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Mediobanca e l’offerta indecente ai soci Generali

Nonostante il coro di apprezzamenti levatosi a caldo sull’Offerta di scambio che Mediobanca intende lanciare su Banca Generali, una più attenta valutazione delle scarne informazioni fornite dall’istituto porta a concludere che i benefici per gli azionisti di Piazzetta Cuccia non sono poi tanto evidenti. Anzi, al più l’operazione si presenta neutra, se si considerano gli utili per azione post acquisizione pur con le sinergie stimate, che tra l’altro potrebbero tradursi in dissinergie nella prospettiva di una possibile cancellazione del brand Banca Generali.
Di sicuro, per ammissione stessa di Mediobanca, l’operazione è destinata a consumare capitale, ma probabilmente in misura assai più elevata (fino a 130 punti base contro gli 80 denunciati) rispetto alle prime indicazioni. Alla luce di ciò, sfuma non poco l’idea di un’operazione industrialmente valida come da molti viene definita. Naturalmente per un giudizio ultimo dovremo attendere che l’istituto guidato da Alberto Nagel faccia chiarezza sulle non poche informazioni che mancano. Allo stato possiamo però aggiungere che dal punto di vista finanziario, l’operazione non sembra essere particolarmente conveniente neppure per gli azionisti di minoranza di Banca Generali (cui fa capo il 49,8% del capitale), che tra l’altro non avrebbero alcuna influenza sull’esito dell’offerta.

Del tutto incomprensibile, invece, la ragione per la quale gli azionisti delle Generali, cui fa capo il 50,2% di Banca Generali, dovrebbero accettare una proposta che prevede l’impoverimento del patrimonio industriale in cambio di azioni proprie (la metà del 13,1% posseduto da Mediobanca) che per legge non producono dividendi e non hanno diritto di voto. Oggi il consiglio di amministrazione della compagnia triestina si riunisce per completare il quadro nella nuova governance, necessaria dopo l’insediamento avvenuto un paio di settimane fa. All’ordine del giorno l’istituzione di sei comitati consiliari a presidio del buon funzionamento della compagnia. Il più delicato, quello cui è affidata la disamina delle cosiddette parti correlate, ha il compito di individuare eventuali conflitti d’interesse. Ed è nell’ambito di questo comitato che dovranno essere dipanati i sospetti sorti in capo al cda che, nemmeno cinque giorni dopo la sua nomina, è stato “aggredito” dalla proposta («non difensiva ma offensiva», l’ha definita Nagel) lanciata da chi l’aveva votato vittoriosamente conquistando 10 poltrone su 13. Ed essendo un’operazione che Mediobanca studiava da cinque anni (per ammissione stessa di Nagel), vuol dire che quel voto è avvenuto nell’ambito di un disegno la cui buona fede è tutta da dimostrare, da una parte e dall’altra. In breve: è normale che prima io ti nomini alla guida di un’azienda e poche ore dopo ti chieda di votare un’operazione a mio favore, che ha quale contropartita la cessione del 13,1% in forza del quale ho contribuito a farti nominare? Come non pensare a qualche diabolica alchimia?

Come non pensare al conflitto d’interessi o al concerto?

E Consob, nulla ha da obiettare di fronte a una comunicazione che somiglia molto a una informativa ingannevole? Anche di questo si dovrà occupare il nascente Comitato per le Parti Correlate.

O, quantomeno, dovrà fornire elementi che aiutino a fare chiarezza su questa bomba fumogena che sembra costruita a bell’apposta per non arrivare fino in fondo.

Quanto a Trieste, attualmente si contano solo effetti negativi dall’eventuale successo dell’Ops. Indipendentemente dall’idea che si sono fatti i grandi azionisti sulla possibilità che alla fine il tutto possa tradursi in una operazione win-win (pensiamo in particolare ai gruppi Caltagirone e Delfin), un conto è infatti possedere quote significative sia in Mediobanca sia in Generali, visto che alla fine il conto più o meno si pareggia mentre Piazzetta Cuccia direbbe finalmente addio a Trieste; altro è possedere soltanto titoli della compagnia, come la maggior parte dei fondi o dei piccoli azionisti. Basti pensare al fatto che con la cessione di Banca Generali, la casa-madre perderebbe d’un colpo circa 200 milioni di euro di utili (il 50% dei profitti previsti) mentre in cambio riceverebbe il 6,5% del proprio capitale, che teoricamente potrebbe essere annullato (come per un buyback da 3,2 miliardi), ma che allo stato difficilmente si procederà in tal senso per le implicazioni negative che ciò avrebbe in termini di Solvency Ratio.

Infine, se davvero Trieste è giunta alla determinazione di cedere ciò che fino all’altro ieri giudicava una sorta di gioiello della corona, perché non organizzare una procedura ordinata al fine di massimizzare valore e sinergie di Banca Generali nell’interesse di tutti gli azionisti?
Che senso ha essere ostaggio di un’offerta la cui ratio vera è tutta da decifrare, visto il pulpito da cui

viene proposta? Qualunque sia questa ratio, è impensabile che – semmai il percorso dell’Ops dovesse arrivare fino in fondo da parte Piazzetta Cuccia non sia l’assemblea straordinaria delle Generali a dire l’ultima parola.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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