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Sì all’elezione diretta del premier, ma con quale sistema si deciderà più avanti

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Elezione «a suffragio universale e diretto» del premier, che resta al potere per cinque anni grazie a un sistema elettorale che “garantisce” la maggioranza dei seggi in Parlamento e che non può essere rieletto dopo due mandati consecutivi. E, soprattutto, che può essere sostituito solo una volta nella legislatura, e solo se sarà lui stesso a decidere di passare la mano, da un parlamentare che fa parte della coalizione vincitrice delle elezioni. Tradotto: niente più governi tecnici e di larghe intese guidate da personalità non elette dai cittadini (leggasi Mario Monti nel 2011 e Mario Draghi nel 2021). Un ritocco della Costituzione mininal, visto che ad essere del tutto riscritti sono “solo” gli articoli 92 e 94 della Costituzione, ma l’effetto è quello di una vera e propria rivoluzione copernicana nel nostro sistema istituzionale.

Via libera senza le opposizioni all’articolo 5 del Ddl Casellati, cuore della riforma

Con l’approvazione dell’articolo 5 del Ddl Casellati, quello che introduce appunto l’elezione diretta del premier e il principio del premio di maggioranza, l’Aula del Senato ha approvato nelle scorse ore – con l’assenza dei senatori delle opposizioni usciti dall’Aula per protesta – il cuore della “madre di tutte le riforme”. Il via libera di Palazzo Madama è previsto per il 18 giugno, dopodiché il testo passerà alla Camera. Come tutte le riforme costituzionali, dopo il primo doppio via libera è necessario un secondo sì di entrambe le Camere in seguito ad una pausa di almeno tre mesi. Ma visto che in seconda lettura il testo non è più emendabile, questo primo passo è fondamentale per capire su quale riforma si dovranno esprimere gli italiani con il probabile referendum confermativo.

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Il risultato delle europee ha cristallizzato il muro contro muro Meloni-Schlein

Perché se c’è un’indicazione uscita dalle urne europee è quella della chiusura, almeno per il momento, della porta per un possibile dialogo bipartisan pur auspicato da molti (dal senatore di Fratelli d’Italia Marcello Pera ai cosiddetti costituzionalisti bipartisan di LibertàEguale e Magna Carta). Il rafforzamento di Giorgia Meloni da una parte e il successo del Pd guidato da Elly Schlein hanno cristallizzato il muro contro muro. La segretaria dem ha chiarito che finché c’è l’elezione diretta del premier, «che scolvolge gli equilibri istituzionali e svuota i poteri del Presidente della Repubblica», il Pd non è disponibile al dialogo.

Elezione diretta del premier ma con quale sistema di voto?

Eppure il contributo critico dell’opposizione, magari nell’ottica della riduzione del danno, sarebbe auspicabile per migliorare la riforma. Elezione diretta a parte, la maggiore criticità è che non è chiaro con quale sistema si eleggerà il premier. In Costituzione si fissa solo il principio di «un premio da assegnare su base nazionale che gantisca la maggioranza dei seggi» ma non si stabilisce la soglia necessaria a far scattare il premio. La realtà è che la questione è stata demandata dal governo alla legge elettorale, ordinaria, per la contrarietà storica della Lega al ballottaggio nazionale, che pure è l’unico sistema in grado di garantire una maggioranza sicura nel rispetto dei paletti fissati dalla Consulta. E resta pure da risolvere, per stessa ammissione della ministra per le Riforme Elisabetta Casellati (Fi) e del relatore Alberto Balbini (Fdi), il nodo del voto degli italiani all’estero: ora è incanalato nella circoscrizione estero che elegge 4 deputati e 8 senatori, ma con l’elezione diretta uno vale uno e quei cinque milioni potrebbero sovvertire qualunque risultato.

I nodi della soglia (40 o 50%) e degli italiani all’estero

La ministra Casellati ha anticipato la possibile soluzione per gli italiani all’estero: la “ponderazione” del loro voto, che in sostanza peserebbe meno di quello dei residenti. Ma per fare questo – è il parere di alcuni costituzionalisti – non basta la legge elettorale ma serve una previsione in Costituzione. Sempre Casellati ha avuto modo poi di prefigurare una soglia del 40% per far scattare il premio, al di sotto della quale scatterebbe il ballottaggio nazionale tra i primi due. Eppure, fa notare il Pd per bocca di Dario Parrini e lo ripete anche Pera, in tutti i Paesi dove c’è l’elezione diretta di una carica monocratica la soglia per il ballottaggio è al 50%. Portare l’asticella più in basso significherebbe costituzionalizzare l’elezione di un premier di minoranza in un periodo storico in cui, per di più, diminisce la partecipazione al voto.


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/rss/notizie/politica.xml


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