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La sicurezza economica

C’è un punto, nella dialettica ormai strutturale tra Roma e Bruxelles, che dovrebbe restare fuori da ogni negoziato: la sicurezza nazionale. Non solo quella militare, che ci viene spontaneo associare a radar, confini e difesa armata. Ma quella economica, altrettanto decisiva, e forse ancor più insidiosa, proprio perché spesso silenziosa e dissimulata dietro operazioni di mercato apparentemente «ordinarie». Ieri il ministro Giancarlo Giorgetti lo ha nuovamente ribadito con fermezza, rispondendo alla Direzione generale della Concorrenza europea, che si è detta infastidita dall’attivazione del Golden Power da parte del governo italiano sul tentativo di scalata del Banco Bpm da parte di Unicredit. Un’operazione che, sebbene combattuta con estrema animosità, nelle carte può sembrare un’ordinaria vicenda di mercato. Ma che, nei fatti, rischia di mutare per sempre una parte del paesaggio bancario italiano, alterando equilibri delicatissimi, e in prospettiva riducendo la capacità del Paese di esercitare il controllo su uno dei pilastri del proprio sistema finanziario. Nessuno ha detto che l’operazione non s’ha da fare, semplicemente sono stati posti dei paletti destinati a ridurre questi rischi potenziali.

Ebbene, Giorgetti ha posto un confine. Non negoziabile. A Bruxelles che solleva questioni, risponde con un linguaggio netto ma misurato, che la sovranità economica è parte integrante della sovranità nazionale. E che, su questo, non si può accettare che la Commissione Ue si arroghi un diritto di ultima istanza. Quest’ultima può avere voce, può vigilare sull’antitrust, può intervenire laddove si registrino distorsioni palesi della concorrenza. Ma non può sostituirsi ai governi nel valutare cosa rappresenta un rischio sistemico per la sicurezza nazionale.

Chi scrive condivide in pieno questa posizione. Per una ragione semplice: nessun ordinamento comunitario può cancellare la prerogativa fondamentale di uno Stato di preservare la propria infrastruttura strategica. In un momento in cui l’Europa è sotto assedio militarmente, per il protrarsi della guerra in Ucraina; economicamente, per l’aggressività con cui le superpotenze si contendono asset industriali e tecnologici è impensabile disarmare i governi nazionali sul terreno della vigilanza economica.

Il Golden Power non è una distorsione del mercato. È un anticorpo, un dispositivo di ultima difesa adottato da molti Paesi dagli Stati Uniti alla Germania con maggiore frequenza e minori scrupoli di quanto faccia l’Italia. Non si tratta di nazionalismo economico, ma di realismo strategico. Di comprensione del contesto. Di dovere istituzionale verso i cittadini e verso il sistema economico nazionale.

È dunque legittimo, e persino doveroso, che il governo italiano imponga condizioni su operazioni di consolidamento bancario che possono generare effetti irreversibili. Non stiamo parlando di fusioni industriali in settori marginali. Qui si gioca la partita del credito, della tenuta dei risparmi, del rapporto fiduciario tra lo Stato e il suo sistema finanziario.

Chi in Europa chiede a Roma di farsi da parte dovrebbe prima guardare a casa propria. Perché le stesse regole di concorrenza che oggi si brandiscono contro il governo italiano sono state spesso ignorate piegate quando si trattava di tutelare interessi strategici franco-tedeschi. Basti pensare ad alcune fusioni bancarie in Germania, mai ostacolate; o al ruolo attivo dello Stato francese nelle partite energetiche e digitali. La pretesa che Bruxelles diventi il giudice finale su cosa minacci o meno la sicurezza nazionale di uno Stato membro è una deriva pericolosa. Non è una richiesta tecnica, ma politica. E come tale va duramente respinta.

Perché ciò che è strategico per l’Italia non può essere deciso da un algoritmo comunitario o da una valutazione generica di «distorsione concorrenziale». Serve rispetto per i confini, anche economici. E serve coraggio nel difenderli. Giorgetti dimostra di averli entrambi.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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