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    Sigarette, stop all’obbligo di accettare pagamenti col Pos: cosa hanno deciso i giudici

    La recente sentenza di un giudice di Pace di Genova è pronta a infliggere un duro colpo all’obbligatorietà del Pos, contro cui già in più di un’occasione il governo Meloni aveva cercato di intervenire con l’obiettivo di limitarne la portata: i tabaccai non devono essere costretti ad accettare pagamenti con carta di credito o debito nè per le sigarette né per altri beni sottoposti a monopolio di Stato.Il motivo alla base di tale sentenza è molto semplice, ed è da ricercare nel risicato margine di guadagno che hanno i rivenditori su tali prodotti: la commissione applicata al pagamento con Pos abbatte quasi integralmente la piccola somma, per cui il rifiuto ad accettare questa forma di transazione è per il giudice più che lecito.Il caso risale al 2024, quando un tabaccaio rifiutò di concedere la possibilità di pagare un pacchetto di sigarette con carta di credito a un cliente, il quale contattò la guardia di finanza. Il rivenditore fu colpito da un verbale di contestazione, e il tentativo di impugnarlo dinanzi al prefetto di Genova risultò vano. Deciso a non cedere, il tabaccaio si è quindi rivolto anche al giudice di Pace, che gli ha dato ragione: dopo la sentenza il verbale è stato annulato, così come la sanzione che l’esercente avrebbe dovuto versare per aver rifiutato di accettare il pagamento con Pos.Alla base della sentenza una legge risalente al 2010, poi modificata nel 2017, secondo cui è fatto divieto a un negoziante di incrementare il prezzo di un prodotto qualora l’acquirente voglia pagare con carta di credito o debito, ovvero tramite mezzi elettronici.”Il tabaccaio, autorizzato dal monopolio dello Stato, agisce nell’esclusivo interesse del beneficiario del pagamento, al quale riversa interamente il prezzo dei prodotti del Monopolio, avendo diritto unicamente a una percentuale”, spiega il giudice nella sentenza. LEGGI TUTTO

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    La sicurezza economica

    C’è un punto, nella dialettica ormai strutturale tra Roma e Bruxelles, che dovrebbe restare fuori da ogni negoziato: la sicurezza nazionale. Non solo quella militare, che ci viene spontaneo associare a radar, confini e difesa armata. Ma quella economica, altrettanto decisiva, e forse ancor più insidiosa, proprio perché spesso silenziosa e dissimulata dietro operazioni di mercato apparentemente «ordinarie». Ieri il ministro Giancarlo Giorgetti lo ha nuovamente ribadito con fermezza, rispondendo alla Direzione generale della Concorrenza europea, che si è detta infastidita dall’attivazione del Golden Power da parte del governo italiano sul tentativo di scalata del Banco Bpm da parte di Unicredit. Un’operazione che, sebbene combattuta con estrema animosità, nelle carte può sembrare un’ordinaria vicenda di mercato. Ma che, nei fatti, rischia di mutare per sempre una parte del paesaggio bancario italiano, alterando equilibri delicatissimi, e in prospettiva riducendo la capacità del Paese di esercitare il controllo su uno dei pilastri del proprio sistema finanziario. Nessuno ha detto che l’operazione non s’ha da fare, semplicemente sono stati posti dei paletti destinati a ridurre questi rischi potenziali.Ebbene, Giorgetti ha posto un confine. Non negoziabile. A Bruxelles che solleva questioni, risponde con un linguaggio netto ma misurato, che la sovranità economica è parte integrante della sovranità nazionale. E che, su questo, non si può accettare che la Commissione Ue si arroghi un diritto di ultima istanza. Quest’ultima può avere voce, può vigilare sull’antitrust, può intervenire laddove si registrino distorsioni palesi della concorrenza. Ma non può sostituirsi ai governi nel valutare cosa rappresenta un rischio sistemico per la sicurezza nazionale.Chi scrive condivide in pieno questa posizione. Per una ragione semplice: nessun ordinamento comunitario può cancellare la prerogativa fondamentale di uno Stato di preservare la propria infrastruttura strategica. In un momento in cui l’Europa è sotto assedio militarmente, per il protrarsi della guerra in Ucraina; economicamente, per l’aggressività con cui le superpotenze si contendono asset industriali e tecnologici è impensabile disarmare i governi nazionali sul terreno della vigilanza economica.Il Golden Power non è una distorsione del mercato. È un anticorpo, un dispositivo di ultima difesa adottato da molti Paesi dagli Stati Uniti alla Germania con maggiore frequenza e minori scrupoli di quanto faccia l’Italia. Non si tratta di nazionalismo economico, ma di realismo strategico. Di comprensione del contesto. Di dovere istituzionale verso i cittadini e verso il sistema economico nazionale.È dunque legittimo, e persino doveroso, che il governo italiano imponga condizioni su operazioni di consolidamento bancario che possono generare effetti irreversibili. Non stiamo parlando di fusioni industriali in settori marginali. Qui si gioca la partita del credito, della tenuta dei risparmi, del rapporto fiduciario tra lo Stato e il suo sistema finanziario. LEGGI TUTTO

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    Stellantis spegne l’idrogeno: crolla il titolo in Borsa (-6%)

    Stellantis dice stop al programma di sviluppo della tecnologia a celle a combustibile a idrogeno. È il primo effetto concreto della nuova gestione del gruppo affidata ad Antonio Filosa. La Borsa, in scia al rebus dazi e al profit warning lanciato da Renault, ora nelle mani del ceo «ponte» Duncan Minto, le cui azioni sono precipitate a 34,21 euro (-17,13%), penalizza fortemente anche il titolo Stellantis: -6,21% a 8 euro. Il gruppo, infatti, si potrebbe anche ritirare dalla joint venture Symbio (300 milioni investiti nel 2023 per il 33,3%), insieme a Michelin e Forvia. Stellantis, a questo punto, non prevede più l’adozione di furgoni Pro One alimentati a idrogeno prima della fine del decennio. Una nota imputa le ragioni del passo indietro «alla limitata disponibilità di infrastrutture per il rifornimento di idrogeno, agli elevati requisiti di capitale e alla necessità di maggiori incentivi all’acquisto da parte dei consumatori». La produzione in serie avrebbe dovuto iniziare quest’estate a Hordain, in Francia (furgoni di medie dimensioni) e a Gliwice, in Polonia (grandi dimensioni). Nessun impatto, è stato assicurato, sulla forza lavoro. L’approfondimento di Jean-Philippe Imparato, capo di Stellants per l’Europa allargata: «La decisione è stata presa in un contesto in cui l’azienda si sta mobilitando per rispondere alle stringenti normative europee sulle emissioni di CO2. Il mercato dell’idrogeno rimane un segmento di nicchia, senza prospettive di sostenibilità economica a medio termine. Dobbiamo fare scelte chiare e responsabili per garantire la nostra competitività e soddisfare le aspettative dei nostri clienti con la nostra offensiva di veicoli elettrici e ibridi».Anche Renault ha messo in liquidazione il suo impianto di veicoli commerciali a idrogeno di Flins (Yvelines) all’inizio del 2025. «Non c’è mercato, stiamo vendendo auto in perdita», l’avvertimento dell’ex ceo Luca De Meo rivolto ai parlamentari francesi, soprattutto «a causa della quantità di idrogeno verde (prodotto da energie rinnovabili e assai caro) ancora insufficiente». Solo Toyota, Hyundai e Bmw continuano a credere nell’idrogeno, con piccoli programmi di sviluppo e alcuni veicoli in circolazione. LEGGI TUTTO

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    Lovaglio manda a casa Nagel: “Nuovo ad per Mediobanca”

    «Il controllo di Mediobanca è raggiungibile con il 35% delle azioni, ma sono fiducioso che l’offerta ci porterà oltre al 66%» e se la scalata andrà a segno, «Alberto Nagel non sarà più il ceo della banca di piazzetta Cuccia». È chiara la risposta data ieri mattina dall’ad del Monte dei Paschi, Luigi Lovaglio, alla giornalista di Bloomberg Tv che lo ha ospitato negli studi di Londra, dove è volato in questi giorni per incontrare gli investitori. L’uscita del top manager milanese viene, dunque, anticipata in modo esplicito da Lovaglio che, senza citarlo direttamente per nome, ha detto: «Sta mostrando di non essere interessato al progetto. L’ho chiamato e non mi ha risposto al telefono, quindi penso che dovremo guardare a un nuovo ceo e sarà una persona brillante, di livello internazionale, che farà tutto il suo meglio per mantenere e motivare tutto il personale attuale e attrarre i talenti». L’ad del Monte ha comunque assicurato che il nome Mediobanca «resterà perché è uno dei valori in cui crediamo, è un forte valore. Uno dei punti del progetto è che lo stiamo costruendo su due brand, Montepaschi e Mediobanca, con la qualità e le eccellenze che sono in entrambi gli istituti», ha aggiunto. Verranno mantenuti anche i marchi Compass e Mediobanca Premier, si tratta, infatti, di «una combinazione di due realtà e non di una fusione» e in questo senso, «l’aspetto più difficile in operazioni di questo tipo è conciliare due diverse culture», sostiene Lovaglio. Quanto al ruolo dei grandi azionisti privati di Mps come il gruppo Caltagirone e Delfin, Lovaglio ha sottolineato che «sono stati di supporto sin dall’inizio» dell’operazione, «ma mi hanno lasciato decidere tutto, non ho avvertito alcuna interferenza nelle mie attività».Il banchiere ha poi detto che se all’inizio, a gennaio, la discussione era sul perché fare l’operazione, e su quale era la logica industriale, «adesso è: cosa succede dopo settembre, quando inizierete ad avere il controllo di Mediobanca?». L’Ops partita il 14 luglio si concluderà l’8 settembre, «quindi ora è un dialogo molto più proattivo», ha aggiunto riferendosi agli investitori istituzionali e rispondendo a una domanda sull’obiettivo del roadshow londinese.«Penso che il razionale sia piuttosto semplice, ovvero creare molto valore per tutti gli stakeholder. E con questo intendo dire: per i clienti, perché stiamo ampliando la proposta di valore; per i dipendenti, perché sarebbe un posto fantastico per sviluppare il loro potenziale; per l’economia, perché sosterremo le aziende nella loro crescita», ha poi spiegato l’ad dell’istituto senese ai microfoni di Bloomberg. «Ma soprattutto per gli azionisti, in quanto sarebbe un deal fantastico, li stiamo ricompensando con un dividendo del 100% mantenendo al contempo una posizione forte in termini di capitale per ulteriori potenziali ricompense». D’altronde, «se una crescita dei dividendi a doppia cifra è mancanza di valore, penso proprio che dovremmo andare a rivedere aritmeticamente qual è il significato di doppia cifra».La grande sfida sarà ottenere la fiducia del team di Mediobanca, «e per farlo è chiaro che molto dipenderà dal nuovo ceo, sono fiducioso che sarà una persona eccellente e che saprà fidelizzare le persone che lo circondano», ha ribadito Lovaglio. Che non ha, però, ancora un nome in mente. LEGGI TUTTO

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    Unicredit, Giorgetti zittisce Bruxelles

    Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non arretra di un millimetro sull’esercizio del Golden Power in merito all’offerta di Unicredit su Bpm. Anche di fronte all’intervento della Dg Competition, l’antitrust europeo, che ha avanzato dubbi sulla liceità dei paletti del governo italiano in merito all’avanzata della banca guidata da Andrea Orcel. «Io penso alla sicurezza nazionale che è una cosa molto seria», ha detto ieri il ministro Giorgetti rigurado all’Ops Unicredit-Bpm, «la Dg Competition tutela la concorrenza che è una bellissima cosa, ma forse non si sono accorti che c’è una guerra in questo momento in Europa e quindi gli stati difendono altre cose che non sono soltanto la concorrenza».Il riferimento è, in particolare, alla vicenda della Russia, Paese sotto sanzioni internazionali nel quale Unicredit ha tuttora una presenza importante con un apporto di ricavi al gruppo significativo di circa 1,3 miliardi nel 2024. L’istituto dal canto suo sostiene di attuare una costante riduzione del business in linea con quanto richiesto dalla Banca centrale europea, ma il governo nelle prescrizioni sul decretro ai sensi del Golden Power del 18 aprile 2025 ha comunque imposto l’addio a Mosca (ad eccezione dei pagamenti transfrontalieri per non danneggiare le imprese italiane operanti a Mosca) entro gennaio del 2026. Una prescrizione peraltro ritenuta legittima dalla sentenza del trinunale amministrativo al quale si era appellata Unicredit, tant’è che è stata mantenuta intatta con obiezioni dei giudici riguardanti le sole tempistiche del mantenimento del rapporto tra depositi e prestiti per 5 anni e del portafoglio di project financing. La sensazione, quindi, è che il braccio di ferro con la Commissione sarà duro con il governo italiano intenzionato a rispondere alla missiva di Bruxelles entro 20 giorni dalla sua ricezione. Alla Dg Comp, la quale sostiene che il decreto italiano violi la normativa sulle concentrazioni, il governo risponderà che ci motivi fondati per temere per la sicurezza dal momento che, come scriveva nel Dpcm, il gruppo non avrebbe pieno controllo sulla sua filiale russa. Oltre al fatto che, in base ai dati delle trimestrale al 31 marzo, avrebbe 754 milioni di bond russi in portafoglio, in crescita sui 574 di fine 2024. Dettaglio, quest’ultimo, visto come un finanziamento a un Paese ostile all’Italia.Nel frattempo, si avvicina il momento delle trimestrali per le grandi banche. L’istituto guidato da Orcel, reduce da anni di performance positive, il 23 luglio rivelerà i conti da marzo a giugno. Gli analisti – con indicazione fornita da 15 broker che comprono il titolo della seconda banca italiana per attivi – stimano per il secondo trimestre di Unicredit un utile sopra i 2,5 miliardi di euro. Mentre i ricavi sono indicati a 6,2 miliardi. Il prezzo obiettivo sul titolo è di 60,65 euro (attualmente è a 58,2 euro) con il 79% degli analisti che indica «comprare». LEGGI TUTTO

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    Powell nel mirino. Trump tira fuori l’ipotesi “frode”. Bufera sui listini

    Nel tardo pomeriggio italiano di ieri gli indici di Wall Street hanno cominciato a perdere rapidamente terreno. Poco prima la Cbs, l’agenzia Bloomberg e il New York Times avevano rilanciato l’indiscrezione raccolta da un funzionario della Casa Bianca secondo cui il licenziamento del capo della Fed, Jerome Powel, sarebbe «imminente», che se ne sarebbe parlato martedì scorso durante un incontro tra il presidente Usa e un gruppo di deputati repubblicani con tanto di lettera di licenziamento sventolata da Trump davanti a tutti e che il tycoon starebbe discutendo la possibilità di licenziare Powell per giusta causa in privato.Che l’inquilino della Casa Bianca voglia mandare a casa il capo della Fed non è certo una novità. Ma l’improvvisa accelerazione ha subito avuto un impatto su Wall Street. Lo scenario è poi cambiato di nuovo quando Trump ha risposto alle domande dei giornalisti riuniti nello Studio Ovale per il suo incontro con il principe del Bahrein. Jerome Powell «è sempre in ritardo. L’Europa ha tagliato i tassi dieci volte in un breve periodo. Sta facendo un lavoro terribile. È un terribile presidente della Fed», ha ribadito. Poi però sono arrivate smentite ai rumors: «Non stiamo parlando e pianificando di licenziarlo», un cambio ci sarà in otto mesi e «sceglieremo qualcuno che farà un grande lavoro», ha detto riferendosi alla scadenza del mandato di Powell nel maggior del 2026. Smentita anche l’esistenza della lettera di licenziamento.Solo voci, dunque? Non proprio. Perché Trump ha tirato fuori dal cilindro un’accusa pesante: «È possibile che ci sia una frode», ha spiegato ammettendo di aver parlato a porte chiuse con i deputati repubblicani della questione. E paventando, dunque, l’ipotesi di un licenziamento per giusta causa. Poi ha rincarato la dose: «Penso che Powell sia già sotto indagine per i lavori di ristrutturazione della sede della Fed a Washington». Una recente ordinanza della Corte Suprema ha suggerito che i funzionari della Federal Reserve non potessero essere rimossi dai loro incarichi a causa di una controversia politica, il che significa che a Trump serve un’altra motivazione. Come l’aver speso troppi quattrini per la ristrutturazione di due storici edifici adibiti a uffici. LEGGI TUTTO

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    “Sgomento per le parole di Orsini, università telematiche chiave per la competitività del Paese”

    “Apprendiamo con sorpresa e sgomento le dichiarazioni del presidente Orsini nei confronti delle università telematiche, che oggi, in un Paese penultimo in Europa per numero di laureati, intercettano le esigenze di oltre 250 mila studenti, ossia il 13% del totale degli studenti universitari italiani. Non si può ignorare che oltre il 70% dei nostri studenti è composto da lavoratrici e lavoratori che non avrebbero alcuna possibilità di accedere all’università tradizionale. Tra l’altro, dispiace che queste frasi provengano dal presidente dell’associazione italiana degli imprenditori – proprietaria dell’università Luiss Guido Carli – che tante volte ha sottolineato la centralità della formazione continua nell’odierno mercato del lavoro”. Questa la risposta di United, l’Associazione delle Università telematiche italiane, alle dichiarazioni rilasciate dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini (nella foto), in apertura dell’evento ‘Industria e Università, insieme per l’innovazione’, organizzato dall’associazione degli industriali e dalla Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane, per rilanciare la collaborazione tra il mondo accademico e quello industriale. LEGGI TUTTO

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    Estate, ecco come fare la spesa in modo intelligente: cosa c’è sa sapere

    Quest’estate oltre all’innalzamento delle temperature stiamo assistendo anche a un incremento dei prezzi, tanto che per gli italiani fare la spesa è divenuto ormai un salasso. A salire sono i costi di tanti prodotti essenziali, alimenti di cui non è possibile fare a meno. Stiamo parlando, infatti, di frutta e verdura, ma anche di latticini e prodotti ittici. Elementi alla base della dieta nostrana, e che spingono le famiglie ad alleggerire il portafoglio.Purtroppo questa è una diretta conseguenza delle spese per il trasporto delle merci, ma anche dell’aumento dei costi di produzione. Qualcuno tira in ballo anche clima, qualcun altro punta il dito su certi negozianti che, approfittando della situazione, hanno gonfiato un po’ i prezzi. Quali che siano le cause, il risultato è sotto gli occhi di tutti: i generi alimentari hanno subito un sostanziale rincaro. Dati Istat alla mano, nei primi mesi del 2025 si registrata una contrazione delle vendite pari al – 0,9%, con un aumento dei prezzi dell’1,8& rispetto al 2024. Ciò significa che, pur acquistando di meno, gli italiani stanno spendendo di più.In che modo è possibile cercare di risparmiare almeno un po’? La regola d’oro è fare la spesa in modo intelligente. Vietati gli acquisti impulsivi, dell’ultimo minuto. Quando andiamo al supermercato, bisogna farlo con una lista già stilata e attenersi ad essa. I prodotti vanno esaminati, in modo da scegliere i migliori per qualità/prezzo. Infine, occhio alle offerte.Una spesa ragionata è una spesa che favorisce ciò che è realmente necessario, tralasciando tutti i prodotti in eccesso, specie quelli freschi. Il consiglio è quello di scegliere prodotti con lunghe scadenze, in offerta, e con un giusto prezzo al chilo.Inoltre è fondamentale saper riconoscere il fenomeno della shrinkflation, strategia finalizzata a mantenere invariato il prezzo di un prodotto nonostante questo venga ridotto di peso o di quantità. Si pensi alle scatolette di tonno. Qualcuno si è accorto che negli ultimi anni siamo passati da lattine contenenti 90 grammi di prodotto a 70 grammi? Eppure il prezzo non è variato. Purtroppo molti consumatori non se ne rendono conto. LEGGI TUTTO