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    Fino a poco tempo fa le tartarughe marine erano quasi un mistero

    Le tartarughe marine non sono animali che si incontrano facilmente: a meno che non vivano in cattività, passano sulla terraferma solo i primi momenti della loro vita, quando escono dalle uova su una spiaggia per spostarsi subito nel mare, e anni dopo, se sono femmine, per deporre le proprie uova. Anche per questo per secoli abbiamo saputo pochissime cose sulle sette specie di tartarughe marine esistenti, comprese le tartarughe liuto (Dermochelys coriacea), quelle più grandi (arrivano a 400 chili di peso), e tuttora dobbiamo scoprirne.Lo racconta l’ecologo e divulgatore scientifico statunitense Carl Safina nel libro Il viaggio della tartaruga, appena pubblicato da Adelphi nella sua collana Animalia, dedicata a saggi sul comportamento di altre specie animali: ne pubblichiamo un estratto. Il 9 dicembre Safina parlerà di tartarughe marine e altri animali a Peccioli (Pisa), in occasione della nuova edizione di “A Natale libri per te”, una manifestazione progettata in collaborazione col Post e coordinata dal suo peraltro direttore Luca Sofri.***Nonostante millenni di venerazione e di commercio, le tartarughe marine sono incredibilmente misconosciute. Molti fatti basilari sulle varie specie, sui territori di nidificazione e sul comportamento sono stati oggetto di dibattito fino in tempi molto recenti, e alcuni restano ancora sconosciuti. Era il 1959 quando una Tartaruga Liuto avvistata al largo di Soay, nei pressi dell’isola di Skye in Scozia, non solo finì sulle prime pagine dei giornali, ma divenne argomento di discussione – come possibile mostro marino – perfino nella letteratura specializzata. Un testimone dichiarò quasi fuori di sé: «Rimanemmo pietrificati e lo osservammo mentre si avvicinava sempre di più… come un mostro infernale di tempi preistorici».Un disegno raffigura un serpente marino (che altro, se no?), benché entrambi i testimoni oculari avessero tracciato discreti schizzi di una Tartaruga Liuto sopra il pelo dell’acqua, e nonostante la sobria descrizione del secondo testimone contenesse alcune scrupolose osservazioni («quando la bocca era aperta … potevo vedere delle crescite filamentose simili a viticci pendenti dal palato»: le proiezioni usate per trattenere le meduse). Il punto è che nessuno disse: «Oh, ma si tratta di una grossa tartaruga – potrebbe essere una Liuto»; in molti luoghi al di fuori dei tropici, infatti, la gente non aveva ancora alcuna familiarità con le tartarughe marine.Una tartaruga liuto su una spiaggia di Trinidad, vicino a un cane, nel 2013 (AP Photo/David McFadden)Fino agli anni Sessanta e Settanta nessuno dei principali territori di nidificazione delle Tartarughe Liuto era noto alla scienza; e solo negli anni Sessanta gli scienziati capirono che il sesso delle tartarughine è determinato dalla temperatura di incubazione delle uova. Negli anni Settanta si stava appena cominciando a scoprire che le tartarughe marine migrano. Ancora nel 1988 l’idea che le Liuto nidificanti nei Caraibi si spingessero fino a latitudini temperate era considerata tutta da dimostrare.Fino a metà degli anni Novanta l’origine delle giovani Tartarughe Caretta trovate in acque messicane rimase sconosciuta; il territorio di nidificazione più vicino era il Giappone – distante oltre diecimila chilometri – e, poiché imprese migratorie di tale entità erano ritenute quasi impossibili, alcuni studiosi continuarono a cercare siti sconosciuti nel Nuovo Mondo. Uno di loro osservò: « Una migrazione transpacifica supererebbe di gran lunga la portata geografica nota delle migrazioni delle tartarughe marine». (Soltanto qualche anno dopo, i trasmettitori satellitari e le targhette identificative avrebbero fatto a pezzi quelle posizioni, dimostrando che effettivamente le Caretta giapponesi e australiane nuotano da costa a costa nel bacino del Pacifico e che quasi tutte le specie marine sono magistrali navigatrici).Negli anni Novanta non si sapeva pressoché niente della localizzazione delle tartarughe neonate dal momento in cui lasciano la spiaggia dove si sono schiuse fino a quando ricompaiono come giovani individui delle dimensioni d’un vassoio; di diverse specie non sappiamo essenzialmente ancora nulla. Perfino negli anni Novanta i ricercatori si limitavano a ipotizzare che spesso le tartarughe tornassero a deporre le uova sulla spiaggia della propria schiusa (oggi, le evidenze fornite in tal senso dal DNA sembrano convincenti).Tartarughe liuto appena uscite dal proprio guscio su una spiaggia della Thailandia, nel 2021 (Sirachai Arunrugstichai/Getty Images)A metà del ventesimo secolo, e anche successivamente, gli scienziati discutevano se tre tipi di tartarughe marine fossero davvero specie distinte (come ricorderete, nel mondo ne esistono soltanto sette). Ancora negli anni Sessanta ci si scontrava sul fatto che la Tartaruga di Kemp fosse o meno una specie a sé. Nessuno scienziato ne aveva mai vista una deporre le uova, e così qualcuno pensava si trattasse di ibridi. Le nidificazioni di massa della Tartaruga Olivacea e di quella di Kemp, cui partecipavano decine di migliaia di individui che arrivavano insieme sulle spiagge con la luce del giorno, rimasero a quanto pare sconosciute alla scienza finché nel 1960 un documentario amatoriale – girato nel 1947, sulla nidificazione di massa della Tartaruga di Kemp – non giunse infine nelle sale consacrate.La Tartaruga a Dorso Piatto, una specie australiana, rimase ignota alla scienza fino agli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, e per cent’anni gli studiosi discussero se si trattasse effettivamente di una specie distinta. Ancora nel 1996 infuriava il dibattito sulla cosiddetta «Black Turtle», la Tartaruga Nera («infuriava» per chi si occupava di Tartarughe Nere): si trattava di una specie a sé oppure soltanto di una razza di Tartaruga Verde? (L’analisi genetica dimostra che sono semplicemente Tartarughe Verdi con una colorazione più scura).Il fatto che almeno alcune Liuto compissero viaggi di andata e ritorno dai territori di alimentazione a quelli riproduttivi, per poi far nuovamente rotta verso la stessa area generale di foraggiamento non fu confermato fino al 2005. Cosa piuttosto notevole, poi, sempre nel 2005 un articolo erudito ammetteva: «Se le giovani tartarughe si spostino andando semplicemente alla deriva, o invece nuotino attivamente controcorrente, è materia di qualche dibattito». Oggi il tracciamento satellitare ha confermato quello che era probabile: se ne hanno voglia, le giovani tartarughe entrano nel flusso della corrente e lo attraversano. La scienza avanza. Ma il punto è che le tartarughe svelano i propri segreti lentamente, e molti restano chiusi «tra le loro piastre corazzate».Traduzione di Isabella C. Blum© 2007 Carl SafinaPublished by arrangement with Jean V. NaggarLiterary Agency, Inc., and The Italian Literary Agency© 2023 Adelphi edizioni s.p.a. Milano LEGGI TUTTO

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    L’agonia di Giulia Cecchettin: “Ferita dal suo ex già davanti casa, è morta dissanguata” | Nastro adesivo sulla bocca per non farla gridare

    La furia omicida di Filippo TurettaUn film dell’orrore quello che emerge dalle carte del gip che ha ordinato la custodia cautelare per Filippo Turetta, il 22enne di Torreglia accusato dell’omicidio di Giulia Cecchettin, sua ex fidanzata. Secondo la ricostruzione fatta dalla Procura, la sera della scomparsa – l’11 novembre scorso –  Giulia e Filippo erano andati in un centro commerciale di Marghera, dove avevano consumato un panino e Giulia aveva comprato un paio di scarpe per il giorno della laurea. Dopodiché Filippo l’avrebbe riaccompagnata a casa e lì – proprio a 150 metri dalla villetta in cui la ragazza viveva con il papà, la sorella Elena e il fratello Davide – sarebbe avvenuta la prima aggressione. Alle 23:18 Giulia viene colpita da Filippo, forse già con un coltello, che sarà poi ritrovato nei giorni successivi. Un fendente con una lama di 20 centimetri, rinvenuto sul luogo dell’aggressione, che potrebbe essere l’arma del delitto. È in questo momento che un vicino di casa sente una ragazza gridare: “Aiuto, mi stai facendo male” e così chiama immediatamente i carabinieri, ma quando i militari arrivano sul posto, della Punto nera di Filippo non ci sono più tracce.Il 22enne infatti, dopo la prima aggressione, si dirige nella zona industriale di Fossò, dove si consuma la seconda e ultima fase del delitto. Giulia scende dall’auto, cerca di fuggire, Filippo la insegue, la raggiunge e la getta a terra. La ragazza sbatte la testa contro il marciapiede. A quel punto Giulia non si muove più, come raccontano le immagini catturate da una telecamera di sorveglianza. Filippo carica il corpo sul sedile posteriore dell’auto e alle 23:50 riparte. A terra, oltre alle copiose tracce di sangue e capelli, gli inquirenti troveranno del nastro adesivo argentato, che Turetta avrebbe utilizzato per impedire a Giulia di gridare.Le macchie di sangue sul luogo dell’aggressione – Nanopress.itDopo due ore, Filippo arriva a Pian delle More, dove abbandona il corpo senza vita di Giulia. Le ferite su quel corpo minuto raccontano tutta l’agonia vissuta dalla ragazza prima di esalare l’ultimo respiro. Coltellate alla testa e al volto, graffi sulle braccia e sulle mani, come ultimo e vano tentativo di difendersi da quella furia cieca. Secondo i magistrati, Giulia Cecchettin è morta dissanguata, per shock emorragico.Filippo può uccidere ancoraSecondo il giudice per le indagini preliminari, Filippo Turetta può uccidere ancora, avendo mostrato una totale incapacità di autocontrollo. Non solo, secondo il gip, il presunto killer è “totalmente imprevedibile, perché, dopo aver condotto una vita all’insegna di un’apparente normalità, ha improvvisamente posto in essere questo gesto folle e sconsiderato”. Filippo Turetta – Nanopress.itMentre in Germania è stato convalidato l’arresto del 22enne, si attende per l’estradizione di Turetta, che dovrebbe avvenire non prima di una settimana. LEGGI TUTTO

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    Il chirurgo Victor Chang, protagonista del doodle di oggi

    Il 21 novembre del 1936 nacque a Shanghai, in Cina, Victor Chang, medico australiano apprezzato e ricordato per le sue innovazioni nel campo della chirurgia cardiaca e per la sua attività nel settore. In occasione degli 87 anni dalla sua nascita, Chang viene celebrato con un doodle, l’animazione che di tanto in tanto sostituisce il logo di Google sulla pagina iniziale del motore di ricerca.Chang era figlio di genitori cinesi-britannici nati in Australia. Crebbe inizialmente a Hong Kong ma andò a studiare a Sydney fin da bambino assieme alla sorella. Cominciò a interessarsi alla medicina nel 1948, quando sua madre morì a causa di un tumore al seno: lei aveva 33 anni e lui 12. Nel 1962 Chang si laureò in medicina e chirurgia all’Università di Sydney, dove tornò a lavorare come cardiochirurgo nel 1972 dopo alcune esperienze nel Regno Unito e negli Stati Uniti.Rientrato a Sydney, Chang partecipò alla fondazione del principale centro nazionale per il trapianto di cuore e polmoni all’ospedale St. Vincent. Uno dei suoi contributi più significativi fu lo sviluppo di una valvola cardiaca molto più economica dei modelli precedenti, che rese più accessibili i trapianti di cuore a livello globale. Allo stesso tempo Chang contribuì a diffondere i suoi metodi, con l’obiettivo di dare più attenzione ai pazienti che avevano bisogno di trapianti e di promuovere l’avanzamento della medicina.Nel 1984 operò la 14enne Fiona Coote, la più giovane paziente australiana a sottoporsi a un trapianto di cuore effettuato con successo. Nel 1986 Coote ebbe bisogno di un secondo trapianto, e ancora oggi è la persona australiana più longeva ad aver subìto un trapianto di cuore. Sempre nel 1984 Chang fondò la Victor Chang Foundation, che ancora assegna borse di studio ad aspiranti chirurghe e chirurghi di paesi del Sud Est Asiatico che si vogliono formare in chirurgia cardiaca e trapianti di cuore all’ospedale St. Vincent. Morì il 4 luglio del 1991, assassinato durante un tentativo di estorsione da parte di due giovani a Sydney.Nel 1986 Chang ricevette il titolo di Companion of the Order of Australia, il più alto riconoscimento del paese, per il suo «servizio alla scienza medica e alle relazioni internazionali tra Australia e Cina». Nel 1994 fu fondato un istituto di ricerca in suo nome dedicato alla diagnosi, allo studio e alla prevenzione delle patologie cardiovascolari. Nel 1999 fu scelto come “Australiano del secolo” ai People’s Choice Awards, l’evento in cui furono premiate le persone più in vista e i prodotti della cultura pop più apprezzati nel paese.– Leggi anche: È stato eseguito il primo trapianto di un bulbo oculare completo LEGGI TUTTO

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    La mamma della piccola Kata denunciata da una donna: l’avrebbe accoltellata in discoteca dopo una rissa

    Katherine Alvarez, la mamma della piccola Kata, la bambina di 5 anni di cui si sono perse le tracce dal 10 giugno scorso, è stata denunciata da una connazionale di 21 anni, ferita dopo una lite in discoteca. La madre di Kata – Nanopress.itSecondo la giovane, Katherine Alvarez l’avrebbe colpita al volto con un’arma da taglio. Per la 21enne la prognosi è di 20 giorni. Sembra che la mamma di Kata e l’altra ragazza peruviana si conoscessero già da tempo. Katherine Alvarez ha spiegato di aver agito per legittima difesa.La mamma di Kata denunciata da una connazionaleKatherine Alvarez, la mamma della piccola Kata, la bambina peruviana di 5 anni scomparsa dal 10 giugno scorso dall’ex hotel Astor di Firenze, è stata denunciata per lesioni personali. Stando a quanto raccontato da una giovane connazionale di 21 anni, la donna l’avrebbe colpita con un’arma da taglio nel bagno di una discoteca. I fatti risalgono alla notte scorsa, quando tra le due donne sarebbe scoppiata una rissa mentre si trovavano nel bagno del locale, sprovvisto di telecamere. La 21enne è stata colpita al volto. Soccorsa dai sanitari del 118, al pronto soccorso le sono stati applicati 18 punti di sutura.Tra le due donne potrebbero esserci dei dissapori regressi, sfociati nell’aggressione. Katherine Alvarez ha spiegato alle forze dell’ordine di aver agito perlegittima difesa. L’arma con cui la 21enne è stata colpita non è stata ancora rinvenuta, ma – secondo gli inquirenti – potrebbe trattarsi di un coltello, vista anche l’entità delle ferite. LEGGI TUTTO

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    Pinerolo, uccise la madre a martellate dopo un rimprovero: 23enne condannato all’ergastolo

    L’omicidio avvenne il 9 marzo scorso a Pinerolo, provincia di Torino. La vittima – una donna di 45 anni di origini pakistane, Rubina Kousar, – fu uccisa a martellate e poi finita con una coltellata alla gola. Polizia scientifica – Nanopress.itSembra che a scatenare la furia omicida del figlio fosse stato un rimprovero della madre, che gli aveva detto di non stare tutto il giorno al cellulare, spronandolo a cercarsi un lavoro. Qualche giorno prima dell’omicidio, nello stesso appartamento teatro del delitto, era stata segnalata una lite familiare durante la quale era rimasto ferito il marito della vittima.Condannato all’ergastolo il 23enne accusato di aver ucciso la madreÈ stato condannato alla pena dell’ergastolo il 23enne di origini pakistane, ma residente a Pinerolo, accusato di aver ucciso la madre il 9 marzo scorso. Come riferisce Tgcom24, il Tribunale di Torino ha emesso la sentenza di condanna nell’ambito del processo di primo grado. Quel giorno, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la vittima aveva chiesto al figlio di non trascorrere la giornata intera sul cellulare e di cercarsi un lavoro. A quel punto il ragazzo avrebbe aggredito la madre prima con un martello, poi l’avrebbe uccisa con una coltellata alla gola. A lanciare l’allarme quella mattina fu il marito della vittima. Quando i carabinieri giunsero nell’abitazione, la vittima era riversa in un lago di sangue, mentre il figlio aveva ancora il martello insanguinato tra le mani.Qualche giorno prima del delitto il 23enne aveva litigato con il padre per gli stessi motivi, e la lite era stata segnalata da alcuni vicini di casa, che avevano allertato le forze dell’ordine.Il 23enne, che aveva subito ammesso il delitto, questa mattina in aula ha chiesto scusa a tutti. In una breve lettere inviata alla Corte, ha sottolineato di amare sua madre. Durante il dibattimento è stata respinta la richiesta della difesa di disporre una perizia psichiatrica. LEGGI TUTTO

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    Serena Mollicone poteva essere salvata: “È morta lentamente, la sua agonia è durata ore”

    A dirlo è la professoressa Cristina Cattaneo, l’anatomopatologa del Labanof di Milano che è stata interpellata dai giudici della Corte di Assise d’Appello di Roma nell’ambito del processo per la morte della 18enne di Arce.Serena Mollicone – Nanopress.itSerena Mollicone scomparve da casa il 1° giugno del 2001 e venne ritrovata senza vita appena due giorni dopo nel bosco di Anitrella. Nel processo di primo grado, gli imputati sono stati tutti assolti.L’agonia di Serena Mollicone durata oreUn’agonia durata da una a 10 ore quella che portò alla morte di Serena Mollicone, la studentessa 18enne di Arce, morta nel giugno del 2001. Ad affermarlo è stata, questa mattina, la consulente della Procura, Cristina Cattaneo, che è stata ascoltata nell’ambito del processo di appello al cospetto dei giudici della corte d’Assise d’Appello di Roma. Secondo la Cattaneo, Serena Mollicone poteva essere salvata. La 18enne sarebbe deceduta tra le 13:30 e le 20 del 1° giugno. Ha avuto un trauma cranico ed è deceduta lentamente per asfissia. Per la consulente, il cranio della Mollicone è “compatibile con il buco trovato nella porta della caserma dei carabinieridi Arce. L’impatto è avvenuto con lo zigomo.”La scomparsa e il ritrovamento del corpo di Serena MolliconeÈ il primo giugno del 2001 quando Serena Mollicone, 18enne di Arce, esce di casa, per recarsi prima dal dentista e poi a scuola.Alla visita medica la ragazza si presenza come da appuntamento, ma a scuola quella mattina Serena non arriverà mai.Poco dopo le 13, il padre, Guglielmo Mollicone, ne denuncia la scomparsa. Partono così le ricerche, che si concludono poco più di 48 ore con il ritrovamento del corpo senza vita di Serena nel bosco di Anitrella, nel comune di Monte San Biagio.La 18enne ha piedi e mani legate, sulla testa una ferita ben visibile e il capo è coperto da un sacchetto di plastica.Le indagini accertano che la mattina della scomparsa Serena Mollicone si era recata alla caserma di Arce, da cui non sarebbe più uscita sulle sue gambe.Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Serena viene sbattuta con violenza contro la porta della caserma, come confermano i residui di materiale trovati nei suoi capelli.A farlo è il figlio dell’allora comandante dei carabinieri, Marco Mottola.Il padre e la madre del giovane lo avrebbero poi aiutato a occultare il corpo della 18enne, che non sarebbe morta subito. Bosco all’Anitrella – Nanopress.itSerena infatti fu tramortita da quel colpo violento, ma a ucciderla fu la mancanza di ossigeno, visto che le fu applicato lo scotch sulla bocca e sul naso.Un’agonia durata almeno 5/6 ore.Nel processo di primo grado, gli imputati sono stati tutti assolti. LEGGI TUTTO

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    “Ti voglio bene”, il messaggio di Giulia Cecchettin al papà prima di essere uccisa

    Gino Cecchettin ha pubblicato uno scambio di messaggi con la figlia Giulia, prima che venisse uccisa. Per l’omicidio della 22enne di Vigonovo l’unico indagato è Filippo Turetta, ex fidanzato della vittima, che lo scorso sabato sera è stato arrestato dalla polizia tedesca a Lipsia. Gino Cecchettin e la chat con la figlia Giulia – Nanopress.itNei prossimi giorni il 22enne verrà estradato, come ha fatto sapere il ministro degli esteri, Antonio Tajani.I messaggi di Giulia Cecchettin a papà GinoUno scambio di messaggi affettuosi, che a rileggerli danno l’idea di quanto fosse speciale Giulia Cecchettin, la 22enne uccisa dall’ex fidanzato, Filippo Turetta, suo coetaneo. “Spero di non averti svegliato, sono andata a prendere l’autobus per andare a fare colazione con i miei amici. Ti voglio bene”. È uno dei messaggi che Giulia aveva inviato a papà Gino su WhatsApp, prima di chiudere con un “Ti voglio bene” e un cuore, a cui il genitore aveva risposto con un “Grazie amore, anch’io tanto”.Parole semplici, che arrivano dritte al cuore di chi ha assistito -inerme – all’ennesima tragedia costata la vita a una donna. Una giovane donna, che stava per laurearsi in Ingegneria Biomedica e sognava di diventare un’illustratrice di libri per bambini. I sogni di Giulia sono morti con lei la notte di sabato – 12 novembre – quando la ragazza è stata uccisa a coltellate e poi gettata in un dirupo. La sua corsa è terminata 50 metri più in basso, quando un canalone del lago di Bàrcis ha accolto tra le sue acque gelide quello che restava di lei. Una settimana esatta dopo la sua scomparsa, è stato avvistato il cadavere di una giovane donna e subito il pensiero è andato a Giulia, a quella 22enne dal sorriso pieno e dai grandi sogni, così affamata di vita, che non poteva essere sparita a un passo dalla Laurea.L’estradizione di Filippo TurettaSabato notte, sull’autostrada A9 a Bad Dürrenberg, a Lipsia, in Germania, la polizia tedesca ha ricevuto la segnalazione di un’auto ferma, a fari spenti, in una piazzola di sosta. In quell’auto c’era Filippo Turetta, ex fidanzato di Giulia Cecchettin e unico indagato per la sua morte. Il giovane è stato preso in carico dagli agenti.Filippo Turetta – Nanopress.itLa prima notte – dopo una fuga durata una settimana – l’ha trascorsa nel carcere di Halle. Nei prossimi giorni invece dovrebbe essere estradato. Ad aspettarlo ci sono anche i suoi genitori. Il papà in particolare ha riferito di non essersi mai accorto dei problemi del figlio. “Filippo era un ragazzo perfetto a cui abbiamo sempre dato tutto” ha raccontato Nicola Turetta.«Trovarmi a fronteggiare una situazione del genere per me è inconcepibile. Deve essere qualcosa che è entrato in lui. Non lo so. Deve essergli scoppiata una valvola nel cervello. Non lo so proprio» ha proseguito il padre di Filippo, visibilmente provato da una situazione forse più grande di lui.Stando a quanto registrato da una telecamera di sorveglianza nella zona di Fossò, la lite tra Giulia e Filippo sarebbe iniziata in auto la sera della scomparsa. Dalle immagini si vede il ragazzo colpire la vittima a mani nude, Giulia che tenta di scappare, gli grida “Lasciami, mi fai male”. Lui la insegue, infierisce su di lei – sembra con un coltello – poi la carica, sanguinante ed esanime, sul sedile posteriore dell’auto e riparte. A quel punto, infila il cadavere in alcuni sacchi neri dell’immondizia e lo getta nel dirupo, che custodirà quel corpo per una settimana, fino al ritrovamento da parte di un’unità cinofila della Protezione civile, lo scorso sabato mattina. LEGGI TUTTO