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    Forse riusciremo a far nascere altri rinoceronti bianchi settentrionali

    Lo scorso settembre un gruppo di scienziati è riuscito a fare una cosa che potrebbe consentire la nascita di altri rinoceronti bianchi settentrionali, cioè di una specie il cui ultimo individuo maschio è morto nel 2018 e di cui restano solo due femmine. Gli scienziati hanno impiantato un embrione di rinoceronte bianco meridionale, la specie più simile a quella quasi estinta, in una femmina adulta della stessa specie che non ne era la madre biologica, ottenendo che si sviluppasse una gravidanza. Questo risultato lascia sperare che in futuro si potranno far nascere dei rinoceronti bianchi settentrionali, di cui esistono 30 embrioni conservati a basse temperature, usando delle rinoceronti bianche meridionali come madri surrogate.Questo tipo di procedura è comunemente usata per gli animali domestici ma non per quelli selvatici. Gli scienziati di BioRescue, il progetto internazionale che ha come obiettivo non fare estinguere i rinoceronti bianchi settentrionali, ci sono riusciti al tredicesimo tentativo. A novembre la rinoceronte incinta, che era chiamata Curra, è morta a causa di un’infezione senza legami con la gravidanza, ma l’autopsia sul suo corpo ha dimostrato che il feto che le era stato impiantato, e che a quel punto aveva 70 giorni, stava crescendo bene.
    I rinoceronti bianchi settentrionali e meridionali sono molto simili tra loro perché sono sottospecie molto vicine. Si sono differenziate vivendo in habitat diversi, probabilmente dopo essere state separate durante una glaciazione. L’habitat naturale dei rinoceronti bianchi settentrionali sono praterie con l’erba alta, in parte paludose; per questo avevano sviluppato zampe più larghe, adatte a camminare nel fango. I rinoceronti bianchi meridionali invece vivono nella savana.
    Negli ultimi secoli le attività umane hanno notevolmente ridotto l’estensione dell’habitat dei rinoceronti, peraltro danneggiati dalla caccia illegale: è per questo che oggi tutte le specie di rinoceronti sono in una qualche misura a rischio di estinzione. Dei rinoceronti bianchi meridionali si stima ce ne siano circa 10mila.
    Nessuna specie però è messa male come i rinoceronti bianchi settentrionali: si pensa che negli anni Settanta ne fossero rimasti circa 700 e a metà degli anni Ottanta erano solo 15. Nel 2008 non si trovarono più gli ultimi quattro esemplari che negli anni precedenti erano stati avvistati in natura: probabilmente furono uccisi da bracconieri. A quel punto erano rimasti solo gli esemplari presenti negli zoo e tra questi solo quattro potevano ancora riprodursi: le femmine Najin e Fatu e i maschi Sudan e Suni, dello zoo di Dvůr Králové, in Repubblica Ceca. Oggi solo Najin e Fatu, che sono madre e figlia, sono vive, ma non possono portare avanti una gravidanza per questioni di età (hanno 34 e 23 anni) e di salute.

    – Leggi anche: Cosa fai tutto il giorno quando la tua specie si è estinta: la vita di Najin e Fatu

    La speranza di far nascere nuovi rinoceronti bianchi settentrionali è legata al fatto che disponiamo di cellule vive di 12 diversi individui della specie. Dal 2019 gli scienziati di BioRescue hanno utilizzato delle cellule uovo di Fatu e lo sperma di Sudan e Suni per creare trenta embrioni di rinoceronti bianchi settentrionali che sono conservati a una temperatura di -196 °C all’Istituto Leibniz per la ricerca zoologica di Berlino, in Germania, e nel laboratorio di Avantea, un’azienda di biotecnologia specializzata nella riproduzione animale che si trova a Cremona, in Lombardia.
    Un altro ente italiano, l’Università di Padova, si occupa di analizzare gli aspetti etici dell’uso di femmine di rinoceronte bianco meridionale come madri surrogate e delle procedure seguite per farlo. Non sono semplici, anche per via delle dimensioni dei rinoceronti bianchi, che sono tra gli animali terrestri più grandi al mondo: gli adulti hanno una lunghezza compresa tra 3 e 4,5 metri e per impiantare un embrione in una femmina bisogna raggiungere un punto del suo apparato riproduttivo che è «2 metri dentro l’animale», ha spiegato Susanne Holtze dell’Istituto Leibniz a BBC News.
    Il feto di rinoceronte bianco meridionale di cui era incinta Curra, il 29 novembre 2023; la gravidanza dei rinoceronti dura 15-16 mesi (Jon A. Juárez)
    Per assicurarsi che la femmina sia pronta a portare avanti una gravidanza bisogna poi che ci siano determinate condizioni. Curra, che viveva nella riserva naturale di Ol Pejeta, in Kenya, come Najin e Fatu, era stata messa all’interno di una zona recintata insieme a Ouwan, un maschio su cui era stata praticata una vasectomia, cioè un intervento in cui si incide lo scroto e si recidono i due vasi che collegano i testicoli ai dotti eiaculatori e permettono il passaggio degli spermatozoi attraverso il pene. I maschi sottoposti a questa operazione hanno istinti e comportamenti sessuali come gli altri, ma non possono fecondare una femmina.
    Qualche giorno dopo l’accoppiamento tra i due rinoceronti, gli scienziati hanno addormentato Curra e hanno proceduto all’impianto di due embrioni di rinoceronte bianco meridionali ottenuti con la fecondazione in vitro nel laboratorio di Avantea (ne avevano usati due per avere maggiori probabilità di successo).
    Successivamente Ouwan aveva smesso di mostrare interesse nei confronti di Curra, cosa che faceva supporre che la femmina fosse incinta. BioRescue avrebbe dovuto accertarsene con maggiore sicurezza il 28 novembre, ma nei giorni precedenti sia Curra che Ouwan erano stati trovati morti: è stato ricostruito che le intense piogge di quel periodo avevano allagato il recinto in cui si trovavano, attivando le spore di un batterio che si trovava nel suolo. L’autopsia di Curra ha comunque dimostrato che la gravidanza era effettivamente cominciata e che un feto stava crescendo: secondo le analisi c’era il 95 per cento delle probabilità che sarebbe nato vivo dopo i 15-16 mesi necessari alla gravidanza nei rinoceronti. Un test del DNA eseguito questo mese all’Istituto Leibniz ha confermato che derivava da uno dei due embrioni impiantati.
    Ora BioRescue progetta di scegliere e preparare due altri rinoceronti bianchi meridionali, maschio e femmina, per ripetere l’operazione. Poi tenterà un nuovo trasferimento di embrioni, questa volta usando quelli di rinoceronte bianco settentrionale. Finora non è mai stata tentata una maternità surrogata con animali di due sottospecie diverse, quindi non è detto che funzionerà, ma gli scienziati sono ottimisti. Vorrebbero riuscire a far nascere un rinoceronte bianco settentrionale finché Najin e Fatu sono ancora vive, in modo che il piccolo possa vedere i comportamenti della sua specie e imparare il loro modo di comunicare.
    Se anche il progetto dovesse riuscire non è detto che la specie continuerà a esistere in futuro perché gli embrioni attualmente disponibili sono stati ottenuti da soli tre animali, quindi senza una sufficiente variabilità genetica per garantire la sopravvivenza di una eventuale popolazione sana. Tuttavia BioRescue sta anche lavorando per cercare di ottenere in laboratorio cellule uovo e spermatozoi che contengano il DNA degli altri rinoceronti bianchi settentrionali di cui conserviamo cellule vive.
    L’intero lavoro è considerato uno spreco di risorse da parte della comunità scientifica che ritiene che ci si dovrebbe concentrare sulla salvaguardia di specie che non sono già quasi estinte. Tuttavia i membri di BioRescue sostengono che l’umanità sia in debito con i rinoceronti bianchi settentrionali perché sarebbe responsabile della loro estinzione. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    La raccolta di animali di questa settimana è una buona occasione per ripassare un po’ di nomi di uccelli: cormorani, storni, gru della Manciuria, gabbiani, chiurli, garzette, pappagalli, marabù e avvoltoi in più parti del mondo. Poi la storia di una femmina di cane di razza spaniel nata con sei zampe, il trasferimento di una giraffa in Messico, cavalli di razza Clydesdale e un panda e un ippopotamo che occupano il tempo mangiando. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Si percepisce una temperatura invernale, a guardare gli animali fotografati nei giorni scorsi: pinguini in una strada ghiacciata, cavalli e pecore tra la neve, linci che ci si rotolano sopra, ma anche i soliti macachi giapponesi che invece cercano il caldo nelle sorgenti termali. Poi i discorsi tra due aquile di mare, animali benedetti per la festa di Sant’Antonio (patrono degli animali domestici) e l’espressione di un gatto a cui viene misurata la temperatura rettale. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    Sono tutte situazioni abbastanza ordinarie, quelle in cui sono ritratti gli animali fotografati in giro per il mondo nei giorni scorsi: un coniglio in un campo, uno stormo di uccelli al tramonto e daini tra la neve. Incuriosiscono di più il toro circondato da cani a Katmandu, o l’asino addobbato per una sfilata del giorno dell’Epifania, per finire con i fenicotteri dello zoo di Berlino in una stanza al coperto per ripararli dal freddo, e tre scimmie arrampicate su un lampione. LEGGI TUTTO

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    Quante specie viventi si trovano in una casa con giardino?

    Nel marzo del 2020, durante uno dei lockdown per il coronavirus, tre scienziati che si occupano di ecologia decisero di condurre un studio scientifico inedito: contare e catalogare tutte le specie viventi animali, vegetali e fungine presenti nella loro casa con giardino a Brisbane, in Australia. A dicembre i tre hanno pubblicato sulla rivista scientifica Ecology il risultato del conteggio: nel corso di un anno avevano osservato 1.168 specie diverse, di cui 876 di insetti. Sono più del triplo di quelle che si aspettavano i tre scienziati e 157 loro colleghi a cui avevano chiesto di provare a fare una stima verosimile.(Andrew M. Rogers, Russell Q-Y. Yong, Matthew H. Holden)
    Andrew Rogers è un ecologo che tra le altre cose si occupa di animali e piante invasive. Russell Yong è un biologo tassonomista, cioè esperto di classificazione delle specie viventi. Matthew Holden invece è un matematico specializzato nelle applicazioni della sua materia a problemi complessi che riguardano gli ecosistemi. Nel 2020 lavoravano tutti e tre per l’Università del Queensland e condividevano una casa con tre camere da letto e giardino che complessivamente occupa circa 400 metri quadri ad Annerley, un quartiere di Brisbane.
    Rogers ha raccontato al Brisbane Times che l’idea di contare tutti gli animali e le piante presenti nella casa gli venne facendo le pulizie, dopo aver notato che nel suo armadio c’erano parecchi ragni: «Stavo cercando di farli uscire, per evitare di farli finire dentro l’aspirapolvere ed erano tanti. Mi sono chiesto quanti coinquilini avessi tra i ragni e poi tra le falene, le mosche e via dicendo». Coinvolse nell’impresa Yong e Holden, che peraltro invitarono altri scienziati del mondo a imitarli proponendo la conta delle specie di casa come un’attività per passare il tempo durante i lockdown.

    How many species are in your home? Count them! #StayHomeBiodiversityChallenge. We’re surveying our home for plants & animals. Opportunity to learn about local flora/fauna. Look at these beautiful moths & butterflies #StayHomeAustralia #stayHome #COVID19 #stayathome #quarantine pic.twitter.com/bPgf5XPriD
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) April 1, 2020

    Tra le specie osservate dai tre nel giardino tra il 29 marzo 2020 e il 28 marzo successivo ce ne sono tante che si trovano facilmente lungo la costa orientale dell’Australia: uccelli come l’ibis bianco australiano e il kookaburra, e il tricosuro volpino, un marsupiale molto comune, furono avvistati fin dai primi giorni del monitoraggio. Molte altre sono più rare e tre non erano nemmeno incluse nel principale elenco scientifico delle specie presenti in Australia: una specie di zanzara, una di mosca e una di vermi piatti, animali vermiformi non molto conosciuti. Quest’ultima è la specie chiamata Platydemus manokwari, nativa della Nuova Guinea e invasiva e dannosa in varie parti del mondo.
    Secondo Rogers, Yong e Holden è improbabile che le tre specie ancora non registrate come presenti in Australia siano rare nel paese: «Il fatto che la loro presenza non fosse documentata indica piuttosto che sottostimiamo molto le popolazioni degli ambienti urbani».

    Say hello to our #vampire moth, Calyptra minuticornis! It mostly pierces fruit, but vampire moths get their name from the fact that they also have been observed sucking the blood of mammals. No threat to humans though. #StayHomeBiodiversityChallenge @UQ_CBCS pic.twitter.com/kgVwSHG5jJ
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) April 20, 2020

    Tra gli insetti, quelli più comuni trovati dai tre scienziati sono stati lepidotteri, cioè farfalle e falene. In totale 437 specie: alcune grandi come una mano umana, ma la maggior parte di dimensioni molto ridotte. Una di quelle che hanno interessato di più Rogers, Yong e Holden è la specie Calyptra minuticornis, detta “falena vampira”: non ha un aspetto particolarmente vistoso, ma deve il suo nome al fatto che in alcune occasioni succhia il sangue dei mammiferi su cui si posa, esseri umani compresi.
    I tre scienziati si sono stupiti di aver osservato meno di cento specie di coleotteri, l’ordine di insetti che comprende un maggior numero di specie: «Può darsi che il nostro risultato sia il sintomo del declino delle popolazioni di coleotteri, che è stato osservato nel mondo», hanno scritto, «ma può anche darsi che sia stato un pessimo anno per i coleotteri nel nostro quartiere».
    Le specie di piante individuate nel giardino della casa sono state 103, di cui 100 non originarie dell’Australia. Quest’abbondanza di specie vegetali provenienti da altre parti del mondo non deve stupire perché è una situazione comune nei giardini e negli spazi verdi urbani, dove da circa due secoli vengono fatte crescere in grande misura piante acquistate nei vivai a scopo decorativo: in tutte le città del mondo si trovano piante originarie di luoghi lontani. Nove delle piante osservate erano quelle che comunemente sono chiamate “erbacce”, e che sono tra le specie più adattabili in assoluto.
    Rogers, Yong e Holden pensano che il gran numero di specie che hanno trovato sia dovuto in buona parte al fatto che il giardino della casa non era molto curato. Di solito sui prati tagliati di frequente e nelle aiuole ordinate non si trova una gran varietà di specie di insetti, che invece possono prosperare più facilmente in un giardino dove non vengono usati tagliaerba e insetticidi.

    Cute close up with a parasitic wasp this weekend. Yet to ID this species for our #StayHomeBiodiversityChallenge where we count the wildlife found at home. One of 27 wasps so far. Probably a type of Brachonid wasp? More photos of it on @inaturalist https://t.co/pVihWwemF8 pic.twitter.com/DeKOIzqkQr
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) June 22, 2020

    Brisbane è una grande città con quasi 2 milioni e mezzo di abitanti, ma si trova in uno dei paesi che si stima abbiano una maggiore biodiversità, cioè ricchezza di specie animali diverse. Per questo Nicola Bressi, zoologo curatore del Museo civico di storia naturale di Trieste ed esperto dei rapporti tra gli esseri umani e le altre specie animali, stima che facendo un esperimento analogo in una casa con giardino in Europa si incontrerebbe un numero di specie più ridotto: «Dipende dalla città e dal tipo di giardino intorno alla casa, i tre naturalisti immagino lo tenessero molto “bio”. Diciamo che a mia esperienza potremmo ridurre la conta a un terzo. Forse un quarto nelle città meno verdi e più inquinate e trafficate. E ovviamente più si scende da Oslo verso Catania, più aumentano gli inquilini».
    Nel conteggio delle 1.168 specie australiane rientra anche Homo sapiens, a cui chiaramente appartengono Rogers, Yong e Holden: è stata inclusa per precisione. Non sono state prese in considerazione invece le specie viventi che generalmente sono invisibili all’occhio nudo, cioè i batteri e gli archei. Se fosse stato fatto il numero di specie totali trovate nella casa sarebbe stato significativamente più alto.

    – Leggi anche: Il forestale che credeva ai folletti, uno Storie/Idee di Nicola Bressi LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    In alcuni zoo del mondo l’inizio dell’anno nuovo ha coinciso con il censimento dei suoi animali: lo zoo di Londra, come da tradizione, ha cominciato a contare ogni singolo animale delle più di 300 specie che ospita, comprese zebre, pinguini e millepiedi che trovate in questa raccolta. Poi ci sono una femmina di gorilla e il suo cucciolo, un’iguana e oche e cigni che si muovono in spazi urbani allagati per le forti piogge in Inghilterra. LEGGI TUTTO

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    Il più grande ragno dei cunicoli finora scoperto

    In Australia è stato scoperto il più grande individuo mai osservato di ragno dei cunicoli (Atrax robustus), tra i ragni più velenosi e aggressivi al mondo. Per le sue grandi dimensioni è stato chiamato “Hercules” e sarà tenuto in cattività per poterne estrarre il veleno, in modo da produrre un antiveleno da utilizzare nel caso di persone morse accidentalmente da uno dei suoi simili. Se non trattato adeguatamente, il morso del ragno dei cunicoli può causare gravi problemi di salute e in alcuni casi la morte.Hercules era stato trovato lungo la regione della Costa Centrale in un luogo una cinquantina di chilometri a nord di Sydney, la città più popolosa dell’Australia. Inizialmente era stato trasportato in un ospedale della zona per poterlo gestire in sicurezza e in seguito era stato trasferito all’Australian Reptile Park, una piccola riserva che si occupa della cura e della tutela di molte specie locali. All’interno del parco un’area è dedicata all’estrazione del veleno da ragni e altri animali velenosi, proprio con l’obiettivo di produrre antidoti e di fare attività di ricerca sulla loro efficacia.
    Dopo avere ricevuto il ragno dei cunicoli, i responsabili del parco hanno velocemente realizzato di avere a che fare con l’individuo più grande mai identificato di Atrax robustus). Comprese le zampe, il ragno raggiunge una larghezza massima di 8,9 centimetri, ben al di sopra dei 5 centimetri raggiunti di solito dagli individui più grandi. È inoltre particolare che un maschio abbia dimensioni così grandi, considerato che solitamente sono più piccoli delle femmine, per quanto più letali.
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    Emma Teni, una delle responsabili del parco, ha detto ad Associated Press: «Siamo abituati alle donazioni di grandi ragni dei cunicoli, ma ricevere un maschio di questa specie così grande è come vincere alla lotteria. Anche se le femmine sono più velenose, i maschi hanno mostrato di essere più letali». L’estrazione del veleno consentirà di produrre maggiori quantità di antiveleno, che in caso di necessità può essere inviato agli ospedali che ne fanno richiesta. L’iniziativa fu avviata nel 1981 e da allora non sono state più registrate morti a causa del ragno dei cunicoli in Australia.
    Hercules e i suoi simili, per quanto di taglia inferiore, vivono nelle aree boschive, ma in alcuni casi possono essere trovati anche nei parchi e nei giardini dell’area di Sydney e più a nord fino alla città di Newcastle lungo la costa. La specie è presente solo in Australia come le altre sempre appartenenti al genere Atrax. In inglese sono di solito definiti “funnel-web spiders”, letteralmente “ragni dalla tela a imbuto” per via della particolare forma delle loro ragnatele. LEGGI TUTTO

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    Perché non ci sono mammiferi verdi?

    Il colore verde di solito si associa al concetto di natura: sono verdi le foglie delle piante e lo sono molti animali, tra cui diversi tipi di insetti, molluschi e di vertebrati, in particolare tra i pesci, gli anfibi, i rettili e gli uccelli. Non sono verdi invece i mammiferi, la classe di animali vertebrati in cui rientrano anche gli umani: una peculiarità che nel tempo ha suscitato la curiosità dei lettori di riviste di divulgazione scientifica e dei frequentatori di forum online.Alla domanda “perché non ci sono mammiferi verdi?” non si può rispondere in modo univoco. La questione si può prendere da diversi punti di vista: quello dei ragionamenti sui vantaggi evolutivi dell’avere il pelo o la pelle di un colore piuttosto che di un altro, e quello sulle caratteristiche fisiche proprie dei peli, uno degli attributi che distinguono i mammiferi dagli altri animali.
    I colori della parte più esterna dei corpi degli animali, che si tratti di pelle nuda, squame, penne o peli, possono essere dovuti a due diversi meccanismi fisici. «Uno è la presenza di pigmenti all’interno delle cellule», spiega Adriano Martinoli, zoologo esperto di mammiferi e professore dell’Università dell’Insubria, nonché coautore del podcast del Post sulle specie aliene Vicini e lontani. I pigmenti sono sostanze colorate che determinano il colore di un tessuto. «E il colore dei pigmenti presenti in alcune cellule si può mischiare, non fisicamente ma alla vista, a quello di pigmenti contenuti in altre cellule, producendo nuovi colori».
    È un pigmento verde la clorofilla, la sostanza presente nelle cellule delle foglie che assorbe parte dell’energia del Sole che alimenta le piante. In autunno, quando le ore di luce diminuiscono, le cellule contenenti la clorofilla di molte piante diventano meno vitali e riducono via via la fotosintesi clorofilliana: come conseguenza le foglie cambiano colore, perché diventano visibili altre sostanze, in precedenza oscurate dal verde della clorofilla. Sono ad esempio i carotenoidi che hanno colori caldi che variano dal rosso al giallo. I pigmenti contenuti all’interno della pelle umana (oltre che nei capelli) sono invece le melanine: il colore varia in base alla quantità e al tipo di queste sostanze, fattori che sono influenzati dai geni e dall’esposizione alla luce solare.
    Il colore di un animale però può essere dovuto anche a qualcosa di più complesso, cioè a una «microstruttura fisica superficiale che riflette la luce in un certo modo», spiega Martinoli: «Ad esempio la colorazione scrotale di molti primati durante il periodo riproduttivo non è dovuta a un pigmento, ma alla riflessione della luce. Nelle cellule dell’epidermide infatti ci sono delle microstrutture che, riflettendo la luce, fanno apparire la superficie della pelle stessa di un certo colore, cosa che in realtà non è».
    È il caso della pelle dei mandrilli, i primati dell’Africa centro-occidentale noti per i colori sgargianti dei loro musi, rossi e blu. Il rosso è dovuto all’emoglobina, una proteina di colore rosso presente nel sangue (e quindi un pigmento), mentre il blu ha un’origine diversa. I pigmenti azzurri sono molto rari in natura e nel caso dei mandrilli il blu è prodotto dal modo in cui sono disposte le fibre di collagene nella loro pelle (il collagene è a sua volta una proteina). È un meccanismo che riguarda anche i colori delle penne di molti uccelli variopinti: non contengono pigmenti colorati, tant’è che se le si guarda ingrandite al microscopio le si vede bianche e marroncine.
    Una femmina di mandrillo e il suo piccolo nello zoo di New Orleans, negli Stati Uniti, nel 2020 (AP Photo/Gerald Herbert)
    Il fenomeno fisico responsabile di questi colori è simile a quello per cui il cielo diurno appare azzurro.
    La luce solare è una radiazione elettromagnetica ed è composta da onde di diversa frequenza. A ciascuna corrisponde un colore diverso, in uno spettro che va dal rosso al violetto, passando per l’arancione, il giallo, il verde e il blu. Quando la luce passa attraverso l’atmosfera non viene diffusa tutta allo stesso modo: quella a cui corrispondono frequenze più alte è diffusa molto di più per come sono fatte le particelle dell’atmosfera, e quindi vediamo il cielo azzurro perché la luce che è riflessa e che ci arriva è principalmente di questo colore. Anche il violetto corrisponde a un’alta frequenza ma il sole emette più luce blu che violetto.
    Qualcosa di analogo avviene con le penne degli uccelli o con la pelle di certi animali: in quest’ultimo caso c’entra la struttura microscopica del collagene.
    La struttura fisica dei peli, che sostanzialmente sono tubi di cheratina poco complicati, non consente di produrre questo tipo di effetto, a differenza delle più complesse penne degli uccelli. E per quanto riguarda i pigmenti può contenere solo i diversi tipi di melanina, che danno colori che variano tra il giallo e il marrone scuro. La feomelanina ad esempio dà sfumature tra il giallo e il rossiccio, mentre l’eumelanina è responsabile dei marroni scuri, che in alcuni casi arrivano vicino al nero. Quando i peli sono bianchi significa che non contengono pigmenti e il grigio è dato da una mescolanza di nero e bianco. Il rosso del pelo di certi mammiferi è comunque diverso da quello più acceso del piumaggio di alcuni uccelli, che invece è dovuto a un tipo di pigmenti che i mammiferi non hanno: i carotenoidi.

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    A questa riflessione più strettamente legata alla fisica si può aggiungere un ragionamento sui vantaggi evolutivi legati al colore, basato su ciò che sappiamo della storia dei mammiferi. I mammiferi derivano da un gruppo di rettili ancestrale, come pure gli uccelli. Come spiega Martinoli, in questo gruppo probabilmente mancava già la capacità di produrre alcuni pigmenti, quindi non è stata ereditata. Oppure può darsi che la capacità ci fosse ma sia andata persa nel corso dell’evoluzione perché non era utile, cioè non forniva vantaggi adattativi.
    Infatti in origine i mammiferi occupavano «nicchie biologiche»: in un mondo in cui gli animali dominanti più diffusi sulla Terra erano rettili, i mammiferi vivevano nei pochi contesti rimasti liberi. Erano perlopiù animali di piccola o piccolissima taglia attivi di notte. Per questo è probabile che non avessero bisogno di avere un aspetto vistoso e colori sgargianti, così come una vista raffinata: l’olfatto e l’udito erano sensi più rilevanti.
    C’è anche un altro aspetto, cioè che la gran parte dei mammiferi ha una visione in bianco e nero, dicromica. La presenza dei colori non sarebbe stata utile per l’accoppiamento, come succede invece per molte specie di uccelli in cui i maschi attraggono le femmine anche per la qualità del loro piumaggio.
    I colori dei mandrilli, che sono primati (e quindi mammiferi) si spiegano per via di una peculiarità dei primati stessi. «Per dei casi fortuiti di mutazioni degli occhi i primati fanno eccezione e hanno una visione tricromica, cioè vedono i colori», prosegue ancora Martinoli. «E pare che nei primati ancestrali questa visione dei colori sia stata una chiave di successo, perché permetteva di distinguere molto bene i frutti maturi». Sarebbe stato un vantaggio evolutivo importante.

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    Per quanto riguarda il mimetismo, cioè l’abilità di confondersi con l’ambiente, i colori vicini al marrone di molti piccoli mammiferi sono adatti a non risaltare al suolo e nel sottobosco. E anche pellicce che a noi possono apparire vistose, come quelle delle tigri, sono in realtà adatte al mimetismo se ci si vuole nascondere da animali (prede in questo caso) che hanno una visione dicromatica.
    In un certo senso comunque dei mammiferi col pelo verde ci sono, anche se non si tratta di pelo propriamente verde. Sono i bradipi, gli animali noti per la lentezza nei movimenti che vivono sugli alberi in alcune regioni dell’America centrale e meridionale: sui loro peli crescono delle alghe che fanno la fotosintesi, dunque sono verdi e danno questa sfumatura alla pelliccia dei bradipi. Gli scienziati ritengono che la presenza delle alghe sia vantaggiosa: sia perché consente di mimetizzarsi meglio tra le foglie degli alberi e nascondersi dai predatori, sia perché è una fonte aggiuntiva di cibo.
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