo pronti a ulteriori correttivi su Transizione 5.0”. LEGGI TUTTO

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    Orsini: “Serve un piano industriale per salvare Ue e Italia”

    Un appello netto, diretto, che parte da Bologna e si rivolge a due ospiti d’eccezione dell’assemblea di Confindustria: la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola e la premier Giorgia Meloni. Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, lancia un messaggio che attraversa i confini nazionali: “Serve un Piano Industriale Straordinario per rilanciare l’economia europea e nazionale”.Secondo Orsini, “alle politiche europee serve un radicale mutamento di impostazione” e “bisogna intervenire subito per cambiare questa rotta”, perché l’obiettivo è “aumentare la competitività, la produttività e l’innovazione con gli investimenti e la semplificazione”.Nel cuore del suo intervento, l’industria italiana viene difesa come fondamento democratico e sociale: “è un pilastro della democrazia del nostro Paese”. Ma oggi il rischio è concreto: “deindustrializzazione” e perdita di centralità internazionale.Green Deal e politica industriale europea: “Una vera pazzia”Orsini non risparmia critiche all’impostazione europea sul clima e la transizione energetica: “E ve lo dico con chiarezza: non possiamo indebitare i costruttori europei costringendoli ad acquistare le quote di CO2 da Byd e Tesla. Tutto questo per rispettare i vincoli europei che ci siamo autoimposti. È una vera pazzia”.A suo avviso, si stanno cancellando anni di investimenti: “Non vogliamo buttare via gli investimenti miliardari fatti per trasformare il diesel in un motore pulito e performante. Come non vogliamo costringere gli automobilisti ad usare auto elettriche di altri continenti”.Rilanciando anche l’allarme dell’ex premier britannico Tony Blair, Orsini avverte: “C’è il rischio di desertificazione industriale per aver fissato tempi e obiettivi non realizzabili”.E chiede con forza: “È questa l’Europa che vogliamo? Un’Europa senza industria e che attira meno investimenti? Un’Europa che dipende sempre di più dal resto del mondo? La nostra risposta è no, no e poi ancora no”.Investimenti, Ires premiale e crisi industrialeSul fronte interno, Orsini parla di misure fiscali troppo limitate: “Palazzo Chigi ha accolto con favore la nostra proposta di Ires Premiale per rilanciare gli investimenti delle imprese. Ma poi, per mancanza di fondi, se ne è ristretta la platea dei beneficiari. Ora più che mai serve sostenerla con forza, togliendone le limitazioni, oppure proseguire su linee di azione che sostengano la patrimonializzazione delle imprese e ne riducano il carico fiscale”.“Dopo due anni di flessione della produzione, l’industria italiana è in forte sofferenza. È ancora frenata da troppi ostacoli, che riducono la competitività delle imprese rispetto a quelle di Paesi con regole, sistemi fiscali e infrastrutture più favorevoli”.E ancora: “La crisi dell’industria ha avuto come effetto immediato un significativo e preoccupante calo degli investimenti, in particolare su impianti, macchinari e mezzi di trasporto. L’occupazione, invece, per ora tiene. Ma per quanto potremo ancora farlo?”.Orsini avverte che “anche solo 300 medie imprese” che decidessero di delocalizzare “porterebbero conseguenze su almeno 100 mila occupati. Tutto questo, l’Italia non se lo può permettere”.​Energia, nucleare e rinnovabili: “Basta ipocrisie regionali”Altro snodo critico: l’energia. “Bisogna abbattere il sovraccosto energetico che pesa come un macigno sulla competitività delle imprese italiane” e “entrare subito nella logica del disaccoppiamento” dei prezzi tra rinnovabili e gas.Poi la denuncia: “Dobbiamo affrontare con realismo il paradosso per cui, da un lato, gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni ci impongono di accelerare sulle rinnovabili, ma dall’altro, veti e ostacoli burocratici bloccano in Italia progetti per 150 GWh di nuovi impianti”.Senza mezzi termini, il presidente si rivolge alla politica: “Si smetta di dire a Roma che siete per le rinnovabili, per poi porre nelle Regioni ostacoli di ogni tipo proprio alle rinnovabili”.E lancia un appello bipartisan per il nucleare: “Bisogna accelerare il ritorno al nucleare con i piccoli reattori modulari, molto meno invasivi e più sicuri delle centrali di vecchia generazione. Anche su questo non ci possono essere divisioni politiche, parliamo di indipendenza e sicurezza nazionale”.Accordi commerciali e Mercato Unico: “I numeri parlano da soli”Orsini torna a parlare di internazionalizzazione, richiamando dati concreti: “Se l’Unione Europea riuscisse a diminuire le barriere interne al Mercato Unico al livello di quelle degli Stati Uniti, la sua produzione aumenterebbe del 6,7%, ovvero oltre 1.000 miliardi di euro”.Poi l’appello a Metsola: “Mentre negoziamo con l’Amministrazione americana, dobbiamo accelerare sugli accordi di libero scambio con altre aree del mondo. Sono un antidoto al protezionismo e il principale strumento per diversificare gli sbocchi del nostro export”.E snocciola i numeri: “Corea del Sud +170%, a fronte del 127%; Canada +61%, rispetto al 51%; Giappone +24,5% a fronte del 10,7%. Questi numeri parlano da soli. Dopo aver aggiornato gli accordi con Cile e Messico, l’Unione europea deve assolutamente concludere quello con il Mercosur”.Contratti, welfare e salari: “Alziamo le retribuzioni”Altro tema centrale: lavoro e salari. “Affrontiamo insieme la battaglia contro i contratti pirata” e “quella per una maggiore rappresentatività di imprese e sindacati che firmano i contratti di lavoro”.Poi un messaggio chiaro ai sindacati: “Sapete benissimo che in Italia le retribuzioni più elevate e i meccanismi per il recupero dell’inflazione sono nei contratti di Confindustria. Ma questo non significa che non ci poniamo il problema”.“La crisi dei salari in Italia – ha detto Orsini – spinge verso il basso consumi e crescita, e abbatte la dignità della vita e del lavoro. Bisogna alzare ancor più le retribuzioni anche nell’industria attraverso i contratti di produttività aziendali”.Il ruolo dell’industria e la responsabilità socialeOrsini ha anche voluto sottolineare il ruolo sociale dell’impresa: “Come Sistema Confindustria, contribuiamo per oltre il 44% del valore aggiunto generato dalle imprese private in Italia. Il manifatturiero rappresenta quasi il 20% del valore aggiunto e ben il 30% del monte contributivo che tiene in piedi l’Inps”.E ancora: “Il 60% delle nostre imprese offre ai propri dipendenti previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa, quota che supera l’80% per le imprese più grandi. Una su quattro eroga contributi per istruzione, attività ricreative e borse di studio per i familiari dei collaboratori. E una su dieci offre assistenza per familiari non autosufficienti”.Conclusione: “Abbiamo una responsabilità” LEGGI TUTTO