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    Weekly Beasts

    Solitamente i cavalli vengono fotografati in piedi, come quelli che nella raccolta a seguire trovate al pascolo con la Sierra Nevada sullo sfondo. Capita più raramente di vederli sdraiati a riposare sul fieno, come in un’altra foto scattata in Germania. Insieme ai cavalli valeva la pena fotografare un maschio di lince pardina e un limulo (chiamato anche granchio a ferro di cavallo) rimessi in libertà, un orso andino, una sialia mexicana, una zebra di Grévy e una lepre che cerca di non farsi notare, dietro a un fico d’India. LEGGI TUTTO

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    Gli animali domestici possono essere un problema per le scene del crimine

    Caricamento playerUn recente studio pubblicato sulla rivista di medicina forense Forensic Science, Medicine and Pathology ha fornito una serie di suggerimenti e indicazioni metodologiche per investigatori, medici legali e anatomopatologi nei casi di ritrovamento di un cadavere in case in cui siano presenti cani o gatti domestici.
    Insieme ad altre ricerche dello stesso tipo pubblicate negli ultimi anni, lo studio è considerato una conferma di un fatto noto ai professionisti del settore ma in alcuni casi ignorato per via della tendenza di molti ad attribuire agli animali domestici sentimenti e comportamenti tipicamente umani: se costretti senza cibo in ambienti chiusi, gli animali domestici possono finire col nutrirsi dei corpi in decomposizione dei propri padroni, alterandoli in modo significativo e complicando le indagini.
    La frequenza di questi comportamenti da parte degli animali domestici verso i loro proprietari dipende da diversi fattori: principalmente dalle eventuali condizioni di isolamento sociale di quelle persone e, di conseguenza, dalla quantità di tempo in cui l’animale domestico rimane con il cadavere in mancanza di fonti di nutrimento alternative. Ma, per quanto sporadici, questi comportamenti hanno implicazioni importanti per la scienza forense e le indagini. La presenza di animali domestici costituisce infatti un fattore rilevante da tenere in considerazione nell’analisi dei traumi e delle lesioni presenti sui cadaveri, nella valutazione delle cause e nella stima dell’ora approssimativa della morte, e nel recupero della salma intera.
    Lo studio è stato condotto da due ricercatrici e un ricercatore dell’Istituto di medicina forense dell’Università di Berna, in Svizzera, che hanno revisionato la letteratura scientifica esistente e hanno preso in esame sette casi svizzeri mai studiati in precedenza. Il gruppo ha descritto, schematizzandoli in un diagramma di flusso, i comportamenti professionali più adatti a garantire una raccolta sistematica e completa dei dati durante sopralluoghi in ambienti chiusi in cui ci sia il sospetto che cani o gatti abbiano interferito nella scena in cui viene trovato un cadavere.
    (Attenzione: i link presenti nell’articolo rimandano a studi che contengono immagini di corpi mutilati e in avanzato stato di decomposizione, che possono risultare impressionanti e sgradevoli)
    La tendenza molto comune ad attribuire agli animali domestici percezioni, comportamenti e sentimenti tipicamente umani può in alcuni casi indurre le persone a trascurare o ignorare altre considerazioni: in breve, a pensare che un animale che ha passato tutta la vita con una persona si asterrà, per affetto, dall’approfittare del suo cadavere per saziarsi in assenza di cibo. Una maggiore consapevolezza del fatto che in particolari circostanze cani e gatti considerino i cadaveri una fonte di nutrimento dovrebbe invece indurre gli investigatori a raccogliere più informazioni sugli animali presenti sulla scena o nelle vicinanze, anche quando la loro presenza non sembra rilevante.
    La comprensione dei casi di necrofagia come parte di fenomeni naturali, secondo molte persone che li studiano, permetterebbe di ridurre gli errori nelle indagini e in generale di prendere decisioni più avvedute. E un approccio più scrupoloso da parte dei professionisti che si occupano di fare riscontri, ha scritto il gruppo, permetterebbe di accrescere un tipo di documentazione che attualmente nella pratica forense è limitata, per ragioni di negligenza o superficialità nella raccolta storica dei dati.
    Una condizione piuttosto comune tra le persone il cui cadavere viene trovato in uno stato alterato da animali domestici è la sindrome di Diogene, un disturbo caratterizzato dall’isolamento sociale e da un’estrema trascuratezza nell’igiene del proprio corpo e del proprio ambiente domestico. La valutazione forense di questi casi di morte è spesso resa molto difficile proprio dallo stato di abbandono e degrado della casa della persona morta e dalla presenza di animali da compagnia mai o raramente portati all’esterno.
    In un caso riportato in uno studio del 2015 il cadavere di una signora di 83 anni con la mandibola scarnificata fu trovato diversi giorni dopo la morte, causata da una cardiopatia ischemica, in una casa piena di cumuli di spazzatura e feci di cane, a Córdoba, in Argentina. Le mutilazioni post-mortem erano state causate da due cani domestici di razza mista, in mancanza di cibo a loro disposizione. Nonostante i cani fossero coinvolti nel caso soltanto indirettamente, le autorità ordinarono di sopprimerli entrambi per evitare che potessero mostrare quel comportamento alimentare in occasioni successive.
    La necrofagia da parte di animali domestici non riguarda soltanto cani e gatti, che sono comunque i casi più studiati, per quanto rari. Uno studio pubblicato nel 1995 riportò il caso di una donna di 43 anni trovata morta nel suo appartamento, seminuda e con estese lesioni dei tessuti molli del volto. I riscontri portarono inizialmente a pensare a una violenza sessuale, ma i risultati dell’autopsia indicarono che la morte era stata provocata dalle conseguenze di una polmonite lobare e una pleurite in stadio avanzato, e che i segni sul volto erano stati causati dopo la morte dai morsi di un roditore. Nella gabbia di un criceto che la donna teneva in casa furono successivamente trovati numerosi pezzetti di pelle, grasso e tessuto muscolare, poi associati alla donna tramite tipizzazione del DNA.
    A volte, se tessuti e organi interni da analizzare mancano perché sono stati mangiati, può essere difficile stabilire se la morte sia stata provocata da un’intossicazione da sostanze, oppure da un trauma. Come riportato nel recente studio uscito su Forensic Science, Medicine and Pathology, diversi casi oggetto della revisione scientifica mancano di informazioni fondamentali, perché gli investigatori che se ne occuparono non documentarono dettagliatamente la presenza di un animale domestico sulla scena. Quelle informazioni aiuterebbero, per esempio, a capire se certi rosicchiamenti e altre alterazioni presenti sui cadaveri siano stati provocati all’epoca da gatti o da cani: una distinzione non facilissima da fare soltanto sulla base dell’aspetto delle lesioni.
    Come ha detto alla rivista Science Carolyn Rando, antropologa forense dell’University College di Londra, la limitata letteratura scientifica sui comportamenti necrofagi degli animali domestici verso i loro proprietari suggerisce che i cani si concentrano su faccia e gola, mentre i gatti su naso, labbro superiore e dita. L’ipotesi più condivisa tra i ricercatori è che la fame sia la motivazione principale dei comportamenti necrofagi, ma non è necessario che l’animale trascorra molto tempo affamato prima di assumerli, anche se «tutti vogliono pensarlo», ha detto Rando. Gli animali domestici tendono a preoccuparsi se il proprietario o la proprietaria non risponde agli stimoli, soprattutto in caso di morte violenta o improvvisa: leccare il viso in cerca di conforto, secondo Rando, può quindi rapidamente trasformarsi in una ricerca di nutrimento.
    Il consiglio generale condiviso dal gruppo di ricerca dell’Università di Berna agli investigatori è di annotare le dimensioni, la razza e il numero di animali che trovano durante i sopralluoghi, anche quando non sembra importante farlo per comprendere il singolo caso (non lo è, nella maggior parte dei casi in cui è presente un animale domestico). Questo tipo di raccolta dei dati potrebbe comunque servire in un secondo momento per capire se un eventuale morso di un animale ha alterato una ferita, per esempio, influenzando altri fattori che servono a determinare l’ora della morte (la presenza di certi insetti che colonizzano le ferite, per esempio).
    Secondo Gabriel Fonseca, odontologo forense della Universidad de La Frontera a Temuco, in Cile, e uno degli autori dello studio del 2015, le indicazioni del gruppo dell’Università di Berna è utile ad attirare l’attenzione verso informazioni spesso ignorate da molte persone. «Si possono avere strumenti favolosi, medici legali affermati e formati, o antropologi forensi, ma se non sono formati i primi soccorritori, la possibilità di perdere fonti di prova può essere elevata», ha detto Fonseca a Science.
    Le indicazioni condivise nello studio recente sarebbero state di grande aiuto, secondo Fonseca, in un caso recente avvenuto in Cile in cui una donna anziana, apparentemente morta per cause naturali, è stata trovata con la faccia in parte mangiata dal suo cane. I risultati di una successiva TAC eseguita sul cadavere hanno mostrato un trauma profondo, fornendo agli investigatori informazioni fondamentali per arrivare a concludere sulla base di altre prove che la donna era stata colpita in faccia durante una rapina e che i morsi del cane avevano nascosto le ferite. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Ci sono due storie curiose, tra gli animali fotografati in settimana. La prima è quella di un cinghiale di 80 chili che vive con due persone e un cane in Belgio, la seconda è quella del cosiddetto “Snettisham Spectacular”, un periodo in cui le maree particolarmente alte spingono migliaia di uccelli acquatici ad alzarsi in volo per poi posarsi altrove e aspettare che la marea si ritiri, prima di tornare nelle strisce di terra fangose dove cercano cibo. Tra gli altri animali da fotografare c’erano poi un condor delle Ande, lontre giganti e impala. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    I campi da golf sono spesso un buon posto dove avvistare animali: a questo giro in uno a Bela-Bela, in Sudafrica, c’erano zebre, manguste e scimmie, mentre in un altro a Panama una fila di uccelli in ombra. Poi un cane lavato nella toelettatura che ha aperto da poco in una prigione femminile di La Paz, in Bolivia, un servalo, due vari rossi, un pitone verde e piccolissimi pesci rilasciati in natura. LEGGI TUTTO

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    Che animali sono davvero gli ermellini

    Caricamento playerMercoledì sera, durante il Festival di Sanremo, sono state presentate le mascotte per le Olimpiadi e Paralimpiadi di Milano-Cortina del 2026: sono due ermellini e si chiamano Tina e Milo, dai nomi delle città coinvolte nella manifestazione. Tina rappresenta le Olimpiadi e ha la pelliccia bianca; suo fratello Milo rappresenta le Paralimpiadi – è nato senza una zampa, ma cammina usando la coda – e ha la pelliccia marrone.
    Nella realtà gli ermellini sono bianchi d’inverno e marroni d’estate. In tutte le stagioni sono piuttosto difficili da vedere, non solo perché in Italia vivono solo sulle Alpi, ma anche perché sono piuttosto piccoli (massimo 30 centimetri di lunghezza), vivono soprattutto sotto terra o sotto la neve e si mimetizzano. Sono tra le specie italiane di mammiferi selvatici di cui sappiamo meno cose perché la loro elusività rende difficile studiarli e perché, anche tra i biologi, sono spesso ignorati a vantaggio di specie che si notano di più, come lupi e orsi tra i carnivori, e cinghiali, cervi e stambecchi tra gli erbivori. Meriterebbero più attenzione però: ci sono buone ragioni per pensare che la diminuzione della neve sulle Alpi dovuta al cambiamento climatico non complichi solo la pratica degli sport invernali ma metta a grosso rischio la conservazione della specie.
    «Vederli nella trasmissione più seguita d’Italia mi è sembrata un’allucinazione», racconta Marco Granata, biologo e dottorando dell’Università di Torino che è una delle poche persone a studiarli in Europa: «È una specie molto trascurata: per chi dedica la sua vita alla conservazione degli ermellini e cerca di farli conoscere è davvero strano vederli in televisione».
    Nella primavera del 2023 Granata ha iniziato un progetto di ricerca nelle Aree Protette Alpi Marittime, nel Piemonte sud-occidentale, per capire sul campo quale sia il metodo migliore per monitorare la presenza degli ermellini dato che «c’è un disperato bisogno di dati» che permettano di stimare quanti siano e in che misura siano danneggiati dagli effetti del riscaldamento globale. Tra i metodi testati ci sono le fototrappole, cioè quelle fotocamere che scattano quando rilevano un movimento e che si usano anche per altri animali selvatici, e le cosiddette Mostela, delle scatole con dei buchi contenenti fototrappole che possono essere interessanti come nascondigli per alcuni piccoli animali.

    Gli ermellini (Mustela erminea) sono mustelidi, cioè appartengono a quella famiglia di mammiferi carnivori in cui rientrano anche le lontre, i tassi, i visoni, le donnole, le puzzole (da cui derivano i domesticati furetti), le faine e le meno conosciute martore. In Italia si trovano solo sulle Alpi, mentre a latitudini più settentrionali vivono anche in zone di pianura. A differenza degli orsi, ma anche delle volpi e dei lupi che mangiano anche vegetali, gli ermellini e gli altri mustelidi sono esclusivamente carnivori. Gli ermellini in particolare cacciano soprattutto roditori, come le arvicole, e occasionalmente uccelli. Sulle Alpi si stima che abbiano un’aspettativa di vita attorno all’anno e mezzo, mentre in cattività possono vivere anche dieci anni.
    Studiare gli ermellini è complicato anche perché non ce ne sono tanti in un unico posto, piuttosto il contrario: sono animali solitari che, essendo cacciatori, si fanno competizione tra loro e che per questo non possono condividere il proprio territorio con loro simili. Per tutte queste ragioni, sebbene sappiamo che sono presenti più o meno su tutto l’arco alpino, negli anni sono stati pubblicati solo tre studi scientifici italiani sugli ermellini: uno è del 1995, il secondo del 2001 (ha come primo autore lo zoologo Adriano Martinoli, una delle voci del podcast del Post sulle specie aliene Vicini e lontani) e il terzo del 2006. Tutti e tre avevano limiti geografici e di finalità, e non permettono di stimare quanti ermellini possano esserci in Italia. «Abbiamo zero informazioni su questo», conferma Granata.

    «A lungo termine mi piacerebbe costruire una rete di monitoraggio per conservare la specie sull’arco alpino», continua il biologo. Dato che anche negli altri paesi non ci sono molti dati, gli ermellini non sono considerati in pericolo dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN, cioè l’ente internazionale riconosciuto dall’ONU che valuta quali specie animali e vegetali rischiano l’estinzione) tuttavia siamo piuttosto sicuri che siano danneggiati dal cambiamento climatico. In Nord America, dove la specie è a sua volta presente, è stato stimato che gli ermellini e le donnole siano diminuiti di più dell’80 per cento negli ultimi 60 anni.
    Tale diminuzione della loro popolazione è stata ricondotta al riscaldamento globale per diverse ragioni e una ha a che fare con la neve. Per via delle loro dimensioni gli ermellini sono prede di altri animali, come volpi e uccelli rapaci, e il cambiamento del colore della loro pelliccia nel corso dell’anno è funzionale proprio a nascondersi dai predatori. Se c’è meno neve però la pelliccia bianca invernale li rende al contrario molto visibili e più facili da cacciare.
    Sempre in Nord America la loro diminuzione ha anche altre probabili cause, tra cui la caccia praticata dagli esseri umani. Sulle Alpi anche la presenza delle piste da sci potrebbe danneggiarli: uno studio del 2013 fatto tra Piemonte e Valle d’Aosta ha mostrato che le piste creano problemi a vari piccoli mammiferi, comprese le principali prede degli ermellini, perché ne frammentano l’habitat, e per questo potrebbero danneggiare anche loro, sia indirettamente che direttamente.
    Le mascotte delle Olimpiadi e Paralimpiadi di Milano-Cortina 2026; per Granata sono abbastanza precise come rappresentazione degli animali, anche se i veri ermellini non hanno il naso rosa e una coda in proporzione più corta rispetto al resto del corpo (Ufficio Stampa Milano Cortina 2026, ANSA)
    «Io sono un po’ ossessionato dai fantasmi», dice Granata per spiegare come mai si sta dedicando a questo campo della biologia, «e studio questi animali così elusivi, che sono come dei fantasmi selvatici perché non li vedi mai, perché vorrei che non diventassero dei fantasmi veri e propri, cioè che scomparissero del tutto».

    – Leggi anche: In Nuova Zelanda invece gli ermellini sono invasivi e molto dannosi, per questo c’è un piano per eliminarli LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    C’è tutta una varietà di nomi interessanti, tra gli animali fotografati nei giorni scorsi: un guanaco, due basilischi piumati, un nyala e alcuni tsessebe (o sassaby comune, se vi aiuta). E poi c’è la solita folcloristica storia della marmotta Phil e delle sue previsioni per il Giorno della Marmotta, insieme a delfini in fuga da un’orca, una gallina in strada durante una protesta degli agricoltori in Francia e un geco tigre. LEGGI TUTTO

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    Forse riusciremo a far nascere altri rinoceronti bianchi settentrionali

    Lo scorso settembre un gruppo di scienziati è riuscito a fare una cosa che potrebbe consentire la nascita di altri rinoceronti bianchi settentrionali, cioè di una specie il cui ultimo individuo maschio è morto nel 2018 e di cui restano solo due femmine. Gli scienziati hanno impiantato un embrione di rinoceronte bianco meridionale, la specie più simile a quella quasi estinta, in una femmina adulta della stessa specie che non ne era la madre biologica, ottenendo che si sviluppasse una gravidanza. Questo risultato lascia sperare che in futuro si potranno far nascere dei rinoceronti bianchi settentrionali, di cui esistono 30 embrioni conservati a basse temperature, usando delle rinoceronti bianche meridionali come madri surrogate.Questo tipo di procedura è comunemente usata per gli animali domestici ma non per quelli selvatici. Gli scienziati di BioRescue, il progetto internazionale che ha come obiettivo non fare estinguere i rinoceronti bianchi settentrionali, ci sono riusciti al tredicesimo tentativo. A novembre la rinoceronte incinta, che era chiamata Curra, è morta a causa di un’infezione senza legami con la gravidanza, ma l’autopsia sul suo corpo ha dimostrato che il feto che le era stato impiantato, e che a quel punto aveva 70 giorni, stava crescendo bene.
    I rinoceronti bianchi settentrionali e meridionali sono molto simili tra loro perché sono sottospecie molto vicine. Si sono differenziate vivendo in habitat diversi, probabilmente dopo essere state separate durante una glaciazione. L’habitat naturale dei rinoceronti bianchi settentrionali sono praterie con l’erba alta, in parte paludose; per questo avevano sviluppato zampe più larghe, adatte a camminare nel fango. I rinoceronti bianchi meridionali invece vivono nella savana.
    Negli ultimi secoli le attività umane hanno notevolmente ridotto l’estensione dell’habitat dei rinoceronti, peraltro danneggiati dalla caccia illegale: è per questo che oggi tutte le specie di rinoceronti sono in una qualche misura a rischio di estinzione. Dei rinoceronti bianchi meridionali si stima ce ne siano circa 10mila.
    Nessuna specie però è messa male come i rinoceronti bianchi settentrionali: si pensa che negli anni Settanta ne fossero rimasti circa 700 e a metà degli anni Ottanta erano solo 15. Nel 2008 non si trovarono più gli ultimi quattro esemplari che negli anni precedenti erano stati avvistati in natura: probabilmente furono uccisi da bracconieri. A quel punto erano rimasti solo gli esemplari presenti negli zoo e tra questi solo quattro potevano ancora riprodursi: le femmine Najin e Fatu e i maschi Sudan e Suni, dello zoo di Dvůr Králové, in Repubblica Ceca. Oggi solo Najin e Fatu, che sono madre e figlia, sono vive, ma non possono portare avanti una gravidanza per questioni di età (hanno 34 e 23 anni) e di salute.

    – Leggi anche: Cosa fai tutto il giorno quando la tua specie si è estinta: la vita di Najin e Fatu

    La speranza di far nascere nuovi rinoceronti bianchi settentrionali è legata al fatto che disponiamo di cellule vive di 12 diversi individui della specie. Dal 2019 gli scienziati di BioRescue hanno utilizzato delle cellule uovo di Fatu e lo sperma di Sudan e Suni per creare trenta embrioni di rinoceronti bianchi settentrionali che sono conservati a una temperatura di -196 °C all’Istituto Leibniz per la ricerca zoologica di Berlino, in Germania, e nel laboratorio di Avantea, un’azienda di biotecnologia specializzata nella riproduzione animale che si trova a Cremona, in Lombardia.
    Un altro ente italiano, l’Università di Padova, si occupa di analizzare gli aspetti etici dell’uso di femmine di rinoceronte bianco meridionale come madri surrogate e delle procedure seguite per farlo. Non sono semplici, anche per via delle dimensioni dei rinoceronti bianchi, che sono tra gli animali terrestri più grandi al mondo: gli adulti hanno una lunghezza compresa tra 3 e 4,5 metri e per impiantare un embrione in una femmina bisogna raggiungere un punto del suo apparato riproduttivo che è «2 metri dentro l’animale», ha spiegato Susanne Holtze dell’Istituto Leibniz a BBC News.
    Il feto di rinoceronte bianco meridionale di cui era incinta Curra, il 29 novembre 2023; la gravidanza dei rinoceronti dura 15-16 mesi (Jon A. Juárez)
    Per assicurarsi che la femmina sia pronta a portare avanti una gravidanza bisogna poi che ci siano determinate condizioni. Curra, che viveva nella riserva naturale di Ol Pejeta, in Kenya, come Najin e Fatu, era stata messa all’interno di una zona recintata insieme a Ouwan, un maschio su cui era stata praticata una vasectomia, cioè un intervento in cui si incide lo scroto e si recidono i due vasi che collegano i testicoli ai dotti eiaculatori e permettono il passaggio degli spermatozoi attraverso il pene. I maschi sottoposti a questa operazione hanno istinti e comportamenti sessuali come gli altri, ma non possono fecondare una femmina.
    Qualche giorno dopo l’accoppiamento tra i due rinoceronti, gli scienziati hanno addormentato Curra e hanno proceduto all’impianto di due embrioni di rinoceronte bianco meridionali ottenuti con la fecondazione in vitro nel laboratorio di Avantea (ne avevano usati due per avere maggiori probabilità di successo).
    Successivamente Ouwan aveva smesso di mostrare interesse nei confronti di Curra, cosa che faceva supporre che la femmina fosse incinta. BioRescue avrebbe dovuto accertarsene con maggiore sicurezza il 28 novembre, ma nei giorni precedenti sia Curra che Ouwan erano stati trovati morti: è stato ricostruito che le intense piogge di quel periodo avevano allagato il recinto in cui si trovavano, attivando le spore di un batterio che si trovava nel suolo. L’autopsia di Curra ha comunque dimostrato che la gravidanza era effettivamente cominciata e che un feto stava crescendo: secondo le analisi c’era il 95 per cento delle probabilità che sarebbe nato vivo dopo i 15-16 mesi necessari alla gravidanza nei rinoceronti. Un test del DNA eseguito questo mese all’Istituto Leibniz ha confermato che derivava da uno dei due embrioni impiantati.
    Ora BioRescue progetta di scegliere e preparare due altri rinoceronti bianchi meridionali, maschio e femmina, per ripetere l’operazione. Poi tenterà un nuovo trasferimento di embrioni, questa volta usando quelli di rinoceronte bianco settentrionale. Finora non è mai stata tentata una maternità surrogata con animali di due sottospecie diverse, quindi non è detto che funzionerà, ma gli scienziati sono ottimisti. Vorrebbero riuscire a far nascere un rinoceronte bianco settentrionale finché Najin e Fatu sono ancora vive, in modo che il piccolo possa vedere i comportamenti della sua specie e imparare il loro modo di comunicare.
    Se anche il progetto dovesse riuscire non è detto che la specie continuerà a esistere in futuro perché gli embrioni attualmente disponibili sono stati ottenuti da soli tre animali, quindi senza una sufficiente variabilità genetica per garantire la sopravvivenza di una eventuale popolazione sana. Tuttavia BioRescue sta anche lavorando per cercare di ottenere in laboratorio cellule uovo e spermatozoi che contengano il DNA degli altri rinoceronti bianchi settentrionali di cui conserviamo cellule vive.
    L’intero lavoro è considerato uno spreco di risorse da parte della comunità scientifica che ritiene che ci si dovrebbe concentrare sulla salvaguardia di specie che non sono già quasi estinte. Tuttavia i membri di BioRescue sostengono che l’umanità sia in debito con i rinoceronti bianchi settentrionali perché sarebbe responsabile della loro estinzione. LEGGI TUTTO

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    La raccolta di animali di questa settimana è una buona occasione per ripassare un po’ di nomi di uccelli: cormorani, storni, gru della Manciuria, gabbiani, chiurli, garzette, pappagalli, marabù e avvoltoi in più parti del mondo. Poi la storia di una femmina di cane di razza spaniel nata con sei zampe, il trasferimento di una giraffa in Messico, cavalli di razza Clydesdale e un panda e un ippopotamo che occupano il tempo mangiando. LEGGI TUTTO