Arrivano i dati occupazionali dell’ufficio studi della Cgia, la Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato, che disegna un quadro positivo del nostro Paese. Nei primi due anni di governo Meloni viene segnalato che l’occupazione in Italia è cresciuta complessivamente di 847mila unità, pari a un incremento del 3,6%. Di questi nuovi posti di lavoro che si sono creati, 672mila sono lavoratori dipendenti e 175mila autonomi. Numeri che il nostro Paese non vedeva da tempo e che certificano il buon lavoro fatto a livello economico e sulle politiche del lavoro da questo esecutivo.
Focalizzando l’attenzione sul lavoro dipendente, Cgia mette in evidenza che lo stock di coloro che in quest’ultimo biennio hanno avuto accesso a un contratto a tempo indeterminato è aumentato di 937mila unità, mentre i lavoratori con un contratto a termine sono diminuiti di 266mila unità. Quindi, sempre numeri alla mano, l’incidenza percentuale di lavoratori subordinati che attualmente possiede un contratto di lavoro precario è scesa al 14,4%. Si tratta di una riduzione circa due punti rispetto a ottobre 2022, quando si è insediato l’esecutivo di . Guardando, invece, ai tassi di disoccupazione, la Cgia ha rilevato che i soggetti che non hanno un lavoro sono diminuiti a 1.473.000, con un ribasso di 496mila, e gli inattivi si sono ridotti a 12.538.000, ossia un ribasso di 198mila.
Ma ci sono altri dati interessanti che emergono dallo studio effettuato dal 2022 al 2024, perché dei nuovi posti di lavoro viene evidenziato che il 49,6% sono stati ricoperti da donne e il 50,4% da uomini. Una pressoché perfetta parità che testimonia gli avanzamenti nelle politiche di inserimento e tutela femminile nel lavoro, che si conferma soprattutto con i dati della disoccupazione, perché il 55,1% del totale dei disoccupati che hanno trovato lavoro è donna. Inoltre, sottolinea ancora la Cgia, in termini assoluti, a ottobre 2024 le donne occupate hanno raggiunto la soglia dei 10.253.000 unità, mentre le disoccupate sono diminuite a 693mila. Certo, la strada è ancora molto lunga, il nostro Paese possiede il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa, ma i segnali sono più che positivi, considerando che il tasso di disoccupazione è sceso al 6,3%.
Va sottolineata anche la forte contrazione della disoccupazione giovanile (15-24 anni), che si è attestato al 17,7%, con una contrazione di 5 punti rispetto al passato. Anche i livelli occupazionali degli over 50 sono in miglioramento: considerando che questa fascia di età è sempre stata penalizzata nelle nuove assunzioni, degli 847mila nuovi occupati registrati nel Paese, ben 710mila, pari all’83,8% del totale appartengono alla fascia più anziana della popolazione lavorativa. Seguono i lavoratori tra i i 25 e i 34 anni di età che sono cresciuti di 184mila unità e quella dei giovani tra i 15-24 anni che sono aumentati di 18mila unità. Le imprese sono sempre più orientate ad assumere persone con esperienza che, in linea di massima, offrono maggiori garanzie di affidabilità e di sicurezza e questa tendenza è avvalorata anche dalla riduzione del numero dei disoccupati e degli inattivi presenti tra gli over 50, con un calo del 28,6%.
Dall’analisi geografica dei dati, sottolinea la Cgia, il Mezzogiorno, grazie al buon andamento delle esportazioni, delle costruzioni e degli investimenti pubblici correlati al Pnrr, parerebbe registrare l’incremento occupazionale più importante d’Italia. Ci sarebbero stati 350mila addetti in più negli ultimi due anni, con una contrazione delle persone che cercano una occupazione pari a 113mila unità. Su questo aspetto ha influito probabilmente anche l’eliminazione del reddito di cittadinanza, introdotto dal governo Conte, che vedeva la maggior parte dei beneficiari proprio nel Sud del Paese. n valore assoluto a guidare la graduatoria regionale dovrebbe essere la Sicilia con -36.800 disoccupati. Seguono la Puglia con -35.600 e la Lombardia con -34.600.
“Non dobbiamo dimenticare che con una crescita che in questi ultimi due anni è stata molto contenuta, all’aumento dell’occupazione non è corrisposto un incremento altrettanto importante della produttività, almeno nel settore dei servizi e del terziario. Pertanto, gli stipendi degli italiani, che mediamente sono al di sotto della media europea, non crescono adeguatamente e questo rimane un problema“, è la riflessione della Cgia. La soluzione suggerita è il rinnovo dei contratti nazionali in scadenza e un ulteriore taglio del carico fiscale che grava sugli stessi. “Se non vogliamo scivolare verso una crisi strisciante che – a seguito delle tensioni geopolitiche, del calo demografico e della transizione digitale e climatica – avvolge la Germania e in parte anche la Francia, dobbiamo spendere bene e presto i soldi del Pnrr“, prosegue la Cgia.
“Con la messa a terra entro il 2026 dei 130 miliardi di euro che abbiamo ancora a disposizione, possiamo dare un contributo importante all’ammodernamento del Paese ed evitare una nuova crisi che, ai più, sembra essere alle porte“, è la conclusione.