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    “Caronte”, “Cerbero”, “Minosse”

    Molti giornali italiani e stranieri si riferiscono all’ondata di calore che in questi giorni sta interessando l’Italia con un nome proprio, “Caronte”. Si fa qualcosa del genere anche per uragani e tempeste, i cui nomi però sono scelti da servizi meteorologici pubblici o dal coordinamento tra vari paesi, rispettando precisi criteri condivisi. I nomi delle ondate di calore che riguardano l’Italia invece sono un’iniziativa indipendente del popolare sito di previsioni ilMeteo: da anni sono usati dai media sebbene l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) delle Nazioni Unite sia contraria ad attribuire nomi alle ondate di calore.Antonio Sanò, presidente di ilMeteo e inventore dei nomi italiani delle ondate di calore, racconta: «Nel giugno 2012 ci fu un’ondata di caldo e siccome in altri paesi c’era già la tendenza a dare nomi, decisi di farlo anche io e diedi il nome “Scipione l’Africano” all’ondata di calore arrivata a giugno a causa dell’anticiclone africano». Il nome venne poi adottato anche da alcuni giornali e quindi pochi giorni dopo, all’inizio di luglio, Sanò replicò l’iniziativa, chiamando “Caronte” la successiva ondata di calore: «Mandai un comunicato all’Ansa con il nuovo nome e dopo cinque minuti era sulla prima pagina del Corriere della Sera».Anche l’attuale ondata di calore è stata chiamata “Caronte” da ilMeteo perché è a sua volta arrivata a luglio. I nomi degli uragani assegnati dalla WMO vengono scelti a partire da una lista di nomi femminili e maschili decisa all’inizio di ogni anno: un nome può essere ripetuto se sono passati almeno sei anni dall’ultima volta in cui era stato usato, e sono esclusi solo i nomi usati per uragani così distruttivi che risulterebbe inappropriato e disorientante riutilizzare. Sanò invece ripropone sempre lo stesso nome per ogni ondata di calore che secondo i criteri di ilMeteo ha caratteristiche simili, e spesso sono ispirati alla Commedia di Dante Alighieri.Parlando della prima “Caronte”, Sanò spiega: «Feci questa associazione mentale: nel linguaggio popolare si dice fa un caldo “infernale”, l’inferno per antonomasia è quello della Divina Commedia in cui Caronte è il traghettatore delle anime. C’era questa analogia col mese di luglio e quindi scrissi “Arriva Caronte che ci traghetterà nel cuore dell’estate”». Anche “Minosse”, un altro nome usato da ilMeteo per le ondate di calore, è un personaggio dell’Inferno, e così “Cerbero”: le associazioni tra le ondate di calore e i nomi di ilMeteo sono prima di tutto metaforiche e quindi qualitative, e poi sono legate al periodo in cui si verificano, mentre non rispondono a definiti intervalli di temperature.«Caronte causa caldo opprimente su tutta l’Italia e sul Mediterraneo e si verifica nella prima parte del mese di luglio», continua Sanò: «“Cerbero” è un nome che abbiamo usato per la prima volta quest’anno: sapevamo che l’ondata di calore non sarebbe stata la prima, cioè “Scipione”, e nemmeno la più forte, quella che traghetta nel cuore dell’estate, cioè “Caronte”, quindi è stato scelto un nome nuovo».La WMO definisce come ondata di calore un periodo di vari giorni e notti in cui si registrano temperature inusualmente più alte rispetto alla media di quello stesso luogo per un trentennio di riferimento. Ogni paese poi può adottare definizioni più precise in base alle valutazioni dei propri servizi meteorologici nazionali (in Italia di solito si parla di ondata di calore quando si verifica un periodo di almeno 3 giorni consecutivi in cui la temperatura media giornaliera è significativamente superiore alla media del periodo 1981-2010 o 1991-2020). In generale non c’è comunque un’unica temperatura di soglia oltre la quale si parla di ondata di calore: è diversa da località a località, sulla base della relativa storia climatica. Questa è una delle ragioni per cui sarebbe difficile dare nomi condivisi alle ondate di calore.Un’altra è che mentre tempeste e uragani sono fenomeni che si possono identificare con precisione e per cui è molto facile fare previsioni precise, le ondate di calore sono meno definite e possono avere conseguenze molto diverse in territori diversi: c’è il rischio che quindi un’indicazione associata a un nome preciso sia corretta per una zona e meno per un’altra.Per Sanò il vantaggio dell’uso dei nomi è comunicativo: «La scienza può diffondersi solo se diventa per tutti e i nomi sono un modo per avvicinare la gente a questo argomento: negli ultimi anni c’è stato un aumento dell’interesse per la meteorologia anche grazie a un modo di comunicare che abbiamo introdotto anche noi, più popolare, complice il cambiamento climatico».Anche altre persone che si occupano di clima avevano ipotizzato che attribuire dei nomi propri alle ondate di calore potesse essere utile per motivi di comunicazione, e in particolare per far prendere coscienza a più persone possibili dei rischi legati a questi fenomeni. Per questo nell’ottobre del 2022 la WMO Services Commission, una delle commissioni dell’organizzazione, si era riunita per valutare questa possibilità, ma aveva concluso all’unanimità che non convenisse farlo per varie ragioni.In aggiunta a quelle già citate, una ragione è che non è mai stato provato con degli studi appositi che nominare le ondate di calore aiuti a ricordare i rischi corsi in passato in occasione di ondate precedenti e che aiuti a capire bene i rischi attuali. Per la WMO c’è inoltre il rischio che l’uso di nomi non ufficiali riduca l’autorevolezza degli enti pubblici che sono deputati a dare indicazioni e allerte sul meteo.«Dare dei nomi alle ondate di calore mette l’attenzione su aspetti sbagliati», ha ribadito la WMO in un comunicato del 18 luglio: «Dare un nome proprio a una singola ondata di calore è fuorviante per l’attenzione del pubblico e dei media, li distoglie dai messaggi più importanti, quelli che riguardano chi è a rischio e come bisogna occuparsene». In pratica per la WMO la pratica di assegnare nomi non ufficiali può creare confusione nella comunicazione e conseguenze negative, oltre a far perdere tempo ai servizi meteorologici pubblici.IlMeteo esiste dal 2000 ed è diventato particolarmente popolare dal 2010, cioè da quando ha iniziato a diffondersi l’uso delle app sugli smartphone. Stando ai dati della società di rilevazione Audiweb aggiornati allo scorso maggio ha poco più di 6 milioni di utenti unici al giorno. La sua pratica di assegnare nomi propri alle ondate di calore è stata criticata dal Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, l’unico ente pubblico che produce previsioni del tempo in Italia. L’editoriale di un numero della Rivista di meteorologica aeronautica dello scorso anno diceva che l’attribuzione di questi nomi avrebbe «poco a che fare con un’analisi seria di ciò che accade da un punto di vista meteorologico».Dal 2021 il Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, che peraltro contribuisce alle previsioni della WMO, assegna i nomi alle perturbazioni cicloniche più intense che interessano il Mediterraneo centrale, che poi sono usati in tutta Europa per identificarle. LEGGI TUTTO

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    I diari di bordo delle vecchie baleniere ci aiutano a ricostruire la storia del clima

    Lo studio del clima e degli eventi meteorologici del passato è considerato sempre più importante per definire l’entità dei cambiamenti climatici in corso e per costruire modelli di lungo periodo che aiutino a fare migliori previsioni. La raccolta di dati costanti e affidabili sul clima e sui fenomeni atmosferici è però piuttosto recente: per alcune zone remote del pianeta, ma anche per mari e oceani, ne esistono pochi precedenti agli anni Cinquanta dello scorso secolo.Per colmare questi vuoti informativi si stanno rivelando importanti i diari di bordo delle navi che per secoli attraversarono gli oceani, in particolare quelli successivi al 1800, quando la pratica di registrare le quotidiane posizioni esatte delle navi e le condizioni meteorologiche divenne la norma. E sono particolarmente interessanti i diari delle baleniere, cioè le navi dedicate alla caccia alle balene, molto diffusa fino agli anni Settanta. Le baleniere infatti si spingevano lontano dalle rotte consuete e nella loro caccia ai cetacei esploravano porzioni di oceano poco coperte dalle imbarcazioni commerciali e militari.Nella metà dell’Ottocento la caccia alle balene toccò il suo picco negli Stati Uniti: centinaia di imbarcazioni dotate di lunghi arponi partivano dal New England, nel nord-est del paese, per andare a caccia nell’Atlantico del sud, nel Pacifico e nell’oceano Indiano. L’olio di balena era molto richiesto sul mercato americano come combustibile per le lampade, come ingrediente di base per saponi e come lubrificante per una vasta gamma di strumenti meccanici come armi, macchine per scrivere e ingranaggi di processi industriali. Il 1853 fu l’anno in cui si registrò il massimo dei profitti, 11 milioni di dollari, con oltre 8.000 balene uccise.I simboli utilizzati sui diari di bordo delle baleniere (Wikicommons)La Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI), un’organizzazione non profit statunitense che si occupa di ricerca sulle scienze marine e ha sede in Massachusetts, sta lavorando a un progetto di recupero, digitalizzazione e organizzazione di dati climatici dai diari di bordo delle baleniere.Le oltre 54mila indicazioni meteorologiche contenute in 110 diari di bordo attualmente in fase di analisi permetteranno di costruire modelli di lungo periodo che aiuteranno gli scienziati a comprendere come è cambiato il clima negli ultimi due secoli. Sarà possibile capire meglio gli eventi ricorrenti e quindi prevedere quelli futuri.Nello specifico il lavoro dei dodici ricercatori della WHOI si concentra sui venti, sulla loro forza e sulle loro direzioni. I diari di bordo provengono da archivi pubblici e privati della regione del New England, da cui le baleniere partivano verso gli angoli più remoti del pianeta. Contengono registri quotidiani di longitudine e latitudine, rotte delle navi, direzioni e intensità dei venti, condizioni del mare, presenza di nuvole e informazioni generali sul tempo.I diari di bordo erano compilati scrupolosamente e obbligatoriamente, perché erano considerati registri legali necessari per richieste alle assicurazioni e per eventuali contenziosi con le compagnie proprietarie delle navi o con l’equipaggio, come le scatole nere degli aerei. Oltre ai dati atmosferici, riportavano tutte le attività svolte sulla nave, eventuali altre imbarcazioni incrociate o problemi riscontrati.Una pagina del diario di bordo della baleniera Almira, in viaggio dal 1864 al 1868 (Wikicommons)Il progetto si concentra sullo studio dei venti, ma dai registri potrebbero essere estrapolate informazioni anche sull’intensità delle precipitazioni, sulle perturbazioni o su quanto il mare fosse mosso o tranquillo. Semplificando molto, la WHOI mira a capire dove (a che latitudine e longitudine) e quando (in che anno, in quale stagione) i balenieri incontrarono i venti più forti, per confrontare poi i dati con quelli attuali, in modo da registrare le variazioni e costruire un modello a lungo termine relativo ai venti.I venti e le loro interazioni influenzano le precipitazioni, i periodi di siccità, le inondazioni e i fenomeni estremi come tempeste e uragani: un modello più accurato dei venti può aumentare la precisione delle previsioni degli altri eventi. Uno studio di Nature del 2020 evidenziò per esempio come l’assenza di modelli sui venti in azione sopra gli oceani fosse una delle cause di errori e mancanze nelle previsioni sulle precipitazioni. Inoltre la ricostruzione degli eventi atmosferici negli ultimi secoli è fondamentale per capire l’influenza sul clima delle azioni umane, legata alle emissioni di gas serra.I ricercatori del WHOI hanno raccontato alla rivista online Grist che il progetto è solo in una fase iniziale: nei prossimi nove mesi potranno essere forniti dei primi dati complessivi, ma il bacino di diari di bordo da cui attingere è molto più ampio rispetto al centinaio di libri analizzati (ognuno si aggira intorno alle 200 pagine): quelli a disposizione sono attualmente 4.300.La quantità di dati a disposizione e da analizzare è quindi enorme e un recente accordo con l’Università di Lisbona ne aggiungerà altri: 3.800 diari di bordo di navi portoghesi che navigarono gli oceani dal 1760 al 1940. Per analizzarli sarà probabilmente necessario fare ricorso a un lavoro condiviso, usando anche molti volontari, come è accaduto in progetti simili.Un ufficio alla Woods Hole Oceanographic Institution in una foto del 2014 (AP Photo Stephan Savoia)L’istituto del Massachusetts non è infatti l’unico ad analizzare dati su clima ed eventi meteo del passato. Il progetto è ispirato a quello Old Weather della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa di meteorologia e clima. Dal 2010 migliaia di volontari hanno analizzato registri meteorologici presenti su archivi online per trascrivere i dati in un database secondo un modello definito dal progetto: nel complesso sono 14 milioni di osservazioni. I dati provenivano dai diari di bordo delle navi militari in navigazione durante la Seconda guerra mondiale e in una seconda fase da rompighiaccio e baleniere in transito nell’area artica sin dal 1849.– Leggi anche: 40 anni fa decidemmo di non cacciare più le balene LEGGI TUTTO