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La scelta di essere presente all’inauguration day di Donald Trump è di per sé eloquente. Giorgia Meloni vuole però ribadirlo esplicitamente al termine della cerimonia del giuramento: l’impegno dell’Italia sarà «consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa». Un ruolo da pontiere che sarà complicato portare avanti e che già nelle prossime ore sarà messo alla prova dopo l’annuncio, per ora generico, da parte del presidente Usa sulla nuova politica di dazi alle importazioni. Una partita fondamentale anche per l’Italia, secondo esportatore negli States dopo la Germania.
Proprio la debolezza di Berlino (le elezioni saranno tra un mese) parallelamente alle difficoltà di Emmanuel Macron in Francia le offrono un trampolino che la premier intende sfruttare fino in fondo. «Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e USA, affrontando insieme le sfide globali e costruendo un futuro di prosperità e sicurezza per i nostri popoli», scrive nel suo messaggio di auguri su X dopo aver assistito in Campidoglio alla cerimonia.
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Più o meno quello che aveva già detto poche ore dopo a Washington, lei unica leader europea ad essere stata inviata, che di primo mattino era nella chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca per partecipare alla messa di «benedizione» del nuovo Commander in Chief. Un segnale di attenzione da parte di Trump, già emerso nel breve faccia a faccia a Parigi in occasione della riapertura di Notre Dame prima di Natale e – ancora più evidente – durante il blitz di poche ore a Mar-a-Lago della premier e culminato ieri nella presenza alla cerimonia a Capitol Hill.
Meloni seduta vicino al Presidente argentino Javier Milei e poco distante dal vicepresidente cinese Han Zheng, e dai “big tech Ceo”, tra cui ovviamente spicca elon Musk, non lesina applausi a Trump e si alza in piedi quando il nuovo inquilino della Casa Bianca, con riferimento alle guerre in corso e a quelle che potrebbero arrivare, dichiara l’intenzione di indossare i panni del «pacificatore».
La presidente del Consiglio sta bene attenta a non perdere l’aplomb istituzionale. Non ha alcuna intenzione di essere etichettata come una “fan” di Trump come invece rivendica il suo alleato Matteo Salvini che probabilmente sarebbe atterrato ieri a Washington se lei non fosse stata presente. Fino all’ultimo infatti la premier ha evitato di far sapere (anche ai suoi vice) quali fossero le sue intenzioni. Una riservatezza che certamente l’aiuta a mantenere buoni rapporti sull’altro fronte, quello europeo, come conferma la telefonata intercorsa con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, prima di decollare da Roma.