La corda si è spezzata. Il filo rosso che ancora univa Baku Steek a Taranto per salvare e rilanciare il polo siderurgico dell’acciaio è svanito. Secondo indiscrezioni raccolte dal Giornale, l’esito del vertice di ieri a Bari tra gli enti locali e i sindacati con l’ennesimo «no» alla nave rigassificatrice che avrebbe dovuto portare il gas azero in Puglia, ha chiuso l’ultimo spiraglio della trattativa aperta mesi fa con il socio selezionato con procedura di gara. Da oggi, dunque, ufficialmente alla corte dell’ex Ilva non c’è più nessun privato. Mesi di analisi e selezione andati in fumo spingendo la situazione al limite in una condizione produttiva ormai senza ritorno. Senza l’ok al contratto di programma interministeriale, propedeutico all’Aia (autorizzazione ambientale) non c’è produzione e non c’è futuro.
La decisione è arrivata in ragione del fatto che mai come ieri gli enti locali e i sindacati hanno fatto quadrato sulle ragioni del «no» che, alla luce delle dichiarazioni choc del presidente della Puglia Michele Emiliano, appaiono come un pretesto per condurre il gioco verso una nazionalizzazione forzata. «Si potrebbe procedere, sia pure temporaneamente, con una nazionalizzazione che ci consenta anche di produrre in perdita all’inizio, cosa che peraltro è avvenuta sempre in questi anni, però in capo allo Stato», ha detto l’ineffabile governatore spiegando che questo «ci metterebbe nelle condizioni di non trattare sul mercato in maniera eccessivamente debole». Una posizione con cui il governatore ha ribadito il «no» alla nave rigassificatrice e al dissalatore nel porto di Taranto e il «no» ai tempi previsti dal piano. Peccato che a trattare sul mercato non ci sia più assolutamente nessuno. E difficilmente ci sarà alla luce della svalutazione profonda che ha subìto l’asset in questi mesi, soprattutto dopo l’incidente all’Altoforno 1 che ha ridotto la produzione, già bassa, della metà, ovvero a 1,5 milioni di tonnellate anno (4.500 tonnellate al giorno). E costretto alla cassa integrazione oltre 4mila dipendenti su 10mila. Una situazione difficile su cui potrebbe, tra l’altro, intervenire a breve il Tribunale di Milano sollecitato dai cittadini per chiudere definitivamente il polo e la sua produzione.
Un piccolo spiraglio, in caso di un difficile e al momento non definibile piano di salvataggio, arriva da Bruxelles che, nei giorni scorsi, ha varato il Cisaf (Clean industrial deal state aid framework), il nuovo quadro di riferimento per aiuti di Stato nell’Ue. Il nuovo regolamento consentirà ai governi nazionali di sostenere investimenti in energia pulita, decarbonizzazione industriale e tecnologie verdi, semplificando le procedure e accelerando l’approvazione dei progetti in cinque aree tra cui quello della “Decarbonizzazione degli impianti esistenti”. In sostanza, il nuovo quadro semplifica e accelera il sostegno alla decarbonizzazione, ma va oltre: riconosce lo Stato come investitore strategico.
Dati gli ambiti di copertura, per un settore ad alta intensità energetica come quello siderurgico, il nuovo quadro potrebbe rappresentare un’opportunità concreta per accelerare la transizione verde, in particolare per Taranto. Ma con i soldi di chi? E condiviso da quanti attori?
Intanto, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha
convocato per martedì prossimo un tavolo Ilva a Roma con tutti i ministri e gli enti locali interessati (Comuni, Provincia e Regione). Sarà probabilmente in quella sede che il ministro ufficializzerà l’uscita di scena di Baku.