Spesso sottovalutata dalle agenzie di rating, l’Italia vanta nei suoi forzieri un’arma che tuttora non fa valere come invece dovrebbe: l’enorme ricchezza delle famiglie e delle imprese. Basti dire che secondo quanto riporta il Centro studi di Unimpresa, il peso finanziario di cittadini e aziende ha continuato a lievitare e, nel 2024, la ricchezza aggregata ha raggiunto quota 8.306 miliardi di euro, con un balzo del 3,9% rispetto al 2023, corrispondente alla bellezza di 316 miliardi in più. Si tratta del 42% dell’intera ricchezza finanziaria italiana, che ammonta in totale a 19.613 miliardi e vede tra i maggiori gestori/detentori banche e fondi d’investimento, con una dote complessiva di 5.001 miliardi. A loro volta le riserve, i fondi e i valori mobiliari delle famiglie sono cresciuti nel 2024 a 5.727 miliardi, registrando un aumento di 217 miliardi. Quanto alle imprese, la loro ricchezza finanziaria ha raggiunto 2.579 miliardi a metà dell’anno in corso, in crescita di 99 miliardi rispetto al 2023 (+4%).
Insomma, gli specialisti di Moody’s, che venerdì hanno confermato il rating all’Italia e previsto un tasso di crescita inferiore all’1% stimato dal governo per quest’anno a causa di una minore domanda interna e della crisi tedesca, nel loro giudizio si ostinano a non considerare un tesoro in grado di garantire abbondantemente l’intero debito pubblico che ormai sfiora 3mila miliardi. Ebbene, mentre rimarchiamo questo non soddisfacente giudizio sul nostro merito di credito da parte delle agenzie internazionali del rating, peraltro sottolineato anche dal Presidente della Repubblica in più occasioni, rileviamo una contraddizione che merita di essere sottolineata. Moody’s, che insieme a S&P e Fitch è tra le più autorevoli agenzie, per il nostro Paese registra «un debole potenziale di crescita a fronte di livelli di debito molto elevati», tanto che per il 2025 prevede un aumento del Pil dello 0,9% e dell’1% nell’anno successivo. Una visione decisamente troppo prudente, che non trova riscontro nella propensione degli investitori esteri che proprio negli ultimi anni hanno messo l’Italia nel mirino dei loro programmi. Sempre lo studio dell’associazione guidata dalla presidente Giovanna Ferrara sottolinea infatti quanto sia cresciuto il peso della finanza estera negli asset di casa nostra, visto che oggi soggetti con sede fuori dall’Italia risultano titolari di attività finanziarie tricolori per 3.442 miliardi, con un incremento del 2,3% rispetto al 2023 e del 16,2% rispetto al 2019. Segno che, soprattutto negli ultimi anni, il Paese è stato considerato sempre più come un’opportunità e non come un rischio. Il tempo dirà chi ha visto nel giusto.
Ma anche al netto del contributo estero, vale comunque interrogarsi sul perchè una tale ricchezza fatichi a entrare nel ciclo del capitale affinchè possa sprigionare un maggiore potenziale economico nelle attività industriali. Osserva la presidente Ferrara: «La potenza di fuoco finanziaria privata, in Italia, costituita dalle riserve e dai risparmi di famiglie e imprese, va messa al centro della ripresa economica del Paese. Stupisce che ci siano forze politiche ancora tentate dall’azzardare forme di patrimoniale e tassazione ulteriore sui soldi degli italiani: è una follia solo pensarci». Vero è invece che andrebbe incanalata fruttuosamente nelle attività che sono l’ossatura del nostro Prodotto lordo.
Da qui l’invito di Unimpresa: «L’aumento della ricchezza finanziaria delle famiglie è una risorsa fondamentale che, se opportunamente valorizzata, può fungere da leva per stimolare investimenti interni, consumi e iniziative imprenditoriali».