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Sette anni senza Marchionne. L’uomo che ha riportato l’Italia al centro del mondo automotive

Era il primo giugno 2004, pochi giorni dopo l’addio a Umberto Agnelli, quando Sergio Marchionne, fresco consigliere indipendente nel board della Fiat, ricevuto l’incarico di amministratore delegato dopo l’uscita di scena di Giuseppe Morchio, si presentava per la prima volta ai giornalisti. Al suo fianco, il presidente di allora, Luca di Montezemolo e John Elkann, appena 28enne, vicepresidente, al quale il nonno, Gianni Agnelli, scomparso l’anno prima, aveva lasciato l’incarico di futura guida dell’impero di famiglia. Marchionne, del quale ieri ricorreva il settimo anno dalla morte, nonostante il ruolo di vertice ricoperto nella Sgs, colosso svizzero per il controllo della gestione, era per lo più sconosciuto ai media italiani, tanto che al termine della conferenza stampa, un giornalista torinese lo chiamò Marchionni, scambiandolo per il manager alla guida di Fondiaria Sai.

C’è voluto poco tempo, da quel giorno, per portare Marchionne (Umberto Agnelli e Gianluigi Gabetti, i suoi grandi sponsor, ci avevano visto giusto) alla ribalta nazionale e internazionale. In 14 anni, grazie alla sua visione, la capitalizzazione della Fiat era decuplicata, mentre il titolo della Ferrari, scorporata dal gruppo e quotata dal 4 gennaio 2016, è salito vertiginosamente dagli iniziali 43 euro agli attuali 438 euro con cui ha aperto ieri le contrattazioni.

Al suo fianco e per un certo periodo anche Montezemolo, con sempre Gabetti come punto di riferimento, John Elkann è cresciuto managerialmente, diventando via via il punto di riferimento della famiglia. La svolta nel 2010 con la sua nomina a presidente della Fiat, incarico che mantiene tuttora, ma al vertice di Stellantis, il mega gruppo nato nel 2021 dalla fusione di Fiat Chrysler Automobiles, creatura di Marchionne, con i francesi di Psa.

Dalla scomparsa di Marchionne tutto è cambiato, in peggio, complice anche la pandemia che ha affossato il settore automotive, in via di ripresa dopo la crisi Lehman Brothers e, successivamente, per le scelte politiche prese

a livello europeo che hanno portato il “sistema” al collasso. In questi anni, la mancanza di un manager del calibro di Marchionne, dotato di una visione strategica pragmatica, si è fatta sentire. Senza contare che ha salvato in tempi da record una Fiat al collasso, ha avuto una particolare sensibilità verso i marchi iconici italiani, per poi vincere la scommessa Usa su Chrysler. E come valore aggiunto è sempre stato capace di farsi sentire ai più alti livelli (Casa Bianca in primis) e ottenere la fiducia dei sindacati. Se nel 2010 il referendum svoltosi a Pomigliano d’Arco sul nuovo contratto Fiat avesse premiato la linea Fiom, in quegli anni guidata da Maurizio Landini, di sicuro la geografia produttiva del Paese ne sarebbe uscita male.

Nel momento in cui si è capito che Marchionne, ricoverato a Zurigo, non ce l’avrebbe fatta, Elkann ha passato il volante di Fca all’inglese Mike Manley, con trascorsi negli Stati Uniti alla Chrysler. E da allora il gruppo ha cercato di trovare il partner ideale, con cui unirsi in matrimonio, e formare un vero colosso mondiale.

In verità, Marchionne ci aveva provato ad allargare ulteriormente la famiglia, senza però riuscirci. Aveva bussato invano alle porte della Opel, trovando però le barricate poste dalla cancelliera Angela Merkel. Fallito anche il tentativo con il gigante americano General Motors, ma anche qui a prevalere era stato il ‘no’ di Mary Barra, tuttora numero uno. Anche Volkswagen («I tedeschi di Wolfsburg – confessò un giorno a pranzo a chi scrive – sono meglio degli americani come alleati») e Psa erano entrate nel mirino. «Il vero problema delle fusioni – il suo pensiero – è di tipo culturale e su come gestire l’azienda ». Tre anni dopo la morte di Marchionne, ecco nascere Stellantis, dopo il tentativo naufragato di unire Fca con Renault. A capo c’è Carlos Tavares, di cui Marchionne, sempre in quel pranzo, conoscendolo, aveva parlato bene: «Mi piace e sa gestire bene la cucina, inoltre odia Carlos Ghosn».

Anche nel solo ruolo di presidente della Ferrari (dal 2014 sino alla dipartita) e assistendo a quello che ha combinato Tavares, imposto dai francesi, tra scelte azzardate e penalizzazione dell’Italia,

chissà come avrebbe reagito Marchionne e cosa avrebbe detto a Elkann, testimone silente fino al recente cambio della guardia di un gruppo messo alle corde. E su Marelli, gioiello di famiglia, successivamente ceduta e ora in grave difficoltà? «Il mio pensiero – così l’ex ad di Fca – è che Marelli possa trovare una vita fuori da Fca che però può restare azionista». Non è andata così.

Marchionne è stato un manager lungimirante: aveva previsto il flop dell’auto elettrica («costi di produzione elevati, colonnine insufficienti e, soprattutto, il fatto di spacciare come green vetture la cui energia è prodotta utilizzando fonti fossili»). E sulla Ferrari, sempre in confidenza, aveva detto che nel 2019 le sue supercar sarebbero state tutte ibride, mentre a proposito della crisi del Cavallino nella Formula 1 si era lasciato sfuggire di puntare su Max Verstappen («un burino temerario») e dell’esigenza per Maranello “di prendere un po’ di italiani”.

Un manager severo, duro e deciso, ma che ha rappresentato un esempio di vicinanza e attaccamento ai valori che in

questi anni si è perso per strada. Il nuovo ad di Stellantis è Antonio Filosa che ha fatto parte del suo team. A lui il compito di proseguire sulla strada del pragmatismo e del rispetto della sua Italia e dei suoi lavoratori.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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