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    M5s al bivio dell’identità, ma Conte punta all’egemonia sul campo largo

    Ascolta la versione audio dell’articoloNel week end gli iscritti del M5s sono chiamati a votare, rigorosamente on line, la conferma di Giuseppe Conte a presidente del M5s dopo quattro anni dalla sua prima elezione. E, soprattutto, il 23 e 24 novembre si vota in Campania dove l’ex presidente della Camera e volto storico del movimento Roberto Fico guida la coalizione di centrosinistra per succedere al dem Vincenzo De Luca, che lo sostiene con la sua lista A testa alta: perdere non è contemplato, né per il M5s né per il Pd schleiniano che ha voluto e supportato la storica candidatura. Per questo il caso di Chiara Appendino, l’ex sindaca di Torino dimessasi da vicepresidente del partito per protestare contro la linea dell’alleanza con il Pd in nome della “purezza” delle origini, viene subito sopito e l’assemblea dei gruppi parlamentari si trasforma in un generico sfogatoio.Caso Appendino silenziato (per ora): occhi sul voto in CampaniaCerto, in caso di debacle in Campania (l’asticella nella regione più “grillina” d’Italia è almeno al 10%) il vaso di Pandora dello scontento si riaprirebbe. Ma la verità è che alla linea dell’alleanza con il Pd per l’alternativa “progressista” al governo Meloni non c’è alternativa. E, una volta fatto fuori il fondatore Beppe Grillo (letteralmente: nel novembre del 2024 è stata votato dall’assemblea degli iscritti l’abolizione della figura del Garante), sulla linea Appendino c’è solo il solito Danilo Toninelli o quasi. Tra i critici c’è sicuramente Sarah Disabato, coordinatrice de M5s in Piemonte, così come le senatrici Mariolina Castellone ed Elena Sironi, il deputato Antonio Iori e l’ex senatore Alberto Airola: una piccola rete pro Appendino che potrebbe allargarsi solo in caso di gravi sconfitte elettorali come alternativa a Conte ma che per ora non è in grado di sabotare la linea.Loading…A fronte della perdita di consensi aumenta la marcatura sui temi identitariMa è chiaro che il crollo continuo delle percentuali alle amministrative, con un M5s ridotto attorno al 5%, preoccupa anche la dirigenza contiana: segno, come per altro dimostrano i flussi elettorali, che gli elettori “grillini” restano volentieri a casa quando il movimento è alleato con il Pd e soprattutto quando si tratta di andare a votare per un candidato del Pd. C’è insomma una buona fetta di elettorato che la pensa come Appendino e che in mancanza di corsa identitaria si rifugia nell’astensione. Da qui l’insistenza di Conte sui temi cari al M5s, come dimostra anche la sigla degli accordi di coalizione nelle regioni al voto, dalla Toscana alle Marche che hanno già votato fino alla Campania e alla Puglia dove si vota a fine novembre: reddito di cittadinanza regionale, anche se non è chiaro come possa essere garantito a livello locale quando è stato abolito a livello centrale, il no ai rigassificatori e ai termovalorizzatori e via dicendo. Paletti identitari per il M5s ma che creano non pochi problemi a un Pd storicamente più pragmatico, almeno sui territori.L’obiettivo di Conte è l’egemonia sul campo largo, fino alla premiershipL’obiettivo di Conte è d’altra parte quello di conquistare l’egemonia del campo largo proprio a partire dall’imposizione dei temi e dell’agenda politica. E di certo una leadership dem molto spostata a sinistra come quella di Elly Schlein finisce per agevolarne il disegno pur senza volerlo. Un’egemonia che l’ex premier ritiene di poter conquistare anche in prima persona facendo leva sulla sua esperienza a Palazzo Chigi dal 2018 al 2021 e sulla sua immagine rassicurante di premier della pandemia. E qualcuno tra i dem, come il gran consigliere di Conte stesso Goffredo Bettini, sembrano lavorare nella stessa direzione. Se alla fine ci saranno primarie di coalizione per scegliere il candidato premier ci saranno perché il leader del M5s riterrà di poterle vincere, magari contando sulla divisione degli elettori di riferimento del Pd con una candidatura di disturbo come quella della sindaca di Genova Silvia Salis. E in questo schema se non ci saranno le primarie è perché Conte avrà deciso di non partecipare e di proporre al Pd un “civico” in grado di rappresentare tutti, come ad esempio il sindaco di Napoli e presidente dell’Anci Gaetano Manfredi, che di Conte è stato ministro dell’Università e della ricerca nel secondo governo giallorosso. Insomma, per Conte la posta in gioco è molto più alta di qualche punto percentuale eventualmente perduto dal M5s alle urne. Appendino è avvertita. E Schlein pure. LEGGI TUTTO

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    Meloni supera Craxi e festeggia: il suo è il terzo Governo più longevo. Strategia e incognite

    Ascolta la versione audio dell’articolo«Oggi il Governo che ho l’onore di guidare diventa il terzo più longevo della storia repubblicana. Continueremo a lavorare con serietà, determinazione e senso di responsabilità per essere all’altezza del mandato che ci avete affidato». Giorgia Meloni, alla vigilia del terzo compleanno dell’Esecutivo – che ha giurato al Quirinale il 22 ottobre 2022 – affida a un post sui social il ringraziamento agli elettori. «Il vostro sostegno e la vostra fiducia – aggiunge – sono il motore della nostra azione quotidiana».I numeri: ora restano da battere solo i Governi Berlusconi 2 e 4Più volte nelle scorse settimane, durante i comizi a sostegno dei candidati alle regionali, Meloni ha citato tra le prime «previsioni smentite» della sinistra quella della presunta breve durata che il Governo di destra avrebbe avuto. I numeri danno ragione alla premier: oggi l’Esecutivo taglia il traguardo dei 1.094 giorni, superando il primo Governo di Bettino Craxi che era rimasto in carica per 1.093 giorni nel periodo compreso tra il 4 agosto 1983 e il 1° agosto 1986. Aveva già superato l’Esecutivo di Matteo Renzi, durato 1.024 giorni (dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016). E adesso corre per battere i record dei Governi di Silvio Berlusconi: il Berlusconi II è il più lungo della storia della Repubblica, rimasto in carica per 1.412 giorni tra l’11 giugno 2001 e il 23 aprile 2005. Al secondo posto c’è il Berlusconi 4, con 1.287 giorni: dall’ 8 maggio 2008 al 16 novembre 2011.Loading…La stabilità come valoreNon si tratta di semplici calcoli da calendario. Perché la stabilità politica, per Meloni, va di pari passo con la prudenza nella gestione dei conti pubblici, confermata dalla manovra più leggera dell’ultimo decennio: poco più di 18 miliardi. Stabilità e prudenza sono i pilastri scelti dalla premier, in tandem con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di una strategia complessiva per acquisire al Paese quella credibilità troppo spesso mancata in passato.I verdetti delle agenzie di ratingUn asset che sta valendo all’Italia la fiducia dei mercati, come dimostrano i recenti verdetti delle agenzie di rating: la promozione di Fitch da BBB a BBB+ (con outlook stabile), la conferma di Standard&Poor’s che aveva promosso il Paese ad aprile e lo ha confermato e, da ultimo, il rialzo di Dbrs Morningstar ad A da BBB, con trend stabile. La spiegazione sta proprio nel binomio stabilità-credibilità: l’Italia – ha sottolineato Dbrs – sta attraversando un «periodo di stabilità politica che garantisce maggiore prevedibilità nell’eleborazione delle politiche e credibilità nei suoi piani di bilancio». Tutto il contrario della Francia, che infatti sconta il peggioramento dei giudizi. Il prossimo passo sarà Moody’s il 21 novembre: a maggio aveva confermato per l’Italia il rating a BAA3 (un gradino sopra “junk”, il livello spazzatura), alzando però l’outlook da stabile e positivo. Se anche quella revisione suonerà al rialzo, Meloni e Giorgetti potranno tirare un sospiro di sollievo.Il sentiero disegnato con BruxellesIl merito, naturalmente, non è soltanto del Governo. L’Europa è stata determinante nel richiamare gli Stati membri a rientrare dagli sforamenti con i Piani di bilancio strutturali di medio termine. Un compito che, però, l’Italia sta attuando con particolare diligenza, con l’obiettivo di uscire con un anno di anticipo, già nel 2026, dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo e attivare la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di Stabilità e crescita, che vale un massimo dell’1,5% del Pil in flessibilità per escludere le spese per la difesa. LEGGI TUTTO

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    Caso Santanchè, oggi si decide sulla sospensione per la presunta truffa all’Inps

    Ascolta la versione audio dell’articoloDopo oltre tre mesi si torna in aula stamattina per l’udienza preliminare a Milano a carico della ministra Daniela Santanchè, imputata con il compagno Dimitri Kunz, una terza persona e Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria per la vicenda della presunta truffa aggravata ai danni dell’Inps sulla cassa integrazione nel periodo Covid.Il nodo della sospensioneL’udienza dovrebbe essere tutta dedicata a due questioni procedurali e, dunque, la ministra che avrebbe dovuto essere presente, da programma, per rendere interrogatorio o dichiarazioni non sarà in aula, proprio perché, per la difesa, non è necessaria la sua presenza.Loading…A tenere banco sarà verosimilmente il nodo della sospensione o meno del procedimento, in attesa della decisione della Consulta sul conflitto di attribuzione sollevato dal Senato. Già nell’udienza del 9 luglio la difesa Santanchè, coi legali Salvatore Pino e Nicolò Pelanda, aveva sollevato la questione dell’inutilizzabilità in particolare di una serie di registrazioni di conversazioni private tra la senatrice di FdI ed Eugenio Moschini, ex direttore di Pc Professionale, e di messaggi di posta elettronica in cui compariva come messa in copia per conoscenza. Inutilizzabilità perché, per la difesa, non venne chiesta dai pm per l’acquisizione l’autorizzazione a procedere del Parlamento.Il 24 settembre, poi, il Senato ha approvato la proposta di aprire davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione con la Procura milanese su quegli atti. E a questo punto le difese dovrebbero chiedere al gup di sospendere il procedimento in attesa della Consulta. Questioni, dunque, che dovranno essere risolte dalla gup Tiziana Gueli e in caso di stop dell’udienza preliminare si profilerebbe un rinvio di diversi mesi.Santanché in Senato: “Campagna di odio nei miei confronti”La memoria dei PmI pm Marina Gravina e Luigi Luzi, invece, depositeranno una memoria per replicare alla questione della difesa sulla inutilizzabilità, che ritengono infondata in quanto non si tratta intercettazioni disposte dalla Procura, ma di conversazioni registrate da ex dipendenti e di mail da loro depositate nel fascicolo. E che vanno trattate alla stregua di documenti, senza necessaria richiesta di autorizzazione a procedere. La Procura si opporrà anche alla richiesta di sospensione del procedimento, perché il conflitto di attribuzione non è stato sollevato dall’autorità giudiziaria come nel “caso Open”, ma dal Senato. E quando non fu aperto dalla magistratura ma dal Parlamento, come nella vicenda “trattativa Stato-mafia”, non ci fu alcuno stop del procedimento. Secondo l’accusa, le due società del gruppo Visibilia, fondato dalla ministra, avrebbero richiesto e ottenuto “indebitamente” la Cig in deroga, “a sostegno delle imprese colpite dagli effetti” della pandemia, per 13 dipendenti e per oltre 126mila euro, l’ammontare della presunta truffa, tra maggio 2020 e febbraio 2022. E anche Santanchè, all’epoca presidente del Cda di Visibilia Editore e amministratore unico di Concessionaria, e Kunz, ex consigliere ed ex ad di Editore, secondo i pm, sarebbero stati “consapevoli” del presunto raggiro e del fatto che quelle 13 persone in realtà lavoravano, anche se formalmente erano in Cig. “La dottoressa Santanchè si è sempre occupata un po’ della parte vendite (…) non è mai entrata nella gestione amministrativa (…) del lato amministrativo-finanziario non si è mai occupata e ho sempre avuto autonomia io e non ho mai chiesto”, aveva messo a verbale in aula il terzo imputato, Paolo Giuseppe Concordia, ex collaboratore esterno. LEGGI TUTTO

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    Meloni a Landini: «Io cortigiana? È obnubilato dal rancore». La replica: «Nessun insulto»

    Ascolta la versione audio dell’articoloGiorgia Meloni contro Maurizio Landini. La premier scrive su X: “Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, evidentemente obnubilato da un rancore montante (che comprendo), mi definisce in televisione una “cortigiana”. Penso che tutti conoscano il significato più comune attribuito a questa parola, ma, a beneficio di chi non lo sapesse, ne pubblico la prima definizione che si trova facendo una rapida ricerca su Internet».La premier prosegue: «Ed ecco a voi un’altra splendida diapositiva della sinistra: quella che per decenni ci ha fatto la morale sul rispetto delle donne, ma che poi, per criticare una donna, in mancanza di argomenti, le dà della prostituta». Meloni pubblica anche la definizione di un dizionario: “Donna dai facili costumi, etera; eufem. prostituta”.Loading…Il riferimento di Meloni è a un passaggio dell’ultima puntata di diMartedì su La7, di cui Landini è stato ospite. Il programma, a proposito di Gaza e delle manifestazioni, inquadra il passaggio del comizio di Meloni prima delle regionali in Toscana, sul fatto che lo sciopero generale, «in Palestina non cambia niente e in compenso in Italia gli italiani hanno un sacco di problemi e particolarmente ce l’hanno i lavoratori che il sindacato dovrebbe difendere». Landini in trasmissione replica che «i lavoratori sono scesi in piazza per difendere l’onore di questo Paese, mentre Meloni stava a fare la cortigiana di Trump».A seguire la replica di Landini in una nota: «Nessun insulto sessista e nessun rancore. Martedì sera, ospite di Giovanni Floris a ’Di Martedì’, in un’intervista di dieci minuti, che chiunque può facilmente rivedere, rispondendo a una domanda sull’accordo di tregua in Medio Oriente, ho immediatamente chiarito, per evitare qualsiasi fraintendimento o strumentalizzazione del termine utilizzato, cosa intendevo dire: che Meloni è stata sulla scia di Trump, è stata alla corte di Trump, ha fatto il portaborse di Trump. Ho espresso, evidentemente, un giudizio politico sul mancato ruolo del nostro governo e della sua presidente del Consiglio» LEGGI TUTTO

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    Giorgetti a Washington: «Per l’Ucraina servono un sacco di soldi, e deve metterli l’Europa»

    Ascolta la versione audio dell’articoloIl ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è a Washington per gli Annual Meeting Fmi, G7, G20 per discutere, tra l’altro, di Ucraina, Russia e Cina. Giorgetti incontrerà anche le delegazioni delle principali agenzie di rating.Il ministro dell’Economia ha detto, rispondendo a margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale, a chi gli chiedeva cosa fosse emerso dal G7 sull’Ucraina: «Servono un sacco di soldi e sostanzialmente deve metterli l’Europa, mi sembra di aver capito questo».Loading… LEGGI TUTTO

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    Sardegna, la Consulta annulla la decadenza di Todde: resta presidente

    Ascolta la versione audio dell’articoloAlessandra Todde resta presidente della Regione Sardegna. Sulla vicenda che riguarda la decadenza della governatrice della Sardegna c’è ora una schiarita. E arriva con la sentenza numero 148 della Corte costituzionale secondo cui «ha esorbitato dai propri poteri, cagionando una menomazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione Sardegna, il collegio regionale di garanzia elettorale pronunciandosi sulla decadenza della presidente della Regione Sardegna in ipotesi non previste dalla legge come cause di ineleggibilità». Al centro dell’ordinanza ingiunzione, trasmessa poi al Consiglio regionale, c’erano presunte irregolarità nella rendicontazione delle spese e nella nomina del mandatario.I rilievi dei giudiciI giudici della Consulta hanno rilevato che i Collegi regionali di garanzia elettorale, «istituiti dalla legge numero 515 del 1993 per esercitare il controllo sulle spese della campagna elettorale dei candidati per le elezioni politiche dei due rami del Parlamento – controllo poi esteso dalla legge numero 43 del 1995 alla elezione dei Consigli regionali nelle Regioni a statuto ordinario – sono organi dello Stato che operano in condizioni di indipendenza al fine di garantire la genuinità e l’autenticità del formarsi della volontà del corpo elettorale, in una con la libertà di voto degli elettori».Loading…Sistema anche in SardegnaIl sistema di controllo, affidato a tali organi, è operante anche nella Regione Sardegna per effetto di una scelta del legislatore. La Corte ha poi evidenziato «che le pur gravi fattispecie contestate alla Presidente eletta (tra le quali, la mancata nomina di un «mandatario elettorale», avente il compito di raccogliere i fondi della campagna elettorale, e la produzione una dichiarazione sulle spese sostenute, con relativo rendiconto, caratterizzata da diverse non conformità rispetto alle previsioni di legge) non sono riconducibili a quelle che, in modo esplicito, la legge numero 515 del 1993 ha selezionato come ipotesi di ineleggibilità e, quindi, di decadenza». Con il risultato che «nell’imporre la decadenza al Consiglio regionale, sulla base dei fatti così accertati, il Collegio di garanzia elettorale ha, pertanto, esorbitato dai propri poteri». Poi anche la precisazione che rimane impregiudicata la questione relativa alla possibilità di riqualificazione dei fatti, che è rimessa al giudice civile, competente per il giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione. In questo caso l’ordinanza ha formato oggetto del giudizio civile promosso da Todde dinanzi al Tribunale di Cagliari, che l’ha confermata, quanto alla sanzione pecuniaria irrogata, il 28 maggio scorso.Con la sentenza depositata, la Corte ha anche dichiarato inammissibile il conflitto promosso dalla stessa Regione Sardegna nei confronti dello Stato sulla sentenza di rigetto del tribunale di Cagliari.La reazione di Todde«Ho appreso da Bruxelles la notizia della sentenza della Corte Costituzionale mentre presiedevo il Forum delle regioni insulari europee – dice Alessandra Todde -. La Consulta ha riconosciuto che il Collegio di garanzia elettorale ha esorbitato dai propri poteri, pronunciandosi sulla mia decadenza in ipotesi non previste dalla legge come cause di ineleggibilità, e ha quindi menomato le attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione Sardegna». LEGGI TUTTO

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    La Lega stretta tra Vannacci e Zaia, lancia la campagna per il Veneto

    Ascolta la versione audio dell’articoloAll’indomani della batosta elettorale in Toscana, con la Lega sotto il 5%, sono in pochi nel Carroccio a essere solidali con il generale Roberto Vannacci, dominus della campagna elettorale e della composizione delle liste. A lui è imputata la percentuale flop, causata secondo molti dall’estromissione di colleghi di partito con più anzianità di servizio e radicamento sul territorio, come l’europarlamentare Susanna Ceccardi. I malumori sono più forti soprattutto tra i dirigenti della vecchia guardia legati alle battaglie autonomiste e federaliste.I malumori nella LegaTra i primi a esporsi in una analisi del voto il segretario lombardo, Massimiliano Romeo, che senza citare l’ex generale si è limitato ad osservare che «va bene il contributo di chi può dare un valore aggiunto, ma se si perde l’identità, il territorio e la militanza non ci si può meravigliare del calo di fiducia». A seguire è stato il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari a parlare di «errori da non ripetere», spiegando che «la Lega è forte e vince quando parla di autonomia, federalismo e territorio e valorizza gli amministratori sul territorio. La Toscana ha una sua classe dirigente che in questa campagna è stata estromessa e il fatto di lanciare un messaggio ideologico da una parte sola non è il messaggio della Lega». Mentre il presidente della Lombardia Attilio Fontana ha chiosato: «Il risultato deludente della Lega in Toscana è forse la constatazione che la Lega deve continuare ad essere il partito dei territori e della gente. Bisogna riprendere in mano quelli che sono i nostri valori»Loading…A tre anni dalle elezioni politiche la Lega continua a girare insomma attorno al problema irrisolto: partito regionale fondato su istanze autonomiste e rappresentanza dei territori o partito nazionale a forte componente ideologica di destra.Vannacci: avanti ancora più determinatiVannacci, espressione della seconda linea, non accenna ad autocritiche, anzi rilancia: «Chi non ha votato poi non si lamenti», dice tranchant, assicurando che il calo dei consensi non è che «un punto di partenza» e aggiungendo che «noi non perdiamo mai, o vinciamo o impariamo». Nessuna intenzione, insomma, di arretrare: «Chi pensa che io mi fermi non mi conosce, chi pensa che mi scoraggi sbaglia». Ora anzi si va avanti «ancora più determinati».La campagna di Stefani in VenetoChi invece è senz’altro espressione delle istanze autonomiste e territoriali è Alberto Stefani, il candidato a succedere a Luca Zaia, che sta sta preparando la campagna elettorale per la sua corsa a Palazzo Balbi. E a mezza bocca sono in molti nel Carroccio a tirare un sospiro di sollievo per il fatto che l’ex generale non abbia un ruolo anche nella campagna elettorale nella terra del Doge. Questa sera Stefani inaugura la campagna elettorale dal Gran Teatro Geox di Padova. Accanto a lui sul palco, oltre a Matteo Salvini (cha a Vannacci ha dato ruolo e spazio in Toscana), prenderà la parola anche il governatore uscente, Luca Zaia, arrivato alle battute finali dei suoi 15 anni consecutivi alla guida del Veneto. LEGGI TUTTO

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    Regionali, il centrodestra guarda al Veneto con l’incognita Zaia

    Ascolta la versione audio dell’articoloArchiviata la sconfitta in Toscana data per scontata fin dall’inizio, il centrodestra scalda i motori per il mini-election day di fine novembre in Veneto (vittoria facile), Puglia (sconfitta certa) e Campania (si punta almeno al buon risultato) che andrà guardato in controluce per vedere l’esito della competizione interna tra gli alleati che sostengono il governo Meloni. Le strategie in ciascuna delle tre regioni saranno molto diverse. Intanto la Lega ha fatto la scelta di eliminare “Salvini premier” dai simboli locali: in Campania si presenta come “Lega – Cirielli presidente”, in Puglia con “Lega-Lobuono presidente”. E anche in Veneto, dove l’intesa raggiunta dai leader la scorsa settimana aveva come corollario anche il no al nome di Zaia nel simbolo, dovrebbe comparire “Lega – Stefani presidente”.Al via la campagna elettorale in VenetoAlberto Stefani, il giovane deputato, a capo del partito regionale e vice nazionale di Matteo Salvini, si prepara all’apertura ufficiale della campagna mercoledì a Padova, nel palazzetto che di solito ospita i concerti. Il leader leghista sarà con lui sul palco e così farà Luca Zaia. E lì, secondo le attese che si registrano sul territorio, Zaia potrebbe anche finalmente svelare che ne sarà del suo futuro. Nel suo partito e tra gli alleati sono tutti pronti a scommettere che scenderà in campo come capolista per il Consiglio regionale, nonostante le rimostranze che non ha perso occasione di esplicitare negli ultimi giorni.Loading…L’irritazione di Zaia«Se sono un problema vedrò di renderlo reale, il problema. Cercherò di organizzarmi in maniera tale da rappresentare fino in fondo i veneti» le parole che va ripetendo. Le sue stoccate dai leghisti vengono attribuite a malumori nei confronti di Fratelli d’Italia – che ha sì ceduto sul governatore ma ha prenotato tutti i posti che contano in giunta e messo il “veto” su l’oramai quasi ex governatore. Non solo non potrà correre con una sua lista ma il suo cognome non comparirà neppure nel simbolo della Lega. Il Doge continua a mantenere il mistero: «Il futuro? lo comunicherò quando sarà l’ora». Ma in tanti continuano a vedere una staffetta Stefani-Zaia in parlamento, visto che il candidato leghista se diventasse presidente (ma nel centrodestra nessuno antepone il se) libererebbe un collegio uninominale per il quale scatterebbero le elezioni suppletive. In Veneto ad ogni modo dove non dovrebbe esserci una lista “Stefani” ma potrebbe esserci una lista “autonomista”.Gli obiettivi di Fdi«Salvini recupererà in Veneto» la batosta toscana, dicono gli alleati. Ma sarà da vedere anche il piazzamento di Forza Italia, soprattutto al Sud. Mentre il partito di Giorgia Meloni in territorio veneto conta di fare una buona performance, pur nella consapevolezza di non poter replicare i rapporti di forza delle politiche e delle europee (dove Fdi ha superato il 37%), anche perché «il candidato ha un effetto traino».La partita in CampaniaLo stesso che i meloniani puntano ad avere in Campania, dove Edmondo Cirielli sta ultimando a sua volta le liste. In corsa, nonostante gli ultimi dinieghi in pubblico e il coté di polemiche, ci sarà quasi sicuramente anche l’ex ministro Gennaro Sangiuliano (probabile capolista a Napoli). La coalizione qui presenterà una lista del presidente e una civica (in sostanza sempre del presidente) o forse due, accanto a quelle dei partiti. LEGGI TUTTO