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Europee, dalla gara di preferenze Meloni-Schlein alle percentuali dei partiti: chi potrà di dire di avere vinto?

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L’exploit di Giorgia Meloni come più votata alle elezioni europee è dato da tutti per scontato. Non solo per la popolarità della premier, ma anche per un fattore aritmetico, dal momento che la leader di Fdi si presenta come capolista in tutte le circoscrizioni. A differenza della segretaria del Pd Elly Schlein candidata (capolista) solo nelle circoscrizioni Centro e Isole. L’asticella fissata da Meloni su un prudente 26% (la stessa percentuale delle elezioni politiche) appare però con il passare del tempo abbastanza realistica. Anche se i più ottimisti sono convinti che il partito riuscirà a spuntare qualche punto in più.

Meloni unico nome davvero di spicco nelle liste Fdi

Il punto è che con il suo «vota Giorgia» la premier ha catalizzato su di sè il voto, trasformandolo in una sorta di plebiscito sul governo. E il suo è il solo nome davvero di spicco nelle liste di Fdi. Tra gli eurodeputati uscenti gli unici volti noti sono quelli Carlo Fidanza e Nicola Procaccini. E poi c’è il jolly di Vittorio Sgarbi. Non molto altro.

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Per il Pd asticella al 20%

Per il Pd è decisiva la soglia del 20% è il minimo sindacale chiesto alla neo-segretaria Elly Schlein per evitare lo psicodramma nel partito. Si tratta di una sorta di asticella di sopravvivenza: superarla significherebbe quanto meno migliorare il 19% delle politiche (anche se alle scorse europee il partito raggiunse il 22,7%). Fondamentale sarà poi lo scarto con il M5s (al 15,4% alle politiche). Uno scarto ridotto per una segretaria eletta per spostarsi più a sinistra e contendere ai 5 stelle i voti “in uscita”, sarebbe considerato un fallimento. E darebbe più fiato a Giuseppe Conte per contendere a Schlein la candidatura alla premiership nel campo progressista. Conte che, in mancanza di volti noti tra i candidati M5s alle europee, si è speso in prima persona in campagna elettorale, pur non correndo per un seggio a Bruxelles.

I tanti big nelle liste del Pd

Ma la campagna della Schlein, iniziata in sordina, si sta concludendo meglio delle previsioni. E del resto la composizione delle liste è stata fatta per dare voce alle varie anime del partito, schierando pesi massimi in grado di portare migliaia di voti. Dall’ex governatore del Lazio Nicola Zingaretti, ai sindaci uscenti di Bergamo, Firenze e Bari (Giorgio Gori, Dario Nardella e Antonio Decaro) al governatore dell’Emilia Romagna nonché presidente del Pd, Stefano Bonaccini (leader dell’area riformista e capolista nel Nord Est); fino ai candidati autonomi fatti scendere in campo per allargare il perimetro dei consensi: volti noti come Cecilia Strada (capolista nel Nord Ovest), Marco Tarquinio e Lucia Annunziata (capolista al Sud).

La Lega schierata a destra

La Lega guidata da Matteo Salvini, che ha fissato l’asticella minima al 10% (comunque un passo avanti rispetto all’8,8% delle politiche del 2022 (posto che l’exploit del 34,3% alle europee del 2019 appartiene ormai alla preistoria) ha impostato tutta la sua campagna elettorale guardando a destra, con l’intento di erodere voti a Fdi nella sua galassia storica. Non c’è solo il recente attacco del senatore Claudio Borghi al capo dello Stato, con annessa richiesta di dimissioni per aver parlato di sovranità europea. C’è soprattutto la candidatura del generale-scrittore Roberto Vannacci, che ha condotto tutta la campagna elettorale ammiccando all’area post-fascista. Senza dimenticare l’abile mossa elettorale di Salvini di portare in Cdm alla vigilia del voto il piano salva-casa per mettere in regola finestre, balconi, verande, soppalchi, pareti o intere stanze.


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/rss/notizie/politica.xml


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