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    Dal terzo mandato alle pensioni, fino all’abuso d’ufficio: ecco i prossimi dossier sul tavolo della Consulta

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaTroppi fronti aperti, dalla giustizia ai casi internazionali. E troppo alta l’attenzione del Quirinale. Anche per questo nelle ultime ore Giorgia Meloni ha dato il via libera all’accordo siglato tra i partiti per l’elezione bipartisan (il quorum necessario è dei tre quinti) dei quattro giudici costituzionali mancanti: tre avevano terminato il loro mandato a dicembre scorso, ma il seggio lasciato libero dalla presidente emerita della Corte Silvana Sciarra era vacante addirittura dal novembre 2023. Il tredicesimo scrutinio a vuoto sarebbe stato troppo dopo i ripetuti richiami di Sergio Mattarella per ripristinare il quorum della Consulta, senza contare la discreta moral suasion proseguita anche negli ultimi giorni.La “tecnica” Sandulli sblocca l’impasse tra i partitiEd è così che il via libera della premier ha sbloccato l’impasse creatosi per la difficoltà di trovare un nome “tecnico” che andasse bene a tutti, oltre ai tre giudici in quota ai partiti (il consigliere di Palazzo Chigi Francesco Saverio Marini, il costituzionalista Massimo Luciani per le opposizioni e l’ex parlamentare di Fi Roberto Cassinelli in quota azzurra): la figura dell’amministrativista Maria Alessandra Sandulli, più vicina al centrosinistra ma apprezzata anche dal centrodestra, è risultata alla fine la più indicata a superare i veti incrociati.Loading…L’ok di Meloni per sminare il campo con il QuirinaleSminare il campo, dunque, anzi i campi. Lo sblocco dell’impasse sui giudici della Consulta è il terzo passo, nel giro di pochi giorni, che Meloni compie per andare incontro alle preoccupazioni del Capo dello Stato: prima l’apertura al dialogo con l’Anm sul piede di guerra contro la riforma Nordio sulla separazione delle carriere («Auspico che da subito si possa riprendere un sano confronto sui principali temi», ha detto subito dopo l’elezione a presidente di Cesare Parodi, di Magistratura indipendente); poi la richiesta informale al Tribunale internazionale dell’Aja fatta partire da Via Arenula per avviare un confronto sulle criticità, a partire dal caso Almasri, in modo da avviare una sorta di “agreement” per una migliore collaborazione futura.Già la prossima settimana è attesa la sentenza sulle pensioniD’altra parte dalla Corte costituzionale – dopo la delicata sentenza del 20 gennaio scorso sullo stop al referendum sull’autonomia differenziata presa in 11, un voto solo in più del quorum – si attendono nella prossime settimane decisioni importanti, sia per quanto riguarda temi politicamente sensibili sia per quanto riguarda il possibile impatto sui conti pubblici. Già la prossima settimana sarà trattato il tema della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, con evidenti possibili ricadute sulla spesa previdenziale già molto alta, e a stretto giro sarà la volta degli extraprofitti delle imprese energetiche.Occhi del governo (e del Pd) puntati sul terzo mandato e sull’abuso d’ufficioMa il tema politicamente più sensibile resta quello del terzo mandato per i governatori. Con la legge regionale della Campania impugnata dal governo, che sarà affrontato a fine aprile: il governatore dem Vincenzo De Luca attende questo passaggio per capire se dare battaglia nel suo partito, con la segretaria Elly Schlein che invece punta all’accordo con il M5s su un nome pentastellato (l’ex presidente della Camera Roberto Fico o l’ex ministro Sergio Costa); ed è noto il pressing della Lega per far restare in campo il “Doge” Luca Zaia in Veneto. Il 7 maggio è poi attesa la sentenza sull’abuso d’ufficio, con l’accorpamento di una decina di cause contro l’abolizione del reato decisa dal governo Meloni. Abolizione, va ricordato, sostenuta anche contro la segreteria dem dalla maggior parte dei sindaci del Pd. Insomma, meglio avere il quorum dei 15 giudici al completo, e con qualche esponente “amico”. LEGGI TUTTO

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    Riduzione dell’orario di lavoro, proposta di legge in stand by

    La proposta di legge che si è arenata alla Camera prevede una riduzione del lavoro settimanale da 40 a 32 ore, a parità di stipendio. È scontro sulle coperture tra maggioranza ed opposizione. Gli esperti si interrogano sul tema a fronte di un calo della produzione industriale che prosegue da 23 mesi consecutivi

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    Favorire per legge contratti collettivi che prevedano una riduzione dell’orario di lavoro settimanale fino ad un massimo di 8 ore, con la possibilità di stabilire turni impostati su 4 giorni invece che su 5 e mantenendo gli stipendi invariati. Al contempo, prevedere investimenti mirati in formazione del personale e in innovazione tecnologica ed ambientale.
    È questo il cuore della proposta di legge che doveva essere discussa alla Camera nelle scorse ore e che invece – per volontà della maggioranza – tornerà al vaglio della Commissione Lavoro. L’iter di approvazione rallenta perché è scontro aperto tra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione sul più classico dei temi: le coperture necessarie a finanziare il progetto. 

    Esoneri contributivi per le imprese

    Il nome della proposta di legge che mira a riformare, almeno in parte, il mercato del lavoro in Italia è “Lavorare meno per vivere meglio” e vede come primo firmatario Nicola Fratoianni (leader di AVS), a seguire Angelo Bonelli (Europa Verde), Giuseppe Conte (M5s) e la leader del Partito Democratico Elly Schlein. La proposta è basata su esoneri contributi per i datori di lavoro privati, al fine di incentivarne l’adesione e la parziale convenienza. Nel dettaglio, nei primi 3 anni dall’entrata in vigore della legge sarebbe previsto un esonero pari al 30% dei contributi a carico dell’azienda per i lavoratori dipendenti ai quali si applichi la riduzione oraria. Per le piccole e medie imprese l’esonero salirebbe al 50%, per i cosiddetti lavori pesanti (edilizia, industria estrattiva ecc…) addirittura al 60%. Se la legge passasse così com’è resterebbero esclusi, invece, i datori di lavoro domestico e quelli del settore agricolo.  

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    I precedenti

    Il dibattito sulla cosiddetta “settimana corta” o su una riduzione delle ore lavorate settimanalmente all’interno delle aziende italiane è iniziato ormai da alcuni anni e diversi sono stati i tentativi di applicazione. I più noti vanno da quello di Intesa Sanpaolo, che da circa un anno consente ai dipendenti di distribuire l’orario di lavoro su 4 giorni invece che su 5, a quello di Lamborghini (che ha puntato sia sulla riduzione delle ore lavorate sia su una alternanza di settimane da 4 o 5 giorni lavorati) e non da ultimo Luxottica, che è considerata l’apri-fila della sperimentazione di una nuova organizzazione aziendale.  

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    Calo della produzione industriale
    “Porre il tema al centro del dibattito politico e sociale ha un grande valore, il vero nodo da sciogliere però è quello di una riorganizzazione del lavoro che faccia i conti anzitutto con un aumento della produttività”, ci dice Francesco Seghezzi, presidente di ADAPT (l’Associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche sul mercato del lavoro). Il riferimento, non troppo velato, è al trend confermato dai dati comunicati ieri dall’Istat di una produzione industriale in calo da 23 mesi consecutivi (-3,5% nel 2024, -7,1% nel mese di dicembre). “Affrontare il tema partendo da una legge nazionale trasversale, che interessa cioè i diversi settori produttivi, non è il modo più adeguato. Sarebbe utile – prosegue Seghezzi – spingere per sperimentazioni che partano da alcune realtà che hanno a disposizione ampie marginalità da spendere (non a caso le prime aziende a partire in Italia sono imprese di grandi dimensioni, particolarmente solide) e da cui la politica possa prendere spunto. Insomma, la prima domanda da porsi dovrebbe essere: come è possibile aumentare la produttività? Di questo la politica dibatte ancora troppo poco.” 

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    Elezioni comunali Genova, tra i candidati sindaco Pd anche Silvia Salis: chi è

    Èl’ex campionessa italiana di lancio del martello e attuale vicepresidente vicaria del Coni, la candidata sindaca del Pd a Genova. Sposata dal 2020 col regista Fausto Brizzi, madre di un bimbo di due anni, ha sempre dedicato la sua vita allo sport 

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    Silvia Salis, 39enne genovese e vicepresidente vicario del Coni. L’ex atleta olimpionica potrebbe essere l’asso nella manica del Pd di Genova. Il suo profilo civico e il legame con la città potrebbero rappresentare una carta importante per la coalizione. 

    da Instagram

    La sua carriera nello sport
    Silvia Salis, nata a Genova nel 1985, ha costruito una carriera sportiva di rilievo nel lancio del martello, partecipando alle Olimpiadi di Pechino 2008 e Londra 2012. Campionessa nazionale per dieci volte, ha raggiunto un record personale di 71,93 metri nel 2011. Dopo il ritiro dall’attività agonistica, ha intrapreso un percorso nella gestione sportiva. Nel 2017 è entrata a far parte del Consiglio Nazionale del Coni, fino a diventare nel 2021 vicepresidente vicaria, prima donna a ricoprire questo ruolo.

    La vita privata
    Nel novembre 2020, ha sposato il regista Fausto Brizzi. Il 10 ottobre 2023 è nato il loro primo figlio, Eugenio. Stesso nome del padre di Silvia, scomparso l’altro ieri. Oggi, nella giornata in cui il suo nome è entrato di prepotenza nelle cronache politiche genovesi, si sono celebrati i funerali. 

    Silvia Salis con il padre Eugenio – Instagram

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    Decreti, ecco cos’è il Milleproroghe: 25 anni di testi extralarge e assalti alla diligenza

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaLa consueta battaglia finale a colpi di emendamenti. È quella che anche quest’anno è scoppiata al Senato sul decreto Milleproroghe, con una tensione via via sempre più alta soprattutto sul terreno del fisco (ma non solo) tra la maggioranza e le opposizioni, ma anche all’interno dello stesso centrodestra. Non si tratta di un inedito. Nei suoi 25 anni di vita, il “Milleproroghe”, approvato sostanzialmente per la prima volta nel 2001, è diventato il veicolo legislativo, dopo la legge di bilancio, più frequentemente al centro di assalti alla diligenza di deputati e senatori, ma anche quello più utilizzato dai governi di turno per provare a sistemare in extremis varie emergenze o questioni rimaste in sospeso. Basti pensare al decreto del 2019 (poi convertito in legge nel 2020), con il quale il governo dell’epoca è intervenuto sul tema della concessione autostradale ad Atlantia. Ma il ricorso a questo tipo di norme è stato a più riprese collocato da costituzionalisti e “addetti ai lavori” tra gli abusi della decretazione. Dl sfuggiti in alcuni casi anche ai criteri imposti dalla nostra Costituzione su «necessità» e «urgenza». Non a caso nel 2012 la Corte costituzionale ha precisato che i decreti “Milleproroghe” sono legittimi solo se servono a prorogare la scadenza di misure urgenti e imminenti.Che cos’è il decreto MilleprorogheCon il termine “Milleproroghe” viene denominato un decreto legge che il governo di turno vara solitamente una volta all’anno. Questo Dl prevede il rinvio di scadenze o dell’entrata in vigore di alcune disposizioni il cui mancato rispetto potrebbe provocare gravi problemi per cittadini, imprese e istituzioni. La funzione del decreto è quindi quella di affrontare con un unico atto una serie di termini che altrimenti dovrebbero essere trattati e risolti separatamente. Come tutti i decreti, anche questo tipo di Dl deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore.Loading…Dal 2001 un appuntamento annuale, con qualche eccezioneLeggi di conversione di Dl in questo formato (varati molto spesso a dicembre) vengono di fatto approvate dal 2001 una volta all’anno. Con qualche eccezione: il 2003, il 2004 ed il 2006, quando i Milleproroghe varati sono stati due. Nel 2017 e nel 2019, invece, non ne è stato pubblicato nessuno. Nel 2018 il decreto è stato varato a luglio. Secondo una parte della “letteratura” in materia, norme assimilabili al Milleproroghe erano da considerare già presenti in alcuni testi degli anni Novanta.Abusi e misure settorialiNel corso degli anni i settori di intervento di questo strumento sono diventati sempre più vasti, portando, secondo molti costituzionalisti, anche a più di un “abuso”. Nel decreto per il 2023, ad esempio, si autorizzava l’erogazione delle risorse di un fondo da 10 milioni di euro attivato dalla legge di bilancio per il 2022 in favore dei proprietari di abitazioni non utilizzabili a causa dell’occupazione abusiva. Con il decreto del 2019, convertito in legge nel 2020, è stato previsto un intervento sul tema della concessione autostradale ad Atlantia. Il decreto per il 2023 ha invece disposto l’ennesimo rinvio sull’adeguamento dell’Italia alla cosiddetta direttiva Bolkestein (che prevede che i servizi pubblici e le concessioni siano affidati a privati solo per mezzo di una gara pubblica). Il Milleproroghe, insomma, è stato sovente utilizzato per intervenire in settori anche molto diversi il cui unico elemento comune era la necessità di rinviare le scadenze. Per questo motivo in varie occasioni si è parlato di un atto “omnibus”, una norma cioè dal contenuto estremamente eterogeneo.Decreti in formato «extra-large»L’appesantimento dei testi è confermato anche dal numero di articoli dei vari Milleproroghe varati. Il picco si è registrato nel 2020 con 82 articoli, mentre il primo Dl, quello del 2001, ne conteneva solo 9. Negli ultimi anni questi decreti, almeno in partenza, sono tornati ad alleggerirsi, anche se non del tutto. Nel 2021 il Milleproroghe contava 37 articoli, nel 2022 si è risaliti a 49 e nel 2023 l’asticella si è fermata a quota 46. L’ultimo Milleproroghe (per il 2025), al momento del varo presentava 21 articoli. A ingrossare ulteriormente gli articolati ci ha poi pensato, a colpi di emendamenti, il Parlamento durante la fase di conversione in legge. Soltanto per i due Milleproroghe approvati dalle Camere a inizio 2023 e 2024 sono stati approvati 241 ritocchi (tutti in prima lettura): 162 nel primo caso e 79 nel secondo. LEGGI TUTTO

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    Eletti i quattro giudici della Consulta. Sono Marini, Cassinelli, Luciani e Sandulli

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaIl Parlamento in seduta comune ha eletto quattro giudici della Corte costituzionale. Si tratta di Francesco Saverio Marini (500 voti), Massimo Luciani (505), Maria Alessandra Sandulli (502), Roberto Cassinelli (503). Tutti hanno raggiunto il quorum dei tre quinti necessario all’elezione. A proclamarli è stato il presidente della Camera Lorenzo Fontana.Il via libera arriva con l’intesa tra i partiti, di maggioranza e opposizione, dopo 14 votazioni per un giudice e cinque per gli altri tre. Costante è stato nel tempo il pressing del Quirinale affinché finalmente il Parlamento eleggesse i componenti che impedivano alla Consulta di riunire il plenum.Loading…Torna il plenum dopo 460 giorniDopo 460 giorni la Corte costituzionale ritrova dunque il plenum, anche se ne trascorrerà ancora qualcun altro prima che i nuovi giudici prestino giuramento dinanzi al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ed entrino formalmente in carica. Tanti ne sono passati infatti dalla fine del mandato di Silvana Sciarra, l’11 novembre del 2023, prima che il 21 dicembre scorso concludessero il loro ruolo anche Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperretti. Una vacatio ampia ma non la più lunga. Il record infatti è di 626 giorni, che trascorsero dalle dimissioni di Giuseppe Frigo, il 7 novembre 2016, e il giuramento del successore Luca Antonini, il 26 luglio 2018. Tre giorni in più rispetto ai 623 registrati tra il 23 ottobre 1995 e il 9 luglio 1997, dalla fine del mandato di Vincenzo Caianiello e il giuramento del suo successore Annibale Marini. In entrambi casi complice della lunga attesa anche il passaggio di legislatura. Non si tratta comunque di casi sporadici, soprattutto quando ad essere nominati debbono essere i giudici scelti dal Parlamento. Trascorsero infatti 541 giorni prima che il 21 dicembre 2015 giurassero i tre giudici tra i quali era compreso anche il sostituto di Luigi Mazzella, arrivato a fine mandato il 28 giugno dell’anno precedente (l’11 novembre del 2014 aveva giurato Silvana Sciarra, in base agli accordi tra i partiti destinata a succedere a Gaetano Silvestri, anche lui uscito dalla Corte con Mazzella). 524 invece i giorni dalla cessazione del mandato di Cesare Mirabelli e Francesco Guizzi, il 21 novembre 2000, e il giuramento di Romano Vaccarella e di Ugo De Siervo, il 29 aprile 2002.Tajani: in Forza Italia legittime aspirazioni ma nessuna lite«Avete raccontato cose che non esistevano. Non so perché. Non c’è mai stato un problema sul candidato che doveva esprimere il centrodestra. Il problema era sul nome indipendente che la sinistra doveva proporci. Quando ce l’hanno dato, ieri o l’altro ieri – Sandulli – abbiamo detto va bene e abbiamo detto domani si vota. Non c’è mai stato un problema dentro Forza Italia: che ci fossero legittime aspirazioni sì, ma non abbiamo mai litigato, abbiamo sempre detto fin dall’inizio – e i parlamentari lo sapevano – che c’era un accordo di tutti i partiti di non mettere parlamentari in carica». Così il ministro degli Esteri e leader di Fi, Antonio Tajani. Con la scelta di Roberto Cassinelli «abbiamo depistato tutti, nessuna ha indovinato. È un giurista, ha i requisiti, era uno dei nomi in valutazione. Ho sempre detto che alla fine FI avrebbe espresso un nome», aggiunge il capogruppo azzurro al Senato, Maurizio Gasparri, parlando con i cronisti in Transatlantico a Montecitorio.Conte: nostre idee più chiare che in maggioranzaAnche l’opposizione plaude per il passo in avanti da tanto atteso. «Abbiamo trovato un accordo, siamo finalmente giunti a una soluzione. Alla fine noi avevamo le idee più chiare delle forze di maggioranza che sono arrivate all’ultimo» ha commentato, a margine di un’iniziativa sull’autonomia, il presidente M5S Giuseppe Conte, parlando del voto del Parlamento in seduta comune. LEGGI TUTTO

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    Vertice di governo a Palazzo Chigi, focus sulla riforma dei medici di famiglia

    L’esecutivo è al lavoro con particolare focus sulla sanità: medicina territoriale, Servizio sanitario nazionale e problema delle liste d’attesa al centro. Al vertice, oltre a Giorgia Meloni e ai vicepremier, il ministro della Sanità Orazio Schillaci e quello dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Presente anche il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia: “Solo una discussione generale per fare il punto della situazione, nessuna conclusione”

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    Focus sulla sanità nel vertice di governo in corso a Palazzo Chigi. La riunione dell’esecutivo, iniziata alle 11, ha visto la presenza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, arrivata nella sede del governo di prima mattina, dei vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, del ministro della Sanità Orazio Schillaci e di quello dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Presente anche il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia. Come riferiscono fonti vicine al governo, il vertice è focalizzato in particolare sulla sanità: l’esecutivo è al lavoro sulla riforma relativa ai medici di famiglia. “Stiamo discutendo con le Regioni – aveva anticipato il ministro Schillaci -, ancora non c’è una posizione unitaria, nei prossimi giorni credo che ci chiariremo le idee”.

    Fedriga: “Situazione inquadrata, nessuna soluzione”
    “Era solo una discussione generale per fare il punto della situazione, non si è arrivati a nessuna conclusione, c’è stato solo l’inquadramento generale della situazione”. Lo ha detto al termine della riunione, uscendo da Palazzo Chigi, il governatore Fedriga. Per le Regioni, ha spiegato Fedriga, “ci sono più priorità: ovviamente abbiamo la grande sfida delle liste d’attesa, quella dei pronto soccorso, dell’emergenza-urgenza, la sfida dell’attrattività di alcune specializzazioni. Il tema sicuramente è grande. Adesso ci confronteremo anche all’interno della Conferenza e successivamente ovviamente con il governo”.

    Schillaci: “Far funzionare meglio la medicina territoriale”

    Della riforma sui medici di base ha già parlato ieri il ministro Schillaci in un’intervista al Sole24Ore. “Sulle case di comunità e sulla medicina territoriale non possiamo assolutamente arretrare: abbiamo bisogno della leale collaborazione dei medici di medicina generale e sono certo che ci sarà per far funzionare meglio la medicina territoriale, visto che da questa dipendono tanti problemi come il sovraffollamento del pronto soccorso e poi bisogna anche stare a sentire quelle che sono le esigenze dei nuovi medici”. Il ministro ha poi commentato le prospettive di lavoro dei giovani: “Se non scelgono oggi di fare il medico di famiglia – ha detto – dobbiamo capire che le regole vanno cambiate da subito e bisogna far sì che la medicina generale – aggiunge – diventi una specializzazione di tipo universitario. Basta con corsi diversi da regione a regione”.  LEGGI TUTTO

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    Mattarella a Perugia per i 100 anni Università per stranieri: “Italia paese accogliente”

    “Qui sono tutti in casa propria, tutti gli studenti presenti in questo Ateneo”, dice il Capo dello Stato. Si tratta della più antica istituzione italiana – impegnata nell’attività di insegnamento, ricerca e diffusione della lingua e della cultura italiana in tutte le loro espressioni

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    Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è a Perugia per la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università per stranieri che compie 100 anni. Mattarella è stato accolto dalla presidente della Regione Umbria, Stefania Proietti, dal presidente della Provincia, Sandro Pasquali, e dalla sindaca di Perugia, Vittoria Ferdinandi. Ha poi salutato gli studenti che lo attendevano fuori. Poi l’incontro con il rettore Valerio De Cesaris.

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    Mattarella: “Italia Paese accogliente e aperto”
    L’Università per stranieri di Perugia nel suo secolo di vita ha offerto “l’immagine di un’Italia Paese accogliente, aperto”, ha sottolineato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico e della celebrazione del centenario dell’Ateneo. “Nessuno qui è straniero, sono tutti in casa propria gli studenti presenti in questo Ateneo -ha ricordato il capo dello Stato- specchio del mondo con le sue preziose diversità che sono anche ricchezza che arricchisce vicendevolmente e che questo Ateneo pratica e coltiva in maniera esemplare, nell’ottica e nella convinzione che la cultura sia veicolo di pace, di dialogo, di collaborazione, di amicizia”. Mattarella ha infine messo in evidenza come questo Ateneo sia “non soltanto un luogo in cui si studia e si incontra professionalità docente adeguata, ma un luogo in cui i docenti esprimono anche un’attitudine e una disponibilità di carattere umano, che è quella che rende efficace l’insegnamento e conferisce all’insegnamento valore”.   

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    L’Università per stranieri celebra i 100 anni con Mattarella
    Prima dell’inizio della cerimonia, il presidente Mattarella ha incontrato una rappresentanza degli studenti e una del personale tecnico-amministrativo.  Mattarella si è successivamente recato nella Sala Goldoni per firmare il libro d’onore degli ospiti, per poi ricevere da parte del rettore De Cesaris, a nome della comunità accademica, un dono in segno di gratitudine per la visita (una copia anastatica dell’edizione originale del 1907 del libro di Raniero Gigliarelli sulla storia di Perugia).  Per la visita del presidente Mattarella è stato predisposto un imponente dispositivo di sicurezza. 

    Università degli stranieri a Perugia – ©Ansa

    Ateneo impegnato nell’insegnamento della cultura italiana       
    “L’università per gli stranieri è una delle più antica istituzione italiana – sottolinea l’ateneo – impegnata nell’attività di insegnamento, ricerca e diffusione della lingua e della cultura italiana in tutte le loro espressioni”.  La sua storia inizia nel 1921, quando l’avvocato perugino Astorre Lupattelli istituisce a Perugia i primi corsi di cultura superiore su francescanesimo e etruscologia, ambiti fortemente legati al territorio e alla sua storia, con lo scopo di diffondere in Italia e all’estero la conoscenza dell’Umbria e delle sue bellezze naturali e artistiche. Nel 1925, il Regio Decreto numero 1965 del 29 ottobre sancisce ufficialmente la nascita della “Regia università italiana per stranieri”. Negli anni ’90, la successiva evoluzione della sua configurazione, con l’equiparazione alle università statali (Legge 204 del 1992). Lo Statuto dell’ateneo stabilisce che essa “promuove e organizza lo svolgimento di attività di formazione e ricerca scientifica finalizzate alla conoscenza e alla diffusione della lingua, della cultura e della civiltà italiane, al dialogo interculturale, alla comunicazione e alla cooperazione internazionale, in raccordo con il territorio e le istituzioni di esso rappresentative e con le istituzioni nazionali e internazionali che perseguono scopi affini”.

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    Caso Almasri, cosa è successo. Dalla liberazione al ruolo della Cpi

    Il 28 gennaio poi la premier ha fatto sapere che “il procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi, lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha appena inviato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino Almasri”. L’avviso di garanzia è stato “inviato anche al ministro Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano, presumo al seguito di una denuncia che è stata presentata dall’avvocato Luigi Ligotti ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi conosciuto per avere difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi”. Questo l’annuncio della premier Giorgia Meloni, che ha dato la notizia con un video in cui mostra alla telecamera il foglio dell’avviso di garanzia. Meloni, dopo aver dato la notizia, ha sottolineato: “Penso che valga oggi quello che valeva ieri, non sono ricattabile non mi faccio intimidire. È possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore, ma anche e soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada a difesa degli italiani, soprattutto quando è in gioco la sicurezza della nazione. A testa alta e senza paura”. LEGGI TUTTO