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Delitto di Genova: Mahmoud ucciso perché non voleva lavorare in nero



Abbiamo il nome del corpo mutilato trovato a Genova, ora anche il possibile movente, ovvero una recente denuncia alla Finanza per il suo datore.

È stato un fatto inquietante il ritrovamento del suo cadavere senza mani né testa ma ancora peggio scoprire la terribile storia di soprusi che si cela dietro la morte del giovane Mahmoud, il 18enne con il sogno di aprire un negozio di barberia tutto suo, distaccandosi da quello dove lavorava. Lì a Sestri Ponente, dove il suo datore lo teneva senza un regolare contratto e lo faceva vivere in condizioni di degrado insieme agli altri dipendenti. Il giovane mandava tutti i soldi ai genitori e al fratello in Egitto, non erano molti ma lavorava sodo ed era intenzionato ad accettare la proposta di lavoro della concorrenza, probabilmente per uno stipendio più alto e per un contratto di lavoro regolare. Questa decisione non è andata a genio a Tito, il titolare, che aiutato da Bob ha messo in atto un piano crudele. C’era già il rancore accumulato dopo la denuncia, ora la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha spinto i due ad attirare il ragazzo con l’inganno nell’appartamento dove viveva, per poi ucciderlo, mutilarlo e gettare il corpo nel fiume Entella.

Ucciso perché non voleva lavorare in nero, la storia di Mahmoud

È stato fatto a pezzi con un mannaia Mahmoud, giovane barbiere conosciuto a Sestri Ponente, dove lavorava da anni nel negozio di quello che tutti conoscono come Tito. Il suo nome è Mohamed Ali Abdelghani Ali e da tempo c’erano screzi con il giovane, specialmente in seguito alla denuncia di quest’ultimo ai finanzieri perché lavorava in nero e invece voleva che la sua posizione venisse regolarizzata. Non è chiaro se quel controllo in realtà sia scattato dopo un suo avviso oppure fosse un’operazione di routine, fatto sta che il piano verso la sua eliminazione era scattato già da settimane.

Arriviamo poi al 23 luglio, giorno in cui Tito, aiutato da un altro dipendente del salone, ha compiuto l’omicidio del ragazzo, colpevole solo di voler lavorare a condizioni dignitose e con un contratto regolare. Parliamo tanto di lavoro nero in Italia e furbetti che con il reddito di cittadinanza chiedono di essere assunti senza contratto per poter incassare il “doppio stipendio”. Qui abbiamo un giovane che invece aveva voglia veramente di approfondire un mestiere e voleva farlo alle dipendenze di qualcuno che capisse il suo valore e lo aiutasse a migliorare e non che lo vedesse solo come un numero, uno strumento per guadagnare.

È morto così Mahmoud e gli indagati per la sua morte, al momento sono tutt’altro che collaborativi con gli inquirenti, ai quali non rispondono e non forniscono dettagli utili alle indagini. Secondo quanto emerso, i due complici sono stati ripresi mentre uscivano da un negozio di cinesi della zona, dove hanno acquistato l’occorrente per mettere a punto il loro piano: due lame e una valigia, probabilmente usata per trasportare il corpo fino a Chiavari, poi mutilarlo e disfarsene nel modo che tutti conosciamo.

Il delitto

La svolta di oggi è triste e ci fa riflettere su come questo ragazzo sia morto ingiustamente, pagando con la vita il sogno di un lavoro migliore. Il suo delitto è stato crudele e atroce. Stando a quanto ricostruito dai carabinieri, domenica 23 luglio Tito e Bob hanno attirato Mahmoud nell’appartamento di via Vado dove viveva e lì lo hanno aggredito colpendolo più volte con un punteruolo al cuore, al fegato e allo stomaco.

Poi il corpo è stato chiuso in una valigia e caricata su un taxi, che ha portato i due a Chiavari per disfarsi di ciò che rimaneva del 18enne.

Le ultime ore della sua vita, Mahmoud le aveva passate a fare il barbiere, il mestiere che amava e che aveva appreso a bottega. Quella passione lo ha portato a una morte incomprensibile, orchestrata proprio da coloro con cui aveva buonissimi rapporti, almeno dal di fuori.

I conoscenti dicono infatti che potevano essere scambiati per fratelli. Quelle persone che sembravano così affiatate invece, lo hanno ucciso e Bob ha rivelato di aver agito sotto minaccia di morte. Il suo ruolo è stato quello di complicità nello sbarazzarsi del cadavere mentre l’esecutore materiale è considerato Tito, comunque entrambi sono indagati per omicidio e soppressione di cadavere.

I tre erano connazionali e anche fuori dal lavoro si frequentavano però, secondo chi li conosceva, è stata la gelosia a far arrivare all’omicidio. Era inaccettabile il fatto che il 18enne lavorasse per un altro negozio, dove fra l’altro era già in prova da pochissimo tempo quindi non era un’intenzione ma una cosa diventata effettiva.

Quel 23 luglio era il primo giorno di prova per il giovane egiziano, era di buon umore e felice di voltare pagina. Era arrivato puntualissimo, aveva fatto colazione con il nuovo datore di lavoro e poi era iniziata la giornata. Circa verso le 11 Tito e Bob entrano in negozio, dove restano 20 minuti a congratularsi con il gestore per la recente apertura, chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa.

Poi succede qualcosa che ancora non è chiaro, ad ogni modo Mahmoud si allontana insieme a loro e in quel momento la porta della barberia si chiude per sempre. Non tornerà più al suo posto di lavoro, scomparirà e verrà ritrovato poche ore dopo, senza più la testa né le mani, in un maldestro tentativo dei killer di cancellare le proprie tracce.

Invece, gli esami del Dna hanno portato non solo a scoprire chi era la vittima ma anche a ricostruire cosa era accaduto e chi era il colpevole di questo atroce gesto che senza nessun timore, alcuni connazionali hanno classificato con un qualcosa che nel loro Paese comporterebbe la pena di morte.


Fonte: https://www.nanopress.it/s/cronaca/feed/


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