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    Norme sulle lobby, Pagano (FI): «I tempi sono maturi, ce la possiamo fare»

    Ascolta la versione audio dell’articolo«Anche l’Europa preme perché l’Italia si doti di una normativa in materia di lobbying: i tempi sono maturi, dopo i fallimenti del passato». A dirlo è Nazario Pagano, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, relatore di un pacchetto di sei proposte di legge che per l’ennesima volta, dopo i tentativi andati ripetutamente a vuoto nelle passate legislature, punta a introdurre anche nel nostro Paese una normativa per disciplinare la rappresentanza di interessi. L’Europa, ricorda il deputato di Forza Italia, «ci ha più volte bacchettato» sotto questo profilo, anche nel recente rapporto sullo Stato di diritto. Bruxelles infatti sottolinea che l’Italia, in materia, non ha una normativa di riferimento, «al pari di Spagna e Grecia, gli altri due Paesi che non hanno una legge che disciplini questa materia», e per questo il pressing europeo è andato crescendo negli anni.Questo, spiega Pagano a Parlamento 24, potrebbe essere la volta buona per dotare l’Italia di una normativa su lobby e lobbisti, grazie soprattutto al fatto che «per la prima volta è stata fatta un’indagine conoscitiva», precedente l’incardinamento delle proposte di legge, indagine «che ha visto la partecipazione di costituzionalisti di rango». Dal loro lavoro di approfondimento «è nato un documento che è stato votato da tutti» i partiti, poi trafuso in una delle proposte di legge del pacchetto in esame, a prima firma Pagano, poi adottato dalla prima commissione come testo base. Un background di convergenza e condivisione che induce Pagano all’ottimismo: «Forse sì, forse ce la potremmo fare».Loading… LEGGI TUTTO

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    Aumento dell’età pensionabile, Bankitalia spinge: «Garantisce equità»

    Ascolta la versione audio dell’articoloUn meccanismo che «sarebbe meglio non toccare». È quello sull’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Che, tradotto, vuol dire continuare ad alzare la soglia per smettere di lavorare dato che, in Italia, si vive sempre più a lungo.«Problema di equità»È quello che ha sottolineato Fabrizio Balassone, vice capo del dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, durante l’audizione di fronte alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. «C’è un problema di equità generazionale – ha detto – e abbiamo questo aumento di spesa che può complicare e molto la gestione della finanza pubblica».Loading…La spesa pensionistica più alta d’EuropaIl discorso di Balassoni fa riferimento alla spesa pensionistica italiana che, in rapporto al Pil, è la più alta in Europa, «al 15,6% nel 2022 contro una media dell’11,4%». Questo, dopo che l’età media effettiva di pensionamento è già aumentata di oltre cinque anni tra il 2001 e il 2024, a 64,6 anni, e il tasso di partecipazione al mercato del lavoro nella fascia di età 55-64 anni è più che raddoppiato, dal 28,2% al 61,3%.Il disegno di legge della manovraIl disegno di legge della manovra, invece, prevede che l’adeguamento sia di un mese nel 2027 (quindi in pensione a 67 anni e un mese) e di due mesi nel 2028 (in pensione a 67 anni e 3 mesi). Oltre alla sospensione fino al 2029 per le professioni gravose.Eppure, «l’aggiornamento dovrebbe avvenire di norma ogni due anni per tutti – dice Bankitalia – tuttavia, ci sono state diverse eccezioni». Ma il meccanismo «di indicizzare l’età di pensionamento alla longevità è stato introdotto per riequilibrare tra le generazioni il rapporto tra il tempo della vita trascorso al lavoro e quello trascorso in pensione». E, quindi, aiuterà nei prossimi anni a limitare la crescita della spesa pensionistica determinata dall’invecchiamento della popolazione. LEGGI TUTTO

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    Dal banchiere Damiani ai medici Liris e Borghese: chi sono i relatori della Manovra 2026

    Carriera interrotta dal 2014, quando è stato nominato responsabile economico della Lega. E dopo aver ricoperto il ruolo di consigliere sia in Toscana che in Lombardia, è stato eletto alla Camera nel 2018 e al Senato nel 2022. In entrambi i casi in Toscana.Borghi ha costruito la sua carriera politica intorno a una visione sovranista dell’economia. Critico verso l’euro e le politiche dell’Unione Europea, sostiene la necessità di recuperare margini di libertà monetaria per rilanciare la competitività italiana. Negli ultimi interventi, proprio in merito alla manovra, ha sottolineato più volte – così come il leader della Lega Salvini – la necessità dei contributi dalle banche. Opinioni che ha ribadito spesso sui social, dove è molto attivo soprattutto su X, anche con risposte dirette agli utenti.I medici di Fratelli d’Italia e Noi ModeratiPoi, i due medici. Il primo è Guido Quintino Liris di Fratelli d’Italia, laureato in medicina a L’Aquila nel 2006 e specializzato poi in igiene e medicina del lavoro. In Abruzzo ha prestato servizio come responsabile sanitario per il Centro operativo misto IV durante l’emergenza per il terremoto del 2009.Ha iniziato la carriera politica con Azione giovani, l’organizzazione giovanile di Alleanza nazionale. E nel 2010 è stato eletto consigliere comunale a L’Aquila. Ha proseguito l’attività con Forza Italia dal 2013, mentre è passato in Fratelli d’Italia nel 2019. In quell’anno, è stato eletto assessore al Bilancio, Sport, Ragioneria e Informatica in Abruzzo. L’ingresso in Senato, invece, è arrivato nel 2022.Infine, un chirurgo dermatologo: Mario Alejandro Borghese, tesoriere per il gruppo Civici d’Italia, Udc, Noi Moderati, Miae e Centro popolare. Nato a Cordoba, in Argentina, nel 1981 (è il più giovane dei relatori), è approdato in Senato nel 2022, nella circoscrizione Estero – America Meridionale. La stessa in cui era stato eletto prima come deputato nel 2013 e nel 2018. LEGGI TUTTO

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    Referendum giustizia: quanti comitati? Cade il governo se vincono i no? Cinque domande e risposte sul voto

    Ascolta la versione audio dell’articoloE’ iniziato ufficialmente il conto alla rovescia per il referendum sulla riforma della giustizia (separazione delle carriere dei magistrati e doppio Csm). I capigruppo alla Camera e al Senato di FdI, Lega, FI e Noi Moderati hanno depositato in Cassazione le firme raccolte fra i deputati e senatori di maggioranza per richiederlo. Lo stesso si accingono a fare le opposizioni a Montecitorio e Palazzo Madama. I giudici della Corte hanno un mese per verificare la legittimità della richiesta e passare la palla al Presidente della Repubblica che, su proposta del consiglio dei ministri, stabilirà la data della consultazione. Per il referendum confermativo non è previsto quorum della metà più uno dei votanti ed è quindi valido a prescindere dall’affluenza alle urne.Quando sarà indetto il referendum sulla giustizia?In base a quanto riferito dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, l’obiettivo del governo è indire il referendum tra marzo e aprile 2026Loading…Cade il governo se vincono i no?E’ indubbio che la maggioranza punti sull’investitura popolare di una delle sue riforme simbolo. L’opposizione invece mira alla bocciatura del quesito per assestare un colpo duro al centrodestra. La premier Giorgia Meloni, però, non è intenzionata a legare le sorti dell’esecutivo all’esito della consultazione. «Se il referendum dovesse bocciare la riforma – ha avvertito il sottosegretario Alfredo Mantovano , braccio destro della premier – continueremo il nostro lavoro tranquillamente». «Se la riforma non venisse approvata resterei sicuramente deluso, ma non metterei in difficoltà il governo con le mie dimissioni. Come ha detto la premier , e come insisto io, questo referendum non ha e non deve avere un significato politico ’Meloni sì- Meloni no’. In caso di sconfitta non cambierebbe nulla, salvo ovviamente il mio rammarico personale» ha aggiunto dal canto suo il ministro della Giustizia Carlo Nordio.Su quale quesito si voterà?C’è ancora un margine minimo di incertezza. Il titolo della legge risulta poco indicativo del contenuto della riforma su cui l’elettore sarà chiamato a esprimersi. La maggioranza auspica quindi una modifica. Non a caso, mentre il quesito di Montecitorio ricalca pedissequamente il titolo della legge costituzionale – «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare» – quello del Senato lo menziona aggiungendo che il Ddl è «concernente la separazione delle carriere fra pubblico ministero e giudice, la costituzione della Corte disciplinare per i magistrati, e la formazione mediante sorteggio dei Consigli superiori della magistratura». Come anticipato sul Sole 24 Ore la divergenza è figlia delle preoccupazioni sia nel Governo, sia nella maggioranza, sull’assenza dei riferimenti alle principali novità della riforma nel titolo del provvedimento che si sottopone al giudizio degli elettori. Da qui il doppio quesito: un tentativo, che i più considerano destinato al fallimento. Infatti l’articolo 16 della legge 352 del 1970 impone la formula del quesito con il titolo della legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Il problema non si pose nel 2016, col referendum che – bocciato – portò alla fine del governo guidato da Matteo Renzi. Il titolo della legge che fece da elemento portante del quesito referendario chiariva esplicitamente quale fosse l’oggetto del contendere: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.Quanti sono i comitati per il sì e per il no?I comitati sono in crescita continua. Il Comitato “Sì Separa”, istituito dalla Fondazione Luigi Einaudi, think tank di ispirazione liberal, è presieduto dall’avvocato Gian Domenico Caiazza, già presidente dell’Unione delle Camere penali. Altro esponente di spicco Antonio Di Pietro, ex pm di Mani Pulite. Gli ex ministri Claudio Signorile e Salvo Andò, e un altro storico socialista come Fabrizio Cicchitto sono fra i promotori del “Comitato Giuliano Vassalli per il Sì”. Un altro comitato per il sì al referendum sulla riforma della giustizia è promosso dall’Unione delle Camere penali. Si chiama “Camere penali per il sì” ed è presieduto dal presidente dell’Unione, Francesco Petrelli. Sull’altro fronte il “Comitato per il no a difesa della Costituzione” è stato promosso dall’Associazione nazionale magistrati. Presidente onorario è Enrico Grosso, avvocato e ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino. Forza Italia, che considera la riforma come un’eredità politica di Silvio Berlusconi, ha annunciato che nasceranno suoi comitati sul territorio. Improbabile che Lega e Fdi promuovano comitati di partito. E a Tajani è stato recapitato forte e chiaro dagli alleati l’invito a «non personalizzare» la campagna. Anche le opposizioni preparano la strategia referendaria. L’obiettivo del fronte politico – orfano dei centristi e ristretto a Pd, M5s e Avs – è quello di costituire un unico comitato per il No che comprenda anche sigle e associazioni civili. È ancora in valutazione, inoltre, l’ipotesi della raccolta delle firme tra i cittadini (500mila) approfittando della nuova modalità on line. LEGGI TUTTO

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    Valle d’Aosta, Testolin confermato presidente. Fi in maggioranza, il centrodestra si spacca

    Ascolta la versione audio dell’articoloRenzo Testolin è stato confermato presidente della Valle d’Aosta. Esponente dell’Union Valdôtaine, 57 anni, consulente finanziario, è presidente della Regione dal marzo 2023. Lo ha eletto oggi con 21 voti su 35 il Consiglio regionale. Testolin è a capo di una maggioranza a trazione autonomista in cui ha fatto il suo ingresso Forza Italia, al posto del Pd. Alle ultime elezioni regionali è stato il candidato più votato con 3.808 preferenze. Nella piccola regione alpina non è prevista l’elezione diretta del governatore, che viene eletto dal rinnovato Consiglio regionale (35 membri).Centrodestra in frantumiDopo aver dominato con la sua Union valdôtaine le elezioni regionali del 28 settembre scorso (32% dei voti e 12 seggi su 35), Testolin si conferma dunque presidente della Valle d’Aosta con una maggioranza radicalmente diversa rispetto alla precedente legislatura: non più con il Pd, ma con Forza Italia, Azione, e con gli autonomisti di centro di Stella Alpina e Rassemblement valdôtain. Fratelli d’Italia e Lega restano all’opposizione e il centrodestra, che pure si era presentato in coalizione, va in frantumi, «La chiusura dell’accordo per la nuova Giunta regionale rappresenta, a nostro avviso, l’errore politico e strategico più grave che potesse essere commesso per il futuro della Valle d’Aosta in questo momento cruciale» ha tuonato Enzo Amich, commissario del partito della premier Giorgia Meloni in Valle d’Aosta.Loading…Testolin, parole d’ordine: autonomia e sostenibilitàTestolin ha presentato in aula il programma di maggioranza. Quarantatre pagine di propositi con una parola d’ordine: “sostenibilità”. «La nostra autonomia – ha detto – deve essere interpretata concretamente in una visione dinamica, con l’esercizio deciso delle nostre competenze e la difesa della nostra identità, affinché possa essere rinvigorito lo spirito di orgoglio e di appartenenza alla comunità, negli anni un po’ venuto meno. Necessario a tal fine sarà consolidare il confronto trasparente e leale con il Governo nazionale». L’obiettivo di Testolin è aprire un canale di dialogo e di collaborazione con il Governo nazionale di centrodestra, finora rimasto distante politicamente.L’accordo con Forza ItaliaCon il partito azzurro l’Union valdôtaine ha stretto un accordo “politico programmatico” per affrontare con il Governo nazionale alcuni dei dossier chiave che la Giunta Testolin bis dovrà risolvere con urgenza: in primis, tutelare il colosso idroelettrico regionale Cva, evitando di perdere le concessioni vitali per l’economia valdostana, e riformare lo statuto speciale di autonomia, rafforzando le prerogative regionali.Il nuovo esecutivoForza Italia avrà un rappresentante nella compagine di governo: l’esperto consigliere Mauro Baccega è stato indicato come assessore al bilancio (non senza il mal di pancia del consigliere Marco Sorbara, il più votato della lista). L’esecutivo sarà poi completato da cinque assessori dell’Union valdotaine e due degli Autonomisti di Centro. LEGGI TUTTO

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    Consulta: divieto terzo mandato vale anche per il Trentino. Tensione Fdi-Lega

    Più polemico il governatore uscente del Veneto Luca Zaia che chiede al Parlamento di modificare la legge attuale nazionale che vieta il terzo mandato ai governatori di regione. «Le sentenze si rispettano. Dopodiché, se la sentenza dice no al terzo mandato anche nelle Regioni a statuto speciale o autonomo o le due Province autonome, vuol dire che il Parlamento, qualcuno si decida, deve modificare la legge» dichiara Zaia, che aggiunge: «Le uniche due cariche che eleggono direttamente i cittadini sono il sindaco e il presidente della Regione, guarda caso anomalia tutta italiana, le uniche due ad avere il vincolo di mandato. Tutte le altre cariche che non sono elette direttamente dai cittadini non hanno vincolo di mandato. Io direi che sarebbe l’occasione, non per contestare le sentenze, perché le sentenze si debbono accettare, ma a partire da questa sentenza per modificare la legge»Pd: sentenza terzo mandato non piace a Lega ma fa chiarezza Di tutt’altroavviso il Pd. «Con la sentenza di oggi la Corte costituzionale ha affermato un principio importante, su cui più volte abbiamo richiamato l’attenzione intervenendo in commissione Affari costituzionali del Senato proprio sulla questione della legge trentina che rendeva possibile il terzo mandato consecutivo per il presidente della provincia autonoma. Vi sono principi a limitazione del potere e a tutela di fondamentali diritti civili e politici che non tollerano differenziazioni territoriali, nemmeno a beneficio delle regioni a statuto speciale» scrivono in una nota i senatori dem, Dario Parrini e Andrea Giorgis, rispettivamente vicepresidente e capogruppo del partito nella commissione citata.FdI: dopo no della Consulta Fugatti restituisca vicepresidenza Intanto la sentenza della Cosulta riaccende lo scontro tra Lega e Fdi in Trentino. In particolare Fratelli d’Italia chiede il rispetto di «tutti gli accordi elettorali, anche quelli che prima del voto riconoscevano a Fratelli D’Italia la vicepresidenza della Provincia autonoma di Trento», sottolinea il parlamentare e coordinatore regionale di FdI, Alessandro Urzì. La decisione del governo di impugnare la legge promossa dalla maggioranza di centrodestra, ma con la forte contrarietà di FdI che si era chiamata fuori, aveva causato uno strappo tra Lega ed il partito di Meloni. Pochi giorni dopo, infatti, Fugatti aveva tolto alcune competenze e soprattutto la vice presidenza della Provincia all’esponente di Fdi, Francesca Gerosa LEGGI TUTTO

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    Giustizia: da Barbera a Bettini, tutti i Sì che Schlein non si aspettava. La difficile partita del Pd

    Ascolta la versione audio dell’articoloPassi per il simbolo di Tangentopoli, l’ex Pm della Procura di Milano Antonio Di Pietro, che si è espresso in favore della riforma Nordio. Passi per la radicale Emma Bonino, che della separazione delle carriere ha fatto una delle battaglie politiche della vita assieme a Marco Pannella. E passi pure per i centristi Carlo Calenda e Matteo Renzi, che avevano il tema nel programma del fu Terzo polo alle elezioni politiche del 2022: il leader di Azione ha sempre votato in favore in Parlamento e darà indicazioni per il Sì al referendum confermativo di marzo/aprile, il leader di Italia Viva ha preferito astenersi e lascerà libertà di voto. Ma il risultato politico è lo stesso: come accaduto a giugno scorso per il referendum abrogativo contro il renziano Jobs act, fallito per mancato raggiungimento del quorum, al fronte del no – Pd, M5s e Avs con l’aiuto delle “truppe” della Cgil di Maurizio Landini – manca del tutto il centro.Tutti i sì a sinistra, da Bettini a Salvi a LibertàEgualePassi per le posizioni in favore della riforma Nordio alla destra del campo largo, dunque, che non rientra nella giurisdizione dem. Ma il fatto è che i Sì che non ti aspetti stanno crescendo anche dentro il Pd: un fatto politico che sicuramente non fa piacere alla segretaria Elly Schlein e che mina l’impegno di tutto il partito in quella che – nonostante le smentite – è l’ultima vera battaglia politica contro il governo Meloni prima delle elezioni politiche del 2027. D’altra parte il tema della separazione delle carriere è da tempo presente nel dibattito dei democratici, tanto da comparire nella mozione di Maurizio Martina al congresso del 2019 poi vinto da Nicola Zingaretti: non solo i “liberal” eredi del migliorismo di Giorgio Napolitano raccolti nell’associazione LibertàEguale, che si sono di fatto schierati per il Sì – da Enrico Morando a Stefano Ceccanti, da Giorgio Tonini a Claudia Mancina – ma anche personalità provenienti dalla sinistra del partito come il big del Pd romano Goffredo Bettini e personalità provenienti dalla tradizione del Pci-Ds come Cesare Salvi e Claudio Petruccioli, i quali hanno ricordato come la divisione del Csm in due fu votata anche dalla Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema nel 1996/97 (con il voto favorevole, tra gli altri, dell’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella).Loading…Il colpo di Barbera: separazione delle carriere inevitabileSu tutti, il colpo più forte lo ha battuto il presidente emerito della Corte costituzionale Augusto Barbera, già parlamentare del Pci e del Pds e ministro nel governo Ciampi nei primi anni Novanta. «Inutile girarci attorno. La riforma della giustizia di cui stiamo parlando è una riforma liberale divenuta inevitabile dopo al cosiddetta riforma Vassalli (la legge delega n.81 del 1987) che aveva smantellato il vecchio codice di impronta autoritaria e introdotto il sistema accusatorio», è l’affondo di Barbera in un intervento sul Foglio in cui ricorda anche la riforma a larghissima maggioranza nel 1999 dell’articolo 111 della Costituzione che ha introdotto il principio del «giusto processo» nel contraddittorio tra le parti «in condizioni di parità» davanti a un giudice «terzo ed imparziale». Come a dire che la riforma Nordio è una conseguenza inevitabile di quelle scelte condivise e che semmai arriva troppo tardi.L’imbarazzo dei riformisti, Picierno verso il SìUn panorama, quello dei favorevoli alla separazione delle carriere a sinistra, su cui si inserisce la difficile posizione dei riformisti doc (per intenderci, quelli che – da Lorenzo Guerini a Giorgio Gori – a fine ottobre con il convegno milanese “Crescere” si sono staccati dalla minoranza di Energia popolare che fa riferimento al presidente del Pd Stefano Bonaccini). In Aula hanno sempre votato no e altrettanto si apprestano a fare al referendum confermativo. Ma è un fatto che sulla prima grande questione politica in agenda la corrente appena nata per marcare la differenza con la linea politica di Schlein evita di distinguersi, limitandosi ad auspicare un confronto nel partito «su come intende stare nella campagna referendaria». Segno se non di debolezza, quantomeno di errore di valutazione della tempistica per il lancio della prima vera corrente di opposizione interna alla segretaria. Ma i prossimi giorni riserveranno sorprese: l’eurodeputata Pina Picierno, la pasionaria ultra europeista, sembra infatti orientata a schierarsi pubblicamente per il Sì in dissenso dai compagni di corrente Guerini e Gori, viste le sue storiche posizioni garantiste e in favore della separazione delle carriere. E potrebbe non essere la sola.La cautela di Schlein: non è voto contro il governoE Schlein? Di certo la segretaria sa di non avere dietro di sé una falange compatta e sa anche, come per altro sa la premier Giorgia Meloni, che il referendum confermativo è di per sé pieno di incognite non essendo previsto quorum: vincerà chi più saprà mobilitare i propri elettori. Da qui i toni cauti, l’invito a non personalizzare e il tentativo di distinguere la campagna referendaria del Pd da quella degli altri partiti di sinistra: no difesa dei magistrati in quanto tali, non più popolari come ai tempi di Tangentopoli, sì difesa della Costituzione e dei suoi equilibri di poteri. Di più: «Si tratta di una riforma che non risolve i problemi endemici della giustizia, a cominciare dalla lunghezza dei processi, e quindi non va incontro a cittadini e imprese», è il refrain di Largo del Nazareno. Un po’ come camminare sulle uova… LEGGI TUTTO

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    Campania, avviso di garanzia per Maria Rosaria Boccia: «Mi ritiro dalle Regionali»

    Ascolta la versione audio dell’articoloMaria Rosaria Boccia si ritira dalle Regionali in Campania, dove era in corsa come consigliere con la lista «Dimensione Bandecchi».«Non ho la forza»L’imprenditrice di Pompei, in una lettera inviata proprio a Stefano Bandecchi, ha scritto di «non avere la forza di affrontare nuovamente un simile calvario» a causa del secondo avviso di garanzia ricevuto la sera di martedì 4 novembre. Loading…«È stata una notizia che mi ha profondamente ferita – ha aggiunto – Per questo motivo ho deciso di ritirare la mia candidatura al Consiglio Regionale della Campania».La nuova indagineProprio pochi giorni fa, Boccia è finita al centro di una nuova indagine. La Procura di Roma le ha contestato, in concorso con un giornalista di una testata online, il reato di interferenze illecite nella vita privata dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.L’udienza del 9 febbraioIntanto, per il 9 febbraio è fissata l’udienza del procedimento che vede Boccia accusata per stalking, lesioni, interferenze illecite nella vita privata e diffamazione in seguito a un altro esposto presentato sempre da Sangiuliano. LEGGI TUTTO