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    Regionali Veneto, Meloni a sostegno di Stefani: “Noi non un’alleanza ma una comunità”

    La campagna elettorale del centrodestra in Veneto si chiude al Gran Teatro Geox di Padova, dove la premier Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini sono saliti sul palco insieme con il candidato presidente Alberto Stefani, in vista delle elezioni di domenica 23 e lunedì 24 novembre. “Quella che vedete qui non è una alleanza di comodo tenuta insieme dalla colla scadente dell’interesse, quella che vedete qui è una comunità di gente fiera di lavorare spalla a spalla per dare risposte ai cittadini. Questo è quello che ci consente di fare la differenza e di fare quello che ci è riuscito meglio in questi anni, stravolgere i pronostici”, ha dichiarato la premier Meloni. “Come sempre il nostro obiettivo è governare nel migliore dei modi e per questo ringrazio Matteo Salvini e Antonio De Poli, Maurizio Lupi e Fratelli d’Italia e tutti quelli che sostengono il nostro Governo. Se io non avessi alle spalle il partito coeso e generoso che ho alle spalle non potrei fare il mio lavoro come lo faccio”. 

    Meloni: “In Veneto grande energia per staffetta Zaia-Stefani”

    “Grazie per questo straordinario entusiasmo, per questa sala stracolma, che ci aiutano a raccogliere l’energia necessaria a governare questa nazione come merita di essere governate e con cui dimostrate di voler ancora camminare insieme a noi per portare questa bella operosa terra ancora più in alto nei prossimi anni”, ha poi sottolineato la premier al comizio a sostegno del leghista Alberto Stefani. “Grazie per condividere con noi questa battaglia, per accompagnare nella corsa Alberto Stefani per voler garantire al Veneto altri anni di buon governo in questo passaggio di testimone da Luca Zaia ad Alberto Stefani”.

    “Non ci davano al 5%, siamo ancora al 31,4% mai successo”

    Meloni ha poi rivendicato il risultato ottutenuto dal suo partito negli ultimi sondaggi “Ricordo quando dicevano che Fdi non avrebbe raggiunto il 5%: l’ultimo sondaggio ci dà al 31,4%, il dato più alto di sempre, mai accaduto da quando ci sono i sondaggi dopo tre anni di governo”, ha riferito, per poi sottolineare: “Dicevano che non saremmo durati più di sei mesi, siamo il terzo più longevo della repubblica italiana su 68″.     
    “Andate a votare e lasciateli all’opposizione”

    La premier ha poi criticato le proposte dell’opposizione. “C’è chi ama l’ideologia e chi si occupa delle persone, tagliamo le tasse a 800mila veneti con 50mila euro di reddito annuo. Per loro chi guadagna 2500 euro con due figli e un mutuo sulle spalle è ricco. Vi dico per favore andate a votare e lasciateli all’opposizione con le loro ricette tardo comuniste”. Sullo sciopero del mese prossimo Giorgia Meloni ha sottolineato: “Lo sciopero della Cgil è arrivato di venerdì perché la rivoluzione si sa viene meglio nel weekend”. 

    “Sinistra avvelena i pozzi e strumentalizza Falcone” 

    “L’opposizione non sa più cosa inventarsi per avvelenare i pozzi” e “alcuni giornalisti si sono dovuti inventare le finte dichiarazioni di Falcone e Borsellino: fate la vostra battaglia senza sconti ma non strumentalizzate gli eroi di questa nazione, a loro dobbiamo inchinarci, di grazia lasciateli stare”, ha poi riferito a proposito della riforma della giustizia. 

    “Italia ora seria, non ci facciamo mettere piedi in testa”

    Meloni, inoltre, ha rivendicato la posizione dell’Italia nello scenario europeo. “Dicevano che l’Italia sarebbe stata la pecora nera d’Europa ma il Ft ha titolato l’Europa deve prendere esempio dall’Italia”, ha dichiarato, sottolineando che da quando c’è il centrodestra al governo “l’Italia è tornata una nazione seria anche perché siamo consapevoli della grande nazione che siamo e non conteniamo a nessuno di metterle i piedi in testa”. LEGGI TUTTO

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    Cinquant’anni di referendum: nel libro a cura di Chimenti il vademecum verso il voto sulla giustizia

    Ascolta la versione audio dell’articoloBen 81 volte in poco più di 50 anni, dal 1974 con il primo e importantissimo voto popolare in favore del divorzio fino al giugno scorso con il voto fallito per mancanza di quorum sul Jobs act e sulla cittadinanza. I referendum abrogativi giunti alla fase conclusiva son stati 77, quelli costituzionali solo 4: due le riforme approvate dagli italiani (la riforma del Titolo V nel 2001 e la riduzione del numero dei parlamentari nel 2020) e due quelle bocciate (le grandi riforme della seconda parte della Costituzione volute da Silvio Berlusconi nel 2006 e da Matteo Renzi nel 2016).Cheli: uno strumento da riformare per evitare la fuga dalle urneQuando mancano ormai poche settimane al referendum confermativo sulla riforma costituzionale targata Nordio che introduce la separazione delle carriere tra Pm e giudici e divide in due il Csm (si voterà tra fine marzo e inizio aprile), la storia dello strumento principe della democrazia diretta nel nostro Paese è ripercorsa criticamente in un volume appena pubblicato per i tipi di Giappichelli a cura di Anna Chimenti dal titolo Le stagioni del referendum, la democrazia diretta tra populismi e social media. Autorevoli i contributi ospitati, principalmente di costituzionalisti, a partire dalla parte introduttiva affidata ad Enzo Cheli, il quale tra l’altro rilancia alcune proposte di riforma dello strumento per superare «l’astensionismo referendario usato programmaticamente» allo scopo di far fallire i referendum abrogativi, come accaduto quasi sempre negli ultimi 25 anni: «Alcuni correttivi e aggiustamenti alla disciplina vigente sono necessari e possono riassumersi in queste finalità primarie – scrive Cheli -: nell’introduzione a fianco del referendum abrogativo di un referendum propositivo legato all’esercizio del potere di iniziativa legislativa popolare; nell’aumento del peso della domanda referendaria con un incremento del numero dei soggetti richiedenti da coinvolgere attraverso l’utilizzo delle tecniche digitali; nell’eliminazione o abbassamento del quorum strutturale».Loading…Solo quattro fin qui i voti sulle riforme costituzionali: l’attenzione degli italianiParticolarmente d’attualità, visto il referendum confermativo sulla giustizia di primavera, è il capitolo sul voto degli italiani sulle riforme costituzionali di Stefano Ceccanti e Francesco Clementi. In questo caso, a differenza dei referendum abrogativi, non è previsto quorum, ma è un fatto che tre volte su quattro il 50% è stato superato, fino al arrivare al 64% di affluenza nel 2016 (solo nel 2001 ad esprimersi sulla riforma federalista del Titolo V fatta dal centrosinistra fu poco più del 34% degli italiani). Segno che quando si tratta della Costituzione gli italiani vogliono dire la loro con chiarezza, e chissà che non sia così anche sul referendum sulla giustizia.Ceccanti e Clementi: agire contro il rischio politicizzazione dei referendum costituzionaliIl rischio di politicizzazione del referendum è tuttavia ancora più forte nel caso dei referendum sulle riforme costituzionali, come insegna il caso di Renzi che chiamò al voto politico sul suo governo e fu costretto per questo a dimettersi da Palazzo Chigi dopo la sconfitta. Da qui il warning di Ceccanti e Clementi, con un occhio al prossimo appuntamento referendario che rischia di trasformarsi in un voto pro o contro il governo Meloni perdendo così di vista le questioni di merito: «Il referendum costituzionale è uno strumento prezioso della democrazia italiana, pensato dai costituenti come garanzia di equilibrio e partecipazione. Tuttavia, la sua applicazione concreta ha mostrato limiti, distorsioni e usi impropri, che ne hanno ridotto l’efficacia e aumentato il rischio di conflittualità politica – scrivono Ceccanti e Clementi -. Serve dunque che sia gestito meglio proprio per non indebolire la sovranità popolare, ma rafforzarla, rendendola uno strumento effettivo di partecipazione responsabile, in una democrazia costituzionale matura, il cui giudizio sia effettivamente sul merito delle innovazioni proposte e non un “test” sul governo pro tempore».Mancina: la diffidenza del Pci ha segnato la prima stagione referendariaPoliticamente significativo è poi il capitolo a cura di Claudia Mancina, filosofa, dal titolo “Le sinistre e i referendum”, dal quale emerge come il Pci fin dai tempi di Palmiro Togliatti e le sue successive trasformazioni abbia avuto un atteggiamento sostanzialmente conservativo verso le innovazioni proposte dai quesiti: dalla riluttanza iniziale sul divorzio, soprattutto per il timore di compromettere il rapporto con la Dc in tempi di compromesso storico e più in generale il rapporto con l’elettorato cattolico, fino alla netta sconfitta politica nel referendum sulla scala mobile voluto dall’allora premier Bettino Craxi. LEGGI TUTTO

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    Autonomia, Calderoli e Fontana hanno firmato la pre-intesa per la Lombardia

    Ascolta la versione audio dell’articoloIl ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli e il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana hanno firmato la pre-intesa sull’Autonomia relativa al trasferimento di funzioni in quattro materie: protezione civile, professioni, previdenza complementare e integrativa e la parte della sanità che interessa il coordinamento della finanza pubblica. La firma è arrivata al Palazzo Lombardia di Milano, sede della giunta regionale. In mattinata la stessa pre-intesa era stata firmata da Calderoli con il presidente del Veneto Luca Zaia. Mercoledì la firma nelle altre due regioni coinvolte: Liguria e Piemonte.La pre-intesa riguarda il trasferimento delle prime quattro materie per cui non è prevista in teoria la definizione dei Lep, ossia quelle materie per le quali non occorre la preventiva individuazione dei livelli essenziali di prestazione sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.Loading…Calderoli: federalismo entro marzo ’26 o salta rata Pnrr «L’obiettivo è concludere la fase del federalismo fiscale su cui ci stiamo confrontando e che ha come scadenza marzo 2026, è una milestone del Pnrr. O la portiamo a casa o salta la rata di 32 miliardi e 600 milioni» ha detto Calderoli dopo aver firmato le pre-intese sull’autonomia con la Regione Lombardia al Palazzo Lombardia di MilanoIl pressing della LegaSono mesi che la Lega è in pressing per la firma. Alla fine il Carroccio l’ha spuntata perché l’accordo tra i leader era firmare le pre-intese dopo le regionali per venire incontro alle perplessità di Fratelli d’Italia e di Forza Italia legate al fatto che il 23 e 24 novembre si vota anche in Campania e Puglia, regioni dove l’autonomia differenziata non ha grande appeal.Le criticitàMa restano le perplessità dei due alleati nel merito: i sanitari fronti su cui vorrebbe intervenire la Lega, ossia il personale e gli stipendi, sono di esclusiva competenza statale. Di più: nella sentenza della Corte costituzionale 192 del 2024 che ha di fatto smontato la legge Calderoli si stabilisce chiaramente che la distinzione tra materie Lep e materie no Lep non ha senso logico e giuridico. E ogni qualvolta una funzione differenziata riguardi un diritto civile o sociale ciò impone allo Stato di stabilire i relativi Lep prima della devoluzione. Se si guarda alle materie oggetto delle intese annunciate da Calderoli, i diritti fondamentali coinvolti sono più di uno: sicurezza, salute, libertà individuale, libertà di impresa, diritto alla previdenza. Insomma, intesa o non intesa, occorre comunque attendere la definizione dei Lep. E la legge delega, riscritta tenendo conto dei paletti della Consulta, non ha ancora iniziato l’iter in Senato. E ancora: la materia “professioni” è una di quelle «il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile» in quanto ormai incisa nel diritto europeo. LEGGI TUTTO