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    Pensioni di maggio più “leggere”, ecco perché: il calendario dei pagamenti

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    Nelle scorse ore l’Inps ha messo a disposizione dei contribuenti il cedolino relativo alle pensioni di maggio. Una volta effettuato il login tramite Spid, Cie o Cns nell’area personale MyInps, i pensionati potranno quindi prendere visione del dettaglio delle voci che compongono l’assegno spettante il prossimo mese: bisogna tener sempicemente conto del fatto che, essendo il 1° maggio un festivo, il pagamento slitterà di un giorno rispetto al tradizionale calendario.Ma per quale motivo, come qualcuno ha già avuto modo di verificare, l’importo in questa circostanza è più “leggero”? In realtà a maggio c’è semplicemente la conferma di un taglio già applicato per alcuni pensionati a partire dal mese scorso, per cui non dovrebbero essere rilevabili eccessive differenze. E questo in sostanza perché da aprile l’Istituto nazionale di previdenza sociale ha dato avvio all’applicazione di una delle novità inserite in legge di Bilancio che vanno a influire anche sulle pensioni: si fa riferimento più precisamente all’aggiornamento delle detrazioni d’iposta, più nello specifico quelle relative ai carichi familiari. A parità di lordo, quindi, diminuisce il netto percepito.Come detto, con la Finanziaria l’esecutivo ha apportato modifiche circa le detrazioni per carichi di famiglia, e queste hanno avuto conseguenze dirette anche sulle pensioni, una su tutte l’addio alla detrazione per figli over 30. Nello specifico la detrazione è riconosciuta perfigli a carico di età compresa tra 21 e 30 anni non compiuti e oltre i 30 anni ma solo in caso di disabilità accertata, nei limiti di reddito previsti;altri familiari ma solo se conviventi e ascendenti del sostituto, pertanto i genitori, detrazione “suddivisa pro quota tra gli aventi diritto, nel rispetto delle previste soglie reddituali”.Adeguando le norme, l’Inps ha quindi ricalcolato la tassazione applicata sull’assegno mensile pensionistico e determinato un conguaglio a debito per le prime tre mensilità del 2025, recuperandolo ad aprile. Nessun conguaglio a maggio, ma resta confermato l’addio a queste detrazioni: in sostanza sono state azzerate quelle per figli a carico over 30 non disabili e quelle per altri familiari a carico ad eccezione degli ascendenti conviventi (non sono più inclusi quindi fratelli e sorelle, suoceri, generi, nuore né coniugi legalmente separati). LEGGI TUTTO

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    L’Ue avverte l’Italia sul caso Unicredit-Bpm: “Uso Golden power sia proporzionato”

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    L’uso del golden power da parte degli Stati membri deve essere “proporzionato”. Il richiamo è arrivato stamattina dal portavoce della Commissione Europea Thomas Regnier, che durante il briefing con la stampa a Bruxelles è stato incalzato in merito alle condizioni poste dal governo italiano all’Ops annunciata da Unicredit su Banco Bpm. Il portavoce ha premesso che “la Commissione non commenta mai casi singoli”, ma poi, a domanda puntuale ha aggiunto che “da una prospettiva di sicurezza e ordine pubblico, gli Stati membri hanno la responsabilità di attuare restrizioni alle libertà dei mercati attraverso le loro leggi nazionali. E’ molto importante per noi che queste restrizioni alle libertà fondamentali siano consentite solo se sono proporzionate”.La Dg Fisma della Commissione Europea ha già scritto una lettera al governo italiano, di cui ha dato conto per primo il quotidiano Libero, chiedendo informazioni sulle intenzioni di usare il golden power per porre paletti ad un’acquisizione di una banca italiana da parte di un’altra banca italiana. Sulla questione è aperto un “pilot” alla Commissione, ovvero un meccanismo informale utilizzato per indagare , in via preliminare, su eventuali violazioni del diritto Ue. “Stiamo interagendo con le autorità italiane – ha confermato Regnier – in modo strutturato per ricevere informazioni aggiuntive” sull’uso del golden power per limitare l’Ops di Unicredit su Banco Bpm. LEGGI TUTTO

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    La multa Ue alle Big Tech e i nuovi scenari globali. Cosa potrebbe accadere

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    Già da un po’ di tempo è chiaro che l’era del potere assoluto delle Big Tech sia finito. Ma con la multa storica che l’Unione Europea ha inflitto a due giganti della tecnologia come Apple e Meta, lo scontro ora rischia di passare oltre, visto i rapporti difficili attuali tra il Vecchio Continente e gli Usa di Trump. L’accusa di violazione del Digital Markets Act, la normativa entrata in vigore nel 2022 con l’obiettivo di rafforzare la concorrenza nel mercato digitale e limitare il potere delle cosiddette “gatekeeper” del settore tech, è sfociata in una pesante multa per le due aziende: 500 milioni di euro per Apple e 200 per Meta. E al di là della cifra, che per imprese che fatturano centinaia di miliardi ogni anno sono quasi un buffetto, è quanto rappresenta questa sentenza che ora apre scenari nuovi nel mondo economico mondiale. Proprio mentre infuria la tempesta dei dazi.Le decisioni, annunciate mercoledì dalla Commissione Europea, rappresentano un primo, deciso passo nell’applicazione del DMA, considerato uno dei più ambiziosi tentativi a livello globale di regolamentare l’attività delle grandi piattaforme digitali. La normativa mira a impedire che le aziende dominanti possano imporre unilateralmente regole e condizioni agli utenti e alle imprese, ostacolando la libera concorrenza. Secondo Bruxelles, Apple ha infranto le regole limitando le possibilità per gli sviluppatori di app di comunicare liberamente con i propri utenti in merito a promozioni, sconti e offerte alternative rispetto a quelle disponibili sull’App Store. Questa pratica ha impedito ai consumatori di essere informati su opzioni potenzialmente più economiche e ha rafforzato il controllo di Apple sulle transazioni digitali effettuate attraverso le sue piattaforme. Meta, da parte sua, è stata sanzionata per l’introduzione di un modello “consenti o paga”, che obbliga gli utenti a scegliere se accettare l’utilizzo dei propri dati personali per la personalizzazione della pubblicità, oppure pagare un abbonamento per utilizzare versioni prive di inserzioni di Facebook e Instagram. Tale sistema, secondo la Commissione, viola i principi di equità e trasparenza previsti dal DMA, imponendo agli utenti una scelta forzata e potenzialmente discriminatoria.Come detto le sanzioni arrivano in un momento di tensione crescente tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti in tema di commercio, dazi e regolamentazione del digitale. Eppure la decisione della Commissione evidenzia una convergenza di vedute tra gli enti antitrust delle due sponde dell’Atlantico sulla necessità di arginare il potere delle big tech. Negli Stati Uniti, negli ultimi mesi, anche Google ha subito importanti sconfitte giudiziarie per abuso di posizione dominante nei settori della ricerca online e della pubblicità digitale, mentre Meta è attualmente sotto processo a Washington per presunte pratiche anticoncorrenziali legate alle sue acquisizioni strategiche. Anche Apple e Amazon, inoltre, sono attualmente oggetto di procedimenti da parte delle autorità americane. Resta, però, il problema politico. Apple, al momento, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali, mentre Meta ha annunciato l’intenzione di impugnare la decisione dell’UE. Joel Kaplan, responsabile degli affari globali dell’azienda di Mark Zuckerberg, ha duramente criticato la Commissione, accusandola di voler “penalizzare il successo delle aziende americane” e di adottare standard diversi per le imprese europee e cinesi. “Non si tratta solo di una multa – ha dichiarato Kaplan -. La Commissione ci impone un cambio di modello di business che equivale, di fatto, a un dazio di miliardi di dollari su Meta, costringendoci a offrire un servizio inferiore”. E qui sta il punto. LEGGI TUTTO

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    Meno pensioni, spesa sotto controllo

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    Prosegue il calo delle pensioni anticipate, segnale chiaro dell’efficacia delle misure adottate per frenare la spesa. Secondo l’ultimo monitoraggio Inps sui flussi di pensionamento, nel primo trimestre 2025 le pensioni anticipate sono state 54.094, in calo del 23,1% rispetto allo stesso periodo del 2024 (quando erano 70.334).Tra i dipendenti del settore privato le uscite anticipate si sono fermate a 26.683 (-19,43), mentre tra i dipendenti pubblici si è registrato un crollo ancora più netto: 8.014 nuove pensioni, in calo del 33,9%.Il rallentamento delle uscite non è un incidente, ma una strategia. Nei primi tre mesi del 2025 l’Inps ha liquidato 194.582 nuove pensioni, in calo rispetto agli anni scorsi. È il risultato di un’impostazione prudente che mira a contenere una spesa previdenziale che, secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato, potrebbe impennarsi fino al 17% del Pil entro il 2040, se non si interviene ora.Il governo ha scelto di non ampliare le maglie dei prepensionamenti, confermando anche nel 2025 le regole più rigide già introdotte lo scorso anno. Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale sono state sì prorogate, ma in versione limitata. In tutto, potranno accedere alla flessibilità appena 25.000 lavoratori, un numero che consente di governare con cautela la pressione sulla finanza pubblica.Gli assegni medi restano in leggera crescita: 1.237 euro al mese nel primo trimestre contro i 1.229 euro del 2024. L’aumento riguarda in particolare gli uomini, che percepiscono mediamente 1.486 euro, mentre per le donne si scende a 1.011 euro. Il divario riflette le differenze contributive e retributive pregresse, non un difetto del sistema. Vale la pena ricordare che gli assegni più bassi sono integralmente protetti dall’inflazione grazie alla perequazione, un meccanismo che restituisce potere d’acquisto pieno a chi ha redditi più contenuti.Tra le varie gestioni previdenziali si confermano le differenze storiche: i dipendenti pubblici registrano assegni medi da 2.172 euro, i privati da 1.432, mentre per autonomi e parasubordinati la media scende a 879 euro e 320 euro rispettivamente. Ma anche qui si deve tener conto della diversa storia contributiva: chi ha avuto carriere più frammentate non può aspettarsi assegni elevati, e la sostenibilità del sistema richiede proprio di adeguare le prestazioni ai contributi versati.Con un sistema che resta tra i più generosi d’Europa — e ancora segnato da ampi segmenti retributivi, soprattutto per chi è andato in pensione prima della riforma — il contenimento attuale è non solo comprensibile, ma necessario. E il governo, in questo, sta facendo la cosa giusta.Il rallentamento delle uscite pensionistiche non è un incidente, ma una strategia. Nei primi tre mesi del 2025 l’Inps ha liquidato 194.582 nuove pensioni, in calo rispetto agli anni scorsi. È il risultato di un’impostazione prudente che mira a contenere una spesa previdenziale che, secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato, potrebbe impennarsi fino al 17% del Pil entro il 2040, se non si interviene ora.Il governo ha scelto di non ampliare le maglie dei prepensionamenti, confermando anche nel 2025 le regole più rigide già introdotte lo scorso anno. Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale sono state sì prorogate, ma in versione limitata. In tutto, potranno accedere alla flessibilità appena 25.000 lavoratori, un numero che consente di governare con cautela la pressione sulla finanza pubblica.Gli assegni medi restano in leggera crescita: 1.237 euro al mese nel primo trimestre contro i 1.229 euro del 2024. L’aumento riguarda in particolare gli uomini, che percepiscono mediamente 1.486 euro, mentre per le donne si scende a 1.011 euro. Il divario riflette le differenze contributive e retributive pregresse, non un difetto del sistema. Vale la pena ricordare che gli assegni più bassi sono integralmente protetti dall’inflazione grazie alla perequazione, un meccanismo che restituisce potere d’acquisto pieno a chi ha redditi più contenuti.Tra le varie gestioni previdenziali si confermano le differenze storiche: i dipendenti pubblici registrano assegni medi da 2.172 euro, i privati da 1.432, mentre per autonomi e parasubordinati la media scende a 879 euro e 320 euro rispettivamente. Ma anche qui si deve tener conto della diversa storia contributiva: chi ha avuto carriere più frammentate non può aspettarsi assegni elevati, e la sostenibilità del sistema richiede proprio di adeguare le prestazioni ai contributi versati. LEGGI TUTTO

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    Quanto costano i funerali di Papa Francesco (e chi li paga)

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    I punti chiave

    Sarà un evento di risonanza mondiale, nel cuore del Giubileo 2025: i funerali di Papa Francesco si terranno sabato 26 aprile in Piazza San Pietro, richiamando fedeli e leader da ogni angolo del pianeta. Nonostante la volontà espressa dal Pontefice di mantenere una cerimonia sobria e in linea con il suo stile pastorale. A coprire le spese principali sarà un benefattore anonimo, legato alla Curia romana, che ha scelto di sostenere l’intero apparato cerimoniale in segno di gratitudine verso il Papa. Il governo italiano, dal canto suo, si è attivato con urgenza per gestire gli aspetti logistici e di sicurezza, fondamentali per un appuntamento di tale portata.La cifra stanziata“Abbiamo adottato il provvedimento che consente al Capo dipartimento della Protezione Civile, Fabio Ciciliano, di occuparsi di mobilità, assistenza e accoglienza in questi giorni fino all’elezione del nuovo pontefice”, ha spiegato il ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, Nello Musumeci, al termine del Consiglio dei Ministri. “È già stato adottato un provvedimento per i primi 5 milioni di euro”, ha aggiunto, sottolineando che la figura di Ciciliano “corrisponde a quella di un commissario”.La gestione delle attività straordinarieIl compito di Ciciliano sarà quello di gestire in deroga le attività straordinarie necessarie all’accoglienza delle circa 200mila persone attese per le esequie, a cui parteciperanno oltre 170 delegazioni internazionali, tra cui Donald Trump e Ursula von der Leyen. “Non è nulla di nuovo, perché anche nelle precedenti analoghe esperienze ci si è comportati in questo modo”, ha precisato Musumeci, lasciando intendere che l’operazione ricalca i protocolli adottati per i funerali papali precedenti.Quanto costa il funeraleDal punto di vista economico, sebbene non ci sia ancora una stima ufficiale definitiva, si prevede che i costi complessivi per l’organizzazione e la sicurezza possano aggirarsi tra i 1,5 e i 3 milioni di euro. Una cifra comunque contenuta rispetto ai 5 milioni spesi per i funerali di Giovanni Paolo II nel 2005, ma superiore a quelli di Papa Benedetto XVI, che nel 2023 aveva scelto una cerimonia ancora più sobria, con un costo finale stimato tra i 600mila e il milione e mezzo di euro.Le principali voci di spesa riguardano l’allestimento di Piazza San Pietro, il potenziamento dei servizi di sicurezza, la comunicazione e la trasmissione dell’evento a livello globale, oltre agli aspetti liturgici e protocollari. Va inoltre considerato l’impatto economico indiretto sul Comune di Roma e sul Ministero dell’Interno, chiamati a gestire la viabilità, il personale di emergenza e la logistica urbana, in un contesto di straordinaria complessità. LEGGI TUTTO

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    Bonomi punta sulla salute. Acquisizione da 1,2 miliardi

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    Investindustrial, attraverso Healthco Investment, ha sottoscritto un accordo per acquisire Dcc Healthcare dal gruppo irlandese Dcc Plc, quotato nel Regno Unito (ieri ha ceduto il 4,5%) e attivo nei settori energia, sanità e tecnologia. L’operazione attribuisce alla società obiettivo un enterprise value complessivo di 1,05 miliardi di sterline (circa 1,23 miliardi di euro), su base cash-only e priva di indebitamento, inclusivo di un corrispettivo differito di 130 milioni di sterline da versare entro due anni. Il closing è tuttavia atteso per il terzo trimestre del 2025.Con questa acquisizione, Investindustrial mira a valorizzare le due divisioni principali di Dcc Healthcare: Hbi, Cdmo focalizzato su integratori alimentari innovativi e cosmetici, e Vital, produttore di dispositivi medici di alta qualità. Entrambe operano in mercati in espansione e si prestano a una strategia di crescita «sia organica sia tramite M&A», si legge nella nota, coerente con l’approccio buy-and-build del fondo.Nell’esercizio chiuso al 31 marzo 2024, Dcc Healthcare ha realizzato ricavi per 859,4 milioni di sterline e un utile operativo rettificato di 88,1 milioni di sterline, pari al 13% dell’utile operativo del gruppo Dcc. La decisione di cedere la divisione è maturata dopo una revisione strategica, annunciata nel novembre 2024, che ha portato Dcc a focalizzarsi sul core business dell’energia.Andrea C. Bonomi (in foto), presidente dell’advisory board di Investindustrial, ha sottolineato come Hbi e Vital siano «leader nei rispettivi settori» e dotate di «relazioni solide e durature con i clienti». L’operazione, ha aggiunto, permette di «proseguire un percorso di crescita internazionale» attraverso acquisizioni complementari. Anche Donald Murphy, Ceo di Dcc, ha espresso soddisfazione, affermando che Dcc Healthcare è «una realtà con posizioni di mercato consolidate» e che la transazione riflette un «impegno condiviso verso una crescita sostenibile». LEGGI TUTTO

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    Unicredit ora prende tempo. Ma non molla la presa su Bpm

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    Unicredit prende tempo sull’Offerta di scambio su Banco Bpm, ma non molla la presa. Dopo le prescrizioni del governo, l’istituto guidato da Andrea Orcel ieri ha divulgato un comunicato per dire che, al momento, «non è in grado di prendere alcuna decisione definitiva sulla strada da seguire in merito all’offerta» pubblica di scambio su Piazza Meda. Allo stesso tempo, però, Piazza Gae Aulenti ha ributtato la palla nel campo del governo dicendo di aver «risposto all’autorità esprimendo il proprio punto di vista sul decreto» e dunque «resta in attesa di un riscontro». Ai piani alti dell’istituto, come anticipato dal Giornale, si stanno già affilando le armi per fare ricorso al Tribunale amministrativo. I motivi si lasciano intendere tra le righe del comunciato: «L’uso dei poteri speciali in un’operazione domestica tra due banche italiane non è comune e non è chiaro perché sia stato invocato in relazione a questa specifica operazione, ma non per altre operazioni simili». Il riferimento, in tal senso, è al via libera senza condizioni alle Ops di Bper sulla Popolare di Sondrio e a quella di Mps su Mediobanca.Il secondo affondo, inoltre, riguarda il merito delle prescrizioni, in particolare a finire nel mirino è il mantenimento del rapporto tra prestiti e depositi (quello di Bpm sarebbe a quota 125 e quello di Unicredit a 94) e l’obbligo di non diminuire l’esposizione a titoli italiani per Anima Holding, società dei fondi che Bpm ha ormai acquisito tramite Opa. Altro scoglio da superare è l’obbligo di uscire dalla Russia, aspetto che acquisirebbe ben altro peso a seconda che si tratti di ridurre l’esposizione con adeguati accantonamenti e stoppare la raccolta di nuovi prestiti e depositi (come sta facendo Unicredit che ha detto di voler azzerare la sua esposizione entro settembre) oppure se significasse un addio totale entro 9 mesi, il che sarebbe più complesso in un mercato dove il Cremlino ha voce in capitolo su chi vende e chi compra.Per questi e per altri motivi, la banca sostiene che «le prescrizioni si prestino a diverse interpretazioni e appaiano non completamente allineate con la legislazione italiana e comunitaria, oltre che con le decisioni delle autorità regolamentari». Una affermazione, quest’ultima, che sembra confermare la possibilità di una battaglia legale. L’appiglio è che «le prescrizioni imposte a Unicredit, potrebbero danneggiare la sua piena libertà e capacità di adottare decisioni conformi ai principi di sana e prudente gestione in futuro» e addirittura portarla al rischio di incorrere in sanzioni. LEGGI TUTTO

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    Mediobanca, le curiose reticenze di Nagel sull’esposto alla Bce

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    Decisamente per Alberto Nagel (foto), amministratore delegato di Mediobanca da quasi 18 anni, non è un buon momento. Non bastava la scalata organizzata da Banca Mps contro l’istituto milanese con un dispiego di forze decisamente inusitato; non bastava il contestuale accerchiamento partecipato da mezzo sistema finanziario in funzione di una nuova governance alla guida delle Generali; ora il dominus di Piazzetta Cuccia si trova a dover dirimere una questione interna, di gran lunga meno importante ma in tema di immagine non meno insidiosa, che probabilmente aveva sottovalutato. La questione è il suo rapporto con il collegio sindacale, che di recente gli avrebbe contestato atteggiamenti omissivi non degni di chi è alla guida di una banca.Il fatto. Come si ricorderà, a cavallo tra marzo e aprile le pagine economiche dei quotidiani hanno dato notizia di un esposto incrociato tra Mediobanca e Generali inviato alle diverse Vigilanze (Consob, Ivass e Banca centrale europea) sull’ipotesi di un concerto tra gli azionisti Caltagirone e Delfin nelle partita che non riguarda solo il Leone, ma coinvolge a monte anche Mediobanca e l’istituto senese. Subito dopo la Bce avrebbe acceso un faro – su sollecitazione appunto di Mediobanca – sulle eventuali relazione tra Caltagirone e Delfin quali azionisti rilevanti di Mediobanca stessa, in considerazione del fatto che la holding degli eredi Del Vecchio ne possiede il 20% circa e l’imprenditore-editore capitolino il 9 per cento. Su quegli esposti si è strologato sia a destra sia a manca, non senza aver rilevato – il Giornale tra i primi – il concerto di fatto tra Mediobanca e Generali, visto che si sono mosse all’unisono sullo stesso argomento e nelle stesse ore. Difficile pensare che si tratti di pura coincidenza. Naturalmente di prove del concerto Caltagirone-Delfin suggerito dagli esposti nemmeno l’ombra. Tanto è vero che al momento nessuna delle tre vigilanze sollecitate ha mosso un dito per fermare alcunchè.La denuncia alla Bce da parte di Nagel avrebbe però suscitato l’interesse del collegio sindacale di Mediobanca. Che, come suo precipuo compito, avrebbe chiesto al banchiere di poter visionare i contenuti dell’esposto. Per motivi che si ignorano, sull’esibire il documento Nagel avrebbe tergiversato senza dare una spiegazione esauriente, creando in tal modo un certo imbarazzo al presidente del collegio.Allo stato non è dato sapere come stiano oggi le cose, anche perchè a precisa domanda del Giornale inviata al portavoce dell’istituto e finalizzata a chiarire l’episodio, a ieri sera non era giunta alcuna risposta, se non un laconico «no comment». LEGGI TUTTO