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Premierato: al capo del governo il potere di scioglimento, ma il ribaltone resta possibile

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Elezione «a suffragio universale e diretto» del premier, che resta al potere per cinque anni grazie ad un sistema elettorale che “garantisce” la maggioranza dei seggi in Parlamento e che non può essere rieletto dopo due mandati consecutivi. E, soprattutto, che può essere sostituito solo una volta nella legislatura, e solo se sarà lui stesso a decidere di passare la mano, da un parlamentare che fa parte della coalizione vincitrice delle elezioni. Tradotto: niente più governi tecnici e di larghe intese guidati da personalità non elette dai cittadini (leggasi Mario Monti nel 2011 e Mario Draghi nel 2021, ma anche Giuseppe Conte nel 2018). Un ritocco della Costituzione minimo, visto che ad essere del tutto riscritti sono “solo” gli articoli 92 e 94 della Costituzione, ma l’effetto è quello di una vera e propria rivoluzione copernicana del nostro sistema istituzionale. «Un primo passo in avanti per rafforzare la democrazia, dare stabilità alle nostre Istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati», è il commento soddisfatto sui social della premier Giorgia Meloni.

Al netto dell’elezione diretta, la novità più rilevante del Ddl Casellati – giunto ieri al primo sì del Senato tra le proteste anche di piazza delle opposizioni con 109 sì, 77 contrari e un astenuto (il senatore delle autonomie Durnwalder) – è l’attribuzione al premier eletto del potere di scioglimento delle Camere, che è il vero potere deterrente delle crisi politiche, allineandolo in questo ai colleghi dei maggiori Paesi Ue. Non saranno insomma possibili sgambetti da parte dei partiti minori della maggioranza, né sostituzioni con un secondo premier a meno che questa non sia la volontà dell’eletto. In tutti i casi di dimissioni, infatti, il premier ha davanti a sé tre possibilità: chiedere e ottenere dal Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere, tentare la strada del reincarico o passare la mano ad altra personalità della maggioranza sul modello inglese. E a ben vedere quella che il centrodestra chiama norma antiribaltone tanto antiribaltone non è: nulla vieta al premier reincaricato di sostituire un riottoso partito della maggioranza con uno dell’opposizione, né sono impossibili governi di larghe intese di fronte a una crisi internazionale.

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Ma è vero, come sostiene il governo, che i poteri del presidente della Repubblica non vengono toccati dal Ddl Casellati? Formalmente è vero, anzi i suoi poteri vengono rafforzati con la norma che toglie l’obbligo di controfirma del governo su tutta una serie di atti presidenziali (la nomina dei giudici della Corte costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alla Camere), ma nella sostanza politica il suo ruolo ne esce fortemente ridimensionato. La risoluzione delle crisi politiche ha infatti sbocchi predeterminati nella maggioranza dei casi: il Capo dello Stato deve sciogliere le Camere se glielo chiede il premier eletto, perdendo così il suo vero potere politico che è appunto quello dello scioglimento, e nel caso in cui il premier decida di passare la mano invece di tornare alle urne i paletti per la nomina del successore impediscono quelle soluzioni di governi tecnici o del presidente che gli inquilini del Colle hanno scelto negli ultimi anni.

Certo, le ultime due legislature sono state particolarmente movimentate perché gli esiti elettorali sia nel 2013 sia nel 2018 non hanno prodotto un vincitore certo che fosse in grado di formare una maggioranza. Con un sistema elettorale maggioritario che produca un vincitore certo il ruolo del presidente della Repubblica sarebbe naturalmente ridotto: dovrebbe semplicemente prendere atto del risultato delle elezioni, come per altro accaduto nel 2022 con la netta vittoria del centrodestra a guida Meloni e prima ancora con le vittorie del centrodestra a guida Silvio Berlusconi e del centrosinistra a guida Romano Prodi. Il problema, per i critici, è che il Ddl Casellati disegna un sistema troppo rigido di uscita dalle crisi di governo, mentre occorrerebbe lasciare maggiore flessibilità per affrontare eventuali concomitanze esterne come potrebbero essere una pandemia, una grave crisi internazionale o una guerra.


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/rss/notizie/politica.xml


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