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    Le Nazioni Unite hanno adottato il primo trattato per proteggere la vita marina in alto mare

    Lunedì i 193 paesi membri delle Nazioni Unite hanno adottato il trattato per proteggere la vita marina in alto mare. Il trattato mira a proteggere la biodiversità nelle acque al di fuori dei confini nazionali (l’”alto mare”), che coprono quasi la metà della superficie terrestre ma sono finora state in larga parte escluse da tutti i trattati esistenti sulla preservazione della biodiversità. Nelle Nazioni Unite si discuteva di questo trattato da vent’anni, ma si è trovato un accordo sul testo soltanto nel marzo di quest’anno.Il nuovo accordo è considerato particolarmente importante perché negli ultimi decenni gli animali e le piante marine sono diventati sempre più vulnerabili non solo a causa degli effetti del cambiamento climatico, ma anche per via della pesca eccessiva, del traffico navale e dell’inquinamento.Per entrare in vigore il testo dovrà essere ratificato da 60 paesi: lo si potrà fare a parrtire dal 20 settembre, quando i leader mondiali si troveranno per l’incontro annuale all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il nuovo accordo contiene 75 articoli: tra le altre cose, verrà creato un nuovo organismo per gestire la conservazione della vita oceanica e istituire aree marine protette in alto mare, con l’obiettivo di trasformare il 30 per cento delle acque internazionali in mare aperto in aree protette entro il 2030. Verranno inoltre stabilite delle regole su come svolgere le valutazioni di impatto ambientale sulle attività commerciali negli oceani.– Leggi anche: Nel 2022 le temperature medie degli oceani sono aumentate ancora (Pixabay) LEGGI TUTTO

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    C’è un nuovo trattato internazionale per la protezione degli oceani

    Dopo oltre dieci anni di negoziazioni, sabato sera gli stati membri dell’ONU hanno trovato un accordo internazionale per la protezione degli oceani. Il nuovo accordo è considerato particolarmente importante perché negli ultimi decenni gli animali e le piante marine sono diventati sempre più vulnerabili non solo a causa degli effetti del cambiamento climatico, ma anche per via della pesca eccessiva, del traffico navale e dell’inquinamento.Il suo obiettivo è che il 30 per cento delle acque internazionali in mare aperto – quelle cioè in cui tutti i paesi hanno diritto a pescare, navigare e fare ricerche – diventino aree protette entro il 2030.L’accordo (qui c’è una bozza) punta a tutelare e favorire il risanamento delle specie marine a rischio attraverso una serie di politiche e iniziative. In particolare, prevede che nelle aree protette stabilite dal nuovo accordo vengano fissati limiti alla pesca, alle zone in cui possono transitare le navi e alle attività di esplorazione che vi si possono svolgere, come l’estrazione dei minerali dai fondali oceanici. Prevede anche l’istituzione di una conferenza (COP) che si riunirà periodicamente per discutere delle questioni pertinenti.Le negoziazioni per il nuovo trattato erano cominciate il 20 febbraio e sono durate due settimane, dopo che le ultime si erano concluse lo scorso agosto senza alcun risultato. L’accordo è stato raggiunto soprattutto grazie alla mediazione di Unione europea, Stati Uniti, Regno Unito e Cina, che si sono impegnate per trovare compromessi con i paesi che nel tempo avevano sollevato dubbi sia per quanto riguardava i diritti di pesca che su come ottenere i fondi necessari per implementare le proposte.Uno dei principali punti di discussione riguardava lo sfruttamento del materiale genetico di piante e animali marini che vivono in mare aperto, che può essere utile per la produzione di farmaci e cibo, ma anche per alcuni processi industriali. Mentre i paesi più ricchi hanno le risorse per esplorare le acque oceaniche e i fondali marini anche per questi scopi, quelli con le economie più deboli no: alcuni chiedevano pertanto rassicurazioni sul fatto che tutti potessero beneficiare in maniera equa degli accordi.I paesi aderenti dovranno comunque riunirsi di nuovo per adottare formalmente il testo e decidere le modalità per implementarlo. Intanto, l’Unione europea si è impegnata a investire 40 milioni di euro affinché l’accordo venga ratificato e applicato dai paesi aderenti in tempi brevi.Il più recente accordo internazionale relativo alla protezione degli oceani e ad altri temi collegati era la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che risale al 1982, più di quarant’anni fa. Il nuovo trattato servirà anche per rispettare gli obiettivi dell’accordo raggiunto lo scorso dicembre alla COP15 sulla biodiversità, secondo cui entro il 2030 dovrà diventare protetto il 30 per cento di tutte le aree terrestri e marine (oggi sono il 17 per cento di quelle terrestri e il 10 per cento di quelle marine).– Leggi anche: Nel 2022 le temperature medie degli oceani sono aumentate ancora LEGGI TUTTO

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    Nel 2022 le temperature medie degli oceani sono aumentate ancora

    Nel 2022, per il settimo anno consecutivo, le temperature medie degli oceani sono aumentate e hanno raggiunto i valori massimi dagli anni Cinquanta, quando si cominciarono a registrare con sistematicità. Lo dice il nuovo studio di un gruppo di ricerca internazionale composto da 16 istituzioni scientifiche del mondo che da anni tiene sotto controllo i dati complessivi sugli oceani, pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences.Il gruppo di ricerca, di cui fanno parte anche due enti italiani, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), ha rilevato particolari aumenti delle temperature nei primi 2.000 metri di profondità di quattro grandi bacini in particolare: le parti settentrionali dell’oceano Pacifico e dell’oceano Atlantico, il mar Mediterraneo e gli oceani meridionali, quelli più vicini all’Antartide. In queste zone sono state registrate le temperature più alte dagli anni Cinquanta.In generale, è stato stimato che nel 2022 il contenuto di energia termica dell’oceano tra la superficie e i 2.000 metri di profondità è aumentato di circa 10 zetta joule: è un valore equivalente a più o meno cento volte la produzione mondiale di elettricità nel 2021, hanno spiegato l’ENEA e l’INGV.L’aumento delle temperature marine non è un evento straordinario e passeggero ed è legato al cambiamento climatico causato dalle attività umane. Il riscaldamento globale infatti non riguarda solo l’atmosfera, ma anche le acque degli oceani, che diventando più calde fanno aumentare il livello del mare. L’innalzamento del livello dei mari infatti non è dovuto alla sola fusione dei ghiacci continentali dell’Antartide e delle terre più settentrionali come la Groenlandia, ma anche alla dilatazione termica dell’acqua: se aumenta la temperatura, aumenta il suo volume.L’aumento delle temperature ha comunque anche altre conseguenze, come la maggiore intensità delle tempeste, soprattutto degli uragani: tanto più sono caldi gli strati superficiali dell’acqua, maggiore è l’energia che può generare precipitazioni particolarmente intense. Inoltre le zone marine più salate lo diventano ancora di più, causando problemi agli animali e ai vegetali che ci vivono, dato che ogni organismo marino ha precisi intervalli di salinità e temperatura all’interno dei quali può vivere e riprodursi.– Leggi anche: Anche il mar Mediterraneo si sta riscaldando LEGGI TUTTO