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Smart working sì o no? La soluzione l’hanno pensata i latini: in medio stat virtus


Sì, no, o magari nì, oppure chi lo sa. Il tema smart working, che ha appassionato il mondo del lavoro durante la pandemia di Covid-19, non riesce a trovare un punto di caduta: doveva fare la rivoluzione portarci tutti nel futuro; invece sono proprio le grandi aziende tecnologiche che rischiano ora di tornare all’analogico.

La notizia recente è infatti che Amazon, a partire da gennaio, costringerà i suoi dipendenti a tornare in ufficio per cinque giorni alla settimana, abbandonando il modello a tre giorni introdotto soltanto un anno fa. In pratica 350.000 dipendenti negli uffici di tutto il mondo lasceranno il lavoro a distanza, e se la cosa vi sembra strana non lo è per i sindacati, che pensano ad una mossa che porti a nuovi licenziamenti o abbandoni forzati. In fondo, s’è già visto: togli un beneficio in modo che qualcuno possa anche decidere di mollare il posto (più scomodo) di lavoro.

Il CEO di Amazon Andy Jassy, ha però detto che è stato proprio il ritorno parziale in ufficio a convincere che la presenza fisica aumenti la produttività, la velocità operativa e favorisca la cultura aziendale. E insomma, come si dice: così girano le idee. Tanto che per rafforzare questo concetto Amazon ha previsto anche di reintrodurre il controllo delle presenze tramite badge (che, soprattutto negli Stati Uniti, è diventato quasi un sacrilegio).

Quindi: si torna indietro? Mica tanto, perché invece altre Big Tech come Microsoft e Spotify hanno deciso, al contrario, di lasciare ai propri dipendenti la scelta sulla propria sede aziendale quotidiana. Soprattutto l’azienda svedese ha spiegato che, essendo un’azienda digitale fin dalla nascita, «perché non dovremmo dare flessibilità e libertà alla nostra gente? Il lavoro non è un posto in cui vai, è qualcosa che fai». La stessa cosa che pensa già da inizio Millennio appunto Microsoft, che anche in Italia è stata una delle prime – quando ancora il tema smart working non era sul tavolo – a lasciare una certa flessibilità nelle presenze in ufficio: «Se uno deve fare un’ora di strada in auto per venire in sede, perché invece non gli permetto di usare quel tempo per cominciare a lavorare da casa?» spiegava anni fa un Ad dell’azienda. Ed infatti, non a caso, nel tempo molte delle posizioni apicali (compresa quella di Amministratore Delegato, appunto) sono state occupate da donne, aiutate nel calibrare l’impegno familiare con quello lavorativo.

Insomma: chi ha ragione? In effetti pensandoci una soluzione sicura non c’è. Sposando lo smart working, hai dipendenti sicuramente più felici, ma meno contatto umano, che di sicuro non può essere sostituito da quelle insopportabili call che non finiscono mai. In più, diciamolo, c’è chi si imbosca. Scegliendo il ritorno in sede sicuramente hai tutti sotto controllo, c’è più possibilità di uno scambio di opinioni che può alimentare il risultato, ma non c’è comunque la certezza che questo porti a un aumento di produttività (lo dice anche una ricerca dell’Università di Stoccolma richiesta da Spotify).

In pratica: la discussione può continuare, e visto che l’era moderna è fatta di eterni Bar Sport di certo la vicenda non finisce qui. Anche se in realtà, più che tornare indietro bisognerebbe riportare in avanti quello che dicevano, saggiamente, gli antichi latini: in medio stat virtus. Loro sì che erano smart.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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