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    I T-Rex avevano le labbra?

    Nel film di Steven Spielberg Jurassic Park, del 1993, in una notte piovosa il Tyrannosaurus rex (T-Rex) che porta scompiglio e distruzione nel parco riesce a uscire dal proprio recinto, mangiarsi un tizio che aveva trovato rifugio in un WC chimico e avvicinarsi con le sue enormi fauci al dottor Alan Grant. Prima che decida di risparmiarlo, un primo piano mostra efficacemente i denti acuminati del T-Rex, talmente grandi da sporgergli sempre dalla bocca.Secondo una nuova ricerca, però, è probabile che i T-Rex e i loro parenti più stretti fossero un po’ diversi da come ce li immaginiamo dai tempi di Jurassic Park soprattutto per un particolare: sembra che i loro denti fossero nascosti da labbra squamose, simili a quelle delle lucertole dei giorni nostri.Negli anni Novanta Spielberg si prese non poche licenze (prima fra tutte: nonostante il titolo molti dei dinosauri mostrati non erano del Giurassico), ma forse è proprio quello ciò che rende speciale il film, al punto da essere considerato ancora oggi il migliore del suo genere. A sua difesa, le illustrazioni prodotte fino ad allora di molti dinosauri contenevano vari elementi di fantasia, derivanti per lo più dalle scarse conoscenze sulle caratteristiche di questi grandi animali, comparsi circa 230 milioni di anni fa.I teropodi, cioè il gruppo di dinosauri di cui facevano parte per esempio i T-Rex e i velociraptor, venivano disegnati in quel modo anche a causa delle osservazioni sui lontani cugini dei dinosauri che vivono ancora oggi sulla Terra, come i coccodrilli, e l’unico gruppo di dinosauri ancora esistente: gli uccelli. Entrambi hanno intorno alle loro mascelle del tessuto rigido e immobile, a differenza delle labbra squamose delle lucertole (iguane, camaleonti, gechi, varani e via discorrendo). Di conseguenza, aveva senso supporre che i teropodi avessero labbra rigide.Intorno a questa ipotesi c’era da tempo un acceso confronto tra paleontologi e pochi dati su cui confrontarsi. Fu così che una decina di anni fa un gruppo di ricerca internazionale (Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Cina) decise di approfondire la questione. I molti anni di studio hanno ora portato alla pubblicazione di una ricerca sulla rivista Science che porta nuovi elementi su una questione annosa e non secondaria per lo studio di animali che dominarono le terre emerse per circa 165 milioni di anni.Come spiegano nel loro studio, i ricercatori hanno prima di tutto studiato i denti dei T-Rex, perché negli animali che li hanno sempre esposti si riscontra una maggiore usura della dentatura: è per esempio il caso dei coccodrilli. L’analisi al microscopio di fossili di teropodi non ha però portato a osservare danni paragonabili a quelli che si osservano tra i coccodrilli dei giorni nostri.Denti di teropodi (A) e di coccodrilli (F) a confronto (Thomas M. Cullen et al., Science 2023)Il gruppo di ricerca ha poi messo a confronto alcune caratteristiche delle mascelle di lucertole e coccodrilli. Quelle delle lucertole con le labbra sono dotate di un numero molto limitato di fori in cui passano i vasi sanguigni e i nervi verso le gengive, mentre quelle dei coccodrilli hanno un numero molto più alto di queste piccole aperture.Come ha spiegato Mark P. Witton, uno dei ricercatori: «Abbiamo notato che le mascelle dei teropodi assomigliano di più a quelle delle lucertole e hanno un minor numero di aperture vicino ai margini mascellari. La stessa cosa vale per gli antichi parenti dei coccodrilli ora estinti. Ciò implica che l’insolita anatomia facciale dei coccodrilli attuali si sia evoluta per conto proprio, non come una caratteristica condivisa con il gruppo dei dinosauri/uccelli».(Thomas M. Cullen et al., Science 2023)Nella ricerca è stata anche presa in considerazione la grandezza dei denti, che per alcune specie di dinosauro erano talmente grandi da rendere potenzialmente difficile la presenza di labbra adeguate per nasconderli. Il gruppo di ricerca ha calcolato il rapporto tra altezza dei denti e lunghezza del cranio nei teropodi, poi l’ha messo a confronto con quello dei varani di Komodo (Varanus komodoensis), le uniche lucertole con labbra ad avere abitudini alimentari confrontabili con quelle dei T-Rex e dei loro parenti.Dal confronto è emerso che – fatte le dovute proporzioni – nessun dinosauro carnivoro avesse denti più grandi rispetto ai varani. Lo stesso non vale invece per i coccodrilli, che hanno in proporzione denti molto più grandi dei teropodi: «Non c’è quindi motivo per pensare che i denti di dinosauro fossero troppo grandi per essere coperti dalle labbra», ha spiegato Witton.Cranio di T-Rex (A), simulazione di un T-Rex senza labbra con la dentatura esposta (B) e di un T-Rex con le labbra (Thomas M. Cullen et al., Science 2023)I dati raccolti per lo studio sono stati poi utilizzati in alcuni modelli per simulare le modalità di chiusura delle mascelle dei teropodi, arrivando alla conclusione che in mancanza di labbra i T-Rex e gli altri non avrebbero mai potuto tenere la bocca completamente chiusa. La mancanza di una chiusura adeguata avrebbe compromesso la loro salute orale e facilitato la disidratazione.Sulla base di tutti questi elementi, lo studio conclude che fosse molto probabile che i teropodi avessero labbra squamose e sottili, ma che non fossero in grado di muoverle autonomamente come fanno per esempio i mammiferi. La nuova ricerca ha suscitato grande attenzione nella comunità scientifica perché potrebbe offrire nuovi spunti importanti non solo per capire meglio alcune caratteristiche di questi animali ormai estinti da tempo, ma anche i processi evolutivi che interessarono gli animali che osserviamo oggi. LEGGI TUTTO

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    Il suono che fanno le piante

    Caricamento playerLe persone appassionate di giardinaggio dicono spesso che parlare alle piante le aiuti a crescere, anche se la questione è ancora dibattuta e non ci sono molti elementi scientifici per sostenerlo. Sembra invece certo che le piante parlino, a loro modo, e che i loro suoni possano aiutare a comprendere se hanno bisogno di acqua o se sono sotto particolari stress.Un gruppo di ricerca dell’Università di Tel Aviv, in Israele, ha provato ad ascoltare le piante utilizzando microfoni molto sensibili e in ambienti isolati acusticamente, riuscendo a registrare i suoni che producono a seconda delle circostanze e della loro specie di appartenenza. Lo studio si è concentrato sulle piante del tabacco (Nicotiana tabacum), del pomodoro (Solanum lycopersicum) e del grano tenero (Triticum aestivum), rendendo possibile la registrazione di suoni che devono essere poi elaborati per poter essere ascoltati con le nostre orecchie.Lo studio spiega che i suoni emessi dalle piante hanno una frequenza compresa tra i 20 e i 100 kilohertz, troppo alta per essere percepita dal nostro udito. I suoni registrati ricordano quelli dei chicchi di mais quando si prepara il pop corn, ma secondo il gruppo di ricerca sono dovuti alla cavitazione (formazione e implosione) delle piccole bolle d’aria che si producono all’interno dello xilema, il tessuto vegetale dentro cui passa la linfa, contenente acqua e sostanze nutrienti per la pianta.Pomodoro LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts di sabato 1 aprile 2023

    Ci sono molti animali col becco, tra quelli che valeva la pena fotografare nei giorni scorsi: un merlo, un pappagallo, una cicogna, un gheppio, tre oche, un gufo e un grifone di Rüppell, il primo avvoltoio nato allo zoo di Londra da più di 40 anni. Il resto della raccolta comprende un orso uscito dal letargo che si ambienta nel suo nuovo recinto, un alpaca a una fiera di animali e agnelli che si riparano dal nevischio sotto la propria madre..single-post-new article figure.split-gal-el .photo-container .arrow::after{content:’LE ALTRE FOTO’} LEGGI TUTTO

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    Virgin Orbit è in guai grossi

    Virgin Orbit, l’azienda spaziale del miliardario britannico Richard Branson, licenzierà l’85 per cento del proprio personale e cesserà le attività nell’immediato futuro, dopo non essere riuscita a ottenere nuovi finanziamenti. Dan Hart, il CEO della società, ha comunicato giovedì la notizia ai dipendenti. La conferma dei licenziamenti è contenuta in un documento fornito all’autorità che si occupa delle attività di borsa (SEC) negli Stati Uniti, dove l’azienda è registrata.Stando alla documentazione, Virgin Orbit licenzierà 675 dipendenti e ne manterrà un centinaio, condizione che renderà impossibili nuove attività di ricerca e di sperimentazione del sistema di lancio per trasportare satelliti in orbita. In sei anni di esistenza, l’azienda aveva sviluppato una soluzione alternativa ai lanci spaziali effettuati con razzi che partono dal suolo. Il suo sistema prevede che il razzo venga montato sotto l’ala di un grande aeroplano, un Boeing 747-400, e che sia lanciato quando l’aereo è già in quota in modo da poter utilizzare razzi meno potenti e costosi, idealmente più semplici da gestire.(Virgin Orbit)Lo scorso gennaio, Virgin Orbit aveva effettuato il primo tentativo di trasporto in orbita di un satellite, ma la missione era stata un fallimento. Dopo essersi staccato dall’ala del Boeing 747-400, il razzo LauncherOne aveva raggiunto lo Spazio, ma non l’altitudine corretta per collocare il satellite nella giusta orbita. Nonostante il fallimento, la società aveva comunque sottolineato l’importanza del risultato raggiunto, che secondo i suoi responsabili dimostrava la fattibilità del nuovo sistema.Le condizioni economiche di Virgin Orbit non erano comunque buone. Già a inizio marzo la società aveva annunciato una «pausa delle attività», rimandando a successivi aggiornamenti che sarebbero stati diffusi nelle settimane seguenti. Ora l’azienda ha annunciato che, attraverso la società Virgin Investments, Branson ha fornito circa 11 milioni di euro che saranno impiegati per la cessazione dei contratti e per i licenziamenti. Il costo complessivo dell’operazione sarà intorno ai 15 milioni di euro, sempre secondo le previsioni di Virgin Orbit.Dopo l’annuncio della cessazione delle attività, le azioni di Virgin Orbit hanno perso circa il 40 per cento del proprio valore in borsa. La notizia non ha comunque sorpreso più di tanto gli analisti, considerato che la società cercava da mesi nuovi finanziatori e che Branson aveva detto di non volerla più finanziare direttamente. Virgin Orbit era nata nel 2017 da una divisione di Virgin Galactic, altra società di Branson dedicata invece al turismo spaziale e in forte ritardo nelle proprie attività. LEGGI TUTTO

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    Che cos’è la “carne sintetica”

    In seguito alla presentazione di un disegno di legge del governo, da un paio di giorni si discute molto della cosiddetta “carne sintetica”, che come vedremo non è sintetica. Il provvedimento nasce col proposito di vietare la produzione e la vendita di «alimenti e mangimi sintetici» ed è stato fortemente voluto dal ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, che nei mesi scorsi si era detto in più occasioni contrario non solo alla “carne prodotta in laboratorio”, ma anche alle farine di insetti e alle etichette con avvisi per la salute sugli alcolici: tutti ambiti regolamentati o comunque sorvegliati dalle autorità di controllo dell’Unione Europea.– Ascolta anche: La puntata di Ci vuole una scienza sulla “carne sintetica”Il disegno di legge nella sua attuale forma contiene riferimenti a multe da 10mila a 60mila euro in caso di violazione dei divieti, che secondo Lollobrigida: «Intendono tutelare la salute umana e il patrimonio agroalimentare». Le nuove norme contengono però varie contraddizioni, compreso un divieto di produzione e vendita di prodotti ottenuti a partire da «colture cellulari o tessuti derivanti da animali vertebrati», una definizione che comprende di fatto anche la carne e i suoi sottoprodotti, consumati ogni giorno sia per scopo alimentare sia per i mangimi. Trattandosi di un disegno di legge, il testo riceverà probabilmente numerose modifiche nel corso dei vari passaggi in parlamento e ci sono dubbi sulla sua approvazione e applicazione.Un certo interesse verso la “carne sintetica” era stato sollevato nei mesi scorsi da Coldiretti, associazione di rappresentanza nel settore agricolo in Italia molto influente soprattutto in ambito politico. Lo scorso anno, Coldiretti aveva avviato una petizione che chiedeva esplicitamente di vietare il “cibo sintetico”, con una definizione piuttosto vaga e non priva di ambiguità. La petizione era stata firmata dai dirigenti di molti partiti e aveva ricevuto l’appoggio del ministro Lollobrigida, diventando molto discussa sui giornali e online.Per far conoscere la propria petizione, alcune sezioni di Coldiretti avevano preparato volantini nei quali si metteva a confronto il cibo “naturale” con quello “sintetico”. Il primo era illustrato con immagini bucoliche e idilliache, mentre il secondo con strumenti impiegati in laboratorio, uno scienziato in tuta da decontaminazione e scritte come «fa male all’ambiente» e «prodotto in un bioreattore». Il volantino diceva inoltre che il “cibo sintetico” «spezza lo straordinario legame che unisce cibo e natura», senza fornire però ulteriori spiegazioni.In questi casi la parola “sintetico” viene spesso contrapposta a “naturale”, anche se in realtà è molto difficile dire che cosa non sia naturale, considerato che per ciò che viene prodotto in laboratorio si parte in fin dei conti da quello che già esiste in natura. In generale il termine “sintetico” viene impiegato per indicare il risultato di una sintesi al di fuori degli organismi viventi: un tessuto sintetico, come quelli degli abiti sportivi, per esempio, differisce dal cotone o dalla lana che derivano rispettivamente da una pianta e dal vello di varie specie di animali.Nel caso della carne, a oggi nessuna delle alternative di cui parla il ministro Lollobrigida può essere considerata sintetica. Le ricerche nel settore proseguono da anni e con lo scopo di trovare metodi più sostenibili per produrla, che specialmente nel caso degli allevamenti di bovini comporta un grande consumo di energia e molte emissioni di gas serra. Questi allevamenti sono poco efficienti, di conseguenza si studiano possibilità alternative e a minore impatto ambientale, che ridurrebbero anche i problemi etici che si porta dietro l’attuale sistema di produzione di carne a livello industriale.Alcune alternative sono già disponibili, ma non hanno nulla di sintetico. La cosiddetta “carne vegetale” o “finta carne” è basata sulla lavorazione di ingredienti come grano, olio di cocco, patate e altri vegetali con l’obiettivo di farle avere consistenza e aspetto della carne vera. Gli hamburger e le bistecche di questo tipo si possono acquistare nei supermercati o in alcuni fast-food e sono famosi soprattutto grazie a marchi come Impossible Foods e Beyond Meat.Un altro metodo di produzione di carne alternativa prevede invece lo sfruttamento di alcuni funghi e microrganismi, che producono proteine sostituibili a quelle degli animali. Di per sé è una tecnologia nota da oltre un secolo e in origine era impiegata per produrre mangimi, partendo da lieviti che attraverso i loro processi di fermentazione producevano proteine. Tra i prodotti più conosciuti derivati da questa tecnica c’è il Quorn, che tecnicamente non è un vegetale, ma una sorta di muffa che viene poi impastata con albume d’uovo o con leganti derivati dalle patate nella sua versione vegana. Il Quorn se adeguatamente lavorato può assumere una consistenza che ricorda quella della carne, anche se il sapore e l’aspetto sono distanti da quelli di una bistecca.(Getty Images)Proprio per via della mancanza di prodotti alternativi alla carne che si avvicinino all’esperienza di mangiare della carne, soprattutto rossa, da tempo si cerca di creare della carne in vitro, cioè partendo da cellule animali che vengono fatte crescere e differenziare per produrre tessuti, imitando di fatto ciò che avviene normalmente con la crescita di un essere vivente. È un ambito di ricerca piuttosto articolato e che ha portato a qualche risultato concreto, seppure su piccola scala e con esiti non sempre incoraggianti. Ci sono aziende in Israele, nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti che hanno avviato la produzione, per lo più con un approccio dimostrativo per verificare la sostenibilità dei loro progetti. In Italia non ce ne sono.Le tecniche più diffuse prevedono di partire da cellule staminali, che non sono quindi ancora specializzate e che hanno la potenzialità di differenziarsi nei vari tipi di cellule mature che costituiscono poi un tessuto. Le cellule non sono “sintetiche”, ma derivano da un prelievo effettuato da animali già vivi o da embrioni, a seconda dei casi e dei filoni di ricerca e sviluppo.Isolate le cellule staminali idonee, si procede a inserirle in particolari contenitori nei quali è presente un terreno di coltura, di solito una soluzione che contiene sostanze nutrienti di vario tipo. In questo modo le cellule iniziano a crescere e a replicarsi, ma il procedimento non è sufficiente per arrivare a un tessuto paragonabile al muscolo di un animale, cioè alla carne che viene normalmente consumata. Le cellule hanno bisogno di una sorta di impalcatura che le sostenga, che permetta loro di respirare, continuare a proliferare e a differenziarsi. In pratica si deve trovare il modo di ricreare la struttura tridimensionale della carne, che è ciò che dà la consistenza e la capacità stessa del tessuto di non sfaldarsi durante la cottura.Il processo deve essere poi ripetuto su una scala molto più grande e può coinvolgere l’impiego dei bioreattori, quelli citati nel volantino di Coldiretti. Nella sua forma più semplice, un bioereattore non è una novità: è un contenitore che mantiene una certa temperatura e a seconda dei casi garantisce un flusso costante di nutrienti. Viene impiegato da millenni in campo alimentare. La produzione di birra o di yogurt, che implica la presenza di microorganismi che rendono possibile la fermentazione, avviene in contenitori che sono di fatto bioreattori. Lo stesso vale per produzioni molto più sofisticate in ambito farmaceutico, per esempio per la produzione dell’insulina, molto importante per tenere sotto controllo alcune forme di diabete.Le aziende che vogliono produrre carne in questo modo hanno finora incontrato difficoltà nel passare dalla modalità su piccola scala in vitro a quella su scale più grandi, utilizzando bioreattori che consentano di produrre molti chilogrammi di carne. Gli investimento nel settore non mancano, proprio per le potenzialità del sistema e per l’interesse di chi vorrebbe continuare a mangiare carne, ma senza gli svantaggi ambientali e i problemi etici legati agli allevamenti tradizionali.In generale, tutte le alternative alla carne bovina hanno minori conseguenze in termini di emissioni di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera, i principali responsabili del riscaldamento globale. I prodotti come il Quorn o la “carne vegetale” hanno un impatto molto basso, inferiore anche a quello della carne prodotta in laboratorio. Stimare gli effetti sull’ambiente non è comunque semplice, e cambieranno probabilmente nel momento in cui alcune di queste soluzioni diventeranno più diffuse.Il settore è ancora piccolo, coinvolge numerose startup e ci sono dubbi sulla loro capacità di sopravvivere, considerato che per ora si finanziano soprattutto grazie ai fondi di investimenti, che scommettono sul loro futuro. L’eventuale passaggio alla carne prodotta in modo alternativo è quindi ancora distante e per questo il disegno di legge voluto dal ministro Lollobrigida sembra più una scelta di comunicazione, che non avrà un particolare impatto sul settore alimentare.Il riferimento per ciò che è considerato sicuro da consumare sono del resto i regolamenti dell’Unione Europea, che considerano novità alimentari (“novel food”) questo tipo di prodotti, cioè alimenti mai consumati all’interno dell’UE in quantità significative e tali da essere definibili “cibo”. Ogni nuovo specifico alimento deve quindi ricevere un’autorizzazione, vincolata a una valutazione da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Non è chiaro quale sia stata la considerazione da parte del ministro Lollobrigida su un pericolo imminente tale da approvare un disegno di legge «con procedura d’urgenza».L’eventuale messa in vendita in futuro di prodotti di carne alternativa non implicherebbe inoltre la fine degli allevamenti tradizionali, ma aggiungerebbe una possibilità di scelta in più per chi consuma carne. Anche per questo iniziative di legge di questo tipo, che avrebbero un impatto su un settore emergente, potrebbero ricevere obiezioni da parte delle autorità europee. LEGGI TUTTO

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    Fisica minima di Jenga

    Caricamento playerNel gennaio di 40 anni fa l’inventrice di giochi britannica Leslie Ann Scott portò alla London Toy Fair, una delle più importanti fiere di giocattoli al mondo, alcuni blocchetti di legno da impilare l’uno sull’altro costruendo una torre alquanto precaria. Quell’insieme di legnetti era una delle primissime versioni di Jenga, uno dei giochi da tavolo più conosciuti al mondo. Da allora ne sono stati venduti quasi 100 milioni di scatole, solo considerando le edizioni ufficiali, e il gioco tutto sommato semplice continua ad appassionare vecchie e nuove generazioni.Jenga deriva dalla parola kujenga, che significa “costruire” in swahili, la lingua ufficiale di alcuni stati africani come Tanzania, Kenya, Uganda e Ruanda. L’idea del gioco era un’evoluzione di un passatempo della famiglia di Scott, iniziato negli anni Settanta con alcuni semplici blocchetti di legno.La versione classica del gioco comprende 54 blocchi di legno, che formano una torre iniziale di 18 piani, quindi con tre blocchi per ogni piano. A turno, ogni giocatore deve togliere un blocco dalla torre e posizionarlo sulla sua sommità, utilizzando solamente una mano.Ne consegue che a ogni turno la torre diventa via via meno stabile, fino a quando non crolla. Il giocatore che fa cadere la torre oltre a perdere determina il vincitore, cioè il giocatore che lo ha preceduto e che era riuscito a far rimanere in piedi la pila di blocchi.Il fascino di Jenga deriva in parte dalle numerose conformazioni che può assumere la torre, visto l’alto numero di combinazioni possibili nella sottrazione dei pezzi per costruire i nuovi piani. Alcuni vincono soprattutto di destrezza, mentre altri provano a farsi un’idea delle forze in gioco, provando strategie a volte più stravaganti e che non sempre funzionano a dovere.Le variabili durante una partita sono molte, ma ci sono comunque alcuni punti fermi. Quando si prova a rimuovere un blocco, si devono fare i conti con la forza di gravità, la forza normale e con l’attrito. Come intuibile, la forza di gravità tende ad attrarre verso il basso i blocchi, ed è in fin dei conti la principale responsabile della vittoria di un giocatore e della sconfitta di tutti gli altri. La forza normale bilancia quella di gravità ed è sostanzialmente quella esercitata dal piano di appoggio per i blocchi alla base della torre, che a loro volta la esercitano sul piano seguente e così via (“normale” in questo caso è inteso come “ortogonale/verticale”).La forza di attrito è quella che si oppone al movimento dei blocchi di legno, relativamente alla superficie con cui sono a contatto. Le sue caratteristiche variano non solo a seconda delle altre forze, ma anche dal modo stesso in cui sono fatte le varie superfici a contatto.I blocchi di Jenga sono di legno, di conseguenza hanno caratteristiche che possono variare nel tempo, per esempio a causa dell’umidità o di come sono tagliati: alcuni hanno venature più rilevate di altri, altri hanno margini poco rifiniti o sono di dimensioni lievemente diverse. Ogni mossa legata a un blocco è in un certo senso unica e per questo i suoi esiti sono difficili da prevedere.Qualche tempo fa, il New York Times aveva analizzato alcune delle caratteristiche di Jenga, mettendo insieme qualche suggerimento per ottenere i migliori risultati.1. Rimuovi i blocchi che sono più vicini alla cimaRicordando che i blocchi possono essere rimossi solo al di sotto degli ultimi due piani in alto, in generale quelli comunque prossimi alla cima hanno meno peso sopra di loro, quindi sono più facili da rimuovere perché oppongono meno resistenza.2. Cerca i blocchi più sottili da rimuovereVisto che i blocchi di legno non sono tutti esattamente uguali, può accadere che il blocco centrale di un piano non sia completamente a contatto con gli altri blocchi e possa essere quindi sfilato molto più facilmente. È un trucco che usano spesso i giocatori più esperti, dopo avere sviluppato un certo occhio clinico per trovare i blocchi adatti.3. Pensa ai blocchi al centro di ogni piano e mira a quelli, prima che lo facciano gli altriLa torre deve buona parte della propria stabilità ai blocchi esterni di ogni piano, quelli centrali sono i più semplici da rimuovere senza conseguenze.4. Fai sempre attenzione al blocco sopra a quello che vuoi rimuovereAnche se il blocco che si vuole rimuovere sembra la scelta migliore, può accadere che la sua rimozione destabilizzi quello che ha subito sopra, specialmente se quest’ultimo è lievemente più grande e rimarrebbe quindi parzialmente in bilico. In molti casi la torre crolla proprio a causa di un blocco centrale che inizia a scivolare.5. Non picchiettare il blocco, fallo scorrere costantementeEssendoci di mezzo l’attrito, conviene applicare una forza uniforme nel momento in cui si sposta un blocco, proprio per evitare che con singoli strattoni ci si porti dietro altre parti della torre.6. Rimpiazza i blocchi coscienziosamenteSpesso dopo avere rimosso un blocco, la parte con più incognite, i giocatori mettono meno attenzione nel riposizionare il blocco nella parte superiore della torre. Se si rimuove un blocco laterale sulla sinistra, per esempio, di solito conviene piazzarlo in cima a destra (quindi dalla parte opposta) cercando di far trovare alla torre un nuovo equilibrio.7. Sposta lievemente i blocchi laterali verso l’esterno prima di rimuoverliSe si sta rimuovendo un blocco laterale, si può provare a farlo ruotare lievemente verso l’esterno, come se si stesse aprendo un libro. Il movimento può facilitare la sua successiva rimozione, riducendo almeno in parte l’attrito.Se siete in una situazione disperata, potete provare una mossa repentina. Che funzioni o fallisca, c’entrerà sempre la fisica. LEGGI TUTTO

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    Un raro avvistamento di uno squalo di plastica, forse

    Nell’estate del 2020 Giannis Papadakis notò un pesce alquanto particolare lungo un’area costiera della Grecia. Lo portò a riva, lo fotografò sugli scogli e inviò poi le immagini a un gruppo di ricercatori che lo studiarono e un paio di anni dopo pubblicarono una ricerca, annunciando un avvistamento nel Mediterraneo di uno squalo goblin (Mitsukurina owstoni), un pesce molto difficile da trovare in natura e che non era mai stato osservato prima in acque mediterranee. La scoperta aveva aperto un grande confronto tra gli esperti e a molti dubbi, fino al ritiro della ricerca perché forse quel pesce avvistato in Grecia non era uno squalo goblin, ma più banalmente un giocattolo di plastica.Il gruppo di ricerca aveva pubblicato lo studio nel maggio del 2022, citando tra la specie rare osservate nel Mediterraneo anche lo squalo goblin, che si distingue da altri squali per la forma della sua testa, con un rostro che ricorda un becco allungato e affusolato. È diffuso in buona parte del mondo, vive nelle profondità oceaniche e la maggior parte degli avvistamenti è stata storicamente effettuata al largo del Giappone, dove fu scoperto alla fine del diciannovesimo secolo.Dopo la pubblicazione della ricerca, vari esperti avevano iniziato a sollevare dubbi sulla scoperta nel Mediterraneo. C’erano diverse cose che non tornavano: era troppo piccolo rispetto agli esemplari che vengono osservati solitamente, le branchie avevano una strana forma e anche il colore lasciava qualche dubbio. L’esemplare ritrovato da Papadakis non era stato inoltre esaminato direttamente dagli autori della ricerca, che avevano basato le proprie osservazioni sulle fotografie.Nell’autunno dello scorso anno i dubbi erano diventati più concreti, con un articolo di commento firmato da un altro gruppo di ricerca. Era poi circolata una fotografia di uno squalo giocattolo venduto dalla casa editrice italiana DeAgostini che assomigliava molto a quello delle foto di Papadakis. Gli autori dello studio avevano ribadito di essere sicuri della scoperta, ammettendo comunque che l’esemplare era probabilmente di dimensioni inferiori rispetto a quelle inizialmente ipotizzate.Folks https://t.co/ViIsSoEn3t pic.twitter.com/N7fM0OooIP— Dr. David Shiffman (@WhySharksMatter) March 15, 2023Dopo ulteriori confronti e critiche, il 23 marzo scorso gli autori hanno infine convenuto che le foto fornite da Papadakis non erano sufficienti per una chiara identificazione dell’esemplare. Di conseguenza la scoperta segnalata nella loro ricerca è stata rimossa, pur non rendendo necessario il ritiro dell’intero studio che conteneva al suo interno la segnalazione di vari altri ritrovamenti nel Mediterraneo.La vicenda ha attirato qualche critica anche nei confronti di Mediterranean Marine Science, la rivista scientifica che a maggio del 2022 aveva pubblicato l’annuncio della scoperta. Lo studio aveva superato una revisione da parte di esperti indipendenti, a dimostrazione di come a volte i sistemi stessi di revisione possano portare a qualche errore (un problema noto da tempo e inevitabile, specialmente da quando si pubblicano moltissime ricerche negli ambiti più disparati).Quanto alle foto scattate da Papadakis, potremmo non sapere mai se ritraessero effettivamente un pesce o uno squalo di plastica venduto in edicola. LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts di sabato 25 marzo 2023

    Coccodrilli e alligatori sono tra gli animali difficili da distinguere. Un modo per farlo è guardare la forma del muso: quello degli alligatori è a forma di U, largo e corto, mentre quello dei coccodrilli è più lungo, a forma di V. Inoltre se un alligatore ha la bocca chiusa gli si vedono quasi solo i denti dell’arcata superiore, mentre nel caso del coccodrillo si vedono anche quelli inferiori, alternati agli altri. L’abbiamo presa larga per dire che tra le foto di animali migliori della settimana ce n’è una in cui ci sembra di vedere un alligatore, ma non ci giureremmo..single-post-new article figure.split-gal-el .photo-container .arrow::after{content:’LE ALTRE FOTO’} LEGGI TUTTO