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Il Made in Italy evita il disastro. Unimpresa: “Effetti limitati”

Saranno al 15% i dazi sulle merci europee e italiane esportate negli Stati Uniti. Si tratta di un dimezzamento rispetto alle annunciate tariffe al 30% che sarebbero scattate a partire dal prossimo primo agosto. Resta un accordo da leggere positivamente per il mondo delle imprese in attesa di capire quale sarà il punto di caduta sul comparto dei farmaci (tra i più rilevanti per l’Italia, con un export complessivo di 10 miliardi nel 2024 secondo l’Osservatorio mercati esteri della Farnesina) per ora tenuti fuori dall’intesa raggiunta ieri sera. Inoltre, non hanno beneficiato acciaio e alluminio che per l’Italia, tra prodotti della metallurgia e prodotti in metallo, costituiscono un mercato che vale più di tre miliardi ma la Ue punta a introdurre il sistema delle quote per preservare dalla stangata parte dell’export.

Calcolando un ammontare di merci vendute in Usa che per Roma è stato pari a 65 miliardi di euro l’anno scorso, è probabile che seguirà un calo più o meno significativo. Secondo Unimpresa, le tariffe “avranno effetti limitati sull’economia italiana” visto che “solo un terzo delle imprese esporta negli Stati Uniti, circa 34.000 aziende, e oltre il 50% del valore esportato è generato da imprese con più di 250 addetti, quindi più strutturate”. I settori più esposti alla domanda Usa sarebbero la farmaceutica (24% di esposizione), i mezzi di trasporto dell’aerospazio e della cantieristica (15%); i mobili, l’elettronica, la moda e gli autoveicoli (tra 6% e 8%). Quasi tutti questi settori, tuttavia, sono generalmente “caratterizzati da elevata produttività e margini”. La stima più pesante era stata quella divulgata dal Centro Studi di Confindustria, che aveva stimato una perdita fino a 22,6 miliardi di export, quindi circa un terzo delle vendite. Allo stesso modo non emerge soddisfazione dalla Cna, la confederazione delle imprese artigiane, secondo la quale “Un livello dei dazi al 15% provocherà effetti comunque molto pesanti sull’export italiano che vanno a sommarsi all’apprezzamento degli ultimi mesi dell’euro sul dollaro di quasi il 15%”. Un effetto combinato, sottolinea il presidente Dario Costantini, che può quindi equivalere a un dazio del 30% per questo “sono necessari sostegni e compensazioni e ci attendiamo a breve la riattivazione del tavolo sull’export a Palazzo Chigi per un confronto su strumenti e criteri per mettere a disposizione del sistema delle imprese i 25 miliardi assicurati dal governo”.

Al di là delle varie stime, che dovranno poi essere misurate sul campo, saranno vulnerabili i settori dove c’è una concorrenza feroce. Per esempio, il comparto agroalimentare che per l’Italia vale circa 5 miliardi potrebbe essere minacciato da competitor locali a basso costo, peraltro con un nome simile: si pensi al caso del Parmesan nel luogo del Parmigiano. Sempre in quest’ambito, secondo i conti dell’Unione Italiani Vini, l’impatto delle tariffe stabilite sarà di 317 milioni in attesa di conoscere il testo definitivo dell’accordo Usa-Ue. Allo stesso modo, verrebbe colpito il settore delle automobili (che vale per l’Italia circa 4,4 miliardi), che tuttavia da ieri sera ha di che festeggiare dovendo fare i conti con un’aliquota al 15% rispetto a una al 25% o al 30 per cento. Certo è che sarebbe comunque penalizzata nell’ambito di un mercato competitivo come quello americano.

Rimangono alcune pieghe dell’intesa che andranno chiarendosi solo in queste ore. Secondo quanto ha dichiarato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sarebbero stati concordati “dazi zero per zero su una serie di prodotti strategici”.

Tra questi rientrano tutti gli aeromobili e i relativi componenti, alcuni prodotti chimici, alcuni farmaci generici, apparecchiature per semiconduttori, alcuni prodotti agroalimentari, risorse naturali e materie prime essenziali. Va da sé che più questo elenco sarà lungo, meno il conto da pagare per le imprese sarà salato.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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