L’incertezza ha un costo. Giancarlo Giorgetti sollecita un accordo commerciale nel più breve tempo possibile tra Bruxelles e Washington. Raggiungere un accordo in tempi brevi è doppiamente importante. Oltre a sgombrare il campo dalla spada di damocle di possibili dazi al 50% sui prodotti europei diretti agli Stati Uniti in caso di mancata intesa entro il 9 luglio, porrebbe fine all’attuale fase di limbo che ha come inevitabile conseguenza un freno a mano tirato per l’attività economica. “Ho più volte evidenziato come anche l’incertezza abbia un prezzo ha scritto ieri il ministro dell’Economia nella lettera inviata a Stefano Lucchini, presidente dell’American Chamber, che ha riunito a Milano l’annuale assemblea e nel negoziato sui dazi varrebbe la pena di chiudere al più presto anziché lasciare che l’incertezza continui a frenare scambi ed investimenti”. Nel ricordare come gli inglesi abbiamo appena chiuso al G7 di Kananaskis un accordo su dazi attorno al 10%, Giorgetti ha ammesso che ad oggi appare “impossibile per l’Unione strappare condizioni migliori e quindi forse vale la pena di chiudere al più presto anche noi al 10%”. Il numero uno di via XX Settembre non ha mancato di porre l’accento sulle divisioni in seno all’Ue che “fatica a definire posizioni comuni, perché i suoi Paesi membri hanno interessi diversi. A Bruxelles si impostano allora dei complicati processi burocratici mirati a definire almeno un minimo comun denominatore con cui presentarsi al tavolo negoziale”. Questo si somma a “una sempre più evidente divaricazione strutturale tra i due lati dell’Atlantico. Da un lato vi è un Paese unico come l’America che spinge verso la massima deregolamentazione, la detassazione e l’accelerazione dello sviluppo tecnologico; dall’altro vi è un blocco di Paesi diversi come l’Unione Europea: iper-regolatorio, lento ed in chiaro ritardo tecnologico”.
Sull’idea di dazi reciproci al 10%, imone Crolla, consigliere delegato di American Chamber, a margine dell’assemblea che si è svolta a Palazzo Mezzanotte ha osservato: “Speriamo che l’Europa faccia delle concessioni che sono doverosamente richieste dal partner americano, ma riteniamo che anche se fossero mantenuti i dazi al 10% ciò non pregiudicherebbe la validità e la forza della relazione commerciale Italia-Stati Uniti”.
Giorgetti comunque non è solo nel pressing per un cambio di passo dei negoziati. Il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha bollato come “troppo complicato” l’attuale approccio nelle trattative da parte della Commissione. “Negoziare 400, 500 o 600 codici doganali diversi con gli americani ora non è il momento giusto e non è la questione giusta. Abbiamo bisogno di decisioni rapide e congiunte per quattro o cinque grandi settori industriali”, ha tagliato corto ieri Merz citando auto, chimica, farmaceutica e meccanica come i comparti da mettere in cima alle priorità. La Germania è in effetti il paese più esposto al macigno dei dazi. Le ultime simulazioni dell’Istituto Ifo indicano per l’industria manifatturiera tedesca il rischio di una contrazione del 2,8% se non ci sarà un’intesa sui dazi, con l’export teutonico verso gli Usa in picchiata del 38,5%.
Nella giornata di ieri ha parlato anche Christine Lagarde, presidente Bce, che vede la crescita a
rischio rallentamento in caso di un’ulteriore escalation delle tensioni commerciali globali e delle relative incertezze, di un deterioramento del sentiment sui mercati finanziari e del perdurare delle tensioni geopolitiche.