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    Nagel: “La guardavamo da almeno 5 anni”

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    “Questa operazione la guardiamo da 5 anni almeno. È una costante che abbiamo esaminato in lungo e in largo e periodicamente aggiornato. C’è stata prima occasione di verifica fatta dopo il covid capendo tutti che era ed è occasione interessante”. Lo ha spiegato l’ad di Mediobanca Alberto Negel nella conferenza stampa sull’ops su Banca Generali segnalando peraltro che “Ha coinciso col fatto che siamo in passivity rule sotto ops di Mps”. “Negli anni ci sono stati condizioni di mercato che la rendevano difficile. Richiedeva che Mediobanca avesse capitale, avesse messo azioni proprie e usato azioni Generali. Oggi oltre a essere cresciuti più o meno alle stesse dimensioni di Banca Generali, secondo elemento decisivo è stata la struttura dell’operazione e l’andamento dei due titoli”, ha proseguito. “Usando tutte le azioni Generali possiamo oggi fare operazione senza utilizzare capitale di Mediobanca e chiedere capitale ai nostri azionisti”. “Il nostro rapporto di lunga data con Generali vada trasformato da un rapporto finanziario in una partnership industriale”. ha ripetuto e fatto notare che: “In fin dei conti molti ci hanno accusato di essere troppo dipendenti da Generali in passato e questa operazione su Banca Generali ‘non è una risposta diretta a questa critica, ma la soluzione a un tema che era sul tavolo”. LEGGI TUTTO

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    Bpm, l’Ops Unicredit ai blocchi di partenza. Orcel cerca una soluzione sul Golden power

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    Palla al centro e si parte. Domani mattina prenderà il via l’offerta pubblica di scambio promossa da Unicredit su Banco Bpm. Aggiungere Piazza Meda è un tassello essenziale della strategia di Andrea Orcel (in foto) volta a crescere in maniera significativa in Italia, rafforzando la seconda posizione nella penisola. Se riuscisse a convolare a nozze con Bpm, il gruppo Unicredit balzerebbe al 16% di quota di mercato (Intesa Sanpaolo è prima con il 21%) con un’esposizione di rilievo nelle regioni più ricche del nostro Paese. La scalata a Piazza Meda parte con non poche insidie e incertezze che rendono al momento difficile capire che posizione prenderanno grandi e piccoli azionisti della banca guidata dall’ad Giuseppe Castagna. Tra questi spicca la francese Credit Agricole, che in questi mesi ha chiesto e ottenuto dalla Bce di portarsi a ridosso del 20% di Bpm.Orcel nelle prossime settimane dovrà prima di tutto dissipare le nubi legate al Golden Power provando ad aprire un dialogo con il governo che ha indicato delle prescrizioni ben precise: dal mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, al preservare le filiali di Banco Bpm in Lombardia, passando anche per l’uscita dalla Russia in tempi relativamente brevi (entro gennaio del prossimo anno).A ben guardare una corsa ad ostacoli che comporterà anche dei costi. Gli analisti di JP Morgan hanno quantificato ben 100 milioni di euro di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi e 47 punti base di impatto Cet1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; infine 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 900 milioni. A questo si aggiunge il rischio di sanzioni in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni che potrebbero variare tra 300 milioni e 20 miliardi in quanto la normativa prevede una sanzione amministrativa massima pari al doppio del valore dell’operazione (e non inferiore all’1% del fatturato cumulato). Non appare invece un problema il paletto sugli sportelli in Lombardia, dove Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Pertanto, la nuova entità andrebbe ad attestarsi ben sotto la soglia limite del 25% indicata dall’Antitrust Ue. LEGGI TUTTO

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    Generali, primo round a Nagel-Donnet

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    Tutto come previsto: i manager delle Generali, appoggiati dalla Mediobanca di Alberto Nagel, vincono il primo round sulla governance del Leone. Ieri a Trieste il 52,38% dei presenti in assemblea ha votato la lista di maggioranza per il nuovo cda presentata dall’istituto di Piazzetta Cuccia confermando così per il prossimo triennio il tandem al vertice, ovvero il ceo Philippe Donnet e il presidente Andrea Sironi. Nel nuovo board, su 13 membri 10 vanno al fronte manager-Mediobanca e 3 restano in quota Caltagirone, con la conferma di Flavio Cattaneo, Marina Brogi e il nuovo ingresso dell’ad di Acea, Fabrizio Palermo.Al Convention center delle Generali si sono presentati oltre 650 azionisti e a votare è stato il 68,7% del capitale. L’elenco di candidati presentato da Francesco Gaetano Caltagirone ha ottenuto il 36,8% delle preferenze, quello di Assogestioni il 3,67% , mentre si è astenuto il 7% dei presenti, una percentuale in gran parte attribuibile alla famiglia Benetton. Considerando il totale del capitale sociale, Mediobanca (primo azionista con il 13%) ha preso il 36%, Caltagirone il 25,3% e la lista Assogestioni il 2,5%. Chi ha appoggiato la lista dell’imprenditore romano? Al suo 6,82% si è affiancato il 9,93% di Delfin, l’1,9% di Fondazione Crt (come invito a riprendere il confronto tra soci rilevanti con un livello più ampio di condivisione) e anche Unicredit che a sorpresa si è presentato in assemblea con il 6,51% (cui va aggiunto un altro 0,19% in capo a una partecipata che però ieri non è stato depositato).Fonti vicine al gruppo Caltagirone fanno notare che nel 2022 la lista del cda aveva raggiunto il 39,6% del capitale sociale, mentre ieri Mediobanca ha ottenuto il 36%. Tre anni fa Caltagirone aveva ottenuto il 29,5% e adesso, senza aver portato avanti una campagna di voto, è riuscito a mantenere una quota intorno al 28-30 per cento.Sin qui la cronaca. Vanno però analizzate le singole mosse. A cominciare da quella del ceo di Unicredit, AndreaOrcel, sembra scommettere sul secondo tempo della partita sul Leone che si giocherà solo dopo i risultati dell’Ops lanciata dal Monte dei Paschi su Mediobanca. Secondo fonti di mercato, più che un tentativo di lanciare un messaggio al governo per ottenere un Golden Power più morbido sul Banco Bpm, dietro alla mossa di ieri a sostegno di Caltagirone ci sarebbe la volontà di cambiamento a livello manageriale per le Generali e anche il fatto che l’operazione Natixis su cui potrebbe intervenire il Mef con i poteri speciali – non è visto dall’istituto guidato da Orcel come un deal che vale la pena di portare avanti. Di certo, dopo il voto di ieri la partecipazione in Generali di Unicredit non può essere più considerata solo finanziaria ma assume anche una valenza decisamente industriale e strategica. In questo primo round saltano però all’occhio altri due dettagli: il primo è l’astensione della holding Edizione dei Benetton, al 4,8% del capitale, che nel giro precedente aveva invece appoggiato la lista di Caltagirone (come aveva fatto anche Fondazione Crt). Il secondo è il risultato di Assogestioni che non ha consentito di ottenere posti in consiglio perché la lista proposta dal comitato dei gestori ha ricevuto solo il 3,67% dei voti del capitale presente in assemblea (il 2,5% del capitale totale) e non ha quindi superato lo sbarramento del 5 per cento. Segno che gran parte del voto degli investitori istituzionali è finito sulla lista di Mediobanca. LEGGI TUTTO

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    Bpm sull’offerta Unicredit: “Non conviene a nessuno”

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    «È evidente che l’offerta non ha alcun senso per i nostri azionisti», questa è la chiosa finale del discorso agli analisti dell’amministratore delegato di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, riguardo all’Offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Piazza Meda. Ieri il board dell’istituto si è riunito per vagliare il Comunicato dell’Emittente. Il responso, invero scontato, è stato che il cda all’unanimità «ha ritenuto l’Ops non conveniente». La conferenza, durata circa un’ora, ha visto partecipare anche il presidente Massimo Tononi il quale ha affermato che la proposta di Piazza Gae Aulenti sarebbe «inadeguata dal punto di vista finanziario e non giusta per i nostri azionisti». Per la spiegazione dei motivi è sceso nel dettaglio l’amministratore delegato Castagna: «Ci sono molteplici elementi di incertezza», a partire dall’impatto che l’applicazione delle prescrizioni governative del Golden Power, «le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare» visto che l’istituto guidato da Andrea Orcel non ha ancora spiegato i possibili impatti, in particolare per quanto riguarda la richiesta di abbandonare la Russia.In base ai range di concambi identificati dal cda il Corrispettivo dovrebbe riconoscere un valore di almeno 4,6 miliardi in più rispetto a quello attuale «senza considerare il premio per il controllo» (il premio per l’operazione è dello 0,5% contro il 45% di altre operazioni del passato come Intesa Sanpaolo-Ubi). Il matrimonio, poi, per Castagna non sarebbe cosa buona e giusta per una questione non solo di filosofia. «La strategia perseguita da Banco Bpm, incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit». In un’epoca di tassi in abbassamento, Bpm sottolinea come – grazie alle sue fabbriche prodotto di fondi e assicurazioni – l’impatto sui ricavi delle commissioni raggiungerà il 50% entro il 2027, mentre Piazza Gae Aulenti si fermerà al 42 per cento. Questo la porterà a una «crescita piatta degli utili». L’unione, sempre secondo Bpm, andrebbe a vantaggio dei soci di Unicredit e a svantaggio di quelli di Piazza Meda ai quali verrebbe riconosciuto un utile netto dell’entità combinata di 1,8 miliardi mentre se rimanesse da sola gli azionisti di Bpm avrebbero un utile netto di 2,15 miliardi, quindi di fatto con una perdita di utile netto annuo di 350 milioni. LEGGI TUTTO