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Durante una ricognizione in Groenlandia, un aereo della NASA ha identificato per caso le tracce di “Camp Century”, una vecchia base militare costruita tra i ghiacci dall’esercito degli Stati Uniti ai tempi della Guerra Fredda. La base è abbandonata da quasi 60 anni, ma i veri scopi della sua costruzione sono diventati noti solo nella seconda metà degli anni Novanta, quando furono desecretati alcuni documenti su un più ampio progetto statunitense per installare migliaia di missili in Groenlandia, per rispondere a un eventuale attacco nucleare da parte dell’Unione Sovietica.
Camp Century è ormai sepolta sotto la neve e il ghiaccio e non può essere osservata a occhio nudo sorvolando la zona. La NASA ne ha rilevato la presenza grazie a un particolare radar sperimentale (Uninhabited Aerial Vehicle Synthetic Aperture Radar, UAVSAR), che può essere utilizzato per ricostruire una versione tridimensionale degli strati più profondi dei ghiacci, in modo da studiarne le caratteristiche e l’andamento. I tecnici che stavano facendo la ricognizione hanno notato una strana discontinuità nella stratificazione dei ghiacci e si sono infine accorti che quello che avevano rilevato è ciò che resta di Camp Century, rilevata in precedenza con altri mezzi.
L’idea di costruire una base in un’area della Groenlandia dove si raggiungono facilmente i -30 °C era stata a partire dalla metà degli anni Cinquanta dagli Stati Uniti, interessati a realizzare un’ulteriore linea di difesa nei confronti dell’Unione Sovietica. C’era il timore che, nel caso di un attacco nucleare sovietico a sorpresa contro le principali basi di lancio di missili statunitensi, gli Stati Uniti fossero privati della loro capacità di rispondere efficacemente. Da queste valutazioni era nato “”, un piano per costruire una rete sotterranea di basi di lancio in Groenlandia. I missili con le testate nucleari sarebbero partiti dal sottosuolo, avrebbero rotto lo spesso strato di ghiaccio e infine avrebbero raggiunto gli obiettivi sovietici.
Camp Century era nata con lo scopo di verificare su piccola scala la fattibilità di un progetto di questo tipo, sperimentando nuove tecniche costruttive tra i ghiacci e perfino la possibilità di installare una piccola centrale nucleare per fornire l’energia elettrica necessaria alla base. Il progetto di per sé non fu tenuto segreto, ma fu promosso come un’iniziativa per lo più scientifica per valutare la possibilità di costruire basi di ricerca nell’Artico. Solo nel 1996, con la desecretazione di alcuni documenti, si ebbero le conferme sugli scopi più ampi e di natura bellica di Project Iceworm e di conseguenza di Camp Century.
Benché sia dall’altra parte dell’oceano Atlantico, la Groenlandia fa parte dei territori , e per questo alla fine degli anni Cinquanta il governo degli Stati Uniti avviò alcuni contatti con quello danese per avvisarlo del progetto. Si disse che l’iniziativa sarebbe stata svolta nell’ambito delle attività della NATO, l’alleanza militare dei paesi occidentali, e di fatto le ricognizioni e la costruzione della base iniziarono senza che ci fosse un permesso esplicito da parte del governo danese.
Dopo le prime ricognizioni, fu trovata un’area pianeggiante a quasi 250 chilometri da Qaanaaq (all’epoca nota come Thule), una delle città abitate più a nord del mondo, ben al di sopra del Circolo polare artico e a circa 1.300 chilometri dal Polo Nord. La costruzione iniziò nel 1959, con il materiale che veniva trasportato via nave fino a Qaanaaq e da lì su grandi slitte collegate tra loro e trainate da mezzi cingolati. Con le loro decine di tonnellate impiegavano quasi 70 ore per arrivare a destinazione, mentre il trasporto del personale avveniva su mezzi più piccoli e leggeri, e richiedeva circa mezza giornata di viaggio.
Camp Century era stata pensata come una classica base militare con una via centrale e le baracche costruite perpendicolarmente lungo i suoi lati, ma in profondità nel ghiaccio. Mezzi per romperlo e rimuoverlo (frese da neve) furono impiegati per scavare grandi trincee larghe e profonde 8 metri, con una lunghezza che variava a seconda degli scopi e che poteva superare i 300 metri. All’interno di questi grandi trinceroni venivano poi assemblati gli edifici, in legno e materiale isolante, con un volume lievemente più piccolo rispetto a quello ricavato nel ghiaccio. Le trincee venivano poi coperte con un tetto di lamiera ad arco, che in breve tempo si ricopriva di nuova neve e ghiaccio, rendendo invisibile la struttura dall’esterno.
Oltre alle zone che ospitavano i 250 soldati, c’erano aree di svago, sale riunioni, un piccolo centro medico, le cucine, la mensa e i bagni con docce. Le dotazioni interne erano paragonabili a quelle di altre basi militari in climi più miti e l’unica vera grande differenza era l’assenza di finestre. Per alcuni l’esperienza non era molto diversa dalla vita in un sottomarino, ma con maggiori agi.
In una seconda fase nel lontano e gelido pianoro di Camp Century fu trasportato un reattore nucleare, sviluppato nell’ambito del programma di ricerca delle tecnologie atomiche dell’esercito degli Stati Uniti. Era un reattore “semi mobile” e il lavoro di installazione richiese grandi sforzi logistici, soprattutto per il trasporto delle parti più voluminose della centrale che arrivarono a Qaanaaq già prefabbricate. Il reattore fu regolarmente messo in servizio e permise per qualche anno di fare a meno dei generatori diesel, riducendo la domanda di gasolio e il suo difficoltoso trasporto.
Camp Century sembrava funzionare meglio delle aspettative, un buon segno per l’espansione di Project Iceworm, ma nei primi anni Sessanta iniziarono a emergere alcuni problemi. Il più grande di tutti era la progressiva deformazione dei trinceroni di ghiaccio in cui erano stati collocati i prefabbricati. Inizialmente gli ingegneri militari avevano valutato che le temperature molto rigide avrebbero fatto sì che il ghiaccio si comportasse più o meno come il cemento, mantenendosi rigido e fermo e costituendo un involucro ideale per le costruzioni al suo interno. Dopo qualche anno notarono invece che il ghiaccio era tutt’altro che fermo e stabile.
Nei processi di formazione del ghiaccio l’aria rimane intrappolata, soprattutto negli strati più superficiali. Questi premono su quelli sottostanti e col passare del tempo li compattano, rendendoli più densi. Il processo non è uniforme e sul suo andamento possono influire molte variabili, a cominciare dalla temperatura. Il risultato è che anche su una profondità di circa 8 metri il ghiaccio continua ad assestarsi, muovendosi e deformandosi: se trova degli spazi vuoti, come nel caso delle trincee scavate a Camp Century, la deformazione può essere ancora più marcata.
In circa quattro anni le pareti di ghiaccio di diverse trincee si erano spostate verso l’interno, raggiungendo i limiti di progettazione previsti per poter mantenere al loro interno i prefabbricati. In alcuni casi la deformazione era di almeno un metro e mezzo e non sempre era possibile intervenire (manualmente con le pale) per correggerla e riguadagnare lo spazio perduto. I problemi di staticità del ghiaccio furono studiati e approfonditi, facendo arrivare alla conclusione che l’installazione di sistemi di lancio per i grandi missili intercontinentali con testate nucleari non sarebbe stata probabilmente possibile. Il problema riguardò anche la piccola centrale nucleare del campo, che dopo circa tre anni fu disattivata per il rischio di congelamento di alcune sue parti.
Nonostante le difficoltà, l’esercito degli Stati Uniti concluse che ci fossero buoni margini per costruire altre basi come Camp Century, anche se non ne furono mai realizzate altre. La base in Groenlandia aveva assolto al proprio scopo e nel 1967 fu abbandonata, mettendo fine di fatto agli ambiziosi progetti statunitensi di armare parte della grande isola. La dismissione avvenne nello stile dell’epoca, senza grandi valutazioni ambientali: l’infrastruttura e i rifiuti prodotti furono lasciati dov’erano, confidando che i ghiacci si sarebbero ripresi il loro spazio e avrebbero sepolto per sempre la base.
Camp Century fu dimenticata per molto tempo e se ne tornò a parlare brevemente nel 1996, quando furono desecretati i documenti sul vero scopo della sua costruzione. Venti anni dopo, se ne tornò a quando un gruppo di ricerca fece una nuova valutazione dell’impatto ambientale della base, segnalando che a causa della fusione dei ghiacci dovuta al riscaldamento globale ciò che resta di Camp Century inquinerà in futuro un’ampia zona. Lo diceva che entro il 2090 potrebbero finire nell’ambiente i 200mila litri di gasolio che l’esercito statunitense si lasciò alle spalle, così come 24 milioni di litri di liquami e gli altri rifiuti, comprese alcune scorie radioattive. Un’ condotta nel 2021 ha in parte rivisto le previsioni, spostando a dopo il 2100 il momento in cui riaffioreranno alcuni di quei rifiuti.
Del resto osservare oggi a occhio nudo Camp Century è impossibile, ma il nuovo radar della NASA è comunque riuscito a cogliere buona parte di ciò che rimane sotto al ghiaccio ormai a quasi 30 metri di profondità. La ricognizione era stata effettuata lo scorso aprile, ma gli esiti delle osservazioni sono stati comunicati a fine novembre. L’immagine ottenuta è stata confrontata con le mappe realizzate negli anni Sessanta per trovare alcune corrispondenze.
La portata scientifica dell’, del tutto casuale, è ancora da verificare, ma conoscendo la profondità che era stata raggiunta per costruire Camp Century si possono fare migliori calcoli sull’andamento dei ghiacci in Groenlandia, visto che in alcune zone dell’isola si è assistito a un’accelerazione nella fusione del ghiaccio. Il nuovo radar dovrebbe inoltre permettere di osservare con più precisione le stratificazioni di ghiaccio, utili per comprendere l’andamento delle stagioni passate e confrontarle con quelle più recenti.
Camp Century è quasi dimenticata, ma non da chi si occupa proprio degli studi legati al cambiamento climatico. All’epoca, la base fu infatti utilizzata anche per prelevare campioni di ghiaccio in profondità, che hanno permesso di studiare le variazioni del clima nel corso dei decenni. La Danimarca gestisce un programma di ricerca nella zona, per verificare la temperatura del ghiaccio e della neve nel corso dell’anno e comprendere meglio come siano variate rispetto ai primi anni Sessanta, quando centinaia di persone vivevano tra quei ghiacci scaldati dall’energia prodotta da un reattore nucleare sopra al Circolo polare artico.