More stories

  • in

    Maxi elettrodotto Europa-Africa per le fonti rinnovabili

    Ascolta ora

    Sarà il primo collegamento elettrico in corrente continua tra Europa e Africa: un grande progetto infrastrutturale che contribuirà alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico italiano e al raggiungimento dei target di decarbonizzazione fissati a livello nazionale e internazionale. Elmed, il nuovo elettrodotto sottomarino che collegherà l’Italia e la Tunisia, è già l’emblema delle diverse interconnessioni che Terna sta realizzando.Il gruppo guidato dall’amministratore delegato Giuseppina Di Foggia lo costruirà con Steg, la società tunisina per l’energia e il gas, installando un cavo sottomarino di oltre 200 chilometri che connetterà i due Paesi affacciati sul Mediterraneo. L’infrastruttura garantirà una maggiore integrazione di energia prodotta da fonti rinnovabili e costituirà ha sottolineato Di Foggia «il primo ponte energetico tra i due continenti».Si tratta di un progetto strategico per l’Italia, incluso infatti nel Piano Mattei per l’Africa, ma anche fondamentale per l’Europa, tanto che la stessa Commissione Ue ha deciso di puntare su di esso. L’elettrodotto si snoda tra la stazione elettrica di Partanna, in provincia di Trapani, e quella di Mlaabi, nella penisola tunisina di Capo Bon, per una lunghezza complessiva di circa 225 chilometri (la maggior parte in cavo sottomarino), con una potenza di 600 MW e una profondità massima di circa 800 metri, raggiunti lungo il Canale di Sicilia. Per quanto riguarda l’Italia, il cavo si snoderà per circa 118 chilometri, di cui circa 100 in mare e altri 18 interrati, approdando a Castelvetrano, sempre in provincia di Trapani. Sul fronte tunisino l’infrastruttura percorrerà invece 106 chilometri, di cui circa 100 in mare e altri 6 interrati, arrivando nella municipalità di Kelibia.La grande opera sarà ad altissimo tasso di innovazione e sostenibilità, valori cardine del progetto: le stazioni elettriche di conversione da cui partiranno i cavi terrestri Hvdc saranno infatti realizzate secondo i più avanzati standard tecnici e tecnologici, nel pieno rispetto dell’ambiente e dei territori circostanti. Questo, grazie anche all’utilizzo di architetture e di colori in sintonia con il paesaggio. Per l’infrastruttura sono stati condotti accurati studi marini e ambientali che hanno consentito di definire il tracciato migliore a tutela dei fondali e degli ecosistemi esistenti. LEGGI TUTTO

  • in

    Terna accompagna la Tunisia verso la transizione energetica

    Ascolta ora

    Un «ponte» tra Europa e Africa per accelerare l’innovazione tecnologica e favorire lo sviluppo delle competenze nel settore energetico tunisino. Terna continua a investire nella transizione energetica e nella crescita: il gruppo italiano guidato dall’amministratore delegato e direttore generale Giuseppina Di Foggia ha inaugurato ieri a Tunisi il nuovo Terna Innovation Zone, il primo hub di innovazione in Africa gestito dall’azienda. Si tratta di un progetto di responsabilità sociale di impresa che rafforza il partenariato strategico tra Italia e Tunisia contribuendo al raggiungimento degli obiettivi del Piano Mattei per l’Africa. L’iniziativa è stata presentata ieri nella capitale tunisina dalla stessa Di Foggia, alla presenza di Faycel Tarifa, presidente e direttore generale di Steg, Société Tunisienne de l’Électricité et du Gaz, e del ministro italiano dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin.«Con il Terna Innovation Zone in Tunisia confermiamo il nostro impegno per una transizione energetica giusta e inclusiva che valorizzi le eccellenze locali, contribuisca alla crescita dell’ecosistema dell’innovazione tunisino e crei nuove opportunità per startup, professionisti e giovani talenti del settore energetico», ha commentato Giuseppina Di Foggia, sottolineando come questo progetto interpreti «i valori della responsabilità sociale d’impresa, coniugando innovazione, formazione, condivisione di conoscenze e cooperazione internazionale, per costruire un futuro energetico sostenibile insieme ai nostri partner tunisini». Il ministro Pichetto Fratin ha invece definito il nuovo Terna Innovation Zone un «motore di formazione di capitale umano altamente specializzato, per gestire da protagonisti sfide e opportunità della transizione energetica e rafforzare ancora di più la grande amicizia e collaborazione tra Italia e Tunisia». Tra le autorità presenti all’evento di ieri a Tunisi, anche Mohamed Ali Nafti, ministro degli Affari esteri della Repubblica Tunisina, Wael Chouchane, segretario di Stato per la Transizione Energetica della Repubblica Tunisina, Fabrizio Saggio, coordinatore della Cabina di Regia del Piano Mattei e consigliere diplomatico del primo ministro italiano, e Alessandro Prunas, ambasciatore d’Italia a Tunisi.Nel concreto, il Terna Innovation Zone si propone di rafforzare l’ecosistema dell’innovazione a sostegno dell’imprenditorialità innovativa, fungendo da laboratorio di formazione specialistica che contribuirà al progresso del settore energetico del Paese nordafricano. A tal fine, il nuovo hub ospiterà programmi di open innovation e di accelerazione, grazie ai quali le startup tunisine potranno accedere a risorse, competenze e opportunità derivanti dal network globale di collaborazioni di Terna in diversi ecosistemi internazionali dell’innovazione, nonché beneficiare del know-how tecnico messo a disposizione dal gruppo italiano.Già nel mese di febbraio verrà lanciata la prima iniziativa pianificata proprio con questo obiettivo, ovvero una «call for startup», e a seguire sarà avviato un programma di «scaling» dedicato alle startup tunisine innovative più promettenti e attive nei settori della transizione energetica e digitale. In linea con i principi di una transizione energetica e digitale giusta, le attività del Terna Innovation Zone tunisino si concentreranno inoltre sulla formazione e sullo sviluppo di ingegneri e tecnici in campo energetico, anche attraverso la collaborazione fra Terna e le università locali. Verrà così cresciuta una nuova generazione di professionisti del settore dotati di competenze al passo coi tempi e necessarie all’adozione di nuove tecnologie in grado di garantire una maggiore efficienza al sistema energetico tunisino. «Il Terna Innovation Zone non sarà solo un luogo fisico, condiviso con l’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi e con la Camera tuniso-italiana di Commercio e Industria, ma anche un simbolo del nostro impegno a valorizzare il talento e alimentare il progresso tecnologico», ha dichiarato ancora Giuseppina Di Foggia. LEGGI TUTTO

  • in

    Così Mediobanca sgambetta Mps in Borsa

    Ascolta ora

    È la Borsa – intesa come mercato – che ha bocciato l’offerta di Mps su Mediobanca, oppure sono stati gli acquisti straordinari sul titolo innescati da Piazzetta Cuccia e gonfiati da una moltitudine di mani che già prefigurano lo scontro all’ultimo voto nell’assemblea dei soci? La domanda è lecita, in virtù dei dati sulle operazioni di internal dealing realizzate dall’istituto di cui Il Giornale è venuto in possesso. Risulta, infatti, che lo scorso venerdì – subito dopo l’annuncio dell’Ops – sono stati comunicati da Mediobanca tre internal dealing per un totale di circa 560mila azioni. Mentre nelle giornate di lunedì 27 e martedì 28, sempre in relazione al piano di buy-back, sono stati acquistati rispettivamente 770mila e 767mila titoli. Fatto salvo che tali operazioni sono lecite, se realizzate in relazione al piano di buy-back, salta all’occhio il forte divario con l’ammontare degli acquisti realizzati a dicembre e gennaio. Basti osservare che a dicembre il massimo di acquisti realizzati in un giorno è 350mila azioni, mentre la media quotidiana è intorno a 200mila. Ebbene, il giorno del lancio dell’Ops il volume degli acquisti da parte di Piazzetta Cuccia è quasi triplicato mentre nei primi due giorni della settimana, ovvero quando la Borsa misurava col centimetro la forchetta tra il valore dei titoli in Borsa e il valore di scambio proposto da Mps, il volume degli acquisti è addirittura quadruplicato con effetti evidenti sulla quotazione del titolo. Possono sembrare piccoli ammontari rispetto ai quasi 24 milioni di azioni scambiate il giorno dell’Ops, o rispetto agli 8 milioni del 27 e 28 gennaio, ma come non immaginare che dietro tanta eccitazione non vi sia stato un robusto input veicolato da Piazzetta Cuccia verso gli alleati di sempre, in vista della guerra all’ultimo voto? Un potente innesco alla dinamica degli acquisti che fatalmente hanno gonfiato il titolo Mediobanca facendolo allontanare in modo vistoso da quello del Monte, che come spesso accade quando si lancia un’offerta di acquisto ha accusato una flessione.Le reazioni negative del mercato all’Ops, peraltro, sono state un argomento su cui Mediobanca ha puntato molto nel comunicato divulgato dopo il cda di martedì, ma a questo punto non è più chiaro fino a che punto la reazione degli investitori sia stata genuina. Tant’è che ieri il titolo di Piazzetta Cuccia si è normalizzato mettendo a segno un modesto rialzo dello 0,44% (a 15,85 euro) mentre quello di Mps è salito dello 0,48% (a 6,23 euro).Nel frattempo, ieri è arrivata una precisazione ufficiale della Finprog, la cassaforte della famiglia Doris, la quale ha precisato che l’arrotondamento della partecipazione all’interno di Mediobanca (dallo 0,73% allo 0,96%), divulgata nella serata del 28 gennaio, «è conseguente a una serie di operazioni di acquisto tutte avvenute nel 2024, quindi un periodo temporale antecedente l’offerta pubblica di scambio cui la stessa Mediobanca è attualmente soggetta». Insomma non è stata, come era sembrato in un primo momento, una mossa per correre in soccorso dell’istituto guidato da Alberto Nagel. Bisogna poi aggiungere che all’interno del patto di consultazione, di cui Finprog fa parte, c’è libertà di coscienza circa l’offerta di Mps, quindi non è detto che il pattista Romano Minozzi sia l’unico a propendere per il matrimonio. LEGGI TUTTO

  • in

    Piano Generali al test della partita Natixis. Donnet gioca al rischia-tutto per la conferma

    Ascolta ora

    Philippe Donnet (nella foto) cala il suo poker. Il nuovo piano di Generali, approvato ieri dal cda e che oggi sarà dettagliato all’Investor Day in programma a Venezia, è il quarto che porta la firma del manager francese con passaporto italiano. Tra l’altro il ceo, il presidente Andrea Sironi e altri consiglieri si sono detti disponibili a un nuovo mandato, anche se il board ha deciso di non presentare una propria lista per il rinnovo dei vertici. Quanto alla strategia al 2027, questa è attesa ricalcare le orme del passato ma con una più corposa remunerazione dei soci, è il biglietto da visita con cui Donnet intende convincere gli azionisti a riconfermarlo per la quarta volta al Leone.Il percorso verso l’assemblea dell’8 maggio, chiamata a rinnovare il cda, si presenta però alquanto tortuoso. Il nuovo piano arriva infatti in un momento cruciale della storia della maggiore compagnia assicurativa italiana, sulla quale è in atto un’accesa disputa tra i grandi soci che si intreccia con l’affare Natixis. La decisione di mettere a fattor comune i risparmi italiani e quelli dei francesi ha sollevato un polverone politico per il timore che 630 miliardi di risparmi degli italiani possano essere gestiti da mani estere. L’accordo non vincolante stretto tra Generali e Bpce (la capogruppo di Natixis) prevede la costituzione di una joint venture che avrà una dote monstre di 1.900 miliardi di masse gestite e ricavi per 4,1 miliardi. Uno degli aspetti più discussi è il fatto che, al termine del primo mandato da 5 anni – che vedrebbe il ceo di Bpce, Nicolas Namias nel ruolo di presidente, Donnet vicepresidente e Woody Bradford (ceo di Generali Investments) quale ceo della newco – Generali può perdere la guida della Jv e, quindi, anche la presa su 630 miliardi di asset apportati dalla compagnia italiana. La gestione patrimoniale è un gioco di scala e l’accordo con Natixis darebbe, secondo Donnet, delle economie che Generali da sola non sarebbe stata in grado di realizzare. Tuttavia, non mancano i punti oscuri, a partire dai dubbi legati alle complessità della struttura. Gli analisti di Barclays pongono l’accento sui rischi dei modelli multi-boutique e sul limitato e ritardato beneficio a livello di utili. LEGGI TUTTO

  • in

    Verso un ritocco al cuneo per i redditi troppo bassi

    Ascolta ora

    L’estensione del trattamento integrativo da circa 1.200 euro annui ai lavoratori con una retribuzione lorda compresa tra 8.500 e 9.000 euro sarà oggetto di «un’attenta valutazione». È quanto ha dichiarato la sottosegretaria all’Economia, Lucia Albano (in foto), rispondendo in commissione Finanze alla Camera a un’interrogazione M5s riguardo gli effetti della legge di Bilancio.Albano ha spiegato che nel 2024, grazie alla riduzione dell’aliquota contributiva, alcuni lavoratori hanno visto aumentare il proprio reddito imponibile Irpef, raggiungendo così la soglia necessaria per ricevere il trattamento integrativo. Tuttavia, con la cessazione della misura di decontribuzione, questi lavoratori torneranno a livelli di reddito che non consentono più l’accesso al beneficio. «Ciò sarebbe dovuto – ha chiarito Albano – alla circostanza che nel 2024 avevano ricevuto incidentalmente un vantaggio a causa del meccanismo di riduzione dell’aliquota contributiva, che aveva conseguentemente portato ad aumentare i redditi imponibili Irpef». Cominciando a pagare imposte, ha proseguito, «questi contribuenti avevano ricevuto anche il trattamento integrativo da 1.200 euro che in mancanza di decontribuzione non sarebbe spettato».La legge di Bilancio 2025 ha confermato il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento al 23% delle prime due aliquote Irpef con l’obiettivo di rendere più equa la distribuzione dei benefici per i lavoratori. Nel 2024, però, il taglio dei contributi per un reddito di 8.500 euro lordi agiva a monte aumentando di 549 euro l’imponibile fiscale. Quest’anno, invece, le fasce di reddito più basse percepiscono un bonus pressoché equivalente (548 euro) che agisce invece a valle perché è esentasse. Un contribuente con un reddito tra 8.500 e 9.000 euro annui, praticamente, finisce in no tax area (da 8.268 a 7.719 euro) e di conseguenza la sua imposta lorda vale meno della detrazione (1.775 euro contro 1.880). Come si dice in gergo fiscale, è diventato «incapiente», cioè l’imposta è talmente bassa da non potergli consentire di usufruire degli sgravi. Niente più bonus Renzi-Conte, pertanto, da 100 euro al mese, in quanto è diventato un trattamento integrativo. LEGGI TUTTO

  • in

    Trump lancia il suo spazio cripto

    Ascolta ora

    Donald Trump ha infiammato Wall Street con la sua ultima trovata. La Trump Media and Technology Group (Tmtg), la società che controlla il social network Truth Social, ha annunciato il lancio di Truth.Fi, una piattaforma fintech che offrirà servizi finanziari, inclusi investimenti in criptovalute. L’annuncio ha avuto un impatto immediato sul Nasdaq, Tmtg è salita del 6% dopo aver toccato un massimo intraday del +15%. L’iniziativa è stata presentata da Devin Nunes (in foto), Ceo di Tmtg e stretto alleato di Trump, come parte di una strategia più ampia per costruire un ecosistema. «Truth.Fi è un’estensione naturale della nostra missione», ha detto aggiungendo che, dopo aver iniziato con una piattaforma per la libertà di parola, «siamo passati alla tv in streaming e ora espandiamo il nostro impegno nel settore finanziario». Previsti investimenti per 250 milioni di dollari in Bitcoin, criptovalute simili e titoli digitali, in collaborazione con la società di intermediazione Charles Schwab. Questo dettaglio ha sollevato interrogativi sui potenziali conflitti di interesse, considerando che Samantha Schwab, nipote del fondatore, è vice capo dello staff del Dipartimento del Tesoro nell’amministrazione Trump.L’espansione di Truth.Fi avviene in un momento in cui anche altri grandi nomi della tecnologia si stanno muovendo nella stessa direzione.Elon Musk, con la sua piattaforma X, ha recentemente annunciato iniziative nei servizi finanziari, creando un parallelo diretto tra le due figure più influenti nel panorama conservatore statunitense. LEGGI TUTTO

  • in

    Transizione ecologica e inclusione: le sfide delle cooperative al centro del dibattito europeo

    Ascolta ora

    In occasione dell’Anno internazionale delle Cooperative proclamato dall’Onu, Confcooperative ha incontrato a Bruxelles un’ampia delegazione di europarlamentari italiani per discutere delle sfide e delle opportunità che il settore cooperativo affronta nell’ambito della transizione ecologica, dell’inclusione e della sostenibilità.All’incontro hanno partecipato 35 europarlamentari, tra cui Antonella Sberna, vicepresidente del Parlamento Europeo, Irene Tinagli, copresidente dell’intergruppo, e diversi altri esponenti politici come Francesco Torselli, Stefano Bonaccini, Massimiliano Salini e Raffaele Stancanelli. Il confronto ha toccato temi fondamentali come agroalimentare, credito, welfare, casa e appalti pubblici, sottolineando il ruolo strategico delle cooperative nell’economia europea.Secondo Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, l’economia sociale rappresenta una componente essenziale dell’economia europea, con 4,3 milioni di imprese e oltre 11,5 milioni di occupati. Le cooperative, parte integrante di questo settore, impiegano 4,5 milioni di persone, di cui 1,3 milioni in Italia. Circa la metà di questi lavoratori opera nelle 16.500 imprese associate a Confcooperative, che da sole contribuiscono al 4% del Pil nazionale.Le sfide delle cooperative nei vari settoriLe cooperative operano in numerosi settori imprenditoriali, ognuno con specifiche sfide e opportunità. Nel comparto agroalimentare e della pesca, l’attenzione è rivolta alla sostenibilità, alla semplificazione normativa e alla competitività. Il settore del credito, invece, deve affrontare la necessità di modelli di sviluppo territoriale più inclusivi e resilienti.Un punto centrale dell’incontro è stato il tema degli appalti pubblici, che rappresentano il 14% del Pil dell’Unione europea. Gardini ha sottolineato l’importanza di adottare criteri di selezione che non si basino esclusivamente sul risparmio economico, ma che privilegino innovazione e qualità, incentivando così la crescita delle imprese locali.Welfare e inclusione socialeNel settore del welfare, Confcooperative ha evidenziato la necessità di investimenti più consistenti da parte degli Stati membri per garantire servizi sociali adeguati. Secondo Gardini, l’allocazione del 2,5% del Pil a tali politiche potrebbe migliorare significativamente il sistema sanitario e assistenziale europeo. La cooperazione sociale gioca un ruolo chiave nella gestione dei servizi di assistenza primaria e la formazione del personale sanitario è una delle priorità su cui l’Europa dovrebbe investire.Giovani, donne e il futuro della cooperazione LEGGI TUTTO