Per il Tribunale dei ministri la premier era informata, ma non esistono prove di una sua “reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato”. Per la vicenda del generale libico accusato di crimini di guerra, prima arrestato e poi rilasciato e rimpatriato dalle autorità italiane a gennaio, risultano ancora indagati il sottosegretario Mantovano e il ministro degli Interni Piatendosi. Il Guardasigilli Nordio, oltre che per favoreggiamento, è accusato anche di omissione di atti d’ufficio
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“Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna, limitatamente alla posizione della sola Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, tanto per il reato” di peculato quanto per quello di favoreggiamento. Dunque la premier era informata, ma non esistono prove di una sua “reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato (…) con le attività poste in essere dagli altri concorrenti”. Sono queste le motivazioni con cui il Tribunale dei ministri, il 4 agosto, ha archiviato la posizione della presidente del Consiglio sul caso Almasri. Per la vicenda del generale libico accusato di crimini di guerra, prima arrestato e poi rilasciato e rimpatriato dalle autorità italiane lo scorso gennaio, risultano ancora indagati il sottosegretario Alfredo Mantovano e il ministro degli Interni Matteo Piatendosi. Il Guardasigilli Carlo Nordio, oltre che per il favoreggiamento, è accusato anche di omissione di atti d’ufficio. Il provvedimento di archiviazione notificato alla premier lascia intendere che per i due ministri e lo stesso Mantovano si apra la strada dell’autorizzazione a procedere al Parlamento, ovvero la richiesta di un processo.
Meloni: “Ogni scelta del governo concordata”
“A differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro”, ha commentato la premier in un posto sui social. Nel merito, ha proseguito Meloni, “ribadisco la correttezza dell’operato dell’intero Esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani. L’ho detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, e lo ribadirò in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere”.
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Gli elementi alla base della scelta della Corte
“In base alle informazioni ricevute dal capo dell’Aise, Giovanni Caravelli (sentito come testimone, ndr) la presidente Meloni era sicuramente informata” della vicenda, scrive la Corte, ma quella fornita dal responsabile degli 007 competenti per l’estero resta una informazione generica perché “non compare alcun dettaglio o elemento valutabile circa la portata, natura, entità e finalità dell’informazione, specie sotto il profilo della sua condivisione delle ‘decisioni’ adottate”. Sarebbero proprio questi elementi a scagionare in primis la premier, per la quale non ci sarebbero elementi “dotati di gravità, precisione e concordanza tali da consentire di affermare in che termini e quando la Presidente del Consiglio sia stata preventivamente informata e abbia condiviso la decisione assunta in seno alle riunioni” sul caso Almasri. Tutto ciò pur riconoscendo “l’assunzione di responsabilità politica” fatta da Meloni anche alle sue dichiarazioni in tv. E poca rilevanza ha la nota delle autorità libiche, che contiene un profondo ringraziamento sulla vicenda Almasri, visto che si tratta di una formalità legata al “linguaggio protocollare”.