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    Piantedosi: «Almasri espulso perché pericoloso»

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaIl cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish è stato rilasciato nella serata del 21 gennaio «per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto. Il governo ha dato la disponibilità a rendere un’informativa di maggiore dettaglio sul caso in questione. Sarà quella l’occasione utile per approfondire e riferire su tutti i passaggi della vicenda, ivi compresa la tempistica riguardante la richiesta, l’emissione e l’esecuzione del mandato di cattura internazionale, che è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico». Così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi al question time al Senato sul caso Almasri.«A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma – ha continuato -, considerato che il cittadino libico era “a piede libero” in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte Penale Internazionale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato» ai sensi della legge. «Il provvedimento è stato notificato all’interessato al momento della scarcerazione e, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale». Per Piantedosi l’espulsione in quel momento «era la misura più appropriata, anche per la durata del divieto di reingresso».Loading… LEGGI TUTTO

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    Due per mille ai partiti: 29,7 milioni di euro nel 2023. La graduatoria

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaNel 2023 le risorse del 2xmille ai partiti hanno raggiunto la quota di 29,7 milioni di euro. La cifra più alta da quando è stato introdotto questo meccanismo di finanziamento indiretto alla politica. Il partito che ha raccolto più fondi è il Pd che con 10.286.158 euro doppia Fratelli d’Italia, seconda classificata (5.658.481 euro). Segue il Movimento 5 Stelle (2.739.399 euro). Cifre identiche per Verdi e Sinistra italiana (1,4 milioni per entrambi gli alleati). La Lega, se si sommano le due componenti (Lega per Salvini Premier con 1.156.933 euro e Lega Nord per l’Indipendenza della Padania con 463.974 euro) guadagna la quarta posizione alle spalle dei Cinque Stelle.Come accaduto per l’anno precedente Azione è il partito con più fondi (1,4 milioni di euro) rispetto al numero di contribuenti (53.639) con una media di circa 24 euro.Loading…Nel dettaglio sono 2.053.648 i contribuenti che hanno fatto la propria scelta (4,89% del totale), per un totale di 29.790.532 euro complessivi. Il dato è in crescita: nel 2023 erano stati 1.744.913 cittadini (il 4,15%) a destinare alle forze politiche 24.058.168 euro. LEGGI TUTTO

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    Craxi: il fardello del debito, il Britannia e la fine della Prima Repubblica

    Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaQuali furono le «vere ragioni» che portarono alla caduta della Prima Repubblica? Cosa disse Mario Draghi il 2 giugno del 1992 sul panfilo di Sua Maestà la Regina sulle privatizzazioni delle aziende pubbliche italiane? Di chi è la responsabilità storica del debito pubblico italiano? A questi e ad altri interrogativi risponde la seconda edizione di Controvento. La vera storia di Bettino Craxi (Ed. Rubbettino) in questi giorni in libreria. Non è solo una biografia quella che Fabio Martini, giornalista politico de La Stampa, ha scritto sul leader socialista, di cui il 19 gennaio sono stati ricordati i 25 anni dalla morte ad Hammamet (Tunisia). Attraverso la vita di Craxi, di cui non nasconde le grandi responsabilità, Martini fa luce su almeno un ventennio della storia politica ed economica italiana recente e su alcune vicende rilevanti per il Paese. Con l’esperienza del cronista e la messa a fuoco che il tempo trascorso consente.Le due Americhe Nella ricostruzione delle ragioni che portarono alla deflagrazione della Prima Repubblica, Martini pone l’accento sui fattori esterni e ricostruisce, in particolare, il cambio radicale di strategia delle amministrazioni americane sull’Italia, le «due Americhe»: a quella di Bush, che appoggiava il pool di magistrati milanesi, nel 1993 succede quella di Clinton che lascia le inchieste a loro corso e «incoraggia una nuova leva politica, investendo persino sugli ex comunisti e sugli ex missini». Le due amministrazioni – scrive ancora Martini –«perseguirono disegni diversi, finendo per determinare il risultato finale: l’espulsione rapida e definitiva di alcuni dei principali protagonisti della Prima Repubblica». Compreso Bettino Craxi che diventò uno dei capri espiatori di quella stagione.Loading…Il discorso di Draghi agli ospiti del BritanniaIn quel clima da fine impero si colloca anche un episodio molto citato nelle cronache e nelle ricostruzioni, ma i cui contorni sono rimasti per decenni poco definiti. Il 2 giugno del ’92 sul panfilo Britannia, ancorato davanti al porto di Civitavecchia, banchieri, economisti e manager delle aziende pubbliche italiane incontrano esponenti dei grandi istituti di credito e dei fondi d’investimento internazionali. L’Italia è in transizione tra una legislatura e l’altra. Tocca a Mario Draghi, da direttore generale del Tesoro, rappresentare il governo. Il suo discorso anticipa e spiega le scelte politiche che il Paese sta preparando per privatizzare le grandi aziende di Stato. A prescindere dai governi…Le privatizzazioni allontanarono le imprese pubbliche dalle ingerenze dei partiti privando questi ultimi di risorse e potere su cui avevano fatto affidamento per decenni. Molti degli ospiti del Britannia, italiani e internazionali, «furono gratificati» (…) «alcuni hanno investito sul tracollo italiano, ma la vecchia politica – sottolinea Martini – aveva fatto di tutto per escludersi dalla nuova stagione». Le inchieste di Mani Pulite stavano per deflagrare: non erano frutto di un complotto ordito dai poteri forti presenti nel Paese, ma il colpo definitivo su un mondo già compromesso.Dove nasce il debito pubblico«Il trascorrere degli anni – afferma la prefazione alla seconda edizione – consente di definire sempre meglio la statura di Bettino Craxi: l’incancellabile sottovalutazione della questione morale non impedisce di vedere meglio come il leader socialista affrontò questioni rimaste irrisolte». Una di queste è il debito pubblico, destinato a diventare uno dei problemi più rilevanti dell’economia italiana, a cui è dedicato un intero capitolo. LEGGI TUTTO

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    Successione a Santanchè, voci su Malan ma da Palazzo Chigi smentiscono

    Ascolta la versione audio dell’articolo1′ di letturaIl capogruppo al Senato di FdI, Lucio Malan, è stato a Palazzo Chigi. Nel pomeriggio si sono diffuse voci su una possibile sua successione a Daniela Santanchè, sulla quale grava un rinvio a giudizio per falso in bilancio. Ma da Palazzo Chigi smentiscono: i due capigruppo erano in riunione dal capo di gabinetto del presidente, Gaetano Caputi, per parlare di concessioni autostradali, il resto sono solo fantasie.Malan: piena fiducia in ministro? CertoPiena fiducia in Santanchè? «Il ministro Santanchè è ministro, abbiamo votato la fiducia… Certo». Risponde così ai cronisti il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan, uscendo da Palazzo Chigi assieme al capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami. «Abbiamo parlato di concessioni autostradali», spiega.Loading…Tajani: al vertice non si è parlato di Santanché, noi garantisti«Non se ne è parlato». Lo ha detto in rapporto a un vertice tra i leader, tenutosi stamattina, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani arrivando a un convegno alla Camera. «Noi – ha aggiunto – siamo garantisti: finchè una persona non è condannata in via definitiva è innocente, lo prevede la nostra Costituzione».Voci di incontro La Russa-Santanchè, fonti Senato smentisconoUn incontro tra il presidente del Senato, Ignazio La Russa e la ministra Daniela Santanché, rientrata oggi a Roma. Diverse fonti riferiscono di un momento di confronto tra i due, attorno all’ora di pranzo che però fonti della presidenza del Senato, interpellate al riguardo, smentiscono. La Russa ieri aveva incontrato, sempre all’ora di pranzo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. LEGGI TUTTO

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    Referendum, dal jobs act alla cittadinanza: su cosa si voterà in primavera

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaAl via la campagna referendaria sul lavoro e sulla cittadinanza per gli extracomunitari. Sui cinque quesiti dichiarati ammissibili dalla Consulta – quattro promossi dalla Cgil – si voterà in primavera. «Sarà una primavera di diritti, democrazia e partecipazione», afferma il segretario generale Maurizio Landini sostenendo “5 sì” per «cambiare pagina» e «cancellare e modificare le leggi sbagliate, balorde, fatte in questi anni sul lavoro, a partire dal Jobs act». Quesiti sul lavoro a loro tempo firmati anche dalla segretaria del Pd, Elly Schlein (oltre che dai leader del M5s, Giuseppe Conte, e di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli): «Li ho firmati e non faremo mancare il nostro contributo, anche sulla cittadinanza», assicura la segretaria dem. Una scelta logica per Schlein, da sempre contraria alla riforma simbolo del governo Renzi. Ma non per un pezzo di Pd (a partire dall’ala riformista) che quella riforma all’epoca l’ha sostenuta. Non solo. La bocciatura da parte della Consulta del referendum per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, che avrebbe fatto da traino, rende molto difficile il raggiungimento del quorum.Jobs act nel mirinoTornando ai quesiti, nel mirino c’è innanzitutto il Jobs act per il ripristino dell’articolo 18 e quindi del reintegro nei casi di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti dopo il marzo 2015 (da quando sono entrate in vigore le norme del governo Renzi, che hanno introdotto il contratto a tutele crescenti).Loading…Gli altri tre quesiti sul lavoroIl secondo quesito riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. L’obiettivo è innalzare le tutele per chi lavora in aziende con meno di quindici dipendenti eliminando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato. Mentre il terzo punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine, per limitarne l’utilizzo a causali specifiche e temporanee. Infine, l’ultimo quesito riguarda l’esclusione della responsabilità solidale di committente, appaltante e subappaltante negli infortuni sul lavoro. In particolare, con il referendum si vogliono tagliare le norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante.Il referendum sulla cittadinanza per gli extracomunitariL’altro quesito ammesso, proposto tra gli altri da +Europa, chiede di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanzaVoto in primaveraIl voto sui referendum sarà dunque in primavera: in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. In attesa che il governo fissi la data, gli scenari prevedono la possibilità di un accorpamento della consultazione referendaria con quelle previste in diversi Comuni, tra cui Genova, per l’elezione del sindaco. LEGGI TUTTO

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    Giovanni Amoroso nuovo presidente della Consulta: «Autonomia, il legislatore intervenga sui Lep»

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaScaduto il lasso di tempo (circa trenta giorni) che di consueto lascia correre per il rinnovo del presidente che ha terminato il suo mandato, la Corte costituzionale si è riunita in camera di consiglio per eleggere il suo nuovo presidente: il successore di Augusto Barbera è Giovanni Amoroso, finora presidente facente funzioni e membro più anziano. Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, nato a Mercato San Severino (Salerno) il 30 marzo 1949, Amoroso è membro della Consulta dal 26 ottobre 2017. Il suo mandato scadrà il 13 novembre 2026. I suoi due vice presidenti saranno Francesco Viganò e Luca Antonini.La telefonata con la premierIl neo presidente ha telefonato alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per informarla della sua elezione. La premier, fanno sapere fonti di Palazzo Chigi, gli ha espresso gli auguri di buon lavoroLoading…«Autonomia, occorre che il legislatore intervenga sui Lep»«Non ci sono linee programmatiche da esporre. La Corte è un organo profondamente collegiale. C’è da ricordare che la bussola nell’attività della Corte è la Costituzione» ha detto Amoroso nella conferenza stampa subito dopo la sua elezione. Parlando della riforma dell’Autonomia, Amoroso ha detto che «occorre che il legislatore intervenga e determini i criteri per i Lep», il «pilastro su cui si regge la legge 86» che «è stato investito dalla pronuncia di incostituzionalità».«Con undici giudici la Corte non è menomata»Amoroso ha pure affrontato la questione dello stallo in Parlamento per il mancato accordo sulla nomina dei quattro membri della Consulta di nomina politica. «Anche con undici giudici la Corte non è menomata» ha detto. «Il Parlamento ha mandato in passato giudici di eccellenza. Temere che possa esserci un atteggiamento di sottovalutazione non mi pare. Ci aspettiamo che verranno giudici di assoluto livello» ha aggiunto. «Ci aspettiamo e sicuramente sarà così che dal Parlamento verranno nominati giudici di assoluto livello» che, ha sottolineato, «dopo il giuramento si spogliano della loro provenienza» perché poi «c’è la sintesi della camera di consiglio».«Stallo su tema fine vita, serve leale collaborazione»  LEGGI TUTTO

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    Meloni: l’impegno dell’Italia è consolidare il dialogo Ue-Usa

    Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaLa scelta di essere presente all’inauguration day di Donald Trump è di per sé eloquente. Giorgia Meloni vuole però ribadirlo esplicitamente al termine della cerimonia del giuramento: l’impegno dell’Italia sarà «consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa». Un ruolo da pontiere che sarà complicato portare avanti e che già nelle prossime ore sarà messo alla prova dopo l’annuncio, per ora generico, da parte del presidente Usa sulla nuova politica di dazi alle importazioni. Una partita fondamentale anche per l’Italia, secondo esportatore negli States dopo la Germania.Proprio la debolezza di Berlino (le elezioni saranno tra un mese) parallelamente alle difficoltà di Emmanuel Macron in Francia le offrono un trampolino che la premier intende sfruttare fino in fondo. «Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e USA, affrontando insieme le sfide globali e costruendo un futuro di prosperità e sicurezza per i nostri popoli», scrive nel suo messaggio di auguri su X dopo aver assistito in Campidoglio alla cerimonia.Loading…Più o meno quello che aveva già detto poche ore dopo a Washington, lei unica leader europea ad essere stata inviata, che di primo mattino era nella chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca per partecipare alla messa di «benedizione» del nuovo Commander in Chief. Un segnale di attenzione da parte di Trump, già emerso nel breve faccia a faccia a Parigi in occasione della riapertura di Notre Dame prima di Natale e – ancora più evidente – durante il blitz di poche ore a Mar-a-Lago della premier e culminato ieri nella presenza alla cerimonia a Capitol Hill.Meloni seduta vicino al Presidente argentino Javier Milei e poco distante dal vicepresidente cinese Han Zheng, e dai “big tech Ceo”, tra cui ovviamente spicca elon Musk, non lesina applausi a Trump e si alza in piedi quando il nuovo inquilino della Casa Bianca, con riferimento alle guerre in corso e a quelle che potrebbero arrivare, dichiara l’intenzione di indossare i panni del «pacificatore».La presidente del Consiglio sta bene attenta a non perdere l’aplomb istituzionale. Non ha alcuna intenzione di essere etichettata come una “fan” di Trump come invece rivendica il suo alleato Matteo Salvini che probabilmente sarebbe atterrato ieri a Washington se lei non fosse stata presente. Fino all’ultimo infatti la premier ha evitato di far sapere (anche ai suoi vice) quali fossero le sue intenzioni. Una riservatezza che certamente l’aiuta a mantenere buoni rapporti sull’altro fronte, quello europeo, come conferma la telefonata intercorsa con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, prima di decollare da Roma. LEGGI TUTTO

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    Autonomia differenziata, dopo il no al referendum che cosa succede ora?

    Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaDiciamo pure subito, senza timore di essere smentiti, che una campagna elettorale con le regioni del Nord e quelle del Sud le une contro le altre armate non era una prospettiva troppo gradita nei due palazzi che si fronteggiano sul Colle più alto di Roma, il Quirinale e la Consulta. Ma naturalmente la decisione dei giudici costituzionali di stoppare il referendum abrogativo sulla legge Calderoli, legge ordinaria in attuazione dell’articolo 116 della Costituzione sull’autonomia differenziata, ha una ragione giuridica evidente: dopo la sentenza della stessa Corte costituzionale 192 del 14 novembre scorso in seguito al ricorso di quattro regioni a guida centrosinistra – sentenza che ha di fatto smontato la legge impugnata cancellandone 7 punti e riscrivendone in modo “costituzionalmente corretto” altri 5 – della Calderoli resta ben poco.Lo stop della Consulta: no a un referendum su una legge che non c’è più«La Corte ha rilevato che l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore», recita la nota serale della Consulta per la stampa, in attesa del deposito delle motivazioni. Come a dire: se non c’è più l’oggetto, su cosa si vota? Non solo. Proprio perché a restare in piedi è di fatto solo il principio dell’autonomia differenziata, principio contenuto nell’articolo 116 con la riforma del Titolo V voluta dall’allora centrosinistra nell’ormai lontano 2001, «il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta dell’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’articolo 116, terzo comma della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale».Loading…Il sospiro di sollievo di Palazzo Chigi, che evita lo scontro su tema divisivoIl primo grande sospiro di sollievo arriva da Oltre Oceano, ed è quello di Giorgia Meloni. La premier, impegnata nella cerimonia di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, si evita infatti una campagna elettorale insidiosissima, campagna che la avrebbe costretta a difendere una legge che non ha mai sentito sua e che la avrebbe costretta a subire la propaganda di un’opposizione per una volta unita attorno alla bandiera dell’unità del Paese contro la legge “spacca Italia”. E tutto sommato a tirare un sospiro di sollievo è la stessa Lega. Che con il governatore del Veneto Luca Zaia sostiene che «la Corte ha prima affermato la costituzionalità della legge, suggerendo i correttivi, e oggi pone la parola fine al referendum togliendo incertezza alla fase operativa».E ora? Primo step nuova legge delega sui Lep. Ma con calmaFase operativa che, tuttavia, dopo l’intervento della Consulta con la sentenza 192 del 2024 avrà per forza di cose tempi lunghi. Le Camere, hanno dettato i giudici costituzionali, si devono poter esprimere compiutamente su tutti i passaggi fondamentali della riforma, dai provvedimenti che fissano gli ormai famosi quanto ancora imprecisati Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) fino alle intese con le singole regioni, che potranno essere emendate dal Parlamento a differenza di quanto previsto fin qui dalla legge quadro. Inoltre ad essere trasferite non potranno essere le materie in blocco ma solo singole funzioni. Dulcis in fundo, va preventivamente calcolato l’impatto dei Lep e del loro finanziamento integrale su saldi di finanza pubblica che difficilmente possono sopportare nuova spesa, e che ora sono stati fissati in un Piano strutturale di bilancio non più modificabile a meno di eventi eccezionali.I tempi lunghi investiranno per par condicio anche il premieratoNell’immediato il primo passaggio obbligato è la riscrittura in modo puntuale e non generico della legge delega sui Livelli essenziali di prestazione (Lep). «La Corte ha detto che la delega deve essere chiara, non può essere generica, e ha chiesto un maggior coinvolgimento del Parlamento. Faremo in modo che le Camere possano emendare le intese», conferma il presidente meloniano della commissione Affari costituzionali Alberto Balboni. Ma né Meloni né Forza Italia hanno voglia di riaprire subito la questione («scriveremo una legge equilibrata», dice il vicepremier e leader azzurro Antonio Tajani). Insomma, tempi lunghi. Che investiranno anche – per par condicio – l’altra riforma costituzionale in campo, quella del premierato. Tanto che la stessa premier, nella conferenza stampa di inizio anno, ha evocato il referendum confermativo sulla “sua” riforma dopo le prossime elezioni politiche. LEGGI TUTTO