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    Tassazione separata: cos’è, quando si applica e come si calcola

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    I punti chiave

    Quando si parla di Fisco, in Italia come altrove, non è sempre tutto immediato. Tra le varie modalità di tassazione previste, ce n’è una meno conosciuta ma molto importante: la tassazione separata. Si applica a determinati redditi “speciali” e ha l’obiettivo di evitare che il contribuente venga penalizzato dal principio della progressività dell’Irpef. Ma vediamo di cosa si tratta esattamente e come funziona.Perché esiste la tassazione separataL’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, è un’imposta progressiva: più si guadagna, più alta è l’aliquota da pagare. Questo meccanismo funziona bene per i redditi regolari, percepiti mese per mese. Ma cosa succede se una persona riceve, in un solo anno, un importo elevato relativo a più anni passati? È il caso, ad esempio, della liquidazione (Tfr) o degli arretrati di stipendio.Senza un correttivo, questi redditi “una tantum” verrebbero sommati a quelli ordinari e sottoposti a una tassazione più alta, anche se maturati nel tempo. Per evitare questa distorsione esiste la tassazione separata: un sistema pensato per trattare in modo autonomo questi redditi, calcolando l’imposta in maniera più equa.Quando si applicaLa tassazione separata non riguarda tutti i tipi di reddito, ma solo quelli elencati dalla normativa. Tra i principali troviamo:Tfr e indennità di fine rapporto, comprese anche le somme percepite per la cessazione di collaborazioni o incarichi autonomi;arretrati di lavoro dipendente, percepiti per effetto di contratti collettivi o sentenze;rimborsi di oneri dedotti in anni precedenti, ad esempio spese sanitarie o interessi sui mutui rimborsati da enti o assicurazioni;alcune plusvalenze immobiliari, se si opta per l’imposta sostitutiva;alcune indennità o emolumenti percepiti una tantum, come premi non ricorrenti legati alla cessazione del rapporto.La logica è sempre la stessa: il reddito viene considerato “eccezionale” o riferito ad anni passati, e quindi non deve alterare il carico fiscale dell’anno in cui viene incassato.Come si calcolaIl calcolo varia a seconda del tipo di reddito, ma in linea generale esistono due modalità principali:Aliquota media: viene determinata una media delle aliquote Irpef degli anni in cui il reddito è maturato. Questo vale, ad esempio, per il Tfr: si fa riferimento agli ultimi cinque anni di lavoro per calcolare un’aliquota rappresentativa, evitando salti d’imposta.Imposta sostitutiva fissa: alcuni redditi, come certe plusvalenze su immobili o terreni, possono essere tassati con un’imposta sostitutiva (ad esempio il 20%) al posto dell’Irpef. Anche questo rientra nella tassazione separata, ma con un meccanismo diverso.Chi calcola e chi pagaIn molti casi è il sostituto d’imposta (cioè il datore di lavoro o l’ente che eroga il reddito) a calcolare l’imposta separata e trattenerla alla fonte. Il contribuente riceve così l’importo già “netto” e non deve fare nulla nella dichiarazione dei redditi.Tuttavia, ci sono casi in cui il reddito va comunque dichiarato: l’Agenzia delle Entrate, in seguito, calcola l’imposta dovuta e invia un avviso. È il caso, ad esempio, dei rimborsi di oneri dedotti. Non sono inoltre esclusi, anche a distanza di tempo, ed entro 5 anni, “ricalcoli” su eventuali importi già dichiarati, come nel caso di un incentivo all’esodo concordato col datore di lavoro. LEGGI TUTTO

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    Flop di Stellantis in Italia. Impianti ai minimi dal ’56

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    Per Stellantis un primo trimestre 2025 nero: produzione italiana in caduta libera e ai livelli del 1956 (109.900 veicoli, -35,5%, di cui 60.532 auto, -42,5%). E poi c’è la tegola dei dazi di Donald Trump e il conseguente incarico a McKinsey di occuparsi delle situazioni di Maserati (rischio cessione come extrema ratio?) e Alfa Romeo. Per Stellantis, gruppo ancora privo di una guida operativa dopo l’uscita multi milionaria di Carlos Tavares, lo stato dell’arte continua a essere molto complesso e soprattutto preoccupante. Ad aumentare dubbi e tensioni è arrivata la notizia, rilanciata da Bloomberg, secondo cui il presidente e ceo ad interim di Stellantis, John Elkann, si sarebbe rivolto a McKinsey per una consulenza strategica su Maserati e Alfa Romeo, ovvero di valutare opzioni per i due marchi iconici tra cui partnership con realtà manifatturiere per l’accesso a nuove tecnologie. Immediato, secondo l’agenzia, sarebbe arrivato l’interesse di alcuni gruppi asiatici (cinesi), mentre già c’è chi ipotizza – come ultima mossa – la possibile cessione di Maserati. «A McKinsey è stato chiesto di valutare gli effetti dei dazi su Alfa Romeo e Maserati», il commento secco a Bloomberg di un portavoce di Stellantis.Rocco Palombella, segretario generale Uilm, in una lettera al presidente Elkann, la seconda sullo stesso argomento in 8 mesi, ricorda le rassicurazioni fornite su Maserati, come risposta, dall’ex ad Tavares, cioè «di grandi passi verso un’ulteriore espansione a livello internazionale», mentre i dati attuali rivelano un calo del 73% della produzione di vetture con il Tridente. Problemi per Maserati e anche Alfa Romeo, aggiunge Palombella, che «Elkann addebita ai dazi, ma la causa è da ricercare nelle scelte prese da tempo che stanno decretando la morte industriale del Tridente». La creazione di un Polo del lusso con Ferrari «è l’unico spin-off che ci convince», altrimenti «occorrono investimenti immediati e nuovi modelli», rimarca il leader Uilm.E se un’opzione fosse il trasloco delle linee GranCabrio e GranTurismo da Mirafiori a Modena, stabilimento che da gennaio ha sfornato solo 30 modelli Maserati? Contrario è Ferdinando Uliano, segretario generale Fim-Cisl, perché in questo modo si toglierebbe ulteriore linfa al polo torinese che attende, per fine anno, il «salvagente» Fiat 500 ibrida dopo il flop del modello elettrico che anche sul mercato americano non ha rispettato le ambiziose attese. LEGGI TUTTO

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    Fibercop tira in ballo il governo per scalzare Open Fiber dal Pnrr

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    Si sta discutendo di come farle sposare, ma per il momento rimangono rivali. Lo scorso 2 aprile, infatti, Fibercop (che ha tra gli azionisti il fondo Kkr e il ministero dell’Economia) ha scritto una lettera al governo (e a diversi ministeri) per chiedere di subentrare a Open Fiber negli appalti di Italia 1 Giga finanziati con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per cablare con la fibra ottica 7 milioni di civici in tutta Italia. Secondo quanto riportato da Reuters, che ieri ha diffuso i contenuti della missiva, la finalità sarebbe di favorire il raggiungimento dei target del Pnrr laddove Open Fiber risulta essere più in ritardo (dei 15 lotti di Italia 1 Giga, 8 sono stati assegnati a Open Fiber e 7 a Fibercop). Interpellata da Il Giornale, la società presieduta da Paolo Ciocca e guidata dall’amministratore delegato Giuseppe Gola non ha voluto commentare il contenuto della lettera.Secondo quanto raccolto, tuttavia, non ci sarebbe al momento alcuna disponibilità di cedere il passo a Fibercop, per lo meno senza una richiesta esplicita da parte dei soci (Cassa depositi e prestiti al 60% e fondo Macquarie al 40 per cento).Non è chiaro come e se la richiesta di Fibercop possa trovare accoglimento, soprattutto in quei punti dove Open Fiber ha già allacciato diversi civici e sui quali ha cominciato a vedere affluire (seppure in numeri limitati) i primi clienti. La cosa, comunque, potrebbe essere agevolata dalle interlocuzioni in corso tra i vari azionisti (Kkr e Mef da una parte) e (Cdp e Macquarie dall’altra) per arrivare alla rete unica mettendo insieme i due operatori.Per compensare i ritardi accumulati, il governo ha già ridotto il numero di civici da collegare tagliandoli di 155mila unità su un target complessivo europeo di 3,4 milioni. Al momento, però, anche a causa dei ritardi per lo sblocco del piano di rifinanziamento con le banche, Open Fiber sarebbe più in ritardo rispetto a Fibercop. LEGGI TUTTO

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    Spazio, Leonardo all’Antitrust Ue. Ma a pagare sono le pmi italiane

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    Il big europeo dello Spazio che potrebbe nascere dall’integrazione delle attività stellari di Airbus, Thales e Leonardo rischia di rimanere a terra. E di far fare all’Italia, con Leonardo, la «stampella» dei francesi, almeno finanziariamente.Il progetto dei tre player – che oggi si presenteranno alla vicepresidente esecutiva della Commissione Ue Teresa Ribera, che è anche responsabile dell’Antitrust europea – nasce in salita per molte ragioni. Una su tutte, le difficoltà economiche in cui versa, ad esempio, la divisione spaziale di Airbus. Leonardo e Thales – guidate dai ceo Roberto Cingolani (nella foto) e Patrice Caine – sono già alleate nelle attività spaziali attraverso Telespazio e Thales Alenia Space, mentre Airbus – guidata dal ceo Guillaume Faury – ha in corso un piano di riorganizzazione per l’andamento negativo del business dei satelliti per le comunicazioni.Guardando ai numeri, la situazione di complica. Nel 2024, il settore spaziale di Airbus ha affrontato significative difficoltà: Airbus Defence and Space ha registrato un ebit adjusted (utile operativo rettificato) di -566 milioni, in netto peggioramento rispetto ai 229 milioni del 2023, dopo 1,3 miliardi di oneri finanziari nel settore spazio e una revisione dei programmi. Quanto a Thales Alenia Space, joint venture tra Thales (67%) e Alenia (33%), se i conti 2024 sono in crescita, preoccupa il piano della capogruppo che prevede la soppressione di 1.237 posti di lavoro in Europa tra gli 8.600 dipendenti della sua filiale spaziale Thales Alenia Space (Tas).Fare massa critica, si potrebbe obiettare, potrebbe aiutare. Ma l’Italia, su questo fronte può correre da sola e, come anticipato da il Giornale, il progetto spaziale che sarà presentato oggi alla commissaria Ue rischia di compromettere il sistema italiano delle pmi – circa 400 imprese per 3 miliardi di fatturato – marginalizzando, e cancellando, il cuore della filiera spaziale nazionale. LEGGI TUTTO

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    StM, carica alla baionetta Italia-Francia

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    Scontro frontale tra Italia e Francia sulla governance di StMicroelectronics. Con una lettera inviata il 4 aprile ai vertici del gruppo dei chip, il presidente del Consiglio di sorveglianza Nicolas Dufourcq ha rispedito al mittente la proposta di nomina di Marcello Sala (direttore generale del ministero dell’Economia) quale rappresentante italiano, preannunciando un veto totale e il mancato appoggio per il suo ingresso nel consiglio.Un semaforo rosso senza precedenti che alza la tensione ai massimi livelli nella guerra fredda tra i due Paesi, da tempo distanti sulla gestione del gruppo dei chip pariteticamente controllato con il 27,5% da Roma e Parigi.Nelle intenzioni del Mef, Sala dovrebbe prendere il posto del dimissionario Maurizio Tamagnini, ma a mettersi di traverso è stata la fronda che sostiene a tutti i costi l’attuale ceo Jean-Marc Chery. «Ciò che non può essere accettato – scrive nero su bianco Dufourcq – sono le posizioni assunte dal Sig. Sala, pubblicamente e privatamente, sulla gestione della società, con una forte denuncia della strategia e una richiesta ripetuta di sostituzione del Sig. Chery, contrariamente alla decisione unanime del Consiglio dell’anno scorso e al voto del 99,9% dell’assemblea generale annuale».In soldoni, secondo il manager francese Sala non può entrare in consiglio perché ha criticato Chery, che come più volte denunciato ufficialmente dal ministero guidato da Giancarlo Giorgetti, da troppo tempo conduce una gestione sbilanciata sulla Francia e non è all’altezza del ruolo. Prova ne sono il dimezzamento del valore del titolo nel 2024, il forte calo (-23%) dei ricavi e gli annunciati tagli a personale e produzione in Italia. Per non parlare della disastrosa class action in corso negli Usa, con Stm accusata di aver rilasciato delle dichiarazioni fuorvianti su propri risultati economici, nascondendo il peggioramento del mercato dei semiconduttori. Chery, peraltro, è stato accusato nella class action anche di aver sfruttato il rigonfiamento artificiale dei risultati di StMicroelectronics e di conseguenza del titolo per guadagnare dalla vendita di azioni.Nonostante ciò, il fronte francese lo difende a spada tratta e ora fa ostruzionismo sulle nuove nomine (3 su 9 spettano all’Italia). Nella lettera, l’unica apertura riguarda «il nome e il profilo della signora Simonetta Acri che dovrebbero ottenere un’ampia approvazione«, scrive Dufourcq. Ma si tratta di dettagli.Secondo quanto appreso dal Giornale, il Mef ora è intenzionato a riproporre il nome di Sala e quello della Acri senza passi indietro. Il terzo nome è già deciso da tempo: rimarrà Paolo Visca, consigliere del ministro Giorgetti. Il 28 maggio si terrà ad Amsterdam l’assemblea generale degli azionisti del gruppo, ma il mese che si apre non mancherà di colpi di scena. LEGGI TUTTO

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    Le Borse Ue rialzano la testa. Piazza Affari recupera il 2,4%

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    È presto per dire se si sia trattato del classico rimbalzo del gatto morto, oppure se possa aprirsi un mini trend di recupero. Ma sta di fatto che la giornata di ieri interrompe l’emorragia di denaro dei tre giorni seguiti all’annuncio sui dazi di Donald Trump, costati 10mila miliardi di capitalizzazione di Borsa a livello mondiale. Almeno in Europa. Ieri, Piazza Affari ha chiuso in positivo del 2,4% sedendosi sul finale di una seduta che l’ha vista arrivare anche al +3,5% dopo l’apertura positiva di Wall Street. I titoli migliori di giornata sono stati Leonardo (+7,4%), Unipol (+7,2%), Fineco (+5,2%) e Banca Mediolanum (+5,3%). Anche gli altri principali listini europei hanno visto rialzi di poco superiori a Milano: Francoforte (+2,9%), Londra (+2,7%) e Parigi (+2,5%).E che la giornata fosse bene intonata lo si era capito fin dalle prime battute del mattino, quando dai listini asiatici arrivava la notizia del grosso rimbalzo dell’indice Nikkei di Tokyo (+6%) e la risalita dell’indice Hang Seng di Hong Kong (+1,5%). A scandire l’andamento del mercato è stata una giornata aperta con un’indiscrezione del Wall Street Journal che dava conto di un pressing di Elon Musk su Trump per convincerlo a fare una marcia indietro sui dazi.L’amministrazione americana non sembra essere incline a rinunciare alla sua linea dura, ma nella prima parte della giornata aveva prevalso la speranza di un negoziato poi spazzata via dall’annuncio di dazi al 104% alla Cina.Tant’è che Wall Street è partita positiva, per poi azzerare i guadagni intorno alle 20 italiane (-0,06% l’S&P 500 e -0,14% il Nasdaq). Secondo il segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent, circa 70 Paesi sono pronti a negoziare con gli Stati Uniti. Mentre il presidente Trump, su Truth Social, ha scritto che anche la Cina «vuole moltissimo un accordo» e di aspettarsi «una chiamata», prima di piazzare una nuova zampata in risposta alle parole dure dei cinesi. Sempre secondo Bessent, Pechino sarebbe in una posizione di svantaggio con Washington perché «noi esportiamo in Cina un quinto di quello che loro esportano negli Stati Uniti». Anche dall’Europa il portavoce della Commissione Ue parla di negoziati con Washington, aggiungendo però che Bruxelles li farà «con il bazooka sul tavolo». LEGGI TUTTO

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    Freccia Londra-Parigi. Sfida di Fs all’Eurostar

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    Il mercato del trasporto ferroviario europeo si arricchirà di una nuova proposta. Il gruppo Fs Italiane ha annunciato un nuovo collegamento ferroviario ad Alta Velocità tra Londra e Parigi, previsto per il 2029. Una sfida diretta al consorzio ferroviario Eurostar (l’alleanza tra ferrovie francesi e belghe, un fondo britannico e una banca canadese che opera sulla Manica, ndr) che è parte integrante del Piano Strategico 2025-2029 di Ferrovie e che mira ad estendere l’Alta Velocità oltre i confini italiani, ponendosi in concorrenza diretta con i vettori aerei. Con un investimento stimato di un miliardo di euro, Fs compie così un salto di qualità nel suo percorso di espansione internazionale, puntando su uno dei corridoi più frequentati d’Europa. Il progetto prende forma grazie alla firma di un Memorandum of Understanding con Evolyn, consorzio spagnolo guidato dalla famiglia Cosmen, già pèarticolarmente attivo nella mobilità su scala internazionale.Per l’ad e dg di Fs, Stefano Antonio Donnarumma (in foto), «questo investimento rappresenta un passo decisivo nella visione del gruppo Fs di costruire una rete ferroviaria europea più integrata, competitiva e sostenibile, in linea con gli obiettivi del piano strategico 2025-2029». Il nuovo servizio sarà modellato sull’esperienza del Frecciarossa. LEGGI TUTTO

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    Dazi USA, Capobianco (Conflavoro): “10 miliardi dal PNRR per imprese export e filiere”

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    “Proponiamo di attivare un piano shock da 10 miliardi di euro, derivanti da fondi inutilizzati del PNRR, sulla falsariga di RePowerEU, per salvaguardare le filiere più esposte, rafforzare il Made in Italy e sostenere l’export delle PMI anche verso mercati alternativi. Bisogna evitare una guerra dei dazi che diventerebbe facilmente una guerra dei mondi, causando un ulteriore aumento del costo del denaro che metterebbe in seria difficoltà l’accesso al credito per tutte le PMI. Con il Governo possiamo lavorare insieme per vincere queste sfide: mantenere l’alleanza storica con gli USA, ma anche aprire maggiormente ai mercati emergenti, come già del resto previsto dal Piano d’azione per l’export del ministero degli Esteri. È il momento di fare sistema e guardare avanti con realismo e visione”. Così Roberto Capobianco, presidente nazionale di Conflavoro, al Tavolo di Palazzo Chigi sui dazi.L’associazione propone inoltre l’istituzione urgente di una task force interministeriale permanente – composta da MIMIT e Ministero del Lavoro – per monitorare le crisi aziendali legate ai dazi e attivare strumenti di politica attiva del lavoro: percorsi di formazione, incentivi alla ricollocazione e accompagnamento alla transizione verso settori in crescita.Il Centro Studi di Conflavoro, guidato da Sandro Susini, ha infatti pubblicato un’analisi dettagliata delle possibili conseguenze dei dazi USA per l’economia italiana. Lo studio stima una contrazione potenziale del PIL di 2 miliardi di euro e un rischio occupazionale per circa 30 mila lavoratori, con agroalimentare (5.700 posti) , moda e lusso (4.500), meccanica e automotive (4.500) tra i più esposti. Seguono arredamento di design (3.400) e cantieristica navale (3.000), ma anche un eventuale calo del turismo dagli USA potrebbe portare alla perdita di 2.000 posti nel settore. LEGGI TUTTO