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Dopo molti anni c’è un nuovo promettente antibiotico

Un nuovo tipo di antibiotico si è rivelato molto promettente nel trattare un batterio che causa spesso infezioni gravi, soprattutto in ambito ospedaliero, e che ha una forte resistenza agli antibiotici tradizionali. La scoperta è stata annunciata con pubblicate sulla rivista scientifica Nature, che raccontano il lavoro dei gruppi di ricerca che se ne sono occupati per conto di Roche, azienda farmaceutica e di diagnostica svizzera tra le più grandi e importanti al mondo. Il nuovo antibiotico dovrà superare i test clinici per verificarne efficacia e sicurezza, quindi non sarà disponibile a breve, ma secondo gli esperti potrebbe rivelarsi molto importante nel trattare infezioni batteriche pericolose specialmente per le persone fragili.

L’Acinetobacter baumannii resistente ai (CRAB) è un batterio che può provocare gravi infezioni proprio a causa della sua alta resistenza in particolare ai carbapenemi, una classe di antibiotici con un ampio spettro di azione e che vengono considerati di “ultima linea”, cioè trattamenti da adottare quando tutti gli altri hanno fallito. I batteri tendono a mutare facilmente in modo da resistere agli antibiotici, oppure occupano gli spazi lasciati dalle specie più esposte all’azione antibiotica: se gli antibiotici vengono usati estensivamente, come è avvenuto per decenni, si riduce via via la loro efficacia rendendo alcuni tipi di batteri più resistenti ai trattamenti disponibili. Questa “antibiotico-resistenza” è diventata un problema globale e pone seri problemi per il trattamento di infezioni batteriche che si possono rivelare letali.

I CRAB hanno inoltre la capacità di resistere a lungo fuori dall’organismo, anche in ambienti relativamente secchi, e di conseguenza riescono a diffondersi facilmente tra le persone. Negli ospedali l’infezione può essere causata per esempio dai sistemi di ventilazione, se privi di purificatori adeguati, oppure dal contatto con superfici contaminate. I CRAB causano soprattutto polmoniti e sepsi (una anomala ed eccessiva risposta immunitaria all’infezione) che nei pazienti con altri problemi di salute possono rivelarsi letali, specialmente se in mancanza di una buona risposta agli antibiotici.

I batteri sono organismi unicellulari, cioè costituiti da una sola cellula, e la maggior parte degli antibiotici scoperti e sviluppati fino agli anni Settanta (sostanzialmente gli unici di cui disponiamo) agisce nel citoplasma, la parte interna del batterio delimitata dalla membrana cellulare interna ed esterna. Gli antibiotici scoperti nel tempo appartengono quasi tutti a una quantità limitata di classi ed è raro che se ne aggiungano di nuovi tipi, con funzionamenti diversi.

Consapevoli delle grandi limitazioni che da decenni hanno impedito di identificare nuovi antibiotici efficaci, i gruppi di ricerca si sono messi al lavoro esaminando decine di migliaia di molecole per individuare quelle che mostravano almeno un minimo di attività antibiotica. L’analisi ha permesso infine di identificare una molecola di partenza su cui lavorare per creare il nuovo antibiotico, il cui principio attivo è stato chiamato (se supererà i test clinici, sarà venduto con un nome commerciale diverso) ed è altamente specifico nei confronti di Acinetobacter baumannii.

Il zosurabalpin ha la capacità di limitare un processo molto importante che avviene all’interno del batterio e cioè il trasporto tramite un complesso di proteine (LptB2FGC) di sostanze dall’interno della cellula verso lo spazio tra le due membrane (“periplasma”) che servono a rafforzare le sue protezioni dagli agenti esterni. Compromettendo il sistema di trasporto, si verifica un accumulo all’interno del batterio intossicandolo e facendolo morire. È un approccio diverso da quello seguito con altri antibiotici e sembra funzionare bene, almeno nei test condotti finora in laboratorio: sia in vitro – quindi in contenitori in cui erano presenti colonie di Acinetobacter baumannii – sia in vivo con test su topi per i quali è stato possibile trattare con efficacia polmonite e sepsi, che avrebbero altrimenti causato la loro morte.

Dopo le verifiche in laboratorio, Roche ha avviato i primi test clinici per valutare la sicurezza del nuovo antibiotico, in vista dei prossimi test che saranno invece orientati a verificare l’efficacia del zosurabalpin. Il suo meccanismo di azione è particolare perché interviene nella parte più periferica del batterio e non direttamente nel citoplasma, di conseguenza dovrebbe mostrare una buona efficacia e ridurre il rischio che il batterio accumuli mutazioni che gli consentano di evitare l’accumulo delle proteine che non riesce a trasportare verso il periplasma. Questa eventualità non può comunque essere esclusa e in laboratorio sono emersi casi di mutazioni che hanno ridotto sensibilmente l’attività antibiotica.

Un altro problema che potrebbe presentarsi è legato alla capacità di A. baumannii di potere fare a meno, almeno per un certo periodo di tempo, del trasporto di proteine verso le proprie membrane cellulari. In alcuni casi il batterio riesce infatti a interrompere la produzione di quelle proteine, evitando proprio che il loro accumulo lo porti a intossicarsi e a morire. La riduzione del trasporto rende comunque meno infettivo il batterio e di conseguenza la capacità stessa di A. baumannii di produrre grandi colonie, che portano poi alle polmoniti difficili da trattare.

Al di là del caso specifico, il nuovo antibiotico segna soprattutto l’esplorazione di un nuovo approccio per contrastare i batteri fermandosi alla loro parte periferica e, visto che diversi altri utilizzano un sistema simile di trasporto, in futuro potrebbero essere sviluppati antibiotici contro altre specie batteriche. Tra i possibili obiettivi potrebbero esserci Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa, le cui infezioni non sempre vengono trattate con successo utilizzando i tradizionali antibiotici.

L’approccio seguito con il zosurabalpin dovrebbe inoltre rendere possibile lo sviluppo di trattamenti altamente specifici, perché l’antibiotico è in grado di intervenire quasi esclusivamente su A. baumannii. Questo significa che la sua somministrazione non dovrebbe portare alla distruzione della , cioè del complesso di batteri che vivono nell’intestino e che svolgono un ruolo centrale nei processi digestivi e per l’assorbimento delle sostanze nutrienti da parte del nostro organismo. I comuni antibiotici hanno spesso l’effetto collaterale di distruggere anche i batteri che ci sono utili, rallentando di conseguenza il processo di guarigione.

I risultati dei primi test clinici condotti sul zosurabalpin saranno comunicati nel corso di quest’anno, ma i test proseguiranno con le altre fasi per diverso tempo. Roche dovrà poi presentare tutta la documentazione sui test eseguiti alle autorità di controllo come la Food and Drug Administration negli Stati Uniti e l’Agenzia europea per i medicinali nell’Unione Europea, che se non riscontreranno anomalie daranno la loro approvazione per l’impiego dell’antibiotico. Il ricorso allo zosurabalpin sarà probabilmente molto limitato e indicato per i casi in cui non hanno funzionato altri approcci terapeutici, proprio per evitare che si verifichi velocemente una resistenza batterica anche al nuovo antibiotico.

Infine, dovranno essere anche concordati prezzi e forniture del zosurabalpin, un aspetto centrale perché non sempre per le aziende farmaceutiche è conveniente lo sviluppo di nuovi antibiotici. La fase di ricerca e dei test clinici può comportare investimenti intorno al miliardo di euro, per un prodotto che viene poi utilizzato solo in casi estremi e che magari porta a ricavi di meno di 100 milioni di euro all’anno.


Fonte: https://www.ilpost.it/scienza/feed/


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