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    Attenzione a lasciare l’aria calda mentre l’auto è in sosta: rischi fino a 444 euro di multa

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    Con l’arrivo della stagione invernale è più che normale ricorrere all’aria calda durante gli spostamenti in auto. Si tratta di un rimedio efficace per cercare di resistere al freddo, particolarmente intenso nell’abitacolo dei nostri veicoli, specie quando rimangono all’esterno per molto tempo. Attenzione, però, perché ci sono dei limiti previsti dal Codice della strada.Ancora una volta, si deve parlare delle implicazioni previste dal punto di vista ambientale. La normativa, infatti, tiene conto dei rischi dovuti all’inquinamento, ed ecco perché ha posto dei limiti. Se l’automobilista li rispetta, non sarà passibile di multa. Discorso diverso per chi, invece, non sottostà alle regole. Nel Codice della strada – art. 157, comma 7-bis – si legge:”È fatto divieto di tenere il motore acceso, durante la sosta del veicolo, allo scopo di mantenere in funzione l’impianto di condizionamento d’aria nel veicolo stesso; dalla violazione consegue la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 223 a € 444″.In sostanza, tenere il riscaldamento acceso con l’auto in sosta è espressamente vietato, e può portare a una sanzione. Non si faccia però confusione fra fermata e sosta. La prima è una sospensione della marcia che avviene per un breve periodo, mentre la sosta si protrae nel tempo. La sanzione può scattare solo in caso di sosta con aria calda ancora accesa. LEGGI TUTTO

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    “Italia e Libia come un ponte tra Europa e Africa, ma serve un sistema Paese per spingere le nostre Pmi”

    Presidente Colicchi, il figlio di Haftar è stato due giorni a Roma, lo ha invitato lei?Da tempo la Camera di Commercio Italo-Libica coltiva le relazioni con la Libia orientale come con quella occidentale. Abbiamo colto l’occasione di una sua visita nel nostro Paese.La Libia era un po’ uscita dai riflettori. È però importante tornare a parlare di questo Paese. Com’è la situazione lì?Da un punto di vista della stabilità politica è ancora in corso, purtroppo, una generica incertezza. Da un punto di vista della sicurezza fisica, invece, le dico questo: io giro a Tripoli con assoluta serenità, magari anche più di quanto non potrei fare quando mi trovo a Milano. L’instabilità, in sostanza, riguarda il contesto politico, che permane complesso e richiede comunque di muoversi con attenzione e con contatti fidati, ma non la “sicurezza fisica” immediata, come invece in una zona di guerra. Aggiungo che la Farnesina, finalmente, ha ammorbidito il famoso sconsiglio per cui si diceva, in passato, di non andare in Libia. Certo, per turismo ancora vige il “warning”, ma per business non è più apertamente sconsigliato visitare il Paese, ovviamente fatte salve le misure di mitigazione del rischio e in generale il buon senso.La Libia è sempre stata fondamentale per l’Italia fino al 2011, poi l’abbiamo persa. Adesso con il piano Mattei questa nazione è tornata centrale nella nostra agenda. Quali sono gli investimenti che ora sarebbero più adatti per il contesto libico?Secondo noi la Libia, trattandosi di un Paese con grandi risorse, non richiede da parte italiana grandi investimenti di carattere finanziario. Richiede, semmai, grandissimi investimenti per facilitare l’apertura dei mercati nonché l’ingresso delle nostre PMI in loco. Il vero tesoro del nostro Paese, quello cioè che possiamo esportare all’estero, coincide infatti con la genialità dei nostri piccoli e medi imprenditori, dai quali sostanzialmente dipende l’economia italiana. E la Libia è un territorio eccezionale per la loro penetrazione. Il settore privato libico, relativamente giovane ed estremamente dinamico, merita di trovare controparti pronte a farlo crescere con capacità, tecnologie, investimenti in capitale umano, con una logica win-win.Non è vero che abbiamo perso la Libia, siamo primi partner economici con oltre 9 miliardi di euro di interscambio (il doppio che con la Tunisia o con il Brasile o con l’India), primi importatori e terzi esportatori (dopo Turchia e Cina). Vero è che molto di questo commercio riguarda idrocarburi e prodotti raffinati, ma macchinari ed agroalimentare stanno proporzionalmente aumentando come componenti del nostro export. L’Italia è la più rappresentata tra i Paesi europei ed occidentali alle numerose manifestazioni fieristiche sia a Tripoli che a Bengasi, e nessun altro Paese ad oggi ha realizzato un Business Forum con oltre 100 aziende italiane in presenza come noi.Per quale motivo?La Libia è un Paese ricco, dove c’è molta ricchezza circolante. C’è un grande desiderio dei libici di fare impresa. Le porto un dato: ci sono 250mila imprenditori su 6-7 milioni di abitanti, e i primi sono alla ricerca di partner, tecnologie e competenze. Ricordiamoci che fino al 2011 in Libia esistevano pochissimi veri imprenditori, perché tutto era dominato dal settore pubblico. Oggi le cose cominciano a cambiare. I libici adorano poi il brand italiano. Per dire che un prodotto è di alta qualità dicono che è “italiano”, e non lo dicono in arabo ma proprio usando il termine mutuato dalla nostra lingua. È un Paese, inoltre, che si trova ad un’ora e mezza di volo dall’Italia, dove tutti alla fine parlano inglese (gli anziani anche italiano) e visitato dai nostri imprenditori. Ci sono, insomma, tutte le condizioni ideali per un nostro “sbarco”, non tanto con le baionette, ma con la nostra capacità di intrattenere rapporti. Alla fine, il destino italiano e libico – geografico, geopolitico, geostrategico – è quello di stare assieme. Il 40% del traffico mondiale di merci passa a cento miglia da ognuna delle nostre coste, e nessuno di noi riesce ad intercettarlo. In Libia, tra l’altro, c’è un grandissimo commercio con il centro Africa, e dovremmo inserirci in questo meccanismo. Dovremmo far valere un concetto del genere: “Italia e Libia come ponte tra Europa e Africa”. Ecco: a noi manca il sistema Paese. Noi abbiamo apprezzato tantissimo la missione organizzata con (e non per) la presidente del Consiglio il 29 ottobre scorso perché – a mia memoria – è stata la prima volta che ho visto un Presidente del Consiglio non andare in un Paese straniero portandosi dietro le imprese come comparse. Al contrario, in quell’occasione ho visto un presidente che è venuto in Libia a sostenere, a spingere le piccole e medie imprese. È una cosa che ha colpito tutti. È un buon inizio.Però?Non riusciamo ad avere un sistema Paese, per cui dovremmo spingere tutti insieme come fanno gli altri Stati. Ambasciata, Ice e Consolato a Tripoli (e Bengasi) fanno sforzi encomiabili, ma non basta. L’Italia si autovincola con tante piccole problematiche burocratiche, in cui non si capisce chi è competente per fare cosa. Noi vorremmo invece una vera cabina di regia dove tutti i protagonisti che possono provare a mettere insieme ciò che serve per facilitare la libertà e la sicurezza delle nostre imprese in Libia, possano creare questi presupposti. Abbiamo firmato un protocollo – che se ci lavoriamo bene potrebbe essere determinante – con il ministero del Governo Locale, che in Libia è il ministero che si occupa anche delle piccole e medie imprese, in cui ci proponiamo di facilitare problemi di dogana, bancari, burocratici.I libici sono corretti. Non ho mai visto un’impresa libica che non ha pagato una italiana. Il problema è che spesso ci sono difficoltà perché la banca è fuori dal sistema internazionale, bisogna triangolare con la Tunisia o con la Turchia, le lettere di credito sono complicate perché ci sono problemi… Se riuscissimo a sciogliere questi nodi potremmo dare sfogo alle potenzialità del sistema delle nostre PMI, inserendole in un contesto ricco e ben accogliente.Può spiegare meglio perché Italia e Libia sono unite, come lei usa dire, da un unico destino? LEGGI TUTTO

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    Apprendistato, dimissioni e smart working: approvato il ddl Lavoro. Tutte le novità

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    Il disegno di legge (DdL) Lavoro, collegato alla manovra di bilancio dello scorso anno, ha finalmente tagliato il traguardo con l’approvazione definitiva da parte del Senato. Con 81 voti favorevoli, 47 contrari e un’astensione, il provvedimento introduce importanti novità nel panorama lavorativo italiano. Analizziamo le principali disposizioni.Contratto Misto di Lavoro: FunzionamentoIl contratto misto consente all’azienda di assumere un lavoratore con un rapporto che combina lavoro autonomo a partita Iva e lavoro dipendente. Questo modello offre vantaggi fiscali, poiché il lavoratore potrà accedere al regime forfettario, pagando solo il 15% di tasse. Anche l’azienda beneficerà di minori costi.Versioni del ContrattoProfessionisti iscritti in albi e i datori di lavoro con oltre 250 dipendenti: Possono accedere al regime forfettario se assunti con un contratto part-time indeterminato (40-50% del tempo pieno).Professionisti non iscritti: Possono accedere al regime forfettario con un contratto di lavoro dipendente, seguendo specifiche modalità stabilite in un accordo aziendale.Nuove Regole per le Dimissioni di FattoDopo 15 giorni di assenze ingiustificate, il rapporto di lavoro sarà considerato risolto per volontà del lavoratore, senza applicare la disciplina delle dimissioni online. Questa norma mira a frenare l’accesso alla Naspi, che è possibile solo per chi ha perso involontariamente il lavoro. Di fatto le assenze ingiustificate sono equiparate alle dimissioni volontarie.Cambiamenti nei Contratti a Termine StagionaliLe riassunzioni a termine entro 10/20 giorni non saranno trasformate automaticamente in contratti a tempo indeterminato. La definizione di “stagionalità” viene ampliata, includendo attività legate a intensificazioni lavorative in determinati periodi dell’anno.Periodo di ProvaPer i contratti a termine, il periodo di prova sarà di 1 giorno per ogni 15 giorni di calendario, con un minimo di 2 e un massimo di 15 giorni per contratti fino a sei mesi, e 30 giorni per contratti superiori a sei mesi.Maggiore Tutela per i Liberi ProfessionistiLe libere professioniste godranno di una sospensione degli adempimenti verso la pubblica amministrazione dall’ottavo mese di gravidanza fino a un mese dopo il parto. Inoltre, i termini di sospensione si applicheranno anche in caso di ricovero ospedaliero del figlio.Cassa Integrazione e LavoroSi amplia la compatibilità della cassa integrazione con attività lavorativa. I lavoratori che svolgono attività durante il periodo di integrazione salariale non perderanno il diritto all’indennità, ma questa sarà ridotta in proporzione ai guadagni.Comunicazioni per lo Smart WorkingI datori di lavoro dovranno comunicare telematicamente al Ministero del lavoro i dettagli dei lavoratori in smart working entro cinque giorni dall’inizio del periodo di lavoro agile.Spinta all’ApprendistatoL’apprendistato potrà essere trasformato in apprendistato professionalizzante o di alta formazione, previa revisione del piano di formazione.Rateizzazione dei Debiti ContributiviA partire dal 1° gennaio 2025, sarà possibile rateizzare i debiti per contributi e premi dovuti all’Inps e all’Inail in un massimo di 60 rate mensili, con modalità da definire tramite decreto ministeriale.Compravendite immobiliariNon sarà più obbligatorio indicare nell’atto di acquisto di una casa o di un altro immobile, il compenso percepito dall’agente immobiliare. Le parti coinvolte nella compravendita potranno scegliere di riportare solamente gli estremi delle fatture. “Cade una norma che non solo era fortemente anacronistica – commenta Santino Taverna Presidente Nazionale di Fimaa-Confcommercio – ma che finiva anche con il limitare la libertà contrattuale delle parti”. L’obbligo era stato introdotto con il decreto legge Bersani-Visco del 2006.Il commento LEGGI TUTTO

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    I fornitori, la transizione, i fondi. Così si gioca il futuro dell’automotive europea

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    «Ritrovare la strada. Insieme per per affrontare la transizione». Una strada da ritrovare il più velocemente possibile e, ovviamente, italiana con la sua filiera dei fornitori: il gioco c’è il futuro dall’industria automotive europea. All’assemblea annuale pubblica di Anfia svoltasi a Roma, il filo conduttore di tutto il dibattito, al quale è intervenuto il ministro Adolfo Urso, ha riguardato proprio la necessità di una svolta immediata a partire dalla revisione delle sanzioni capestro a carico dei costruttori previste dal 2025. Chi non rientrerà nella media di emissioni CO2, abbassate a 94 grammi/km, sarà tassato. L’ammontare complessivo della stangata a carico dei produttori è tra i 15 e i 17 miliardi. Il limite imposto può essere raggiunto solo aumentando la vendita di vetture elettriche, che però non incontrano i favori del mercato, a scapito di quelle con alimentazione endotermica.Il presidente di Anfia, Roberto Vavassori, portando come esempio quello che sta accadendo in casa Volkswagen, in Germania, con la minaccia di chiusura di tre impianti e migliaia di licenziamenti, ha detto che «per ogni 15mila lavoratori mandati a casa, ne corrispondono almeno 45mila che perdono il posto nelle aziende della componentistica. E tra queste ci sono anche quelle italiane che, da sempre, lavorano il settore tedesco». Una drammatica ricaduta, dunque, a macchia di leopardo vista la centralità di quel mercato.La sintesi dei lavori e che occorre lavorare da subito su due piani ben distinti e tra loro interdipendenti: quello europeo e quello più specificamente nazionale. Sul versante europeo e stato ribadito il pieno supporto al “non-paper” predisposto dai governo italiano, attraverso il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Urso, e di quello ceco per ridisegnare in maniera efficace e credibile il percorso di transizione che porterà alla decarbonizzazione dei vettori energetici per i veicoli al 2035. Per l’Italia, sono state invece individuate alcune misure da implementare in maniera immediata a favore delle aziende della filiera, in particolare circa la riduzione del costo dell’energia per le imprese, un credito d’imposta per la ricerca e l’innovazione e misure specifiche di sostegno al settore dei veicoli commerciali leggeri.Ecco, poi, la richiesta di Anfia, indirizzata al governo, di prevedere ammortizzatori sociali straordinari per i prossimi 3 anni, perché, con la scadenza di quelli attuali, sono molte le aziende che rischiano di non aver alternative ai licenziamenti. Tutto questo nella cornice delle raccomandazioni del Rapporto Draghi, con particolare riferimento ai capitoli automotive e trasporti.«Scelte sbagliate o intempestive o, ancor peggio, il rifiuto ideologico di ammettere che decisioni prese nel 2018 non stanno oggi conseguendo i risultati attesi – così il presidente Vavassori – condannerebbero l’intero settore automotive europeo all’estinzione: vittima a livello mondiale con l’impossibilita di esportazione, e a livello continentale con l’arrembante crescita dell’industria veicolistica cinese. Per quanto riguarda il nostro Paese, la situazione è ancora più complessa: vede, infatti, la presenza di un unico costruttore di volume (Stellantis) che deve riappassionarsi in maniera razionale al nostro Paese, alla filiera dei suoi componentisti, ai suoi stabilimenti e mirare alla conquista di oltre 1 milione di consumatori che oggi scelgono vetture non prodotte in Italia». LEGGI TUTTO

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    Multe stradali, non ci saranno aumenti nel 2025

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    I punti chiave

    Buone notizie, le multe non aumenteranno. Grazie a una norma inserita nel decreto Milleproroghe (articolo 14, comma 3), è stato deciso che “in considerazione dell’eccezionale situazione economica è sospeso l’aggiornamento biennale delle sanzioni amministrative pecuniarie in misura pari all’intera variazione, accertata dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati”. Questa scelta congela gli importi, evitando di aggravare il peso economico sulle famiglie già colpite da difficoltà finanziarie. Ecco tutto ciò che c’è da sapere.Il chiarimentoCome anticipato, le multe stradali non aumenteranno nel 2025 grazie al decreto Milleproroghe, che posticipa gli adeguamenti al 2026. Tuttavia, Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, chiede ulteriori passi avanti: “Bene, ottima notizia, ma non basta! Accolta la nostra richiesta, ma solo in parte. Il rincaro delle multe non si deve sospendere ma annullare”. Dona avverte anche del rischio di aumenti cumulativi: “Perlomeno si specifichi che nel 2026 scatterà solo l’aggiornamento biennale relativo al 2024 e al 2025, azzerando tutti i precedenti adeguamenti sospesi e facendo ripartire un nuovo conteggio, altrimenti rischiamo di ritrovarci in un colpo solo il rialzo di 5 anni, visto che la Legge 29 dicembre 2022, n. 197 aveva già sospeso il biennio precedente”. Secondo le stime, l’incremento potrebbe essere significativo: “Sarebbe una stangata. Un rincaro che, considerando il nuovo indice Foi di ottobre 2024, oggi sarebbe già pari al 17,7%. Vorrebbe dire, ad esempio, che per il divieto di sosta si passerebbe da 42 a 49 euro”, specifica Dona.L’aumento non si è verificatoA novembre si parlava della teoria sollevata da Assoutenti la quale riguardava l’aumento delle multe previsto a partire dal prossimo anno, che potrebbe trasformarsi in un ulteriore peso per gli automobilisti italiani. A questo proposito l’articolo 195 stabilisce che l’importo delle sanzioni amministrative pecuniarie venga aggiornato ogni due anni, in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, come determinato dall’Istat. In pratica, se l’inflazione cresce, le multe aumentano di conseguenza. Ogni biennio, entro il 1° dicembre, il Ministro della Giustizia, insieme ai Ministri dell’Economia, delle Infrastrutture e dei Trasporti, deve stabilire i nuovi limiti delle sanzioni, che entrano in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo. Se l’inflazione registra un incremento elevato, ciò si tradurrà in un aumento significativo delle multe, aggravando ulteriormente la situazione economica degli automobilisti italiani. In questo caso, però, non si è verificato quanto previsto dall’associazione. LEGGI TUTTO

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    Bonus colonnine, in arrivo i rimborsi

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    Il ministero delle Imprese ha pubblicato un decreto dirigenziale per la concessione degli incentivi all’installazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici. In particolare, sono stati riconosciuti 11.485 contributi per i quali sono state relative al periodo 1 gennaio – 22 novembre di quest’anno. Le domande 2024 potevano essere presentate dall’8 luglio al 22 novembre.Che cos’è il bonus colonnineIl bonus colonnine domestiche è un contributo pari all’80% del prezzo di acquisto e posa delle infrastrutture per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica (come ad esempio, colonnine o wall box).Il limite massimo del contributo è di 1.500 euro per gli utenti privati e fino a 8.000 euro in caso di installazione sulle parti comuni degli edifici condominiali. Lo stanziamento previsto per l’anno in corso è di 20 milioni di euro, la metà di quanto previsto nel 2022 e nel 2023. A inizio 2024, occorre ricordarlo, è stata effettuata una riapertura dei termini per la richiesta di contributi relativi all’anno scorso.I controlli a campione di InvitaliaInvitalia, si legge nel provvedimento, è il soggetto gestore della misura, procede allo svolgimento di controlli a campione sulle richieste di contributo, disposti dal Ministero delle Imprese, per verificare la veridicità delle dichiarazioni e della documentazione presentate dai soggetti richiedenti. A tal fine, Invitalia può effettuare accertamenti d’ufficio, verifiche e ispezioni in loco, delle qualità e dei fatti riguardanti le dichiarazioni e documentazione. I soggetti beneficiari del contributo, sono tenuti a consentire lo svolgimento di tutti i controlli, ispezioni e monitoraggi disposti dal ministero o da Invitalia, sulle richieste di contributo per verificare la veridicità delle dichiarazioni e della documentazione presentate dai soggetti coinvolti nel procedimento amministrativo. LEGGI TUTTO

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    I dati di Ucimu: ecco come il green deal Ue frena il Pil italiano

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    Il 2024 delle macchine utensili si chiude in negativo: la produzione si è attestata a 6,75 miliardi, in calo dell’11,4% sul 2023. Il dato è stato fornito stamane a Milano da Riccardo Rosa, presidente di Ucimu, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, nella conferenza stampa di fine anno. Di buono c’è che per il 2025 si prevede una ripresa, con la produzione a quota 6,94 miliardi (+2,9%). Segnale fondamentale. Ma prima serve una premessa.I dati dell’Ucimu sono importanti perché rappresentano una sorta di indice sull’andamento degli investimenti dell’industria (manufattuirera) italiana. Investimenti che, come si è visto dagli ultimi dati Istat, sono la componente debole della domanda interna, quella che ha contribuito assai a una crescita del Pil 2024 (0,5%) inferiore alle previsioni del governo (che puntava all’1%). In particolare, gli investimenti sono cresciuti dello 0,4% contro il + 8,7% del 2023 (ancorché drogato dall’edilizia trainata dagli ecobonus). Ebbene, i produttori di macchine utensili “vendono” gli investimenti: l’industria che investe compra, per l’appunto, le macchine che servono per produrre. Di qui la forte correlazione qualitativa tra Pil e i dati di Ucimu. E quello che oggi si vede in trasparenza è un forte segnale per il futuro prossimo: la ripresa della produzione è conseguenza dell’inversione di tendenza sugli ordini, il cui indice trimestrale, in ottobre, è tornato positivo dopo sei rilevazioni consecutive di calo. E l’indice ordine dell’Ucimu è un vero e proprio indice sul futuro del Pil: chi ordina una macchina oggi programma un investimento per domani. Il tempo di produzione di una macchina utensile è di 6-8 mesi. Per questo l’andamento positivo del fatturato 2025 si può vedere già oggi con la ripresa dell’indice ordini. Ma c’è ancora di più, ed un segnale incoraggiante per il governo, alle prese con una crescita da risollevare.Tra i motivi del calo degli investimenti c’è infatti lo scarso contributo delle agevolazioni derivanti da Transizione 5.0, lo strumento introdotto con la manovra 2024, che però non è ancora andato a regime. Questo – nel mondo dei produttori di macchine e robot – è stato vissuto come un freno rispetto agli ordini, rinviati in attesa di meccanismi premianti. E la Transizione 5.0 lo è: vale 6,3 miliardi di crediti d’imposta. Ma – come garantiscono al Ministero delle Imprese, sarà il 2025 l’anno in cui il complesso strumento comincerà a funzionare. Facendo da volano a nuovi ordini che dunque potrebbero battere anche le stime fatte oggi. “Transizione 5.0 è sicuramente una grande opportunità perché spinge le aziende a ragionare su un nuovo e necessario approccio di corretto uso delle risorse – ha detto Rosa – risparmio energetico e produzione sostenibile come richiesto dalle direttive europee. Le imprese credono nella potenzialità di questo strumento ma occorre che i correttivi arrivino al più presto”.Tornando ai dati forniti oggi, il calo è stato determinato esclusivamente dalla forte contrazione delle consegne dei costruttori sul mercato interno il cui valore si è fermato a 2.255 milioni, pari al 33,5% in meno del 2023. Un crollo a cui non è estranea la transizione dell’automotive, forzata dalle regole Ue. “A proposito di green deal – ha aggiunto Rosa – non possiamo che rilevare che la posizione dell’Unione che intende procedere con il piano di transizione elettrica del motore endotermico con i tempi e le modalità attualmente stabilite, sta mettendo a dura prova il manifatturiero del vecchio continente. Con la chiusura di alcune fabbriche automotive e la fuoriuscita di migliaia di lavoratori anche dell’indotto, si rischia di innescare un effetto domino che porterebbe un grave problema sociale per la gran parte dei paesi dell’area, a partire dall’Italia”. LEGGI TUTTO

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    Prove di pace tra governo e Stellantis

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    Schiarite e primi segnali di pace tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e Stellantis dopo l’uscita di scena dell’ad Carlos Tavares, anche se permangono molti aspetti da chiarire, in attesa dell’imminente presentazione del nuovo (ennesimo) piano sulle intenzioni di Stellantis in Italia. La nota positiva riguarda l’indotto con il ritiro dei 249 licenziamenti e il rinnovo del contratto di fornitura per altri 12 mesi. Questi i punti cardine dell’accordo tra Stellantis e Trasnova dopo l’incontro al ministero delle Imprese e del Made in Italy, presenti i sindacati e le istituzioni locali.Sempre Stellantis ha annunciato l’intesa con il colosso cinese Catl per la realizzazione a Saragozza, in Spagna, di una gigafactory per produrre batterie al litio ferro fosfato. L’accordo, che prevede un investimento di 4,1 miliardi, «integra – così una nota – il progetto della gigafactory di Acc, che Stellantis ha co-fondato e sostiene fin dal suo inizio nel 2020». Il piano con Acc prevede anche una struttura analoga a Termoli, in Italia, per un investimento di oltre 2 miliardi (1.800 i posti messi in conto al 2030) e ha visto il governo ritirare il proprio sostegno economico dopo che il progetto è finito nel congelatore, insieme a quello «gemello» in Germania. Ci ha pensato la stessa Stellantis a cercare di placare i malumori (in passato si era parlato di Spagna alternativa all’Italia), affermando che «la joint venture Acc con Mercedes-Benz e TotalEnergies confermerà i progetti per le gigactory entro il primo semestre 2025, essendo la stessa Acc ora concentrata sulla struttura francese di Douvrin».Intanto, in vista dell’incontro che il 17 dicembre vedrà Stellantis presentare al governo il «Piano Italia», il vicepremier Antonio Tajani ha fatto sapere che «saranno reperiti fondi per circa 1 miliardo al fine di sostenere l’industria dell’auto». Affermazione che arriva alla vigilia dell’assemblea di Anfia, l’Associazione della filiera italiana automotive. Un importante segnale di attenzione verso le problematiche di un settore che si è visto tagliare finanziamenti per 4,6 miliardi. Da parte sua, il ministro Urso ricorda le richieste a Stellantis: «Un piano assertivo affinché si raggiunga l’obiettivo di una capacità produttiva di almeno 1 milione di veicoli entro il 2030; che ci sia un gruppo tecnico di monitoraggio con le imprese della componentistica che verifichi che il piano sia effettivamente rispettato, anno dopo anno». Gli ultimi dati Anfia sulla produzione in Italia sono allarmanti: l’indice generale è in caduta anche a ottobre (-32,4%) e per le sole auto il calo è del 67,8% rispetto a un anno fa.Sul ritiro dei 249 licenziamenti nell’indotto Stellantis, Urso ha lanciato messaggi di distensione: «L’intesa raggiunta – le sue parole – segna l’inizio di un nuovo e fattivo percorso anche con Stellantis». Questo accordo nasce «nel solco del senso di responsabilità di Stellantis», rivendica il gruppo che nei giorni scorsi «aveva dato la propria disponibilità a supportare Trasnova per risolvere la situazione». LEGGI TUTTO