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    In Italia le grandinate sono aumentate

    I nubifragi, le trombe d’aria e le grandinate che negli ultimi giorni hanno colpito il Nord Italia, dal Friuli Venezia Giulia alla Lombardia, sono stati dovuti allo spostamento verso sud dell’anticiclone responsabile della precedente ondata di calore: l’incontro tra correnti d’aria fredda provenienti da nord con l’aria calda e umida sopra la Pianura Padana ha causato una serie di temporali molto intensi. È un fenomeno tipico della stagione estiva e che tuttavia secondo studi recenti è diventato più frequente negli ultimi anni, probabilmente per via del cambiamento climatico.«Dal 1999 al 2021 nel bacino del Mediterraneo le grandinate sono aumentate», spiega Sante Laviola, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (ISAC-CNR) ed esperto dell’uso dei satelliti per la meteorologia: «In particolare nell’ultimo decennio sono aumentate del 30 per cento, lo abbiamo misurato grazie ai satelliti». Laviola è uno degli autori di alcuni studi che hanno permesso di capire delle cose in più sulla grandine, un fenomeno meteorologico ancora relativamente poco compreso a causa della storica difficoltà di raccogliere dati al riguardo.Le grandinate possono verificarsi in qualunque punto del pianeta ma avvengono con frequenza molto maggiore in alcune regioni per via della morfologia del loro territorio: c’è più probabilità che si generino dove ci sono alte montagne che influiscono sulla circolazione delle masse d’aria nell’atmosfera. Ad esempio grandina con particolare frequenza nella grande pianura al centro degli Stati Uniti, tra gli Appalachi e le Montagne Rocciose, che è anche detta “Tornado Alley”, “corridoio delle trombe d’aria” (le trombe d’aria sono spesso associate alla grandine). Anche l’Italia, avendo due estese catene montuose, è molto soggetta a grandinate, specialmente nella Pianura Padana e ancora più in particolare in Friuli Venezia Giulia, le cui aree pianeggianti sono quasi completamente circondate dalle montagne.Non è comunque solo la forma del territorio a influire sulla probabilità che avvenga una grandinata, ma anche le condizioni atmosferiche, e per questo ci sono stagioni dell’anno in cui grandina più di frequente. In Italia la stagione delle grandinate è storicamente compresa tra aprile e ottobre, anche se in anni recenti sembra essersi estesa fino a novembre.È più probabile che grandini d’estate perché questo fenomeno si crea all’interno delle cosiddette nubi convettive, che sono dovute alla presenza di masse d’aria calda e umida nell’atmosfera e si possono riconoscere perché si sviluppano molto in verticale. Quando la superficie terrestre è particolarmente calda e lo è per molte ore al giorno, l’aria più vicina a terra sale verso l’alto portandosi dietro l’acqua evaporata dal suolo e dagli specchi d’acqua. Se salendo in quota le masse d’aria calda e umida incontrano aria più fredda, il vapore acqueo condensa, formando una nube: è detta convettiva perché in fisica si definisce “moto convettivo” quel fenomeno per cui un fluido riscaldato si muove verso l’alto, mentre quello più freddo e denso va verso il basso.«All’interno delle nubi convettive», spiega Laviola, «le correnti ascendenti e discendenti sollevano ingenti quantità di masse d’acqua sotto forma di goccioline. Nel percorso verso l’alto si accrescono, si raffreddano fino a superare un livello di temperatura che si chiama “zero termico”, cioè dove c’è il passaggio di stato dal liquido al solido: quindi l’acqua ghiaccia. Ai cristalli d’acqua ghiacciata si avvicinano altre goccioline che ghiacciano attorno al nucleo principale, che è l’embrione del chicco di grandine, e lo rendono più grande: immaginiamo nuclei di ghiaccio che si muovono in un mare di piccole goccioline, salendo e scendendo». A volte succede anche che chicchi diversi si uniscano, creando grandine di grosse dimensioni.Legnano poco fa … pic.twitter.com/m6beddy2DG— Roberto Luraghi (@LuraghiRoberto) July 24, 2023A un certo punto le masse di ghiaccio diventano così grandi che la forza di gravità vince la spinta verso l’alto delle correnti ascensionali e quindi inizia a grandinare.È ciò che è successo negli ultimi giorni nel Nord Italia: l’aria vicina al suolo era molto calda per l’ondata di calore causata dall’anticiclone, una zona di alta pressione in cui l’aria tende a spostarsi dall’alto verso il basso. Quando l’anticiclone si è spostato verso sud, l’aria vicina alla superficie ha cominciato a salire, arrivando poi a formare nubi convettive.Fino a qualche decennio fa la grandine poteva essere studiata con molti limiti perché essendo un fenomeno fugace e molto localizzato, cioè che si verifica per poco tempo, di solito mezz’ora al massimo, su aree circoscritte, c’è poco tempo per rilevarla e non è detto che si abbiano gli strumenti adeguati per studiarla: le dimensioni dei chicchi di grandine infatti si misurano a terra coi grelimetri, pannelli orizzontali con una superficie di circa 20 centimetri per 40 che si deforma all’impatto con i chicchi di grandine. In Italia sono sufficientemente diffusi solo in Friuli Venezia Giulia, una regione storicamente molto interessata dalla grandine.Nell’ultima ventina d’anni però le osservazioni dirette coi grelimetri e coi radar meteorologici hanno potuto essere ampliate grazie ai satelliti dotati di strumenti di radiometria a microonde, che permettono di rilevare la presenza di chicchi di grandine all’interno delle nubi, e di farlo per un ampio territorio contemporaneamente. Dato che non misurano i chicchi caduti a terra, restituiscono la probabilità di una grandinata e delle dimensioni dei suoi chicchi, ma grazie a dei modelli matematici possono comunque fornire dati utili agli scienziati per capire quanto spesso grandina in una regione. Permettono inoltre di studiare anche le grandinate che avvengono in mare.Laviola e i suoi colleghi hanno appunto sviluppato un modo per sfruttare i dati dei satelliti a questo scopo e così hanno scoperto che dal 1999 al 2021 la frequenza delle grandinate nel bacino del Mediterraneo è aumentata. Vale sia per le grandinate con chicchi con diametro compreso tra i 2 e i 10 centimetri, che danneggiano sempre le coltivazioni e anche altre cose progressivamente al crescere delle dimensioni, sia per le cosiddette supergrandinate o grandinate estreme, quelle con chicchi dal diametro superiore ai 10 centimetri, che sono distruttive per qualunque cosa.In una delle recenti grandinate in Friuli è stato peraltro battuto il record europeo per chicco di grandine col diametro maggiore: 19 centimetri.Can confirm 19 cm based on the cloth pic.twitter.com/7OGda2s932— Federico Pavan (@PavanFederico00) July 25, 2023Il gruppo di ricerca di cui fa parte Laviola ha anche cercato di capire se il recente aumento delle grandinate possa essere legato al cambiamento climatico. Il problema è che 22 anni di dati non sarebbero sufficienti per dirlo, dato che «tutto quello che accade a una scala inferiore a cinquant’anni non è climatologia». Per questo i ricercatori hanno indagato sui cinquant’anni precedenti utilizzando altri tipi di dati: non sulla grandine, dato che non ce ne sono, ma su altre variabili atmosferiche che però hanno una forte influenza sulla probabilità di grandinate e su cui invece sono disponibili dati storici europei per il bacino del Mediterraneo a partire dal 1949.Una di queste variabili è la temperatura superficiale del Mediterraneo, che influenza la probabilità di grandinate perché più è alta più evaporazione genera: e questa è in aumento da decenni a causa del cambiamento climatico. Le altre sono un indice che dice quanta energia potenziale c’è nell’atmosfera che può generare moti convettivi, la temperatura media alla quota in cui si genera la convezione e l’altezza dello zero termico, cioè la quota in cui l’acqua liquida diventa ghiaccio: tutte queste variabili sono aumentate dal 1949 a oggi, anche per via del cambiamento climatico. E indirettamente hanno permesso di ricostruire che in questi decenni le condizioni favorevoli alle grandinate sono state sempre più frequenti.«Se gli ultimi settant’anni hanno dimostrato un trend in crescita, è abbastanza inverosimile che la tendenza cambi in futuro», conclude Laviola, «ma per il futuro abbiamo degli scenari, non previsioni. Aumenteranno le grandinate? Probabilmente sì, ma non sicuramente sì». LEGGI TUTTO

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    Oggi si dovrà fare attenzione al caldo in 15 città italiane

    Caricamento playerPer la giornata di sabato il ministero della Salute ha previsto il più alto livello di rischio per ondate di calore in 15 diverse città italiane, tra cui Roma e Firenze, e per domenica in 16 città. Il livello di rischio più alto, che corrisponde al 3 ed è colloquialmente chiamato “bollino rosso”, segnala quelle condizioni meteorologiche che possono avere effetti negativi per la salute non solo per le persone più vulnerabili, come anziani, bambini molto piccoli e malati di malattie croniche, ma anche per le persone sane. L’Italia è entrata in una fase di ondata di calore l’8 luglio e secondo le previsioni del Servizio meteorologico dell’Aeronautica militare oggi si raggiungeranno temperature massime tra i 38 e i 40 °C in Sardegna, Sicilia e Puglia.Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale si parla di ondata di calore quando per almeno sei giorni consecutivi la temperatura massima registrata è superiore al novantesimo percentile delle temperature registrate in quel giorno dell’anno rispetto a un periodo di riferimento (che può essere dal 1981 al 2010 e dal 1991 al 2020, se ci sono i dati disponibili). L’attuale ondata riguarda l’Italia e tutta l’Europa centro-meridionale. Venerdì il sito archeologico dell’Acropoli di Atene, in Grecia, è stato chiuso nelle ore più calde della giornata, dalle 12 alle 17, a causa delle alte temperature, che in questi giorni hanno più volte superato i 40 °C.Le principali raccomandazioni del ministero della Salute da seguire nelle città con il livello di rischio più alto sono: evitare di esporsi al caldo e alla luce diretta del sole tra le 11:00 e le 18:00, che sono le ore più calde della giornata, e in particolare non fare attività fisica all’aria aperta in quegli orari; indossare indumenti di colori chiari e tessuti leggeri, ripararsi la testa con dei cappelli e usare gli occhiali da sole; proteggere la pelle esposta con creme solari; bere molta acqua e ricordarsi di portarsela dietro in caso di lunghi viaggi in macchina; non lasciare persone anziane e bambini non autosufficienti in macchine parcheggiate al sole, anche se per poco tempo.Nel mondo le ondate di calore stanno diventando più frequenti e durature a causa del cambiamento climatico dovuto alle emissioni di gas serra delle attività umane e anche per questo in anni recenti sono stati raggiunti vari record di temperatura più alta. Quello europeo era stato registrato nell’agosto del 2021 a Siracusa, in Sicilia, quando vennero misurati 48,8 °C, e secondo le previsioni nella prossima settimana si potrebbe arrivare a temperature simili. Secondo le osservazioni satellitari dell’Agenzia spaziale europea (ESA) la temperatura del suolo – che deve essere distinta da quella dell’aria, è quella che percepiscono ad esempio i cani sulle zampe quando escono a passeggio – ha già raggiunto i 47 °C il 10 luglio. In aggiunta ai rischi per la salute le ondate di calore aumentano le possibilità che gli incendi boschivi dolosi diventino più ampi e difficili da spegnere.After the hottest June on record, July is not looking so fresh either. 🌡️A major heatwave is predicted to rise temperatures as high as 48°C.This map shows Land surface temperatures reaching 46°C in Rome and Madrid, and 47°C in Seville.#Cerberus🔗 https://t.co/lEwVxkecb2 pic.twitter.com/LAyKdL4LDF— ESA Earth Observation (@ESA_EO) July 13, 2023L’ondata di calore riguarda anche il mar Mediterraneo, che è tra i grandi bacini d’acqua in cui le temperature stanno aumentando di più a causa del riscaldamento globale. Il 13 luglio, sempre secondo le osservazioni satellitari, la temperatura superficiale marina era di almeno 5 °C superiore alla media in gran parte del Mediterraneo occidentale.#ImageOfTheDayAccording to @MercatorOcean, a “moderate” heatwave is ongoing in the western Mediterranean SeaOn 13 July, the Sea Surface Temperature Anomaly along the coasts of Southern Spain & North Africa was ~ +5°C above the reference value for the period⬇️@CMEMS_EU data pic.twitter.com/AVS5OcBc14— 🇪🇺 DG DEFIS #StrongerTogether (@defis_eu) July 14, 2023 LEGGI TUTTO

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    L’Italia ha eliminato la rosolia, ha annunciato l’Organizzazione mondiale della sanità

    La rosolia non è più endemica in Italia, ha annunciato la Commissione di verifica regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per l’eliminazione del morbillo e della rosolia in Europa: è la terza malattia prevenibile a essere eliminata dal paese grazie alle vaccinazioni dopo il vaiolo, che fu eradicato dal mondo nel 1980, e la poliomielite, dichiarata eliminata dall’Europa nel 2022. Non è una malattia pericolosa nella grande maggioranza dei casi, i sintomi principali sono febbre non molto alta e pustole sulla pelle, ma se contratta in gravidanza può avere conseguenze gravi: può causare aborti spontanei o gravi anomalie congenite nei feti, tra cui sordità e disabilità intellettive.L’OMS parla di “eliminazione” di un virus in un paese o in una più ampia area geografica quando non ci sono trasmissioni endemiche, cioè locali, della malattia in questione per almeno 12 mesi. Ma perché l’eliminazione sia ufficiale è necessario che un paese fornisca una documentazione che certifichi che non ci sono state trasmissioni endemiche per almeno 36 mesi. Oltre che in Italia, la rosolia è stata dichiarata eliminata in altri 47 paesi dell’Europa. Resta comunque la possibilità che il virus venga trasmesso da persone che ne sono state infettate in altri paesi: per questo fino all’eradicazione della malattia, cioè finché non sarà eliminata in tutti i paesi del mondo, continueranno le campagne vaccinali. In particolare è importante che le donne intenzionate ad avere figli sappiano se sono immuni dal virus prima di iniziare una gravidanza e che si vaccinino in caso contrario.La rosolia è una malattia causata da un virus del genere Rubivirus e si trasmette nell’aria attraverso gli starnuti e i colpi di tosse delle persone infette. È la principale causa di difetti congeniti prevenibili nel mondo ma in Italia è dal 2019 che non ci sono casi di sindrome da rosolia congenita.Il principale vaccino usato contro la rosolia è il cosiddetto “trivalente”, perché copre anche dal virus del morbillo e da quello della parotite e si indica con l’acronimo MPR. (Diana Bagnoli/Getty Images) LEGGI TUTTO

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    Se piove finisce la siccità?

    Le piogge delle ultime settimane hanno fatto aumentare la quantità d’acqua presente sia nei laghi che nei fiumi del Nord Italia. Per qualche giorno all’inizio del mese la portata del Po è molto aumentata lungo tutto il corso del fiume e il 10 maggio i livelli del lago Maggiore, di quelli di Como e d’Iseo erano sopra le medie stagionali. Grazie a queste precipitazioni la condizione di siccità che da più di un anno riguarda tutto il Nord, e il Piemonte in modo particolare, si è attenuata, portando benefici per le coltivazioni e le foreste e riducendo il bisogno di consumare acqua delle riserve per l’irrigazione per qualche settimana. Tuttavia non si può dire che la siccità sia finita.La siccità non è data da una semplice assenza o forte carenza di pioggia. Si sviluppa lentamente, con mesi di precipitazioni insufficienti associate a temperature particolarmente alte, e si risolve altrettanto lentamente, soprattutto se dura da tanto come quella attuale, che ha avuto origine alla fine del 2021, quando nevicò pochissimo sulle Alpi. «È probabile che fino a quest’autunno ci sarà ancora un deficit d’acqua», spiega Ramona Magno, ricercatrice dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità: «Finché le riserve idriche non cominceranno a tornare alla normalità il problema rimarrà».Le riserve idriche non sono solo i laghi, ma anche le falde sotterranee e in generale la quantità d’acqua presente nel suolo. Perché tornino a riempirsi dopo una siccità prolungata servono precipitazioni nella media o abbondanti per un lungo periodo. Le piogge dell’ultimo periodo hanno sicuramente aumentato l’umidità del suolo, ma possono aver rimpinguato solo le riserve idriche più superficiali.Ramona Magno cura il bollettino mensile dell’Osservatorio Siccità di cui è appena uscito l’aggiornamento relativo al mese di aprile. Il rapporto segnala innanzitutto che, nonostante ora la situazione di molti grandi laghi non sia più preoccupante, il lago di Garda, il più grande dei laghi italiani, sia pieno per il 48,6 per cento («è un problema soprattutto per le aree agricole a valle», commenta Magno), e sottolinea che nel giro di qualche giorno l’aumento della portata del Po si è esaurito e ora i livelli d’acqua nel fiume sono tornati inferiori alla media di questo periodo dell’anno.– Leggi anche: Il piano per limitare gli sprechi d’acqua non sta andando come previstoIl bollettino contiene una serie di mappe che mostrano le condizioni di siccità in modi diversi. Per farsi un’idea della situazione Magno consiglia di osservare quelle basate sull’indice pluviometrico SPI (la sigla sta per l’inglese “Standardised Precipitation Evapotranspiration”), un valore che viene usato per rilevare le siccità meteorologiche, cioè quelle riduzioni delle precipitazioni al di sotto della media climatologica (almeno 30 anni) per un certo periodo in una determinata area. L’indice si basa sulla quantità di pioggia precipitata in uno o più mesi e quantifica di quanto è stata inferiore o superiore rispetto ai valori medi. La mappa che mostra l’SPI considerando il solo mese di aprile 2023 segnala perlopiù condizioni di siccità moderata e in poche zone: un po’ in Piemonte, lungo le coste della Romagna e nei vicini Appennini. È così appunto grazie alle piogge recenti.(Osservatorio Siccità)Tuttavia confrontando la mappa con una che invece mostra l’SPI calcolato tra il maggio del 2022 e il mese scorso, diventa evidente che la siccità non può considerarsi finita come potrebbe erroneamente suggerire la prima mappa. In Piemonte, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia ci sono in realtà zone in condizioni di siccità estrema per quanto poco è piovuto. «Le piogge di un mese non sono sufficienti per appianare il deficit del lungo periodo, la siccità idrologica», spiega Magno: i territori indicati in giallo, arancione e ancor di più rosso continuano a mostrare gli effetti della carenza d’acqua che dura da più di un anno.(Osservatorio Siccità)Un’altra mappa del rapporto mette insieme i valori sulle precipitazioni a quelli sulle temperature e mostra che le regioni che più hanno subìto l’effetto combinato di carenza di piogge e temperature maggiori della media sono Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna. Le alte temperature aumentano l’evaporazione dal suolo e la traspirazione delle piante, aggravando la carenza d’acqua.(Osservatorio Siccità)Le previsioni dei centri meteorologici europei dicono che da giugno ad agosto le temperature saranno probabilmente sopra la media in tutta l’Europa e in particolare in alcune zone già interessate dalla siccità: i paesi centro-occidentali e il Mediterraneo. Si prevede anche che saranno tre mesi più piovosi della media, ma bisogna ricordare che in generale in estate piove poco in Europa. Ancora per diversi mesi, aggiunge Magno, non si vedranno effetti legati a El Niño, quel complesso fenomeno climatico che avviene periodicamente nell’oceano Pacifico meridionale e che influenza gran parte del meteo terrestre: tornerà prossimamente secondo le valutazioni dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) dopo anni di La Niña, la fase opposta.«Da noi gli effetti si cominceranno a vedere verso la fine dell’anno e soprattutto l’anno prossimo», spiega Magno. Per via del Niño in molti paesi del mondo ci si aspetta un aumento delle temperature, anche in Europa, che si andrà a unire alla generale tendenza legata alla crisi climatica – a cui peraltro è stata ricondotta anche la siccità sia nell’Europa occidentale che in Nord Italia. Mentre l’influenza del Niño sulle precipitazioni in Europa non è ancora ben definita.Il dato apparentemente più positivo presente nel bollettino dell’Osservatorio Siccità riguarda la produzione di energia idroelettrica che nel mese di aprile è stata maggiore sia rispetto all’aprile del 2022 che a quello del 2021. Questo aumento però è stato possibile grazie alle alte temperature registrate sulle Alpi che hanno fatto fondere una buona percentuale della neve accumulatasi nei mesi invernali.Bisogna inoltre precisare che quest’anno di neve non se ne è accumulata moltissima. L’abbondante fusione di aprile e le nevicate limitate nei mesi precedenti sono la ragione per cui a metà aprile il deficit di neve accumulata sulle Alpi rispetto alla media dei precedenti 12 anni era del 67 per cento (la stima è stata fatta dalla Fondazione CIMA, Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale, ente di ricerca nelle scienze ambientali), e del 73 per cento considerando solo il bacino del fiume Adige – che scorre vicino al lago di Garda.(Osservatorio Siccità)– Leggi anche: Perché l’alluvione in Emilia-Romagna è stata causata anche dalla siccità LEGGI TUTTO

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    Che cos’è la “carne sintetica”

    In seguito alla presentazione di un disegno di legge del governo, da un paio di giorni si discute molto della cosiddetta “carne sintetica”, che come vedremo non è sintetica. Il provvedimento nasce col proposito di vietare la produzione e la vendita di «alimenti e mangimi sintetici» ed è stato fortemente voluto dal ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, che nei mesi scorsi si era detto in più occasioni contrario non solo alla “carne prodotta in laboratorio”, ma anche alle farine di insetti e alle etichette con avvisi per la salute sugli alcolici: tutti ambiti regolamentati o comunque sorvegliati dalle autorità di controllo dell’Unione Europea.– Ascolta anche: La puntata di Ci vuole una scienza sulla “carne sintetica”Il disegno di legge nella sua attuale forma contiene riferimenti a multe da 10mila a 60mila euro in caso di violazione dei divieti, che secondo Lollobrigida: «Intendono tutelare la salute umana e il patrimonio agroalimentare». Le nuove norme contengono però varie contraddizioni, compreso un divieto di produzione e vendita di prodotti ottenuti a partire da «colture cellulari o tessuti derivanti da animali vertebrati», una definizione che comprende di fatto anche la carne e i suoi sottoprodotti, consumati ogni giorno sia per scopo alimentare sia per i mangimi. Trattandosi di un disegno di legge, il testo riceverà probabilmente numerose modifiche nel corso dei vari passaggi in parlamento e ci sono dubbi sulla sua approvazione e applicazione.Un certo interesse verso la “carne sintetica” era stato sollevato nei mesi scorsi da Coldiretti, associazione di rappresentanza nel settore agricolo in Italia molto influente soprattutto in ambito politico. Lo scorso anno, Coldiretti aveva avviato una petizione che chiedeva esplicitamente di vietare il “cibo sintetico”, con una definizione piuttosto vaga e non priva di ambiguità. La petizione era stata firmata dai dirigenti di molti partiti e aveva ricevuto l’appoggio del ministro Lollobrigida, diventando molto discussa sui giornali e online.Per far conoscere la propria petizione, alcune sezioni di Coldiretti avevano preparato volantini nei quali si metteva a confronto il cibo “naturale” con quello “sintetico”. Il primo era illustrato con immagini bucoliche e idilliache, mentre il secondo con strumenti impiegati in laboratorio, uno scienziato in tuta da decontaminazione e scritte come «fa male all’ambiente» e «prodotto in un bioreattore». Il volantino diceva inoltre che il “cibo sintetico” «spezza lo straordinario legame che unisce cibo e natura», senza fornire però ulteriori spiegazioni.In questi casi la parola “sintetico” viene spesso contrapposta a “naturale”, anche se in realtà è molto difficile dire che cosa non sia naturale, considerato che per ciò che viene prodotto in laboratorio si parte in fin dei conti da quello che già esiste in natura. In generale il termine “sintetico” viene impiegato per indicare il risultato di una sintesi al di fuori degli organismi viventi: un tessuto sintetico, come quelli degli abiti sportivi, per esempio, differisce dal cotone o dalla lana che derivano rispettivamente da una pianta e dal vello di varie specie di animali.Nel caso della carne, a oggi nessuna delle alternative di cui parla il ministro Lollobrigida può essere considerata sintetica. Le ricerche nel settore proseguono da anni e con lo scopo di trovare metodi più sostenibili per produrla, che specialmente nel caso degli allevamenti di bovini comporta un grande consumo di energia e molte emissioni di gas serra. Questi allevamenti sono poco efficienti, di conseguenza si studiano possibilità alternative e a minore impatto ambientale, che ridurrebbero anche i problemi etici che si porta dietro l’attuale sistema di produzione di carne a livello industriale.Alcune alternative sono già disponibili, ma non hanno nulla di sintetico. La cosiddetta “carne vegetale” o “finta carne” è basata sulla lavorazione di ingredienti come grano, olio di cocco, patate e altri vegetali con l’obiettivo di farle avere consistenza e aspetto della carne vera. Gli hamburger e le bistecche di questo tipo si possono acquistare nei supermercati o in alcuni fast-food e sono famosi soprattutto grazie a marchi come Impossible Foods e Beyond Meat.Un altro metodo di produzione di carne alternativa prevede invece lo sfruttamento di alcuni funghi e microrganismi, che producono proteine sostituibili a quelle degli animali. Di per sé è una tecnologia nota da oltre un secolo e in origine era impiegata per produrre mangimi, partendo da lieviti che attraverso i loro processi di fermentazione producevano proteine. Tra i prodotti più conosciuti derivati da questa tecnica c’è il Quorn, che tecnicamente non è un vegetale, ma una sorta di muffa che viene poi impastata con albume d’uovo o con leganti derivati dalle patate nella sua versione vegana. Il Quorn se adeguatamente lavorato può assumere una consistenza che ricorda quella della carne, anche se il sapore e l’aspetto sono distanti da quelli di una bistecca.(Getty Images)Proprio per via della mancanza di prodotti alternativi alla carne che si avvicinino all’esperienza di mangiare della carne, soprattutto rossa, da tempo si cerca di creare della carne in vitro, cioè partendo da cellule animali che vengono fatte crescere e differenziare per produrre tessuti, imitando di fatto ciò che avviene normalmente con la crescita di un essere vivente. È un ambito di ricerca piuttosto articolato e che ha portato a qualche risultato concreto, seppure su piccola scala e con esiti non sempre incoraggianti. Ci sono aziende in Israele, nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti che hanno avviato la produzione, per lo più con un approccio dimostrativo per verificare la sostenibilità dei loro progetti. In Italia non ce ne sono.Le tecniche più diffuse prevedono di partire da cellule staminali, che non sono quindi ancora specializzate e che hanno la potenzialità di differenziarsi nei vari tipi di cellule mature che costituiscono poi un tessuto. Le cellule non sono “sintetiche”, ma derivano da un prelievo effettuato da animali già vivi o da embrioni, a seconda dei casi e dei filoni di ricerca e sviluppo.Isolate le cellule staminali idonee, si procede a inserirle in particolari contenitori nei quali è presente un terreno di coltura, di solito una soluzione che contiene sostanze nutrienti di vario tipo. In questo modo le cellule iniziano a crescere e a replicarsi, ma il procedimento non è sufficiente per arrivare a un tessuto paragonabile al muscolo di un animale, cioè alla carne che viene normalmente consumata. Le cellule hanno bisogno di una sorta di impalcatura che le sostenga, che permetta loro di respirare, continuare a proliferare e a differenziarsi. In pratica si deve trovare il modo di ricreare la struttura tridimensionale della carne, che è ciò che dà la consistenza e la capacità stessa del tessuto di non sfaldarsi durante la cottura.Il processo deve essere poi ripetuto su una scala molto più grande e può coinvolgere l’impiego dei bioreattori, quelli citati nel volantino di Coldiretti. Nella sua forma più semplice, un bioereattore non è una novità: è un contenitore che mantiene una certa temperatura e a seconda dei casi garantisce un flusso costante di nutrienti. Viene impiegato da millenni in campo alimentare. La produzione di birra o di yogurt, che implica la presenza di microorganismi che rendono possibile la fermentazione, avviene in contenitori che sono di fatto bioreattori. Lo stesso vale per produzioni molto più sofisticate in ambito farmaceutico, per esempio per la produzione dell’insulina, molto importante per tenere sotto controllo alcune forme di diabete.Le aziende che vogliono produrre carne in questo modo hanno finora incontrato difficoltà nel passare dalla modalità su piccola scala in vitro a quella su scale più grandi, utilizzando bioreattori che consentano di produrre molti chilogrammi di carne. Gli investimento nel settore non mancano, proprio per le potenzialità del sistema e per l’interesse di chi vorrebbe continuare a mangiare carne, ma senza gli svantaggi ambientali e i problemi etici legati agli allevamenti tradizionali.In generale, tutte le alternative alla carne bovina hanno minori conseguenze in termini di emissioni di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera, i principali responsabili del riscaldamento globale. I prodotti come il Quorn o la “carne vegetale” hanno un impatto molto basso, inferiore anche a quello della carne prodotta in laboratorio. Stimare gli effetti sull’ambiente non è comunque semplice, e cambieranno probabilmente nel momento in cui alcune di queste soluzioni diventeranno più diffuse.Il settore è ancora piccolo, coinvolge numerose startup e ci sono dubbi sulla loro capacità di sopravvivere, considerato che per ora si finanziano soprattutto grazie ai fondi di investimenti, che scommettono sul loro futuro. L’eventuale passaggio alla carne prodotta in modo alternativo è quindi ancora distante e per questo il disegno di legge voluto dal ministro Lollobrigida sembra più una scelta di comunicazione, che non avrà un particolare impatto sul settore alimentare.Il riferimento per ciò che è considerato sicuro da consumare sono del resto i regolamenti dell’Unione Europea, che considerano novità alimentari (“novel food”) questo tipo di prodotti, cioè alimenti mai consumati all’interno dell’UE in quantità significative e tali da essere definibili “cibo”. Ogni nuovo specifico alimento deve quindi ricevere un’autorizzazione, vincolata a una valutazione da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Non è chiaro quale sia stata la considerazione da parte del ministro Lollobrigida su un pericolo imminente tale da approvare un disegno di legge «con procedura d’urgenza».L’eventuale messa in vendita in futuro di prodotti di carne alternativa non implicherebbe inoltre la fine degli allevamenti tradizionali, ma aggiungerebbe una possibilità di scelta in più per chi consuma carne. Anche per questo iniziative di legge di questo tipo, che avrebbero un impatto su un settore emergente, potrebbero ricevere obiezioni da parte delle autorità europee. LEGGI TUTTO

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    La ricerca scientifica ha bisogno dei gemelli italiani

    Caricamento playerDal 2001 esiste in Italia il Registro Nazionale Gemelli: raccoglie i dati di oltre trentamila gemelli, di età compresa fra 0 e 92 anni. È un progetto dell’Istituto Superiore di Sanità con finalità di ricerca scientifica, che ha molti corrispettivi in Europa e nel mondo. Le coppie di gemelli si iscrivono al registro e poi partecipano alle varie ricerche su base volontaria: sono strumento di studio, più che oggetto di studio.Il Registro si basa infatti sul cosiddetto “metodo gemellare”, che confrontando correlazioni e differenze in diversi tipi di gemelli permette di capire quanto una determinata caratteristica sia influenzata da una componente genetica e quanto da una ambientale, cioè quanto sia presente già alla nascita e quanto sia invece causata dall’ambiente in cui viviamo o dal nostro stile di vita. Il Registro ha permesso di portare a termine studi sugli effetti psicologici del lockdown, sull’arteriosclerosi, sul dolore cronico, sull’autostima e sull’altezza, solo per citarne alcuni. Torneremo sul come funziona, ma prima bisogna introdurre la distinzione più importante in ambito gemellare, quella fra gemelli monozigoti e dizigoti.In Italia in media ogni cento parti uno è gemellare. I gemelli sono quindi, a grandi linee, il due per cento della popolazione. I gemelli si distinguono fra monozigoti e dizigoti (a volte vengono impropriamente usati i termini omozigoti ed eterozigoti, che invece sono definizioni usate in genetica di tutt’altro significato): i gemelli monozigoti nascono da una singola cellula uovo fecondata da uno spermatozoo e hanno un identico patrimonio genetico. Sono sempre dello stesso sesso, fisicamente molto somiglianti, e rari. I gemelli dizigoti sono di più, nascono da diverse cellule uovo fecondate da diversi spermatozoi nello stesso periodo: nascono insieme, possono essere di sesso diverso e possono assomigliarsi poco, come due fratelli. Come i fratelli, hanno in comune circa il 50 per cento del patrimonio genetico.Se i gemelli identici esercitano da sempre un grande fascino nella cultura popolare, è nella seconda metà dell’Ottocento che se ne intuirono le potenzialità per lo studio scientifico. Il primo a elaborare un metodo fu l’eclettico studioso inglese Francis Galton (fra le altre cose considerato anche il padre della meteorologia), interessato a valutare il peso dell’ereditarietà (nature) e dell’ambiente (nurture), nella definizione dei caratteri fisici e mentali degli individui.Il metodo gemellare attuale è un’evoluzione delle sue intuizioni e si basa sul confronto fra gemelli monozigoti e dizigoti riguardo a una determinata caratteristica. Consideriamo, a puro termine di esempio, che si voglia stabilire quanto la celiachia sia ereditaria e quanto indotta da componenti ambientali. Semplificando molto, si valuterà nel campione di gemelli monozigoti quando la caratteristica è presente in entrambi, e la medesima operazione verrà fatta sul campione di gemelli dizigoti. Se la correlazione è maggiore nei primi, la componente genetica è prevalente.Un flashmob al Campidoglio nel 2015 organizzato dal Registro Nazionale Gemelli (ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)Il confronto fra i due tipi di gemelli permette di partire da fattori ambientali simili: sia i monozigoti che i dizigoti hanno equiparabili influenze ambientali, condivise e non condivise. Nelle prime rientrano l’alimentazione dei primi anni, i fattori educativi, le influenze della famiglia e del luogo di residenza, nelle seconde le scelte personali (fuma, non fuma, fa attività sportiva, ha un/una fidanzato/a?). Le influenze non condivise tendono ad aumentare con l’età, per entrambe le categorie di gemelli.Per usare questo metodo, consolidato negli anni e approfondito con specifiche che permettono di considerare diverse variabili, verificare l’influsso di determinati fattori e distinguere fra varie cause ambientali, è necessario avere una base di dati di gemelli sufficientemente ampia, eterogenea e distribuita sul territorio nazionale.Il Registro è nato per questo, ormai più di vent’anni fa, cercando adesioni volontarie. Si è partiti dalla collaborazione con le anagrafi, attraverso le quali venivano selezionati cittadini nati lo stesso giorno, nello stesso luogo, dalla stessa madre e dallo stesso padre: tranne qualche caso di omonimia, erano identificabili come gemelli. A questi, o ai loro genitori, venivano spedite le domande di iscrizione al Registro, creando una prima base.È un processo a campione, non tutti i gemelli presenti in Italia sono stati contattati, col passare degli anni gli arruolamenti sono stati più intensi nella città in cui il Registro ha collaborazioni per fini di ricerca con certi ospedali (Roma, Milano, Torino, Palermo, Padova, Pisa, Perugia, Napoli fra le città più rappresentate), mentre molti gemelli hanno contattato spontaneamente il Registro dopo averlo conosciuto da amici, articoli sui giornali o attraverso le pagine social.Le oltre quindicimila coppie sono ben distribuite sul territorio (Nord, Centro, Sud) e come fascia d’età. Chi aderisce risponde a un questionario iniziale e viene inserito nel database (da cui può sempre chiedere di essere cancellato), ma sarà interpellato e potrà dare o negare il consenso per ogni singolo studio.Il Registro naturalmente deve distinguere i gemelli fra monozigoti e dizigoti. Emanuela Medda, direttrice del progetto, spiega: «A tutti somministriamo un questionario per determinare la zigosità: si basa su una sequenza di domande predefinite sulla somiglianza fisica, adottate internazionalmente . Chiediamo cose come “I vostri genitori vi confondevano? Gli amici vi confondono?”: i risultati hanno un’attendibilità del 95 per cento. Effettuando un test del DNA, con campioni di sangue o saliva, la monozigosità o dizigosità è determinata in modo esatto al 99 per cento, ma serve la presenza fisica dei gemelli. E costa di più».Come visto, la definizione del tipo di coppia di gemelli è fondamentale per tutti gli ulteriori studi, che possono essere svolti in collaborazione con università o ospedali e che devono essere approvati dal comitato etico dell’Istituto Superiore di Sanità. In base alle necessità e al budget disponibile vengono definite le dimensioni del campione e i metodi per ottenere le informazioni: possono essere questionari, o possono prevedere analisi di laboratorio. In questo caso i gemelli vengono convocati presso strutture specifiche dove fanno esami gratuiti (per lo più con prelievi di sangue).I gemelli sono circa il 2 per cento della popolazione (GLUHIN / ANSA)Nel corso degli anni si è anche istituita una banca biologica del Registro: dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni si conserva per vent’anni materiale biologico dei gemelli (sangue e saliva). Attualmente i campioni sono poco più di duemila. Quando un nuovo studio richiede un’analisi, basterà ottenere il permesso di utilizzarli da parte della coppia. La collaborazione con alcuni ospedali italiani ha poi permesso di inserire alcune coppie di gemelli nel database e nella banca sin dalla nascita, con prelievo di materiale biologico dei bambini e dei genitori (360 famiglie). Dice la dottoressa Medda: «Seguirli nel tempo permette di capire l’evoluzione di determinati fattori nella fase della crescita, ma anche di stabilire quelli pre-nascita e di avere un quadro completo delle influenze ambientali».Gli studi, come detto, possono coprire campi diversi, dall’ansia (si stima che la predisposizione sia per il 60 per cento genetica) all’autostima (73 per cento genetica) all’elasticità delle arterie (influenzata da fattori ambientali fra il 69 e l’81 per cento). Il gruppo di lavoro del Registro comprende ricercatori, statistici, medici, biologi, matematici e psicologi: in tutto una decina di persone fra ricercatori e tecnici, non tutte impegnate a tempo pieno sul Registro. Nel complesso è una squadra di dimensioni minori rispetto a progetti simili in altri paesi europei.Attualmente è in corso uno studio per valutare quanto il benessere psicologico possa rallentare i processi degenerativi fisici dell’età, cioè quanto possa influire sull’invecchiamento: per questo si lavora con questionari per la definizione di personalità e livello di stress e con esami di laboratorio per valutare i marker (gli indicatori) dell’invecchiamento. Nello specifico sono la lunghezza dei telomeri, piccole porzioni di DNA che si trovano alla fine di ogni cromosoma e che impediscono all’elica di sfibrarsi, e la funzionalità del DNA mitocondriale. La ricerca si basa su 200 coppie di gemelli maggiorenni e si svolge a Roma: il campione non è ancora completo ed è possibile candidarsi, per questa e altre ricerche, usando la mail del Registro (registro.nazionale.gemelli@iss.it).Un’altra caratteristica importante delle ricerche condotte sui gemelli è che i risultati ottenuti sono generalizzabili all’intera popolazione. Spiega Medda: «Studi in diversi ambiti hanno confermato che i gemelli non differiscono dai singoli: non vanno incontro a più patologie, né a più problemi, non hanno particolari caratteristiche psicologiche. L’unica cosa che li differenzia è che nascono mediamente un po’ più piccoli, ma poi la loro vita e il loro sviluppo sono uguali. Per questo possono essere usati come “popolazione sentinella”». Avere a disposizione un registro di gemelli ampio e facilmente contattabile diventa così uno strumento per effettuare ricerche in tempi più rapidi su questioni particolarmente pressanti. Ad esempio è stato possibile già nel giugno 2020 realizzare il primo studio che valutava gli effetti del lockdown sui livelli di ansia, stress e depressione nella popolazione: erano i primi dati post-pandemia. I risultati quindi non riguardano solo il 2 per cento della popolazione italiana dei gemelli, ma la sua interezza.Un volantino del Registro Nazionale GemelliIl Registro non ha finanziamenti privati e ha varie collaborazioni con progetti scientifici simili all’estero: lo studio dei gemelli ha vissuto in epoca recente un momento di grande notorietà internazionale con la ricerca della NASA sui gemelli monozigoti Scott e Mark Kelly, che hanno reso possibile valutare con più precisione gli effetti di un prolungato soggiorno nello Spazio.L’obiettivo dei prossimi anni è ampliare la base dei gemelli nel Registro, anche con eventi organizzati ad hoc, collaborazioni con associazioni e campagne social. «Incontriamo vari tipi di resistenza», dice Medda. «Qualcuno non vuole essere schedato, altri non credono alla ricerca pubblica, a volte c’è diffidenza sul metodo o si ha paura che la nostra diventi una presenza invadente, ma in generale la collaborazione dei gemelli è alta: quando sanno quanto possono essere preziosi per noi, si sentono giustamente un po’ speciali». 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    L’influenza aviaria sta uccidendo i gabbiani del lago di Garda

    Nelle ultime settimane soprattutto sulle spiagge del lago di Garda è stata segnalata una presenza piuttosto insolita di gabbiani morti. Il primo caso è stato riscontrato il 18 febbraio, ma nelle ultime settimane le carcasse degli uccelli ritrovate nella zona hanno raggiunto e probabilmente superato il centinaio. Le analisi degli istituti zooprofilattici delle zone interessate hanno confermato che la causa dei numerosi decessi dei gabbiani è l’influenza aviaria, che negli ultimi mesi ha creato problemi in Europa e nel mondo a vari allevamenti intensivi di pollame e anche alla fauna selvatica.La situazione al momento sembra riguardare solo i gabbiani: i contagi sono dovuti alla diffusione di una variante del virus influenzale H5N1/HPAI ad alta patogenicità, cioè con un’alta capacità di causare la malattia: casi di gabbiani morti sono stati registrati in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, ma i maggiori focolai sono concentrati nei paesi del basso lago di Garda: il primo caso confermato di morte per aviaria è di Toscolano Maderno, ma le carcasse sono state ritrovate anche a Desenzano, Sirmione, Peschiera, Manerba, Padenghe e San Felice del Benaco.L’opera di contenimento dell’epidemia al momento si concentra sulla rimozione immediata delle carcasse dei gabbiani morti, per evitare che possano diventare cibo per altri animali selvatici o possano essere morsi da animali domestici. Il contagio avviene infatti attraverso il contatto diretto con un animale malato o attraverso le sue feci. In alcuni casi le carcasse ritrovate presentavano segni di morsi, probabilmente di topi, o erano state beccate da corvi.#Garda, confermata purtroppo la causa dei numerosi decessi registrati nel Garda #Bresciano tra i ##gabbiani: a #Desenzano come a #Toscolano si tratta di #aviaria. Ora si teme che il #virus raggiunga gli uccelli anche della sponda trentina. Allarme soprattutto per gli allevamenti. pic.twitter.com/wveHaP7oLb— Davide Pivetti (@pivettiladige) February 25, 2023L’istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie dice che al momento non si segnalano contagi in altre specie di uccelli o di mammiferi: sono stati monitorati gli uccelli acquatici che convivono coi gabbiani, nonché volpi, faine e gatti selvatici. Nell’ottobre del 2022 in Spagna era stato riscontrato il passaggio del virus H5N1 dagli uccelli ai mammiferi, e in particolare ai visoni di un allevamento a Carral in Galizia.Nessun caso del genere è stato riscontrato in Italia e nella zona del Garda: in Spagna era stato probabilmente favorito dal carattere intensivo dell’allevamento. L’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) di Brescia, ribadendo che il rischio per la popolazione è da considerarsi basso, ha scritto ai 22 comuni del lago di Garda, raccomandando «di evitare il contatto diretto con animali selvatici, in particolare nel caso appaiano malati, moribondi o deceduti, e di non provvedere autonomamente alla raccolta». Sono state inoltre suggerite particolari precauzioni agli allevatori di volatili della zona, che dovranno evitare ogni possibile contatto con la fauna selvatica.Da quando si è iniziato a riscontrare un aumento di casi di influenza aviaria nel 2021, sono stati identificati pochi casi di contagio che abbiano riguardato esseri umani, entrati in contatto con animali infetti. I casi di contagio tra esseri umani sono rari e difficili da confermare, il virus finora non ha inoltre sviluppato mutazioni tali da adattarsi al nostro organismo, al momento non costituisce un particolare pericolo. Le istituzioni sanitarie osservano comunque con attenzione i nuovi casi, perché una maggiore circolazione del virus fa aumentare il rischio di mutazioni.Secondo i pareri degli esperti l’epidemia che sta uccidendo i gabbiani potrebbe essere in questa fase al suo picco e già nelle prossime settimane potrebbe finire, almeno per quel che riguarda la zona del Garda, con la migrazione stagionale degli uccelli. LEGGI TUTTO