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“Unicredit non controlla la sua filiale russa”. Ecco perché il governo teme per la sicurezza


Tra le righe del decreto Golden Power del 18 aprile, il governo afferma di essere legittimato nella sua azione sul potenziale matrimonio Unicredit- Bpm dalla «natura transnazionale » dell’istituto guidato da Andrea Orcel, «relativa sia all’azionariato sia alla localizzazione delle attività svolte ». C’è poi il tema della sicurezza nazionale, che sarebbe messa a rischio dalla controllata russa Ao Unicredit Bank. «Permangono ancora ostacoli ad una copertura globale del rischio di conformità», si legge, in quanto «il diritto russo vieta alle società controllate russe di condividere informazioni con Unicredit». E poi: «dall’inizio del conflitto non è concesso alla dirigenza di Unicredit visitare i locali della Ao Unicredit Bank e incontrarvi i dirigenti e il personale» e gli «organi diretti a garantire la conformità del gruppo non possono effettuare ispezioni». Si fa inoltre riferimento alla decisione della Banca centrale europea che ha imposto «restrizioni su depositi, impieghi, collocamento fondi e pagamenti da/verso la Russia». Il governo ha riconosciuto alla banca di aver ridotto l’esposizione in questi anni (Unicredit ha promesso di terminare l’attività retail, non quella corporate entro metà 2026), ma il ministero dell’Economia ritiene tuttora necessarie «l’adozione di misure rigorose e prudenti per evitare anche il solo minimo rischio che il risparmio raccolto da Banco Bpm sia coinvolto, direttamente o indirettamente, in operazioni a vantaggio del sistema economico e finanziario russo, il che nell’attuale contesto geopolitico pone oggettivi rischi per la sicurezza nazionale ». Da qui la prescrizione di «cessare tutte le attività in Russia (raccolta, impieghi, collocamento fondi, prestiti transfrontalieri) entro nove mesi (18 gennaio 2026, ndr) ».

Un nodo importante è anche il tema del credito, visto che Unicredit è più concentrata su una clientela corporate e, negli ultimi cinque anni, l’ammontare di impieghi bancari in Italia si è ridotta. Se seguisse la stessa politica post fusione con Bpm, il governo teme un taglio al credito di Pmi e famiglie. Per questo si è chiesto di «non ridurre per un periodo di cinque anni il rapporto impieghi/depositi praticato da Banco Bpm e Unicredit in Italia, con l’obiettivo di incrementare gli impieghi verso famiglie e Pmi nazionali».

Intanto, secondo indiscrezioni non smentite domani è previsto un incontro tecnico al Mef nel quale Unicredit spera di avere i chiarimenti sperati sulle prescrizioni ritenute

«non chiare » e avere così uno scenario completo per decidere se proseguire nell’operazione, riservandosi di ricorrere al Tar contro prescrizioni che a una prima vista le sembrano contrarie alla sana e prudente gestione.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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