in

I dazi azzoppano il lusso. Su Lvmh l’impatto più duro


A inizio anno il peggio per il settore del lusso sembrava alle spalle, con primi segnali di ripresa della domanda cinese. Non si erano però fatti i conti con l’incombere dei dazi trumpiani. L’ultima minaccia di tariffe al 50%, a partire da giugno, per i prodotti in arrivo dall’Unione Europea ha scosso venerdì scorso i titoli del settore che già non attraversavano un buon momento con il colosso Lvmh uscito dalla top 5 delle maggiori aziende europee per valore di mercato con un crollo del 25% del titolo da gennaio. L’incognita dazi pone un livello di incertezza su come effettivamente reagiranno i consumatori statunitensi, secondi solo ai cinesi come brama di beni di lusso. La società di consulenza Bain & Co ha recentemente rivisto al ribasso le proprie previsioni che ora sono di una contrazione delle vendite di beni di lusso tra il 2 e il 5% quest’anno, peggio quindi rispetto al -1% del 2024, che era stata la prima frenata dal 2008 (periodo pandemico escluso). L’imposizione di dazi consistenti andrebbe a impattare anche sui leader del settore quali Lvmh, primo gruppo del lusso al mondo con oltre 75 brand e che vede oltre un quarto del proprio giro d’affari dipendere dagli Usa, così come in media anche gli altri maggiori player del settore. Il numero uno di Lvmh, Bernard Arnault, ha fatto capire che la restante parte dell’anno sarà complicata e sollecita Bruxelles a trovare un accordo con Trump.

Per le case di lusso meno grandi, le esposizioni verso il mercato a stelle e strisce variano. Si va da picchi al 46% per il produttore tedesco di sandali Birkenstock a un limitato 14% per l’italiana Moncler. Esposizione mediamente alta è invece quella di Brunello Cucinelli (circa 37% del totale del fatturato) che però fino ad oggi è riuscita a schivare il rallentamento della domanda di lusso grazie al suo posizionamento di fascia alta. La maison celebre per i capi in cashmere si attende una crescita del 10% sia quest’anno che nel 2026 non ritenendo che i dazi si tradurranno in un cambiamento significativo negli acquisti da parte dei clienti americani. Per Salvatore Ferragamo le vendite nella regione del Nord America rappresentano il 29% del fatturato totale.

L’ondata di scetticismo sul settore non è dettata solo dalla guerra commerciale. Circa la metà dei consumatori di articoli di lusso già ritiene che nell’ultimo anno ci siano stati eccessivi aumenti dei prezzi; e altri rincari rischiano di raffreddare ulteriormente la voglia di shopping. Alcuni marchi europei del lusso, tra cui Hermès, noto per le borse Birkin, sono pronti a sfruttare il loro potere di determinazione dei prezzi per contrastare i costi dei dazi. Tuttavia, diversi altri marchi hanno una flessibilità limitata nell’aumentare i listini senza ripercussioni negative sulla domanda.

Bain cita anche le aspettative di nuovi prodotti più creativi come freno agli acquisti. In effetti il settore è in grande fermento con alcuni dei principali brand – tra cui Gucci, Chanel e Dior – hanno nominato nuovi direttori artistici per cercare una svolta.

In ultimo, sta crescendo l’ondata social dei dupes (abbreviazione di duplicates), ossia imitazioni non brandizzate di prodotti di lusso, dichiarando (senza prove) di usare gli stessi materiali e manodopera dei marchi originali. Un’offensiva partita da Pechino con la piattaforma cinese DHgate, specializzata proprio nella vendita di dupes divenuta la seconda app più scaricata negli Usa, che preoccupa non poco le big del settore.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


Tagcloud:

Dazi, Governo punta a usare Pnrr ma opposizioni attaccano

Amministrative, affluenza in calo, urne chiudono alle 15