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    Il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha 100 anni

    Caricamento playerPer molti secoli la scienza è progredita in buona parte attraverso scoperte di persone che potevano dedicarsi ai propri studi grazie a risorse economiche di famiglia, al sostegno di persone facoltose o all’esercizio di professioni svolte in parallelo. Nel corso dell’Ottocento poi le università hanno cominciato ad avere un ruolo sempre maggiore, via via che si definivano le diverse branche della scienza per come la conosciamo oggi e si aprivano facoltà scientifiche. Nell’ultimo secolo infine si sono sviluppati istituti dedicati esclusivamente alla ricerca, molto spesso voluti dai governi: è il caso del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano, il CNR, che fu fondato esattamente cento anni fa.Oggi è il principale ente di ricerca italiano per numero di ricercatrici e ricercatori, 5.559, che lavorano in 88 istituti e 228 sedi con laboratori sparsi nel territorio nazionale, ed è anche l’ente non universitario che finanzia più dottorati. Si occupa di un gran numero di ambiti di studio, dalla fisica alle scienze agroalimentari, dalla chimica ai beni culturali, dalle scienze biomediche all’ingegneria.La storia del CNR inizia dopo la Prima guerra mondiale. Alla fine del conflitto molti paesi, interessati dalle tecnologie usate dall’esercito tedesco come i sottomarini e i gas velenosi, vollero favorire il progresso scientifico e le sue applicazioni pratiche, sia in campo militare che industriale. Si pensò allora di creare organizzazioni che coordinassero le nuove ricerche tra università, aziende ed esercito: in Italia venne istituito, nel 1923, il CNR. Il suo primo presidente fu l’importante matematico e fisico Vito Volterra, che durante la guerra mondiale si era occupato di dirigibili maturando una certa esperienza nelle applicazioni pratiche delle scoperte scientifiche.– Leggi anche: Vito Volterra e la libertà della scienzaInizialmente il CNR si occupava soprattutto di fisica e chimica. Quando nel 1927 Volterra dovette rinunciare alla presidenza dell’ente in quanto antifascista (nel 1931 fu uno dei dodici professori universitari italiani a rifiutarsi di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo), il regime di Benito Mussolini nominò al suo posto Guglielmo Marconi, che nel 1909 era stato insignito con il premio Nobel per la Fisica per «lo sviluppo della telegrafia senza fili» ed era quindi molto noto e stimato anche all’estero. Marconi tentò, come Volterra prima di lui, di creare laboratori di ricerca al di fuori del contesto universitario, ma non riuscì davvero in questo intento: i principali risultati scientifici italiani degli anni Trenta furono ottenuti dal gruppo di Enrico Fermi che lavorava all’interno del Regio istituto di fisica dell’università di Roma.Alla morte di Marconi nel 1937, Mussolini nominò presidente del CNR il capo di Stato maggiore Pietro Badoglio, che avrebbe poi firmato l’armistizio del 1943. Mussolini scelse un militare perché già all’epoca si parlava della possibilità di una nuova guerra in Europa e voleva che gli scienziati e l’esercito collaborassero. La cosa non funzionò mai davvero, e così il regime ridusse i finanziamenti al CNR. In quegli stessi anni la comunità scientifica italiana aveva peraltro subìto grandi danni a causa delle leggi razziali contro gli ebrei che avevano spinto molti scienziati, tra cui Fermi, vincitore del Nobel per la Fisica nel 1938, a trasferirsi all’estero.Il periodo di maggior rilevanza della storia del CNR iniziò dopo la Seconda guerra mondiale, quando fu riformato in senso democratico, ampliò i propri campi di attività e collaborò alla ricostruzione del paese. Infatti il CNR ebbe un ruolo importante nella pianificazione territoriale e negli studi ingegneristici necessari per costruire il gran numero di abitazioni che servivano nelle città italiane in quel periodo. Fece anche studi per la costruzione del gran numero di ponti e viadotti realizzati negli anni Quaranta e Cinquanta, e sviluppò le normative tecniche per le attività produttive, quelle che garantiscono la sicurezza dei lavoratori dell’industria, dell’edilizia e non solo.Ma il CNR si occupò molto anche di fisica nucleare e dei suoi possibili impieghi nel campo dell’energia e di ricerca spaziale. Nel 1951 fu fondato l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), che sarebbe diventato un ente di ricerca autonomo negli anni Sessanta, e nel 1959 la Commissione per le ricerche spaziali, l’origine dell’Agenzia spaziale italiana (ASI) creata nel 1988. L’ambito delle ricerche spaziali è uno di quelli in cui il CNR collaborò di più con le aziende: negli anni Settanta questa collaborazione portò al lancio nello Spazio di SIRIO, il primo satellite geostazionario europeo per le telecomunicazioni.L’Istituto per le applicazioni del calcolo (IAC), che era stato fondato nel 1927 e fu il primo degli istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ne fa tuttora parte. Nel 1955 fu il secondo ente italiano dopo il Politecnico di Milano ad assemblare un computer, il FINAC, che fu usato per fare calcoli per il ministero del Bilancio, oltre che per la ricerca nucleare.Ancora negli anni Sessanta il CNR continuò la propria espansione. Prima di tutto perché nel 1962 l’allora presidente Giovanni Polvani volle aggiungere alle discipline scientifiche di cui si era occupato il CNR fino ad allora anche quelle umanistiche, in particolare nel campo delle scienze umane e del patrimonio culturale. Oggi fanno parte del CNR anche enti di ricerca come l’Istituto di studi giuridici internazionali (ISGI), l’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie (ISSIRFA) e l’Istituto opera del vocabolario italiano (OVI), che ha il compito di elaborare il vocabolario storico italiano.Tra gli anni Settanta e gli anni Novanta tuttavia il CNR ebbe un periodo di crisi a causa della diminuzione delle risorse finanziarie stanziate dai governi per la ricerca (erano più o meno sempre gli stessi fondi, ma nel frattempo aumentava l’inflazione) e della sempre maggiore burocratizzazione dei progetti di ricerca, che di fatto la rallenta. Le cose migliorarono con l’intervento di Antonio Ruberti, ingegnere, ex rettore della Sapienza di Roma e ministro dell’Università e della Ricerca scientifica dal 1988 al 1992, che riprese a finanziare il CNR.Oggi il Consiglio Nazionale delle Ricerche continua a essere la più importante istituzione di ricerca pubblica in Italia, ma da tempo si discute della necessità di rivederne parte dell’organizzazione e di modificare alcuni sui meccanismi legati sia all’assegnazione delle borse sia ai criteri di ricerca stessa.– Leggi anche: Cosa ci facciamo in Antartide LEGGI TUTTO

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    La ricerca scientifica ha bisogno dei gemelli italiani

    Caricamento playerDal 2001 esiste in Italia il Registro Nazionale Gemelli: raccoglie i dati di oltre trentamila gemelli, di età compresa fra 0 e 92 anni. È un progetto dell’Istituto Superiore di Sanità con finalità di ricerca scientifica, che ha molti corrispettivi in Europa e nel mondo. Le coppie di gemelli si iscrivono al registro e poi partecipano alle varie ricerche su base volontaria: sono strumento di studio, più che oggetto di studio.Il Registro si basa infatti sul cosiddetto “metodo gemellare”, che confrontando correlazioni e differenze in diversi tipi di gemelli permette di capire quanto una determinata caratteristica sia influenzata da una componente genetica e quanto da una ambientale, cioè quanto sia presente già alla nascita e quanto sia invece causata dall’ambiente in cui viviamo o dal nostro stile di vita. Il Registro ha permesso di portare a termine studi sugli effetti psicologici del lockdown, sull’arteriosclerosi, sul dolore cronico, sull’autostima e sull’altezza, solo per citarne alcuni. Torneremo sul come funziona, ma prima bisogna introdurre la distinzione più importante in ambito gemellare, quella fra gemelli monozigoti e dizigoti.In Italia in media ogni cento parti uno è gemellare. I gemelli sono quindi, a grandi linee, il due per cento della popolazione. I gemelli si distinguono fra monozigoti e dizigoti (a volte vengono impropriamente usati i termini omozigoti ed eterozigoti, che invece sono definizioni usate in genetica di tutt’altro significato): i gemelli monozigoti nascono da una singola cellula uovo fecondata da uno spermatozoo e hanno un identico patrimonio genetico. Sono sempre dello stesso sesso, fisicamente molto somiglianti, e rari. I gemelli dizigoti sono di più, nascono da diverse cellule uovo fecondate da diversi spermatozoi nello stesso periodo: nascono insieme, possono essere di sesso diverso e possono assomigliarsi poco, come due fratelli. Come i fratelli, hanno in comune circa il 50 per cento del patrimonio genetico.Se i gemelli identici esercitano da sempre un grande fascino nella cultura popolare, è nella seconda metà dell’Ottocento che se ne intuirono le potenzialità per lo studio scientifico. Il primo a elaborare un metodo fu l’eclettico studioso inglese Francis Galton (fra le altre cose considerato anche il padre della meteorologia), interessato a valutare il peso dell’ereditarietà (nature) e dell’ambiente (nurture), nella definizione dei caratteri fisici e mentali degli individui.Il metodo gemellare attuale è un’evoluzione delle sue intuizioni e si basa sul confronto fra gemelli monozigoti e dizigoti riguardo a una determinata caratteristica. Consideriamo, a puro termine di esempio, che si voglia stabilire quanto la celiachia sia ereditaria e quanto indotta da componenti ambientali. Semplificando molto, si valuterà nel campione di gemelli monozigoti quando la caratteristica è presente in entrambi, e la medesima operazione verrà fatta sul campione di gemelli dizigoti. Se la correlazione è maggiore nei primi, la componente genetica è prevalente.Un flashmob al Campidoglio nel 2015 organizzato dal Registro Nazionale Gemelli (ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)Il confronto fra i due tipi di gemelli permette di partire da fattori ambientali simili: sia i monozigoti che i dizigoti hanno equiparabili influenze ambientali, condivise e non condivise. Nelle prime rientrano l’alimentazione dei primi anni, i fattori educativi, le influenze della famiglia e del luogo di residenza, nelle seconde le scelte personali (fuma, non fuma, fa attività sportiva, ha un/una fidanzato/a?). Le influenze non condivise tendono ad aumentare con l’età, per entrambe le categorie di gemelli.Per usare questo metodo, consolidato negli anni e approfondito con specifiche che permettono di considerare diverse variabili, verificare l’influsso di determinati fattori e distinguere fra varie cause ambientali, è necessario avere una base di dati di gemelli sufficientemente ampia, eterogenea e distribuita sul territorio nazionale.Il Registro è nato per questo, ormai più di vent’anni fa, cercando adesioni volontarie. Si è partiti dalla collaborazione con le anagrafi, attraverso le quali venivano selezionati cittadini nati lo stesso giorno, nello stesso luogo, dalla stessa madre e dallo stesso padre: tranne qualche caso di omonimia, erano identificabili come gemelli. A questi, o ai loro genitori, venivano spedite le domande di iscrizione al Registro, creando una prima base.È un processo a campione, non tutti i gemelli presenti in Italia sono stati contattati, col passare degli anni gli arruolamenti sono stati più intensi nella città in cui il Registro ha collaborazioni per fini di ricerca con certi ospedali (Roma, Milano, Torino, Palermo, Padova, Pisa, Perugia, Napoli fra le città più rappresentate), mentre molti gemelli hanno contattato spontaneamente il Registro dopo averlo conosciuto da amici, articoli sui giornali o attraverso le pagine social.Le oltre quindicimila coppie sono ben distribuite sul territorio (Nord, Centro, Sud) e come fascia d’età. Chi aderisce risponde a un questionario iniziale e viene inserito nel database (da cui può sempre chiedere di essere cancellato), ma sarà interpellato e potrà dare o negare il consenso per ogni singolo studio.Il Registro naturalmente deve distinguere i gemelli fra monozigoti e dizigoti. Emanuela Medda, direttrice del progetto, spiega: «A tutti somministriamo un questionario per determinare la zigosità: si basa su una sequenza di domande predefinite sulla somiglianza fisica, adottate internazionalmente . Chiediamo cose come “I vostri genitori vi confondevano? Gli amici vi confondono?”: i risultati hanno un’attendibilità del 95 per cento. Effettuando un test del DNA, con campioni di sangue o saliva, la monozigosità o dizigosità è determinata in modo esatto al 99 per cento, ma serve la presenza fisica dei gemelli. E costa di più».Come visto, la definizione del tipo di coppia di gemelli è fondamentale per tutti gli ulteriori studi, che possono essere svolti in collaborazione con università o ospedali e che devono essere approvati dal comitato etico dell’Istituto Superiore di Sanità. In base alle necessità e al budget disponibile vengono definite le dimensioni del campione e i metodi per ottenere le informazioni: possono essere questionari, o possono prevedere analisi di laboratorio. In questo caso i gemelli vengono convocati presso strutture specifiche dove fanno esami gratuiti (per lo più con prelievi di sangue).I gemelli sono circa il 2 per cento della popolazione (GLUHIN / ANSA)Nel corso degli anni si è anche istituita una banca biologica del Registro: dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni si conserva per vent’anni materiale biologico dei gemelli (sangue e saliva). Attualmente i campioni sono poco più di duemila. Quando un nuovo studio richiede un’analisi, basterà ottenere il permesso di utilizzarli da parte della coppia. La collaborazione con alcuni ospedali italiani ha poi permesso di inserire alcune coppie di gemelli nel database e nella banca sin dalla nascita, con prelievo di materiale biologico dei bambini e dei genitori (360 famiglie). Dice la dottoressa Medda: «Seguirli nel tempo permette di capire l’evoluzione di determinati fattori nella fase della crescita, ma anche di stabilire quelli pre-nascita e di avere un quadro completo delle influenze ambientali».Gli studi, come detto, possono coprire campi diversi, dall’ansia (si stima che la predisposizione sia per il 60 per cento genetica) all’autostima (73 per cento genetica) all’elasticità delle arterie (influenzata da fattori ambientali fra il 69 e l’81 per cento). Il gruppo di lavoro del Registro comprende ricercatori, statistici, medici, biologi, matematici e psicologi: in tutto una decina di persone fra ricercatori e tecnici, non tutte impegnate a tempo pieno sul Registro. Nel complesso è una squadra di dimensioni minori rispetto a progetti simili in altri paesi europei.Attualmente è in corso uno studio per valutare quanto il benessere psicologico possa rallentare i processi degenerativi fisici dell’età, cioè quanto possa influire sull’invecchiamento: per questo si lavora con questionari per la definizione di personalità e livello di stress e con esami di laboratorio per valutare i marker (gli indicatori) dell’invecchiamento. Nello specifico sono la lunghezza dei telomeri, piccole porzioni di DNA che si trovano alla fine di ogni cromosoma e che impediscono all’elica di sfibrarsi, e la funzionalità del DNA mitocondriale. La ricerca si basa su 200 coppie di gemelli maggiorenni e si svolge a Roma: il campione non è ancora completo ed è possibile candidarsi, per questa e altre ricerche, usando la mail del Registro (registro.nazionale.gemelli@iss.it).Un’altra caratteristica importante delle ricerche condotte sui gemelli è che i risultati ottenuti sono generalizzabili all’intera popolazione. Spiega Medda: «Studi in diversi ambiti hanno confermato che i gemelli non differiscono dai singoli: non vanno incontro a più patologie, né a più problemi, non hanno particolari caratteristiche psicologiche. L’unica cosa che li differenzia è che nascono mediamente un po’ più piccoli, ma poi la loro vita e il loro sviluppo sono uguali. Per questo possono essere usati come “popolazione sentinella”». Avere a disposizione un registro di gemelli ampio e facilmente contattabile diventa così uno strumento per effettuare ricerche in tempi più rapidi su questioni particolarmente pressanti. Ad esempio è stato possibile già nel giugno 2020 realizzare il primo studio che valutava gli effetti del lockdown sui livelli di ansia, stress e depressione nella popolazione: erano i primi dati post-pandemia. I risultati quindi non riguardano solo il 2 per cento della popolazione italiana dei gemelli, ma la sua interezza.Un volantino del Registro Nazionale GemelliIl Registro non ha finanziamenti privati e ha varie collaborazioni con progetti scientifici simili all’estero: lo studio dei gemelli ha vissuto in epoca recente un momento di grande notorietà internazionale con la ricerca della NASA sui gemelli monozigoti Scott e Mark Kelly, che hanno reso possibile valutare con più precisione gli effetti di un prolungato soggiorno nello Spazio.L’obiettivo dei prossimi anni è ampliare la base dei gemelli nel Registro, anche con eventi organizzati ad hoc, collaborazioni con associazioni e campagne social. «Incontriamo vari tipi di resistenza», dice Medda. «Qualcuno non vuole essere schedato, altri non credono alla ricerca pubblica, a volte c’è diffidenza sul metodo o si ha paura che la nostra diventi una presenza invadente, ma in generale la collaborazione dei gemelli è alta: quando sanno quanto possono essere preziosi per noi, si sentono giustamente un po’ speciali». 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    Facciamo meno scoperte rivoluzionarie?

    Negli ultimi decenni la quantità di ricerche scientifiche pubblicata ogni anno è aumentata enormemente, eppure secondo una nuova analisi le scoperte che segnano un punto di svolta rispetto alle conoscenze già acquisite è continuata a diminuire, in proporzione. Analizzando i dati su milioni di ricerche, è emerso che negli ultimi 20 anni le scoperte hanno portato a piccoli incrementi nella conoscenza, mentre nei decenni precedenti gli studi segnavano più spesso un radicale cambiamento, rendendo obsolete le ricerche e le conoscenze precedenti in un determinato settore. I motivi di questo cambiamento non sono ancora completamente chiari, né implicano necessariamente che la ricerca scientifica abbia smesso di portare innovazione.La nuova analisi, che sta attirando grande interesse da parte della comunità scientifica, è stata pubblicata su Nature e realizzata negli Stati Uniti da Russell Funk, professore di strategia di impresa all’Università del Minnesota, insieme al dottorando Michael Park e a Erin Leahy, docente di sociologia presso l’Università dell’Arizona. Il gruppo di ricerca ha analizzato 45 milioni di studi scientifici e quasi 4 milioni di brevetti, pubblicati a partire dalla metà del Novecento circa. Sulla base di vari parametri, hanno assegnato a ogni ricerca un valore, definito come “indice di consolidamento-svolta” (CD, da “consolidation-distruption”) a seconda che lo studio segnasse una radicale novità rispetto ai lavori precedenti nel medesimo settore, oppure solo un miglioramento delle conoscenze già acquisite.Per calcolare il CD, il gruppo di ricerca è partito da questo assunto: se uno studio segna un punto di svolta, le ricerche seguenti che lo citano difficilmente citeranno molti lavori precedenti a quello studio, considerato che quest’ultimo ha portato a un cambiamento di paradigma. Sulla base di questo presupposto, hanno poi calcolato il CD che varia da -1 nel caso in cui uno studio consolidi conoscenze già acquisite a +1 per uno studio che presenta invece una rottura con le conoscenze precedenti.In media, il valore del CD si è ridotto del 90 per cento tra il 1945 e il 2010 per quanto riguarda le ricerche scientifiche e del 78 per cento, tra il 1980 e il 2010, per quanto riguarda i brevetti. L’indice si è ridotto in tutti gli ambiti di ricerca esplorati dall’analisi: dalla fisica alla medicina, passando per la tecnologia e le scienze sociali. La riduzione è risultata via via più marcata tra gli anni Sessanta e Settanta, anche quando il gruppo di ricerca ha tenuto in considerazione altri parametri per compensare i cambiamenti nel modo in cui vengono citate le precedenti ricerche nei nuovi studi.Da diverso tempo, infatti, tra i principali parametri per valutare la reputazione di una ricerca e quella delle persone che l’hanno scritta si calcola il numero di citazioni che uno studio riceve, anche se ciò non implica sempre che un certo lavoro sia di grande qualità o particolarmente determinante per lo sviluppo di una disciplina. Il CD è basato in parte su questi criteri, ma li estende per comprendere quanto alcuni studi siano diventati meno rilevanti, perché antecedenti a una scoperta che ne ha smentito o messo fortemente in discussione le conclusioni.Dall’analisi è inoltre emerso come siano cambiati i termini più ricorrenti utilizzati nelle ricerche pubblicate. Negli anni Cinquanta era maggiore l’incidenza di parole legate alla scoperta di qualcosa o alla creazione di novità, mentre negli scorsi anni Dieci è diventato più frequente l’uso di parole legate a piccoli progressi come “miglioramenti” e “potenziamenti”.Per realizzare l’analisi sono stati presi in considerazione numerosi altri parametri su una mole enorme di ricerche, tale da rendere necessario l’impiego di computer molto potenti e un mese di lavoro per analizzare tutti i dati e costruire l’indice. Secondo il gruppo di ricerca, una decina di anni fa un lavoro simile non sarebbe stato possibile, proprio per la mancanza di sistemi di calcolo potenti a sufficienza per raccogliere tutti i dati ed effettuare i calcoli.In passato altre ricerche, basate su minori quantità di dati, avevano già evidenziato come l’innovazione in ambito scientifico avesse rallentato negli ultimi decenni. Quelle analisi avevano portato a un ampio dibattito sulle capacità e il ruolo della scienza, sugli ambiti in cui si possano ancora trovare veri punti di svolta e più in generale sulla capacità di innovare in numerosi settori. La nuova analisi porta ulteriori elementi e rende nuovamente attuale quel confronto.Già nel 1996 il giornalista scientifico statunitense John Horgan aveva scritto nel suo libro La fine della scienza che l’epoca delle grandi scoperte era finita. La sua tesi era che ci fosse un numero comunque finito di verità scientifiche da scoprire e di potenziali nuove scoperte che sovvertano alcune delle nostre conoscenze. Di conseguenza la quantità di punti di svolta è limitata ed è destinata a finire.L’idea di Horgan e più in generale della finitezza delle scoperte è discussa da tempo e non è ritenuta da tutti una spiegazione sufficiente. La minore quantità di ricerche che rompono con il passato deriva probabilmente da più fattori, a cominciare dal livello di specializzazione sempre più alto raggiunto da chi fa ricerca. Rispetto alla metà del Novecento, oggi gli ambiti di ricerca sono molto più definiti e racchiusi in specifici settori, condizione che rende più probabili i progressi per piccoli incrementi rispetto a grandi scoperte, che magari interessano contemporaneamente più ambiti di ricerca.Altri ancora segnalano come in fin dei conti la storia della scienza insegni come i veri momenti “eureka”, quelli di una grande e rivoluzionaria scoperta, siano stati relativamente pochi. In questo senso, la scienza è un progresso e le nuove scoperte si basano quasi sempre sulle conoscenze maturate in precedenza. Molti progressi sono stati inoltre realizzati partendo da scoperte nella ricerca di base, per le quali non si prevedevano da subito applicazioni pratiche e almeno inizialmente sembravano essere confinate ai laboratori dove erano state svolte.Infine, la grande quantità di ricerche scientifiche prodotte ogni anno costituisce una grande opportunità, ma anche un ostacolo alle nuove scoperte. Si stima che in un anno vengano ormai pubblicati circa un milione di studi, ciò significa che ogni giorno centri di ricerca, università, aziende e singole persone pubblicano 3mila studi su una miriade di riviste scientifiche. Districarsi in questa grande quantità di ricerche può essere molto difficile, con il rischio che alcuni importanti progressi in un determinato settore passino inosservati.Le cause della riduzione del CD non sono comunque ancora completamente chiare, dice il gruppo che ha curato la nuova analisi. La quantità di studi che hanno segnato un punto di svolta è rimasta relativamente costante nel periodo di tempo analizzato, mentre si è ridotta sensibilmente la loro proporzione rispetto alla quantità di ricerche prodotte. Idealmente, un buon misto tra ricerche rivoluzionarie e incrementali sarebbe l’ideale per avere importanti progressi in numerosi ambiti della ricerca scientifica. LEGGI TUTTO