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La polarizzazione premia Schlein, ma il crollo del M5s mette a rischio il «campo largo»

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Anche questa volta “non l’hanno vista arrivare”. Non solo la segretaria del Pd Elly Schlein supera la soglia psicologica del 20%, al di sotto della quale per molti osservatori la sua stessa leadership sarebbe stata a rischio, ma la supera alla grande portando il partito a un risultato che non si vedeva da molti anni: oltre il 24%. Anche il secondo obiettivo, ossia accorciare la distanza con Fratelli d’Italia, è stato centrato: nonostante il successo del partito di Giorgia Meloni che sfiora il 29%, i sette punti di distanza delle scorse politiche (26 contro il 19%) diventano meno di cinque. Una distanza che in termini di voti reali, come ha subito sottolineato Schlein, passa da due milioni a un milione di voti.

La polarizzazione del voto premia Schlein e il Pd: successo oltre le previsioni

Evidentemente la forte polarizzazione della campagna elettorale tra le due sfidanti, per la prima volta nella storia italiana due donne, ha mobilitato i rispettivi elettorati nonostante la forte astensione (poco sopra il 49, circa cinque punti in meno rispetto alle scorse europee) ed è riuscita a richiamare per Fdi e Pd voti dalle aree attigue. Insieme i due primi partiti italiani arrivano al 53% dei voti espressi. L’astensione, d’altra parte, tende a “premiare” i partiti più grandi, più radicati sul territorio e che hanno un elettorato di appartenenza. A Largo del Nazareno, insomma, possono tirare più di un respiro di sollievo: il buon risultato dei dem, assieme alla politica di conciliazione interna visibile con la candidatura a capolista nel Nord Est dell’ex competitor alle primarie Stefano Bonaccini e alla scesa in campo di molti sindaci della minoranza interna (da Dario Nardella a Antonio Decaro, da Matteo Ricci a Giorgio Gori), permette a Schlein di poter godere di una pax interna utile a costruire, come primo partito d’opposizione, l’alternativa al governo di destra in vista delle politiche del 2027.

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Il traino dei sindaci e delle candidature riformiste segnale per la segretaria

Per altro dalle urne esce confermata la caratteristica plurale del Pd, un dato di cui Schlein non potrà non tenere conto in futuro: sono stati proprio Bonaccini e i sindaci “riformisti” a trainare il Pd sui territori. Con il suo mezzo milione di preferenze il pugliese Decaro contribuisce a fare del Pd il primo partito al Sud e Bonaccini vince la sfida interna portando a casa circa 380mila voti di preferenza contro i circa 200mila raccolti da Schlein. Nel complesso le candidature “riformiste” hanno spinto il Pd con un milione e mezzo di voti tamponando la possibile disaffezione degli elettori più moderati del partito e fungendo da richiamo di “voto utile” per gli elettori di Azione e Stati Uniti d’Europa, restati entrambi sotto la soglia del 4%

Lo sfaldamento della «gamba centrista»: la sconfitta di Calenda e Renzi-Bonino

Ecco, i problemi di Schlein e del Pd cominciano appena si volge lo sguardo al campo largo. La lista di Carlo Calenda si ferma poco sopra il 3% e quella frutto dell’unione di Più Europa e Italia Viva, con la candidatura in prima persona di Emma Bonino e Matteo Renzi, non arriva al 4%. Insieme le due liste sconfitte, che restano fuori dal Parlamento Ue contribuendo al calo della macroniana Renew Europe, segnano comunque un 7% circa. Il che indica che un’area liberal-democratica che non si riconosce né nel Pd guidato da Schlein né nel centrodestra esiste e cerca casa, nonostante il triste spettacolo delle liti tra Calenda e Renzi andato avanti per mesi. Un passo di lato dei leader aiuterebbe forse l’aggregazione dell’area, anche se le prime reazioni di Renzi e Calenda dicono il contrario («è una sconfitta, ma andiamo avanti», dichiarano entrambi). Resta comunque in prospettiva, anche dal punto di vista del Pd, il problema di una “gamba” di centro necessaria per rendere l’alternativa di governo credibile e realistica.

Il crollo del M5s rende più difficile la costruzione dell’alternativa

Perché se il centro si sfalda, il principale possibile alleato subisce un vero e proprio crollo. Se uno stacco dal M5S guidato dal pugnace Giuseppe Conte era necessario, dal punto di vista dei dem, per sedersi a capotavola del “campo largo”, un risultato del genere non era stato previsto né a Largo del Nazareno né a campo Marzio: rispetto al 15,6% portato a casa da Conte due anni fa l’asticella si ferma attorno al 10%. Vero è che alle europee il M5s, partito di opinione e poco radicato sul territorio e che quindi risente del meccanismo delle preferenze, non è andato mai bene. E vero è che il forte astensionismo ha penalizzato un partito che negli ultimi anni si è caratterizzato come particolarmente forte al Sud. Ma quasi 15 punti di distanza dal Pd pesano in casa pentastellata e difficilmente Conte si rassegnerà a fare lo junior partner della coalizione di centrosinistra. Probabile che, almeno a breve e medio termine, l’ex premier sceglierà di accentuare i tratti identitari, a cominciare dal tema della pace e del no alle armi all’Ucraina, per distinguersi dal Pd e recuperare consensi in modo da restare in sella. Nella consapevolezza che alle politiche il movimento può andare meglio, come confermano con una certa stabilità i sondaggi politici nazionali, e che una fetta importante dell’elettorato “grillino” tende a restare a casa in caso di alleanza con il Pd. Insomma, la costruzione del campo largo non sarà molto agevole per Schlein nonostante il suo dichiararsi «testardamente unitaria».


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/rss/notizie/politica.xml


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