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    L’antibiotico-resistenza è un gran problema

    Caricamento playerIl recente annuncio dello sviluppo del zosurabalpin – un antibiotico di nuova generazione ritenuto efficace contro un batterio molto difficile da trattare – è stato accolto come un nuovo importante progresso nell’affrontare il problema dell’antibiotico-resistenza, cioè della capacità di alcuni batteri di resistere ai farmaci e di portare avanti l’infezione talvolta con esiti letali. Il fenomeno è noto da tempo e secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è uno dei più grandi rischi per la salute pubblica perché, con il passare del tempo, rende sempre meno efficaci farmaci che nel corso del Novecento avevano permesso di salvare la vita di milioni di persone.
    In generale gli antibiotici sono sostanze prodotte da un microrganismo in grado di ucciderne un altro o di limitarne la moltiplicazione. Gli antibiotici propriamente detti sono quelli prodotti in questo modo da alcuni microrganismi per contrastarne altri, mentre gli antibatterici non-antibiotici sono sostanze ottenute in laboratorio. Entrambi hanno comunque la medesima caratteristica, cioè uccidere o prevenire la crescita di particolari batteri, di conseguenza si utilizza comunemente il termine ombrello “antibiotici” per tutte e due le tipologie di sostanze.
    Lo sviluppo degli antibiotici, a partire dai primi esperimenti di Alexander Fleming sulla penicillina alla fine degli anni Venti del secolo scorso, ha portato all’identificazione di circa 15 classi dalle quali è derivata la produzione degli antibiotici che utilizziamo ancora oggi. La varietà di queste sostanze non è molto ampia e questa scarsità è diventata una delle cause dell’antibiotico-resistenza, insieme a un uso su ampia scala e spesso eccessivo degli antibiotici nella seconda metà del Novecento.
    Una certa resistenza antibiotica da parte dei batteri è sempre esistita ed è stata essenziale per scoprire gli antibiotici che utilizziamo. I batteri sono organismi unicellulari e devono difendersi dagli agenti esterni, che potrebbero danneggiarli e compromettere le loro colonie. Per farlo nel corso di milioni di anni hanno sviluppato la capacità di produrre propri antibiotici, cioè sostanze che danneggiano per esempio altre specie di batteri, che altrimenti potrebbero distruggerli e rimpiazzarli. È un processo che riguarda anche i funghi e fu alla base dei primi lavori di Fleming, che derivò la penicillina proprio da una muffa (le muffe appartengono al regno dei funghi).
    Lo studio dei batteri e delle loro difese ha portato allo sviluppo di una grande varietà di antibiotici: alcuni sono ad ampio spettro, cioè contrastano specie diverse di batteri, mentre altri sono più specializzati verso una sola o poche specie di questi microrganismi. Le diverse tipologie di antibiotici servono appunto per provare a eludere le difese dei batteri ed eliminarli, in modo da aiutare il sistema immunitario del paziente a superare l’infezione.
    I batteri si riproducono di continuo, anche più volte in una sola ora, e lo fanno copiando il loro materiale genetico. In questo processo può accadere che si verifichino delle mutazioni, cioè degli errori nel processo di copiatura del materiale genetico. La maggior parte delle mutazioni è innocua e non ha conseguenze, ma alcune possono invece determinare una maggiore resistenza del batterio a uno o più antibiotici. Un trattamento con antibiotici elimina quindi i batteri senza la mutazione, mentre si rivela inefficace contro quelli che casualmente hanno sviluppato una certa resistenza. Questi possono a loro volta mutare, producendo batteri dotati di un ulteriore tipo di resistenza e rendendo quindi ancora più difficile la loro eliminazione con gli antibiotici.
    Esempio semplificato di sviluppo dell’antibiotico-resistenza (Ufficio federale della sanità pubblica della Confederazione Svizzera)
    I batteri resistono agli antibiotici in modo diverso a seconda del modo in cui sono fatti e delle mutazioni che hanno accumulato. Alcuni espellono semplicemente l’antibiotico che si è inserito nel materiale cellulare, mentre altri rendono impermeabile la loro membrana in modo che l’antibiotico non possa andare oltre. Ci sono altri casi in cui i batteri modificano la struttura dell’antibiotico rendendolo inattivo oppure ancora modificano alcune delle proteine batteriche e sulle quali sarebbe dovuto intervenire l’antibiotico.
    Come abbiamo visto l’antibiotico-resistenza è una caratteristica tipica dei batteri legata al modo in cui mutano ed evolvono, tuttavia un uso eccessivo o inappropriato degli antibiotici può facilitare l’emergere di batteri sempre più resistenti. Gli antibiotici vengono spesso utilizzati in modo poco o per nulla adeguato, spesso per trattare malattie che non sono causate da batteri, ma da virus contro i quali un antibiotico non può fare nulla. Una certa tendenza a ricorrere agli antibiotici senza motivo era emersa piuttosto chiaramente nelle fasi più acute della pandemia da coronavirus, nonostante tutte le principali istituzioni internazionali invitassero a non utilizzare questo tipo di farmaci per trattare COVID-19, una malattia virale a tutti gli effetti.
    L’antibiotico-resistenza può anche essere favorita da un uso scorretto degli antibiotici, per esempio quando si decide di accorciare la durata della terapia, oppure di ridurre le dosi di antibiotico e di fare da sé, senza avere consultato un medico. L’effetto della maggior parte degli antibiotici è relativamente breve e per questo le terapie spesso prevedono l’assunzione di una dose due o tre volte al giorno, per avere una copertura completa durante il trattamento. Assumerne meno o in orari non regolari può facilitare la sopravvivenza dei batteri e la loro proliferazione, con un aumentato rischio di mutazioni.
    I batteri che sviluppano una marcata resistenza possono causare numerose tipologie di infezioni, che possono diventare croniche o nei casi più gravi letali. Tra le infezioni più ricorrenti e difficili da trattare ci sono quelle del tratto urinario, le polmoniti, le infezioni della pelle, alcune forme di diarrea e le infezioni a carico del sistema circolatorio. Le persone ricoverate in ospedale sono inoltre a più alto rischio di contrarre infezioni batteriche, a cominciare da quelle da Acinetobacter baumannii, un batterio che può avere una forte resistenza agli antibiotici, compresi i carpapenemi, una classe di antibiotici ad ampio spettro di azione e che vengono considerati di “ultima linea” (cioè trattamenti da adottare quando gli altri hanno fallito).
    Trattare le infezioni dovute a batteri resistenti è spesso molto difficile e rende necessaria la somministrazione di tipi diversi di antibiotici, che possono essere via via più potenti e mirati, ma anche più costosi. Trovare la giusta terapia richiede tempo in una fase in cui qualsiasi ritardo è un problema per il paziente, che continua intanto a peggiorare a causa dell’avanzare dell’infezione e degli altri problemi connessi. Le complicazioni possono rivelarsi letali, soprattutto nel caso dei ceppi batterici che si rivelano resistenti a più classi diverse di antibiotici. Il rischio è che con il tempo alcuni batteri diventino resistenti a tutti gli antibiotici oggi disponibili, vanificando i progressi raggiunti nel Novecento in questo campo.
    I dati raccolti dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) indicano che l’antibiotico-resistenza sta diventando un problema in molti paesi dell’Europa. In particolare negli ultimi anni è stato osservato un aumento della resistenza di Escherichia coli agli antibiotici solitamente più usati, con un conseguente aumento dei casi di infezioni croniche al tratto urinario e infezioni ancora più gravi. Nei paesi meridionali dell’Europa il fenomeno sembra essere più diffuso rispetto ai paesi della Scandinavia e ai Paesi Bassi. In generale, i paesi dove storicamente si registra un ricorso più prudente agli antibiotici sono anche i paesi dove il fenomeno della resistenza agli antibiotici è meno presente.
    Il problema dell’uso eccessivo degli antibiotici è comunque globale e l’OMS ha avviato diverse iniziative e progetti per sensibilizzare i governi e le autorità sanitarie nazionali sul problema, con ripetuti inviti a ridurre l’impiego degli antibiotici. In molti paesi, compresa l’Italia, sono state rafforzate le limitazioni legate alla possibilità di acquisto degli antibiotici in farmacia senza una prescrizione medica proprio per evitare gli approcci fai-da-te.
    Gli antibiotici non sono consumati solo direttamente dagli esseri umani, ma anche indirettamente attraverso la catena alimentare. Negli allevamenti si fa spesso ampio uso degli antibiotici per assicurarsi una crescita rapida e in salute degli animali, riducendo il rischio di infezioni. Le sostanze utilizzate sono le medesime impiegate sugli esseri umani e ci sono studi che hanno rilevato un effettivo passaggio di alcune di queste in chi consuma carne. Le ricerche in tema sono ancora in corso, ma si ritiene che il trasferimento sia minimo se confrontato con quello dovuto ai trattamenti medici negli esseri umani.
    Un uso solo quando strettamente necessario degli antibiotici ed esami diagnostici più accurati per stabilire in fretta la giusta terapia antibiotica sono considerati gli strumenti più importanti per contenere il problema dell’antibiotico-resistenza. Ma secondo l’OMS un approccio integrato deve anche passare attraverso lo sviluppo di antibiotici di nuova generazione, in modo da trattare i casi più difficili come quelli da Acinetobacter baumannii. Come ha segnalato un recente editoriale pubblicato dalla rivista scientifica Nature, sviluppare nuovi antibiotici non è semplice e ha forti implicazioni economiche.
    Si stima che solo un candidato antibiotico su 30 superi la fase di verifica in laboratorio per poi iniziare i test sui pazienti. L’intero processo dallo sviluppo all’approvazione da parte delle autorità di controllo può arrivare a costare intorno a un miliardo di euro, ma poiché si cerca di utilizzare il meno possibile gli antibiotici proprio per evitare l’antibiotico-resistenza i ritorni per l’azienda farmaceutica che ha investito così tanto sono generalmente bassi, spesso inferiori ai 100 milioni di euro all’anno. Di conseguenza le aziende farmaceutiche sono restie a fare grandi investimenti nel settore, salvo non ci siano incentivi e promesse di acquisto da parte dei governi tali da rendere sostenibile la loro attività di ricerca e sviluppo.
    La questione sarà affrontata nel corso della prossima assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre, con una serie di incontri dedicati alla resistenza agli antimicrobici (il problema riguarda anche, in modo diverso, i funghi e i virus) dopo gli ultimi organizzati ormai otto anni fa. Gli incontri di questo tipo servono di solito a fissare impegni e regole comuni, ma anche per fare il punto della situazione dopo la prima serie di iniziative adottate nel 2016 da oltre 150 paesi per ridurre e rendere più responsabile il consumo di antibiotici. LEGGI TUTTO

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    L’anomalo aumento di polmoniti infantili in Cina

    Nelle ultime settimane in Cina è stato rilevato un aumento anomalo di casi di polmonite infantile, le cui cause non sono ancora completamente chiare. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha chiesto maggiori informazioni e il governo cinese ha risposto dicendo di non avere rilevato «nuovi o strani patogeni» collegati alle polmoniti. La situazione al momento non suscita particolare preoccupazione, ma dopo la pandemia da coronavirus SARS-CoV-2 iniziata proprio in Cina ci sono grandi attenzioni, soprattutto da parte delle istituzioni sanitarie internazionali.Ormai da qualche mese i medici cinesi segnalano un aumento dei casi di malattie respiratorie, attribuendole a varie cause note come i virus influenzali, il SARS-CoV-2 e il Mycoplasma pneumoniae, un batterio tra i più comuni nelle forme di infiammazione ai polmoni che chiamiamo genericamente polmoniti. L’infezione batterica interessa con maggior frequenza i bambini e causa di solito una malattia di lieve entità, che deve comunque essere trattata per evitare il peggioramento dei sintomi.Per i medici è quindi normale e atteso che si debbano occupare spesso di polmoniti di questo tipo tra i bambini, ma secondo le informazioni fornite dai media cinesi nelle ultime settimane i casi sono aumentati notevolmente. Per giorni ci sono state notizie di ospedali con decine di bambini ricoverati in varie zone della Cina, talvolta con seri problemi nel fornire loro assistenza a causa del grande afflusso di pazienti.In un ospedale nella provincia orientale di Anhui, i medici hanno effettuato 67 broncoscopie in un giorno rispetto alla media giornaliera di una decina di esami di questo tipo, che servono per valutare le condizioni e lo stato di infiammazione a livello polmonare. Un altro ospedale nella provincia costiera orientale dello Zhejiang ha stimato che le visite pediatriche siano triplicate rispetto allo scorso anno e che a circa un bambino su tre sia stata diagnosticata una polmonite da Mycoplasma pneumoniae.In seguito alle notizie sui molti ricoveri, mercoledì 22 novembre l’OMS aveva chiesto pubblicamente al governo cinese di fornire maggiori informazioni, utilizzando i canali appropriati per segnalare gli aumenti di particolari malattie. In seguito alla richiesta, l’agenzia di stampa Xinhua controllata dal governo aveva diffuso un articolo che segnalava le dichiarazioni di alcuni funzionari della Commissione nazionale di sanità, l’organismo che si occupa della salute pubblica in Cina. I funzionari avevano detto di essere al lavoro per analizzare le diagnosi di bambini con malattie respiratorie.Il giorno seguente, giovedì 23 novembre, l’OMS aveva poi comunicato di avere ricevuto nuove informazioni direttamente dal governo cinese, che aveva indicato di non avere rilevato la presenza di «nuovi o strani patogeni» legati alle polmoniti. Secondo le autorità sanitarie cinesi, la maggior quantità di malattie respiratorie sarebbe dovuta a più cause già note, a cominciare dai virus influenzali. L’ipotesi è che si siano diffusi più del solito in seguito alla rimozione delle forti limitazioni imposte nel paese negli anni scorsi per provare a ridurre la circolazione del coronavirus, con la cosiddetta “strategia zero-COVID”.Il lungo isolamento ha reso meno frequenti i contagi da influenza, contribuendo a una minore esposizione alla malattia e di conseguenza a una minore immunità nei suoi confronti rispetto ad altri periodi, specialmente nelle persone non vaccinate. Ciò ha fatto sì che i sintomi fossero più significativi e tali da rendere necessari accertamenti in ospedale per molti pazienti. Qualcosa di analogo potrebbe essere successo con altri virus e batteri che interessano con maggiore frequenza i bambini, come il virus respiratorio sinciziale (RSV) e il Mycoplasma pneumoniae.Le cause dell’attuale aumento di polmoniti tra i bambini sono comunque difficili da ricostruire sulla base delle informazioni fornite finora dal governo cinese, ritenute ancora insufficienti da molti osservatori. È forse anche per questo motivo che l’OMS ha scelto di chiedere pubblicamente spiegazioni, invece di seguire le vie della comunicazione interna.Un gruppo di lavoro dell’OMS si occupa infatti di sorvegliare le notizie che circolano sui giornali e sui social network, confrontandole con quelle fornite dalle istituzioni sanitarie dei singoli paesi, in modo da occuparsi il prima possibile di eventuali anomalie. Quando emergono stranezze, l’OMS invia una richiesta di maggiori informazioni al paese interessato, ma è raro che la procedura sia annunciata pubblicamente. Si preferiscono comunicazioni dirette e interne con le istituzioni coinvolte, arrivando a qualcosa di pubblico solo nel caso in cui ci siano elementi utili da condividere globalmente per esempio per ridurre i rischi di avere un’emergenza sanitaria.Nelle prime fasi di quella che sarebbe poi diventata la pandemia da coronavirus, l’OMS era accusata di essere troppo cauta nei confronti del governo cinese e di non avere richiesto da subito maggiore trasparenza sulla diffusione del SARS-CoV-2. La richiesta pubblica di chiarimenti mostra un cambiamento di approccio in un contesto in cui c’è più attenzione su questi temi da parte della popolazione in generale, che negli ultimi anni ha dovuto affrontare grandi difficoltà e limitazioni.Al momento mancano dati più precisi e ufficiali sulla diffusione delle polmoniti tra i bambini, anche se la richiesta dell’OMS ha portato a qualche maggiore concretezza. Il fatto che non sia stato segnalato un aumento di malattie respiratorie simili tra gli adulti sembra comunque rendere meno probabile la presenza di un nuovo virus, ancora non conosciuto. Per avere maggiori informazioni, i bambini con sintomi dovrebbero essere sottoposti ai test per i patogeni che con maggiore frequenza causano malattie respiratorie, in modo da comprendere meglio la causa dei loro problemi di salute. Una grande quantità di test negativi su virus e batteri noti più diffusi e in circolazione in questo periodo potrebbe dare qualche indicazione su eventuali nuovi patogeni.Secondo alcuni osservatori, la vicenda mostra come l’approccio delle autorità cinesi nel comunicare in maniera trasparente con le istituzioni sanitarie internazionali non sia cambiata molto, nonostante la recente pandemia avesse avuto origine proprio nel paese. Tra il 2019 e il 2020 la Cina era stata relativamente solerte nel condividere le informazioni su quello che sarebbe stato poi chiamato SARS-CoV-2, ma emersero comunque ritardi e omissioni nella gestione della prima fase dell’emergenza sanitaria che si sarebbe poi diffusa in tutto il mondo. LEGGI TUTTO

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    Cosa ha detto davvero l’OMS su aspartame e cancro

    L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha consigliato di moderare il consumo di aspartame, un dolcificante ampiamente utilizzato nelle bibite “zero” o “light”, perché potrebbe essere una possibile causa di cancro. Il rischio è però molto basso per i normali consumatori di questa sostanza e ci sono ancora pareri discordanti sulle conclusioni della nuova valutazione, arrivata al termine di due distinti lavori di analisi che possono apparire in contraddizione tra loro. Secondo vari esperti, la confusione derivante dall’annuncio rischia di portare a incertezze non solo intorno all’aspartame, ma in generale al lavoro che viene svolto dalle autorità sanitarie per stimare la pericolosità delle sostanze con cui siamo di frequente in contatto.– Ascolta anche: La decisione dell’OMS su aspartame e cancro, senza allarmismiIl primo rapporto citato dall’OMS è stato diffuso dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) che ha inserito l’aspartame nel “Gruppo 2B”, che comprende le sostanze “possibilmente cancerogene”. Fanno parte di questa classe circa 300 sostanze per le quali i risultati delle ricerche sono limitati negli esseri umani e meno che sufficienti negli animali. È un gruppo relativamente ampio e che comprende molti prodotti compresi i sottaceti, per esempio. Per lo IARC le sostanze certamente cancerogene finiscono invece nel “Gruppo 1”, dove sono disponibili dati più che sufficienti e solidi per dimostrare che una certa sostanza faccia aumentare inequivocabilmente l’insorgenza di un tumore. In questo gruppo sono compresi l’alcol (vino, birra e simili), gli insaccati, il fumo e l’amianto.Gli scienziati che fanno parte della IARC non effettuano studi, ma analizzano tutte le ricerche esistenti condotte in giro per il mondo, da quelle realizzate sugli esseri umani esposti a una determinata sostanza a quelle sugli animali, ai quali vengono per esempio somministrate le sostanze per vedere che effetto fanno. Le ricerche vengono confrontate, i dati contenuti analizzati con metodi statistici e infine viene emesso un parere per la classificazione della sostanza.La classificazione IARC, che prevede appunto vari gruppi, non indica quali sostanze sono “più” o “meno” cancerogene, ma semplicemente esprime quanto si è sicuri che una sostanza sia davvero cancerogena. Per le sostanze nel “Gruppo 1”, quello dell’alcol, la certezza è ormai consolidata, per quelle comprese nel “Gruppo 2A” il livello di certezza è minore, ancora meno per quelle nel “Gruppo 2B” come l’aspartame da poco inserito, e così via. Man mano che si accumulano nuovi studi e conoscenze le cose possono cambiare, con lo spostamento di alcune sostanze da un gruppo all’altro (difficilmente quelle comprese nel “Gruppo 1” saranno riclassificate, considerato il livello di certezza sui loro effetti).Il secondo rapporto utilizzato dall’OMS è stato invece diffuso dal Comitato congiunto FAO/OMS di esperti sugli additivi alimentari (JECFA), che ha confermato quanto era già stato deciso in precedenza circa il consumo generalmente sicuro dell’aspartame a patto che non ne siano assunte quantità molto grandi. Questo secondo rapporto sembra essere in contraddizione con il primo, ma in realtà le differenze derivano dal fatto che le due istituzioni hanno diverse competenze.Come abbiamo visto la IARC si occupa di valutare se una sostanza possa causare qualche danno, mentre il JECFA fa una valutazione del rischio sull’insorgenza del cancro in seguito all’assunzione di una determinata sostanza. La cancerogenicità è una caratteristica intrinseca: qualcosa è cancerogeno o non lo è. Al tempo stesso, non tutto ciò che è cancerogeno ha gli stessi effetti sul nostro organismo. Ogni sostanza cancerogena fa aumentare in una certa misura il rischio individuale di avere un certo tipo di tumore: alcune lo fanno aumentare di molto, altre di poco. Per esempio, nel caso delle bevande alcoliche non c’è un consumo minimo sicuro, ma gli effetti negativi possono essere di diversa entità: l’alcol è sicuramente pericoloso, ma se bevi un solo bicchiere di vino in tutta la vita, il rischio sarà irrilevante nello sviluppo di un tumore.I responsabili dell’OMS che si sono occupati della nuova valutazione hanno chiarito che il consumo occasionale di aspartame, per esempio da parte di chi ogni tanto si beve una lattina di una bibita “zero”, non costituisce particolari preoccupazioni. Francesco Branca, direttore del Dipartimento per la nutrizione e la sicurezza alimentare dell’OMS, ha detto: «Non stiamo consigliando alle aziende di ritirare i loro prodotti né stiamo dicendo alle persone di interrompere il consumo e basta, stiamo solo consigliando un minimo di moderazione».Per numerose sostanze è possibile calcolare le dosi giornaliere di sicurezza, mentre per altre no, a prescindere dalla loro cancerogenicità. IARC non dà mai indicazioni sulle quantità, mentre JECFA ha confermato la precedente valutazione sulla dose massima giornaliera di 40 milligrammi di questa sostanza per ogni chilogrammo di massa corporea. Una persona che pesa 75 chilogrammi, per esempio, dovrebbe consumare circa 15 lattine di una bevanda “zero” o “light” per superare la dose massima. Qualche preoccupazione in più c’è per i bambini, considerata la loro minore massa corporea, ma anche in questo caso il consumo dovrebbe essere comunque di 4-5 lattine prima di superare la soglia.È difficile stabilire quante persone consumino così tante bevande “zero” o altri alimenti che contengono aspartame nel corso di una giornata. È improbabile che il limite massimo sia raggiunto non solo con un consumo moderato di prodotti a base di aspartame, ma anche con uno più intenso. Quindici lattine equivalgono a quasi 5 litri di una bevanda con aspartame; inoltre, varie bibite contengono diversi altri dolcificanti, con dosi minime di aspartame quando presente.La IARC ha basato le proprie conclusioni soprattutto su tre grandi studi osservazionali, effettuati cioè valutando comportamenti e reazioni di grandi gruppi di persone, che avevano indagato in passato la correlazione tra tumore al fegato e consumo di aspartame. Per quanto piuttosto estesi, quegli studi non avevano rilevato alcun nesso di causalità e per stessa ammissione dell’OMS quelle ricerche presentavano comunque vari problemi che rendevano poco affidabili le loro conclusioni.A oggi non è nemmeno disponibile il lavoro finale della IARC sull’aspartame, che sarà pubblicato nei prossimi mesi. L’OMS ritiene che i nuovi sviluppi possano essere un’importante opportunità per effettuare nuovi studi e ricerche sull’aspartame e sui sostituti dello zucchero in generale, con nuove e più approfondite valutazioni sui loro eventuali rischi. La scelta di presentare i risultati parziali in questo modo ha però suscitato qualche perplessità tra gli addetti ai lavori, specialmente per la difficoltà nel comunicare il giusto messaggio sulle effettive conoscenze legate all’aspartame e al suo consumo entro i limiti consigliati, che di fatto già avviene per la maggior parte delle persone. LEGGI TUTTO

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    Per l’OMS il vaiolo delle scimmie non è più un’emergenza sanitaria internazionale

    Giovedì l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che la diffusione del vaiolo delle scimmie non è più un’emergenza sanitaria internazionale, cioè la definizione più grave per una minaccia di tipo sanitario fra quelle in uso. Il vaiolo delle scimmie è una malattia causata da un virus appartenente alla stessa famiglia del vaiolo, il virus MPXV (Monkeypox virus), ma che non va confusa con il ben più rischioso vaiolo, che è una malattia dichiarata eradicata nel 1980.L’OMS aveva dichiarato il vaiolo delle scimmie un’emergenza sanitaria internazionale lo scorso luglio, dopo che nel giro di un paio di mesi c’erano stati più di 10mila casi di contagio in circa 70 paesi in tutto il mondo. Negli ultimi mesi i contagi sono notevolmente diminuiti, anche grazie alle vaccinazioni per i soggetti più a rischio, fino a scomparire quasi del tutto, ha detto giovedì il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus.– Leggi anche: La pandemia da coronavirus non è più un’emergenza internazionale (AP Photo/Mary Altaffer, File) LEGGI TUTTO