Una nuova formula per il pensionamento anticipato potrebbe presto entrare nel lessico previdenziale italiano. Si chiama “Quota 41 flessibile” e rappresenta una delle ipotesi attualmente al vaglio del Governo, in vista della prossima legge di bilancio. Il progetto, che nasce nel contesto delle riflessioni sulla flessibilità in uscita, punta a offrire un’opzione in più ai lavoratori con carriere lunghe, permettendo loro di lasciare il lavoro a 62 anni, con 41 anni di contributi, ma accettando una riduzione sull’assegno pensionistico.
La questione
Il dibattito si inserisce in una fase delicata per il sistema pensionistico italiano. Negli ultimi anni, infatti, l’accesso anticipato alla pensione è stato progressivamente limitato. Quota 103, Opzione donna e Ape sociale hanno subito revisioni restrittive, nel tentativo di contenere la spesa pubblica e rispettare gli equilibri di bilancio. Ora, tuttavia, l’ipotesi di una nuova misura sembra segnare un possibile cambio di passo, almeno sul piano della narrazione politica.
Quota 41 flessibile
Quota 41 flessibile non si configurerebbe come una riforma organica della previdenza, bensì come un’aggiunta all’attuale impianto normativo. Si tratterebbe, secondo le anticipazioni, di una possibilità riservata a chi, entro il 31 dicembre 2025, raggiungerà contemporaneamente i 62 anni di età e i 41 anni di contributi. A quel punto, il lavoratore avrebbe la facoltà di anticipare l’uscita dal lavoro rispetto ai 67 anni fissati dalla legge Fornero, accettando però una penalizzazione sull’importo mensile dell’assegno. Diversamente da quanto avviene con Quota 103, dove si applica il ricalcolo contributivo che può determinare tagli significativi alla pensione, la Quota 41 flessibile prevede una decurtazione fissa, pari al due per cento per ogni anno di anticipo rispetto all’età ordinaria. Nel caso limite di un’uscita a 62 anni, la riduzione complessiva arriverebbe quindi al dieci per cento. Un’ulteriore clausola attualmente allo studio escluderebbe da qualsiasi penalizzazione i lavoratori con redditi inferiori ai 35 mila euro annui.
L’impatto sui conti pubblici
L’adozione di questa misura comporterebbe inevitabilmente un impatto sui conti pubblici. Negli anni recenti, la direzione intrapresa dal Governo è stata quella della prudenza, con l’obiettivo di ridurre gradualmente l’incidenza della spesa previdenziale sul bilancio dello Stato. Le modifiche restrittive alle finestre di uscita hanno consentito di contenere i costi, ma hanno anche innalzato l’età media di pensionamento. Secondo i dati diffusi da Istat, nel 2024 l’età media effettiva per accedere alla pensione è salita a 64,8 anni, con un incremento di sette mesi rispetto al 2023. Il progressivo irrigidimento delle regole ha infatti ridotto il numero di lavoratori in grado di lasciare il lavoro in anticipo.
Il quadro previdenziale
Un altro dato emerso con chiarezza dalle rilevazioni riguarda il divario di genere nei trattamenti previdenziali. Gli uomini, grazie a carriere più continue e stipendi mediamente più elevati, percepiscono in media una pensione lorda di 2.143 euro. Le donne, invece, si fermano sotto la soglia dei 1.600 euro lordi mensili, una differenza che riflette le disuguaglianze presenti lungo l’intero percorso lavorativo. Quota 41 flessibile, se confermata, potrebbe dunque rappresentare una risposta parziale alla domanda di maggiore flessibilità nel ritiro dal lavoro.
Tuttavia, i dettagli tecnici, le coperture economiche e la reale fattibilità della misura sono ancora in fase di valutazione. L’inserimento all’interno della manovra 2026 dipenderà anche dal confronto politico e dalle compatibilità con gli obiettivi di contenimento del deficit.