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    Oro in ripresa, gli investitori si preparano alla tempesta

    Il segnale che qualcosa cominci a non funzionare sui mercati internazionali lo ha dato ieri il prezzo dell’oro. Il valore del metallo con consegna immediata, dopo settimane di calo, è aumentato dello 0,71% riportandosi verso i 3.300 dollari l’oncia e ravvivando nuovamente le attese di aggiornamento dei record dello scorso aprile quando l’annuncio dei dazi scatenò l’impennata verso quota 3.500 dollari che oggi molti analisti ritengono possa essere nuovamente raggiunta.Il World Gold Council, l’organizzazione che rappresenta le società aurifere, nel suo consueto report, riferisce infatti che la domanda globale nel secondo trimestre è aumentata del 3% a 1.249 tonnellate. È il massimo dal 2020, periodo nel quale i crolli delle Borse innescati dai lockdown ravvivarono la richiesta del bene rifugio per eccellenza.La decisione della Federal Reserve americana di tenere i tassi invariati tra il 4,25 e il 4,5%, oltre a far infuriare Trump, ha preoccupato gli operatori. Fino a quando questo livello sarà sostenibile? Il Pil Usa nel secondo trimestre è cresciuto del 3% grazie al minor deficit commerciale imposto dai dazi. Il mercato del lavoro continua a tenere. Ma l’inflazione Usa rimane su livelli elevati (il dato di Pce di giugno è al 2,8%, più alto delle stime del mercato) e dunque allontana di qualche mese l’intervento sul costo del denaro che non abbassandosi, alla lunga, potrebbe dispiegare effetti negativi.Questo spiega perché l’euro abbia recuperato terreno chiudendo in rialzo sopra quota 1,14 dollari dopo settimane di calo pur restando vicino ai minimi di metà giugno. Il biglietto verde, infatti, resta relativamente forte, circostanza testimoniata dal calo dei rendimenti dei titoli di Stato Usa a dieci anni, scesi al 4,35%. E anche Wall Street, sebbene le notizie provenienti da Bruxelles e da Washington ieri non fossero troppo incoraggianti, a un’ora dalla chiusura vedeva i propri indici principali vicini alla parità. Anche per le performance finanziarie di Meta e Microsoft. Quest’ultima, dopo la trimestrale è volata oltre i 4.000 miliardi di dollari di capitalizzazione.L’esatto contrario di quanto accaduto in Europa: Milano (-1,56%) è stata la maglia nera, Parigi è calata dell’1,14% e Francoforte dello 0,73%. Più contenute le flessioni di Londra (- 0,07%) e di Amsterdam (-0,15%), mentre Madrid ha retto (+0,2%). Il Ftse Mib, l’indice milanese, ha perso di vista il picco di maggio 2007 sfiorato alla vigilia, penalizzato dai tonfi di Ferrari (-11,65%), Tenaris (-6,2%) e Iveco (-4,5%) dopo i rispettivi conti. Mercoledì scorso, dopo risultati deludenti, Amplifon aveva perso il 25%, segno che gli operatori aspettano qualsiasi pretesto per vendere dopo i recenti rialzi. LEGGI TUTTO

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    Fredde le Borse. Le aziende fra sollievo e bisogno di aiuti

    L’accordo, con ancora molti punti da chiarire e dettagli da concordare, tra Ue e Usa non ha entusiasmato i mercati. Anzi, le Borse europee hanno chiuso la seduta senza particolare slancio: a Francoforte il Dax ha perso l’1,02%, Parigi lo 0,43% e a Milano l’indice FtseMib è rimasto stabile con un +0,01% dopo aver guadagnato fino all’1,2% nel corso della mattinata. Al di fuori dell’Unione europea, Londra ha perso lo 0,43 per cento. Lo spread tra Btp italiani e i Bund tedeschi è sceso a 84 punti base. Intanto, peggiora ulteriormente l’euro che cede l’1,2% sul dollaro e scivola sotto quota 1,16 in quella che è stata la peggior performance della moneta unica dallo scorso maggio. Seduta debole anche per Wall Street con l’S&P 500 a -0,13% alle 21 italiane e il Dow Jones in calo dello 0,25 per cento. In leggero rialzo solo il Nasdaq (+0,16%).Il focus degli analisti è sul comparto della Difesa e dei titoli Leonardo (-2,8%), Thales (-4,2%) e Rheinmetall (-3,2%) per l’impegno da parte della Ue ad aumentare gli acquisti di armamenti statunitensi per un valore stimato (ma non confermato) di 150 miliardi di dollari. Gabriel Debach, market analyst di eToro, ricorda che “negli ultimi mesi, la narrativa europea si era imperniata sulla sovranità industriale in campo difesa: il piano ReArm Europe, con 800 miliardi di euro previsti entro il 2030, rappresentava il pilastro di un riarmo continentale orientato a filiere interne, con priorità al procurement europeo. Leonardo, Thales, Rheinmetall e Hensoldt hanno cavalcato questa onda: da inizio anno, +82% per Leonardo, +67% per Thales, +177% per Rheinmetall, +172% per Hensoldt. E l’accordo Ue-Usa incrina proprio questo: se una quota crescente della domanda futura verrà intercettata da Lockheed Martin, Raytheon e Northrop Grumman, il potenziale per l’industria continentale si restringe. Non è solo una questione di margini, ma di posizione strategica nel mercato globale. E sul fronte europeo il rischio è che gli sforzi per il reshoring e l’integrazione verticale si trasformino in promesse non mantenute”, spiega Debach. Per Leonardo, aggiunge l’esperto di eToro, “la pressione arriva dopo mesi di euforia” ma “la leadership, in Borsa, ha un prezzo, quando si diventa il titolo da avere, si diventa anche il primo da vendere se il vento cambia”. LEGGI TUTTO

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    Borsa, ecco i titoli difensivi in caso di tempesta sui dazi

    La trattativa tra Unione europea e Stati Uniti sta continuando in modo serrato in vista della scadenza del primo agosto, una data che il segretario al commercio Usa Howard Lutnick ieri ha definito “vincolante, ma niente impedisce ai Paesi di venire a parlare con noi anche dopo l’1 agosto”. Tuttavia, ha detto di essere “fiducioso per un accordo”. Nel frattempo, scrive Bloomberg, la Ue sta lavorando anche a un piano di ritorsioni e avrebbe in programma un incontro già questa settimana. Sul tavolo ci sono già due pacchetti di contro-dazi da 21 e 72 miliardi, mentre crescono i Paesi che vorrebbero in campo il meccanismo anti-coercizione.Le Borse, finora incuranti delle sparate del presidente Donald Trump, potrebbero subire scossoni qualora si consumasse una rottura dei negoziati. A Piazza Affari, gli investitori guardano già ai titoli più difensivi. Tenendo presente che, in caso di guerra commerciale, nessun titolo verrebbe del tutto risparmiato, ce ne sono alcuni nel paniere principale Ftse Mib che hanno caratteristiche preziose. Per esempio, Ferrari che, anche se toccata dai dazi statunitensi sull’auto, si rivolge a un pubblico alto spendente che difficilmente si farebbe scoraggiare anche da dazi al 30%. A pensarlo sono diversi analisti, che posizionano il Cavallino nell’alta gamma del lusso. Non a caso il titolo è in crescita da inizio anno. L’ad Benedetto Vigna ha detto di recente di avere pronto un piano di contromisure nel caso lo scenario subisse un peggioramento. Diverso è per l’automotive vero e proprio dove invece Stellantis – pur producendo in parte negli Usa – anche a causa dell’incertezza sui dazi è ad oggi il titolo peggiore del paniere principale da inizio anno: -37,1 per cento.Un altro titolo con caratteristiche potenzialmente anti-dazi è Enel, non solo perché il settore delle utility è storicamente considerato difensivo nei periodi di turbolenza sui mercati, ma anche perché la multinazionale guidata da Flavio Cattaneo ha una forte presenza negli Stati Uniti soprattutto nel comparto delle rinnovabili con Enel Green Power e questo dovrebbe renderla meno esposta alle barriere tariffarie. Anche se potrebbe essere in parte penalizzata dal taglio degli incentivi alle rinnovabili dell’amministrazione Trump.Altre aziende potrebbero rivelarsi meno sensibili in caso di scenario avverso. “I titoli più colpiti dalle tariffe sono quelli del settore automotive, chimica, farmaceutica, moda e agroalimentare”, spiega Fabrizio Barini, senior banker di Integrae Sim, “mentre quelli meno impattati sono le utility e l’energia, in particolare quelli con business regolati. Queste società sono più resistenti ai crolli perché sarebbero colpite indirettamente solo da un calo del Pil e dei consumi energetici, ma questo non avverrebbe direttamente per l’entrata in vigore dei dazi che rallenterebbero la crescita dell’economia con il tempo e non nell’immediato. Per esempio, rientrano in questo ambito titoli come Snam, Terna, Italgas, A2a ed Hera”. LEGGI TUTTO

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    Moneta, pmi soffocate dai resi Amazon

    Pmi italiane messe all’angolo dal gigante Amazon. Costrette a piegarsi a regole imposte dal big Usa, tra cui la gestione dei resi, che si traduce in migliaia di pacchi restituiti con merce invendibile e commissioni esorbitanti. È questo il cuore dell’inchiesta, che apre il nuovo numero di Moneta, in edicola domani con Il Giornale, Libero e Il Tempo. L’indagine fa luce su un sistema che pesa sulle piccole imprese in un momento delicato per il commercio italiano, aggravato dalla minaccia dazi. La soluzione per l’export del Made in Italy potrebbe però risiedere in nuove rotte commerciali. A confermarlo, in un’intervista, è il viceministro delle Imprese, Valentino Valentini, che disegna scenari e strategie, tracciando una nuova mappa del commercio globale. LEGGI TUTTO