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    “Non sopporto più mia moglie”, pregiudicato evade dai domiciliari a Napoli: condannato ad altri 8 mesi di arresti domiciliari

    L’uomo – un pregiudicato di 30 anni – è stato nuovamente processato per direttissima e condannato ad altri otto mesi di arresti domiciliari. Auto dei carabinieri – Nanopress.itAi carabinieri che lo hanno fermato ha riferito di non riuscire più a sopportare la convivenza con la moglie e i figli e di essersi quindi allontanato da casa per un aperitivo a Napoli.Pregiudicato evade dai domiciliari a Portici (Napoli)“Non sopporto più mia moglie”: è con queste parole che un pregiudicato di 30 anni ha tentato di motivare la sua fuga dagli arresti domiciliari che stava scontando nell’abitazione di famiglia a Portici, provincia di Napoli. Nei giorni scorsi, l’uomo è stato rintracciato dagli uomini della Guardia di Finanza nei pressi di un bar di Porta Nolana, centro storico di Napoli. Dagli accertamenti, è emerso che mancava all’appello da due giorni. Ai militari ha riferito di non riuscire più a stare in casa con moglie e figli e di aver quindi deciso di concedersi un aperitivo in centro.L’uomo era agli arresti domiciliari da tre mesi perché inosservante dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Fermato dopo essere evaso, è stato nuovamente processato per direttissima ed è stato condannato ad altri otto mesi di arresti domiciliari. LEGGI TUTTO

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    Strangolò la vicina di casa, ergastolo al killer di Rosa Alfieri: “Non volevo ucciderla, ero in preda alla droga”

    Al cospetto dei giudici della Corte d’Assise di Napoli Elpidio d’Ambra, accusato dell’omicidio di Rosa Alfieri, 23 anni, ha ammesso di aver ucciso la sua vicina di casa perché avrebbe sentito delle voci che gli dicevano di colpirla. Rosa Alfieri – Nanopress.itIl giovane era sotto effetto di stupefacenti quando si macchiò del delitto della ragazza, che viveva nello stesso stabile del killer, a Grumo Nevano, provincia di Napoli. Lo scorso ottobre Elpidio d’Ambra è stato sottoposto a una perizia psichiatrica, che ha confermato come l’imputato fosse capace di intendere e di volere al momento del delitto.L’istruttoria del processo si chiuderà il 28 marzo prossimo, quando il pubblico ministero farà la requisitoria.Elpidio D’Ambra condannato all’ergastoloLa Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha confermato la condanna all’ergastolo inflitta lo scorso 12 aprile a Elpidio D’Ambra, il 31enne accusato dell’omicidio di Rosa Alfieri.Ha mimato le fasi del delitto, da quando ha attirato la vittima dentro casa, fino a quando le ha stretto un braccio intorno al collo, per trascinarla nel suo appartamento, per poi soffocarla, presumibilmente con la federa di un cuscino. È così che Elpidio d’Ambra avrebbe ucciso la sua vicina di casa, Rosa Alfieri. Il pomeriggio del primo febbraio 2022 il giovane avrebbe attirato la ragazza dentro casa, con la scusa di chiederle un chiarimento sul contratto di affitto che proprio il papà della 23enne gli aveva stipulato. Avrebbe afferrato Rosa con il braccio sinistro, per trascinarla dentro, mimando la scena questa mattina in aula, e poi l’avrebbe uccisa, strozzandola con la federa di un cuscino.“Non stavo bene, ero sotto l’effetto del crack e della cocaina. Dopo l’omicidio sono scappato perché nel condominio dove abitavo c’erano anche tanti familiari della povera Rosa e temevo che mi uccidessero”ha detto il presunto assassino al cospetto dei giudici della Corte d’Assise di Napoli.D’Ambra, che ha sempre ammesso l’omicidio, ha però negato di aver provato a violentare Rosa e non ha saputo fornire spiegazioni in merito allo straccio che la vittima aveva in bocca quando venne trovata dal padre. Fu proprio lui a far scattare l’allarme quel pomeriggio, quando si rese conto che la figlia non era rientrata dal lavoro. L’uomo trovò il corpo senza vita della figlia steso sul letto di casa dell’imputato, con i pantaloni ‘non in ordine’ e il seno scoperto. Il luogo del delitto – Nanopress.itL’omicidio di Rosa AlfieriEra stato proprio il papà di Rosa ad affittare quell’appartamento al killer di sua figlia. Il delitto si è consumato il 1° febbraio dello scorso anno. Dopo averla uccisa, d’Ambra abbandonò il corpo della 23enne in casa sua e uscì. Andò prima al Pronto soccorso dell’ospedale San Paolo di Napoli per un malore, poi fece alcune compere. Fu fermato qualche ora dopo dai carabinieri, e già nell’immediatezza dei fatti ammise il delitto di cui si era macchiato.Lo scorso ottobre Elpidio d’Ambra è stato sottoposto a una perizia psichiatrica, che ha confermato come l’imputato fosse capace di intendere e di volere al momento del delitto. LEGGI TUTTO

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    Aggredito dai compagni di cella, Alberto Scagni è uscito dal coma

    La sera del 22 novembre scorso, il 42enne – condannato a 24 anni e 6 mesi di reclusione per l’omicidio della sorella Alice – era stato violentemente picchiato da due detenuti magrebini che condividevano con lui la cella nel carcere di Sanremo. Alberto Scagni – Nanopress.itIndotto in coma farmacologico, questa mattina è stato risvegliato dallo stato di sedazione profonda. Occorrerà ora vedere come reagisce il suo corpo alla cosiddetta “finestra neurologica”. Il 42enne resta ancora intubato mentre l’ecografia all’addome effettuata in mattinata non ha evidenziato problematiche.Alberto Scagni è uscito dal comaDopo la brutale aggressione subita il 22 novembre scorso, Alberto Scagni – il detenuto 42enne in carcere per l’omicidio della sorella Alice – è uscito dal coma farmacologico. A darne notizia all’Ansa è il primario di Rianimazione dell’Asl 1, che ha spiegato come si sta procedendo al risveglio del paziente. I medici sono partiti con l’apertura di una finestra neurologica, che consiste nell’interruzione momentanea della sedazione a cui è sottoposto Scagni per chiarire la risposta del suo corpo e valutarne lo stato neurologico.Condannato a 24 anni e 6 mesi di reclusione, Alberto Scagni è stato aggredito da due compagni di cella nel carcere di Valle Armea a Sanremo, la sera del 22 novembre scorso. Dopo quell’aggressione, i due maghrebini sono stati trasferiti in un altro penitenziario. A seguito del pestaggio, Scagni è stato sottoposto a due operazioni al viso.Questa mattina è stato sottoposto a un’ecografia all’addome, che non ha evidenziato ulteriori problemi. Il paziente, fanno sapere dall’ospedale di Sanremo, non è ancora pronto per essere estubato.Le parole della mamma di Alberto e AliceAntonella Zarri, madre di Alberto e Alice Scagni, ha recentemente visitato la cella in cui il figlio è stato pestato. In un’intervista a La Repubblica, la donna ha raccontato l’inferno inferto ad Alberto. L’aggressione, stando a quanto riferito da alcuni testimoni, sarebbe durata tre ore. «La cella è un macello. In un angolo, è rimasta una scarpa di Alberto. Le macchie di sangue sono ovunque. Tavoli e brande capovolti. È la scena di una sommossa, in 15 metri quadrati» ha raccontato la donna.Le parole di Antonella Zarri sono state raccolte da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il geometra romano vittima di un violento pestaggio in carcere e morto una settimana dopo l’arresto, il 22 ottobre 2009. LEGGI TUTTO

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    “Devi fare la fine di Giulia”: Daspo di 5 anni al papà che ha insultato l’arbitra 17enne durante una partita di basket

    L’uomo, un 50enne di Camposampiero (Padova), avrebbe rivolto insulti sessisti all’arbitra, rea – a suo dire – di favorire la squadra avversaria, durante una partita di basket under 17 maschile Silver che si disputava tra le squadre Camin e Cittadella Brenta Gunners.Pallone da basket – Nanopress.it (foto pixabay)Il 50enne è stato anche segnalato all”autorità giudiziaria per i reati di minaccia e diffamazione.Insulti all’arbitra 17enne: Daspo al papà di un giovane cestistaIl questore di Padova ha emesso un provvedimento di Daspo, acronimo di Divieto di accesso alle manifestazioni Sportive, della durata di 5 anni, nei confronti di un papà 50enne di Camposampiero (Padova), che non potrà accedere a tutte le manifestazioni sportive sul territorio nazionale. Il provvedimento è arrivato a seguito degli insulti sessisti che l’uomo avrebbe rivolto a un’arbitra di 17 anni, rea – a suo dire – di favorire la squadra avversaria a quella in cui gioca il figlio.I fatti si sono registrati il 3 dicembre scorso, durante una partita di basket tra le squadre Camin e Cittadella Brenta Gunners. Il padre dell’arbitra, duramente insultata anche da altre persone che assistevano alla partita, ha sporto denuncia e, a seguito degli accertamenti, gli agenti della polizia di Padova sono riusciti a identificare il 50enne, poi raggiunto dal provvedimento. “Devi fare la fine di quella di Vigonovo” (Giulia Cecchettin, n.d.r.) avrebbe urlato il 50enne, che è stato anche segnalato all’autorità giudiziaria per i reati di minaccia e diffamazione, aggravati dall’aver agito nei confronti di una minore e in un luogo dove si stava svolgendo una manifestazione sportiva.Le indagini hanno poi accertato che il 50enne non era nuovo a episodi simili di violenza verbale. La polizia è tuttora al lavoro per cercare di individuare gli altri responsabili degli insulti. LEGGI TUTTO

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    Dramma ad Avellino, donna segregata in casa con i due figli piccoli: arrestato il compagno

    Ad allertare le forze dell’ordine sono stati i vicini di casa. Quando i carabinieri hanno ricevuto la segnalazione, hanno iniziato a controllare l’abitazione e quando hanno sentito le grida e i pianti dei bambini e della donna, hanno fatto irruzione. Violenza sulle donne – Nanopress.itUn 30enne marocchino è stato condotto in caserma e arrestato per maltrattamenti e lesioni. La donna, coetanea dell’aggressore e anche lei di nazionalità marocchina, è stata trasferita in ospedale dove i medici le hanno diagnosticato ferite guaribili in 25 giorni.Donna segregata in casa con i due figli piccoliSono stati i vicini di casa ad allertare le forze dell’ordine salvando la vita a una donna di 30 anni e ai suoi due figli di uno e due anni. Il dramma si è registrato a Rotondi, provincia di Avellino. Quando i carabinieri hanno ricevuto la segnalazione, hanno iniziato a tenere sotto controllo l’abitazione in cui la coppia vive con i due figli. Quando hanno sentito le urla e i pianti disperati dei bambini, hanno fatto irruzione. Il marito della donna, un 30enne di nazionalità marocchina, si è scagliato contro i militari, ma è stato prontamente fermato e portato in caserma, dove è stato poi arrestato per lesioni e maltrattamenti.La donna, trovata in un profondo strato di prostrazione, è stata soccorsa e trasferita in ospedale. Aveva ferite su molte parti del corpo ed è stata giudicata guaribile in 25 giorni. I carabinieri hanno scoperto che i maltrattamenti andavano avanti da mesi. LEGGI TUTTO

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    La ricerca della balena che abbiamo solo sentito

    La varietà e la complessità dei canti dei cetacei sono conosciute e studiate da decenni. Nel 1970 il biologo statunitense Roger Payne raccolse quelli delle megattere durante il periodo degli accoppiamenti e ne fece un disco, che vendette oltre 100mila copie ed espanse notevolmente la consapevolezza comune dell’intelligenza di questi mammiferi. Un fatto meno noto è che esiste con molta probabilità almeno una specie di cetacei odontoceti (o dentati, il sottordine di cui fanno parte delfini, capodogli e orche) che non abbiamo mai visto e che distinguiamo da altre specie conosciute soltanto per i suoni che emette.La specie sconosciuta e identificata soltanto per i suoi versi caratteristici, in attesa di ulteriori ricerche che ne confermino l’esistenza, è definita balena dal becco di Cross Seamount da un gruppo di ricercatori e ricercatrici della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia statunitense che si occupa di studi meteorologici e oceanici, e di altri istituti di ricerca sugli ambienti marini. Cross Seamount, una montagna sottomarina che si trova circa 300 chilometri a ovest delle isole Hawaii, è l’area del Pacifico in cui fu rilevato per la prima volta nel 2005 il particolare richiamo della balena, poi registrato sporadicamente altre volte negli anni successivi.Tra i biologi marini non c’è uniformità di opinioni riguardo alla balena dal becco di Cross Seamount. Secondo alcuni potrebbe essere una specie conosciuta: il mesoplodonte di Nishiwaki e Kamiya, detto ginkgodens per l’insolita forma (a foglia di pianta di ginkgo) dei due denti presenti sulla sua mandibola. Una delle ragioni che complicano l’identificazione della specie misteriosa è che la famiglia di cetacei odontoceti a cui probabilmente appartiene – gli Zifidi, o balene dal becco – è una delle meno conosciute al mondo tra i grandi mammiferi. Alcune delle 24 specie note sono state scoperte soltanto nell’ultimo ventennio, e lo stesso ginkgodens è una di quelle di cui sappiamo meno in assoluto, e principalmente dagli spiaggiamenti.– Leggi anche: Il fascino gigantesco del calamaro giganteIl gruppo di ricerca che si occupa da quasi vent’anni di analisi dei suoni emessi dagli odontoceti al largo delle Hawaii ritiene che ci siano elementi sufficienti per considerare la balena dal becco di Cross Seamount una specie a sé stante. I suoni che emette differiscono infatti in termini di frequenza, durata e pause intermedie rispetto a quelli di altre balene dal becco conosciute. Sulla base dei rilevamenti è possibile ipotizzare che sia una specie imparentata con lo zifio di Cuvier, diffuso anche nel Mediterraneo, e il mesoplodonte di True, ma con comportamenti diversi rispetto a queste due specie.Tutte le balene dal becco, animali piuttosto timidi e diffidenti, si immergono abitualmente in profondità fino a 3mila metri e per un tempo di oltre un’ora. Riemergono in superficie soltanto per pochi minuti, cosa che rende difficile avvistarle. È difficile anche distinguere le specie: i biologi di solito ci riescono osservando i denti nei maschi, dato che le femmine – anche quelle di specie diverse – sono molti simili, ha spiegato a Hakai Magazine la biologa della NOAA Jennifer McCullough, coautrice di una ricerca sulla balena dal becco di Cross Seamount pubblicata ad agosto sulla rivista Marine Mammal Science.Una femmina di mesoplodonte di De Blainville al largo delle Bahamas (MatthewGrammatico/Wikimedia)Molto di ciò che sappiamo delle balene dal becco, ha detto McCullough, lo sappiamo dall’analisi dei suoni che emettono, raccolti tramite strumenti di monitoraggio acustico che permettono di stimare solo molto approssimativamente la popolazione di passaggio in una determinata area. Come gli altri odontoceti – e i pipistrelli – le balene dal becco utilizzano l’ecolocalizzazione, la capacità di percepire l’eco delle onde sonore emesse e che rimbalzano sull’ambiente circostante. Nel loro caso non sono canti né fischi, come quelli di megattere e orche, ma brevi impulsi sonori, singoli o a raffica, come quelli dei capidogli. Sono emessi nel contesto dell’accoppiamento o per individuare le prede (principalmente calamari), per esempio, ma possono anche avere funzioni sociali più complesse.– Leggi anche: Come gli animali percepiscono il mondoI suoni emessi dalle diverse specie conosciute di balene dal becco sono sequenze di “clic” abbastanza simili tra loro: hanno una frequenza molto alta, impercettibile per l’udito umano. Gli odontoceti in generale emettono suoni tra 5 e 150 kHz, mentre l’intervallo di frequenze rispetto alle quali gli esseri umani sono più sensibili è tra 2 e 5 kHz. Per analizzare le piccole differenze tra i diversi richiami gli scienziati si servono soprattutto degli spettrogrammi, grafici che permettono di valutare l’intensità di un suono in funzione del tempo e della frequenza. E la frequenza, la durata e le pause intermedie tra i suoni emessi dalle balene dal becco cambiano da specie a specie.Una sequenza di suoni emessi da uno zifio di Cuvier, a velocità ridotta a 0,30x (NOAA.gov) LEGGI TUTTO

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    Anziana trovata morta in un baule nel Casertano, indagata la figlia: “Non avevo i soldi per pagare il funerale”

    A trovare il corpo senza vita della donna, in un baule sigillato con dello scotch e lasciato nella stanza della vittima, è stata l’altra figlia dell’anziana, che vive e lavora in Abruzzo. La donna aveva provato più volte a mettersi in contatto con la madre, ma aveva ricevuto soltanto messaggi, in cui l’anziana le diceva di non poter parlare ma di stare bene. Carabinieri – Nanopress.itLa Procura di Santa Maria Capua Vetere, che si sta occupando delle indagini, ha iscritto la figlia convivente della vittima nel registro degli indagati, con l’ipotesi di reato di occultamento di cadavere. La 40enne, disoccupata, ha riferito che la madre è deceduta un mese fa circa dopo un incidente domestico e, non avendo i soldi per pagarle il funerale, ha chiuso il corpo in un baule .Indagata la figlia dell’anziana trovata morta in un baule nel CasertanoSarà l’autopsia a chiarire le cause della morte della donna di 77 anni trovata senza vita in un baule, chiuso con del nastro adesivo, e lasciato nella stanza da letto della vittima, in un’abitazione di Mondragone, provincia di Caserta. A scoprire il cadavere, lo scorso sabato, è stata una figlia della donna, che vive in Abruzzo, allarmata dalle mancate risposte della madre alle sue telefonate. Quando è arrivata a casa dell’anziana, ha trovato il corpo della donna, ormai in avanzato stato di decomposizione. Prima di arrivare a casa della madre, la donna aveva più volte provato a contattarla, ma non aveva ricevuto nessuna risposta, se non via sms. Nei messaggi la madre le diceva di non poter parlare, ma di stare bene.L’altra figlia della vittima, una donna di 40 anni, che viveva con lei, è stata iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di occultamento di cadavere. Stando a quanto riferisce l’Ansa, la donna ha riferito ai carabinieri che la madre è morta circa un mese fa dopo un incidente domestico. La 40enne ha raccontato che l’anziana aveva battuto la testa e quel colpo si era rivelato fatale. A quel punto, non avendo neppure i soldi per pagarle il funerale, l’avrebbe chiusa nel baule in cui poi è stata ritrovata dalla sorella.L’esame autoptico dovrà quindi stabilire se l’anziana sia effettivamente morta per un incidente in casa o se sia stata uccisa. La Procura di Santa Maria Capua Vetere ha disposto il sequestro della salma e dell’appartamento in cui è stato ritrovato il corpo. LEGGI TUTTO

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    È morta a 95 anni Gao Yaojie, dottoressa cinese che contribuì a rendere nota l’epidemia di AIDS nella Cina rurale negli anni Novanta

    È morta a 95 anni Gao Yaojie, una dottoressa cinese che contribuì a rendere nota l’epidemia di AIDS nella Cina rurale negli anni Novanta. Gao scoprì che le scarse norme igieniche nelle cliniche per la donazione di sangue a pagamento avevano contribuito a diffondere l’AIDS anche nelle zone rurali della Cina. All’epoca in Cina era diffusa la convinzione che l’AIDS fosse trasmesso solo tramite i rapporti sessuali non protetti e dalla madre al feto durante la gravidanza. Gao, già in pensione, visitò cittadine e famiglie colpite dalla malattia, donò anche cibo e stampò volantini educativi sull’AIDS, spesso a sue spese.La vendita di sangue fu vietata negli anni Novanta, ma secondo Gao continuò in maniera illegale anche negli anni successivi. La dottoressa non fu la prima a scoprire l’epidemia, ma permise che fosse conosciuta in Cina e all’estero avvisando il New York Times. Nel 2009 Gao si trasferì a New York, negli Stati Uniti, a causa della crescente ostilità delle autorità cinesi nei suoi confronti, fra cui l’arresto e la detenzione per 20 giorni ai domiciliari da parte del governo provinciale dell’Henan, la provincia in cui fu più attiva, nel 2007. Il governo centrale in seguito annullò l’arresto.– Leggi anche: Dobbiamo parlare diversamente di HIVL’AIDS è una sindrome che porta il sistema immunitario a perdere la capacità di contrastare anche le infezioni più banali. Si raggiunge a uno stadio avanzato dell’infezione del virus HIV (Human Immunodeficiency Virus). Grazie alle moderne terapie antiretrovirali oggi chi è positivo al virus può condurre una vita quotidiana normale, anche dal punto di vista dell’attività sessuale. Le condizioni sono che l’infezione sia diagnosticata per tempo, e che ci sia la possibilità di accedere alle cure. (AP Photo/Greg Baker, File) LEGGI TUTTO