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    Il dominio di Wall Street non è inevitabile

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    Wall Street rappresenta oggi un incredibile 60,5% della capitalizzazione di mercato globale, un dato che evidenzia il dominio americano nel panorama finanziario mondiale. Questa crescita è il risultato di un sistema che alimenta un circolo virtuoso: un mercato ricco attira capitali, che si traducono in multipli di valutazione più elevati, incentivando nuove imprese a quotarsi e rafforzando ulteriormente l’ecosistema economico. “Negli ultimi 100 anni abbiamo assistito ad una forte crescita del mercato americano”, ha affermato Villy de Luca del fondo Squarepoint Capital in un intervento alla conferenza Consob “La gerarchia mondiale delle borse e il nuovo Listing Act inglese”, sottolineando come l’Europa sia rimasta indietro.L’attrattività del mercato statunitense emerge anche dalle scelte di aziende europee di spicco, come Klarna e Arm, che hanno optato per New York per le loro Ipo. Klarna, ad esempio, ha pianificato la quotazione negli Stati Uniti proprio per approfittare di valutazioni più elevate e un accesso più ampio ai capitali, un fattore cruciale per competere a livello globale.Il Regno Unito reagisce con riforme strutturaliIl Regno Unito ha risposto al predominio americano con riforme come il Listing Act, un insieme di misure che rendono più semplice e conveniente per le imprese quotarsi a Londra. Come spiegato da de Luca: “Le nuove regole di quotazione della Borsa di Londra rappresentano la riforma più significativa degli ultimi 30 anni”. Tra i punti salienti, vi è l’eliminazione delle distinzioni tra categorie di azioni, la semplificazione delle procedure per Ipo e incentivi per attrarre startup tecnologiche.La strada italiana: verso un rilancio della BorsaL’Italia sta cercando di emulare tali approcci con la legge Capitali, approvata a inizio 2024, che rappresenta un primo passo verso la semplificazione delle Ipo e il rafforzamento del mercato locale. Tuttavia, come sottolineato da de Luca, “Punto di partenza di qualsiasi azione del governo è il riconoscimento che Piazza Affari oggi non può competere con le Borse Finanziarie americane né tantomeno con il London Stock Exchange.” L’obiettivo è integrare ulteriori misure per rendere Milano una scelta prioritaria per le società europee in cerca di quotazione. LEGGI TUTTO

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    Bitcoin non si fermerà a 100mila dollari. Le stime di prezzo per il 2025

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    Lo storico traguardo dei 100mila dollari è ormai a portata di mano, ma il mercato guarda già oltre. La domanda che imperversa tra gli investitori non è “se il bitcoin arriverà a 100.000, ma quando e fin dove si potrà spingere successivamente”. Oggi la criptovaluta regina ha toccato un nuovo massimo storico a 98.349 dollari, con un prepotente +42% quando Donald Trump si è imposto alle elezioni presidenziali. Da inizio anno le quotazioni del bitcoin si sono più che raddoppiate.Effetto Trump e non soloTrump ha affermato durante la campagna elettorale che farà degli Usa la “capitale delle criptovalute del pianeta”. Il presidente eletto ha promesso di creare un quadro normativo statunitense di supporto per le criptovalute e di istituire una riserva strategica di Bitcoin,anche se non ha indicato una tempistica precisa. La senatrice Cynthia Lummis ha presentato una bozza di legge che prevede l'acquisizione da parte degli Stati Uniti di bitcoin fino al 5% dell'offerta totale nei prossimi cinque anni, ossia un investimento da circa 100 miliardi ai prezzi attuali.A scaldare gli investitori c’è anche la possibilità che Teresa Goody Guillén, partner e co- responsabile del team blockchain dello studio legale BakerHostetler, tra i candidati per diventare il prossimo presidente della Sec, sostituendo Gary Gensler che in questi anni siè mostrato poco aperto alle crypto.I nuovi catalyst che infiammano il rallyA scaldare gli investitori nelle ultime 48 ore sono state le indicazioni circa l’inizio della discussione nell’entourage di Trump se creare un incarico alla Casa Bianca dedicato alla politica sulle risorse digitali. Altro elemento che sta alimentando il rally è l’attivismo di MicroStrategy, società quotata a Wall Street e che dal 2020 accumula bitcoin. La società capitanata da Michael Saylor è il più grande detentore di bitcoin quotato in borsa e questa settimana ha annunciato di aver acquistato altri 4,6 miliardi di dollari in bitcoin. MicroStrategy ha visto il proprio valore a Wall Street lievitare di oltre 7 volte quest’anno ed è vista dagli investitori come una proxy del bitcoin in quanto possiede complessivamente btc per oltre 31 miliardi. Altro elemento che si è aggiunto in questi giorni è l’avvio ieri sul Nasdaq delle opzionisull’Etf spot bitcoin di BlackRock, il più grande tra i 12 Etf statunitensi sulla criptovaluta. È subito emersa una netta prevalenza di opzioni “call” (ossia di acquisto) rispetto a quelle “put” (vendita) nel rapporto di oltre 4 a 1.Dove può arrivare il bitcoin il prossimo anno?Ma cosa aspettarsi una volta che il traguardo dei 100mila dollari verrà raggiunto? Le previsioni oltreoceano impazzano e tra i bullish sulla criptovaluta spicca Bernstein. Gli analisti della casa d’affari statunitense ritengono che siamo “oltre l'effetto Trump” e addirittura il mercato sottostimi la nuova era regolamentare delle criptovalute. Bernstein consiglia agli investitori di mantenere le posizioni per almeno 12-18 mesi con possibile approdo a 200mila dollari, ossia un nuovo raddoppio del valore nel 2025, prevedendo un boom di richieste da investitori istituzionali. LEGGI TUTTO

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    Il rischio di una escalation scuote le Borse. Listini in forte calo e corsa ai beni rifugio

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    Con l’abituale cinismo, nei mille giorni di guerra fra Ucraina e Russia i mercati hanno spesso voltato lo sguardo altrove, poco curandosi degli 1,5 milioni di morti e delle devastazioni create dal conflitto. Non così ieri, quando l’universo parallelo degli investitori ha finito per incrociare uno scenario in cui l’utilizzo della Bomba da parte di Vladimir Putin non è più escluso con il cambio della cosiddetta «dottrina nucleare» e dopo che alcuni missili Atacms lanciati dagli ucraini hanno colpito una base militare nella regione di Bryansk. I timori di un’escalation bellica hanno così messo in modalità «off» la propensione al rischio, con rinnovato appetito verso i beni rifugio come l’oro (salito fino a sfiorare i 2.630 dollari l’oncia) e un aumento dei prezzi dei titoli obbligazionari scandito dal contestuale calo dei rendimenti. Una reazione da manuale che si è concretizzata in una rapida discesa degli indici azionari, con perdite che hanno anche sfiorato il 3% prima del recupero nel corso della seduta, quando si è diffusa la notizia che nella regione russa colpita dall’attacco missilistico i danno sono stati limitati. Appesantita dalla flessione dei titoli bancari, Piazza Affari è scivolata dell’1,3%, l’Eurostoxx600 ha limitato i danni (-0,43%), mentre a un’ora dal termine della giornata Wall Street cedeva solo lo 0,36%.Seppur non vi sia stato alcun accenno di panico e sui mercati stia prevalendo una modalità attendista, sembra comunque essersi sgretolato il «sentiment» positivo creato dalle speranze di una rapida risoluzione della guerra fra Mosca e Kiev alimentate dalla riconquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump. La mossa con cui il presidente uscente Joe Biden ha concesso l’autorizzazione a Volodymyr Zelensky a utilizzare all’interno del suolo russo i missili a lungo raggio ha spiazzato gli investitori. Tra i quali l’idea prevalente è che la nuova amministrazione Usa non intenda sguarnire l’arsenale militare in vista di un’eventuale conflitto con la Cina e preferisca finanziare con pochi miliardi Israele piuttosto che aggiungerne altri ai 200 già erogati per sostenere militarmente l’Ucraina. LEGGI TUTTO

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    Credito, la Borsa punta sul terzo polo

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    Il ballo del risiko è più forte anche dello stacco cedole, per definizione portatore di ribassi in Borsa (e di fatti ieri l’indice principale di Milano ha perso l’1,2%). L’ingresso di Bpm, Delfin e Caltagirone in Mps, infatti, ha creato grande appeal sul settore bancario che ora vede la nascita di un terzo polo del credito – quello tra Piazza Meda, Rocca Salimbeni e Anima – che ha un potenziale da 20 miliardi di capitalizzazione di Borsa.Ieri, la banca guidata da Giuseppe Castagna – che pure staccava l’acconto al dividendo – ha torreggiato sul listino con il suo 3,3 per cento. E non è un caso che anche Mps abbia partecipato alla festa, facendo segnare un progresso dell’1,8% a 6,12 euro per azione. L’istituto guidato da Luigi Lovaglio e presieduto da Nicola Maione ha realizzato un piccolo miracolo dai tempi dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi – datato 2022 – quando valeva meno di un terzo di ora. LEGGI TUTTO

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    Fioccano cedole in Piazza Affari

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    Una pioggia di 7 miliardi in acconto dividendi. È quella che si abbatterà oggi su Piazza Affari con alcuni titoli che staccheranno in anticipo una parte di cedola che sarà pagata l’anno prossimo. L’impatto sul FtseMib sarà dell’1,22% circa, dunque non bisogna preoccuparsi nel caso si osservasse un marcato calo dell’indice nelle battute iniziali.Le società più generose saranno le banche. Intesa Sanpaolo anticiperà circa 3 miliardi (0,17 euro/azione), mentre Unicredit elargirà 1,7 miliardi (0,9261 euro) e Banca Mediolanum 240 milioni (0,37 euro). Significativo anche il monte cedole di Mediobanca (600 milioni, 0,56 euro/azione), di Poste (430 milioni, 0,17 euro/azione) e di Banco Bpm (600 milioni per 0,4 euro/azione). Tra i titoli non finanziari spiccano i 780 milioni di Eni (0,25 euro/azione) e i 280 milioni di Tenaris (0,27 dollari), i 240 milioni di Terna (0,1192 euro) e i 125 milioni di Recordati (0,6 euro).L’anticipo delle cedole dimostra che Piazza Affari è in buona salute. Da inizio anno il Ftse Mib ha registrato una performance migliore dell’indice di riferimento delle azioni europee (l’Eurostoxx 600) con un rialzo del 10% a fronte di un 6% per il benchmark del Vecchio Continente. Molto più dinamico l’S&P500, l’indice di riferimento Usa, che da gennaio ha guadagnato oltre il 25%, grazie all’impennata successiva all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca.Il futuro è certo radioso per le società che potrebbero essere parte integrante del «Trump Trade» come le aziende dei comparti energetici e le utility o le società di costruzioni perché il tycoon ha sicuramente alle fonti tradizionali. Non è un caso che il giorno successivo all’elezione presidenziali in Italia abbiano festeggiato titoli qualificati come old economy come Tenaris e Buzzi o quelli più coinvolti negli Usa come Prysmian e Diasorin. LEGGI TUTTO

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    La Borsa premia Generali e ora scommette sul Piano

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    I risultati del terzo trimestre, giudicati ottimi dal mercato, valgono a Generali un balzo in Borsa del 4,8% a 27 euro, con un picco a quota 27,3, livello che il titolo non vedeva dal 2008. In una giornata di Borsa negativa (-0,48% il FtseMib) e in un periodo di forte instabilità accentuata in Europa dalla nuova era Trump, l’accoglienza della Borsa ai numeri della compagnia risulta particolarmente significativa. In sintesi, nei nove mesi i premi lordi salgono a 70,7 miliardi (+18,1%), guidati da entrambi i segmenti Vita (+23,3%) e Danni (+9,8%). Il risultato operativo è in crescita a 5,4 miliardi (+7,9%) e l’utile netto aumenta del 5% a 3 miliardi, mentre il Solvency Ratio si attesta al 209% (da 220% di fine 2023). Nel trimestre l’utile operativo di 1,67 miliardi (+25%) ha battuto il consensus (1,52). E l’utile netto è stato di 909 milioni (+57%) contro i 767 del consensus.Il gruppo ha battuto le stime del trimestre soprattutto nel ramo danni, sorvegliato speciale degli analisti del settore. Il loss ratio sottostante è migliorato di 240 punti base su base annua e di 180 punti su base sequenziale.Per gli analisti di Citi «questo, insieme a un migliore rapporto costi/premi, è l’elemento trainante e offre un importante slancio verso il nuovo piano triennale», confermato per il 30 gennaio 2025. Della stessa idea anche Goldman Sachs: «Consideriamo il trimestre come un forte risultato in un periodo volatile e crediamo che questo costituisca un buon punto di partenza per il Capital Market Day». Mentre per Morgan Stanley, i risultati «giustificano la valutazione overweight e consentono di guardare al prossimo catalizzatore, ancora più significativo, ovvero il nuovo piano di gennaio, quando il management definirà gli obiettivi pluriennali». Tre giudizi che forniscono il significato «politico» di questa trimestrale, l’ultima prima dell’intero bilancio 2024, la cui approvazione nell’assemblea del prossimo aprile coinciderà anche con il rinnovo triennale dei vertici del gruppo. Ebbene, posto che è ancora presto per parlare di composizione di liste (lo statuto Generali prevede la presentazione di quella del cda uscente), e che non è neanche sicuro che con la nuova Legge Capitali il cda potrà decidere di presentare una lista (visti i numerosi vincoli connessi) è innegabile che con i numeri annunciati ieri il ceo Philippe Donnet si avvicina nel modo migliore alla stagione del rinnovo.Stagione in cui il mercato, per sua natura, mostra di apprezzare stabilità e continuità di gestione. Il tema sarà capire lo stato dei rapporti tra Mediobanca, primo socio di Generali con il 13,1% e storico sostenitore di Donnet, e i gruppi Caltagirone (6,9%) e Del Vecchio (9,9%), che nel rinnovo del 2022 hanno perso la sfida per ribaltare il cda. Ora che l’ingegnere romano e la Delfin sono appena entrati con Banco Bpm nell’operazione Mps, sostenuti dal ministero dell’Economia, resta da capire quali conseguenze ci potranno essere a Trieste e se matureranno le condizioni per una valutazione comune in vista del rinnovo dei vertici della compagnia. LEGGI TUTTO

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    Buffett tutto bond e liquidi si concede una “pizzetta”

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    Warren Buffett si concede una pizza e poco altro. L’Oracolo di Omaha, che si è messo a dieta di azioni diminuendo l’esposizione netta negli asset azionari di quasi 36 miliardi di dollari nel solo terzo trimestre, nei giorni scorsi si è concesso due piccole eccezioni. La prima è l’acquisto di una «fettina» di Domino’s Pizza per 550 milioni di dollari, 1,3 milioni di azioni pari al 3,6% del capitale del rivenditore di pizze; l’altra è il distributore di attrezzature per piscine Pool Corp, di cui ha acquisito l’1% per 152 milioni. A destare scalpore tra gli investitori è la ritirata di Berkshire Hathaway da alcune partecipazioni storiche: la partecipazione in Apple, per esempio, nel terzo trimestre si è ridotta del 25%; oppure Bank of America la cui quota è stata ridotta del 26%. Oggi il 94enne guru degli investimenti siede su una montagna di liquidità valutata 325 miliardi (rispetto ai 270 miliardi investiti in azioni). Un altro elemento di riflessione è la decisione di stoppare gli acquisti di azioni proprie. Tutti indizi che fanno trapelare una certa sfiducia circa le prospettive di Wall Street. Le ipotesi volte a spiegare cosa ci sia realmente dietro un Buffett guardingo sono molteplici, dall’accumulo di risorse per future grandi acquisizioni a un aggiustamento del portafoglio di partecipazioni in vista del passaggio di testimone, fino a tesi più estreme (sa cose che gli altri non sanno).Dialogando con insider di Wall Street che conoscono da vicino le abitudini di Buffett, l’enigma può essere risolto solo partendo dalla sua natura di investitore value. L’ipotesi di prezzi «troppo alti» appare la più realistica e avallata dal rallentamento del buyback rispetto al 2023, fino ad azzerarlo. Il famoso indicatore Buffett, che raffronta il valore totale delle azioni quotate con le dimensioni dell’economia a stelle e strisce, è intorno al 200%, addirittura sopra i picchi toccati durante la bolla dotcom. Per decifrare le scelte del numero uno di Berkshire non si può inoltre prescindere da un’analisi del rapporto rischi-benefici dell’attuale contesto di mercato. A valutazioni azionarie tirate fa da contraltare l’elevata remunerazione offerta dai Treasury a rischio zero (oltre 4,3% il rendimento del T-bond a 1 anno). I tassi di indebitamento a livello globale sono in costante aumento e il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe accentuare tale trend. Del totale della liquidità di Buffett, gran parte (almeno 288 miliardi) è investita in Treasury. LEGGI TUTTO

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    Mediobanca cade in Borsa tradita da minori margini

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    Un calo dell’8,15% delle azioni di Mediobanca in Borsa in assenza di un «venerdì nero» o di una pandemia, non aveva precedenti. Fino a ieri. Quando, dopo la diffusione dei conti trimestrali, il mercato ha travolto il titolo sotto una valanga di vendite. A pesare è stata la revisione al ribasso della guidance sul margine di interesse per l’intero esercizio 2024-2025, ora atteso sullo stesso livello dello scorso anno contro una stima precedente per una crescita tra l’1% e il 3%. Il punto sono stati dunque i ricavi: sia il margine di interesse, sia le commissioni sono state inferiori al consensus, che stimava rispettivamente 495 e 243 milioni. Il margine di intermediazione si è attestato a 864,6 milioni (+0,1%), con margine di interesse a quota 485 (-2,2%) e commissioni a 231,2 milioni (+28,6%).La banca ha spiegato che la «temporanea» riduzione del margine di interesse è legata ad «azioni mirate a favorire la crescita ricorrente futura» e agli «spread ai minimi storici nel segmento corporate e nei mutui». Ma non è bastato a frenare le vendite, favorite anche dalle prese di beneficio dopo l’ottima performance del titolo nel 2024, partito da 11,2 euro e arrivato a superare i 16 euro il 18 ottobre scorso. Ieri le azioni hanno chiuso a quota 14,36 euro.Tornando ai numeri della trimestrale al 30 settembre, Piazzetta Cuccia ha registrato un utile netto di 330 milioni, in calo del 6,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma superiore ai 319 milioni previsti dal consensus degli analisti. Un calo che deriva in buona sostanza dal minor contributo di Generali (di cui Mediobanca controlla il 13,1%) secondo il metodo del patrimonio netto, calato a 105,4 milioni contro 138,4 milioni, «in parte assorbito dai maggiori apporti degli altri investimenti della divisione» Insurance. Per le altre divisioni, il Wealth management ha chiuso il trimestre con un utile di 53 milioni (+6,4%), il Cib con 56,9 milioni (+19%), il Credito al consumo con l’utile netto record di 101,9 milioni (+5,5%). Quanto alla solidità patrimoniale, il coefficiente Cet 1 è migliorato al 15,4% con la generazione di 70 punti base di capitale nel trimestre. Risultati che sia dal lato commerciale, sia da quello industriale hanno soddisfatto l’Ad Alberto Nagel (in foto), per «la crescita di tutte le divisioni, consolidando le principali iniziative del piano 23-26». Mentre sul margine d’interesse Nagel non si è detto preoccupato, nell’attesa della «ripresa degli spread creditizi». LEGGI TUTTO