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    Il parere del Comitato nazionale di bioetica sull’utilizzo dei bloccanti per la pubertà per i minorenni 

    Caricamento playerIl Comitato nazionale di bioetica (CNB), un organo consultivo del governo che si occupa di questioni scientifiche particolarmente complesse dal punto di vista etico e giuridico, ha consigliato che vengano finanziati più studi clinici indipendenti per raccogliere maggiori dati riguardo agli effetti e al rapporto costi/benefici dei cosiddetti “farmaci bloccanti per la pubertà”, utilizzati nei trattamenti per la disforia di genere nei minorenni che non si identificano col genere corrispondente al proprio sesso biologico.
    Il Comitato, il cui parere non è vincolante, era stato interpellato dal ministero della Salute perché si esprimesse sull’opportunità o meno, dal punto di vista etico, di somministrare ai minorenni la triptorelina, il farmaco che sospende alcuni aspetti dello sviluppo puberale. I bloccanti della pubertà sono utilizzati in vari paesi, compresa l’Italia, per accompagnare il percorso di adolescenti e preadolescenti che non si sentono a proprio agio nel genere associato al loro sesso biologico. Da alcuni anni però questi farmaci sono al centro di un esteso e acceso dibattito, e di recente sono stati vietati a tempo indeterminato nel Regno Unito, dopo la pubblicazione di un atteso rapporto dal quale emergevano delle lacune nelle conoscenze scientifiche sui loro effetti.
    Nel parere appena pubblicato (consultabile qui) il Comitato ha detto di essere giunto a queste conclusioni dopo una serie di audizioni con esperti e dopo aver valutato la letteratura scientifica disponibile. Il parere è stato pubblicato con 29 voti favorevoli, 2 astensioni e 1 voto contrario. Quasi all’unanimità, quindi: è un dato notevole, tenendo conto che il Comitato è composto da persone con orientamenti, visioni e livelli di competenza molto diversi, e che il tema è molto divisivo e polarizzante.

    – Leggi anche: Perché si discute di bloccanti per la pubertà e transizione di genere nei più giovani

    I dubbi del ministero della Salute riguardavano soprattutto il livello di consapevolezza che persone così giovani hanno nel momento in cui acconsentono a iniziare trattamenti così impattanti sul proprio corpo. A questo proposito, il Comitato ha allegato una dichiarazione di voto firmata da 15 membri che, pur aderendo al parere generale del Comitato sulla necessità di migliorare la nostra comprensione degli effetti dei farmaci bloccanti per la pubertà, si sono detti eticamente contrari a permettere a persone minorenni di intraprendere un percorso di transizione di genere. Secondo i membri del Comitato che hanno sottoscritto questa dichiarazione, «molti dei cambiamenti fisici previsti e intrapresi sono irreversibili, e la compromissione della fertilità risulta spesso inevitabile».
    Nel parere appena pubblicato, il Comitato ha detto che gli studi da svolgere devono essere «di qualità superiore a quelli già realizzati», che ritiene non adatti a poter rispondere alla domanda rivolta dal governo. Il Comitato ha definito «carenti e frammentari» anche i dati disponibili sull’utilizzo della triptorelina nelle varie Regioni italiane.
    A tal proposito, il Comitato ha ricordato che il modello di riferimento per gli studi clinici da svolgere è quello dello «studio controllato e randomizzato in doppio cieco». È un tipo di studio in cui i partecipanti vengono assegnati in maniera casuale a due gruppi, il gruppo sperimentale che riceve il trattamento e quello che non lo riceve, per poter confrontare i risultati, e in cui sia gli sperimentatori che i partecipanti non conoscono il tipo di trattamento assegnato. Sono tutti criteri pensati per rendere il più imparziale e obiettiva possibile una sperimentazione, evitando che aspettative consce o inconsce influenzino la sua valutazione.
    Il Comitato ha inoltre raccomandato che eventuali prescrizioni di questo farmaco vengano effettuate in maniera controllata, possibilmente all’interno di sperimentazioni promosse dallo stesso ministero della Salute, e comunque seguendo gli stessi criteri anche in eventuali prescrizioni esterne alle sperimentazioni cliniche. In linea generale, il Comitato ha detto che l’eventuale somministrazione della triptorelina dovrebbe avvenire solo dopo aver dimostrato l’inefficacia di altri tipi di terapie e percorsi meno impattanti dal punto di vista fisico, per esempio percorsi psicologici, psicoterapeutici o eventualmente psichiatrici, documentando tutti i passaggi del processo decisionale.
    Come detto il parere del CNB non è vincolante: starà ora al governo decidere se e come far partire e finanziare nuovi studi clinici sull’utilizzo della triptorelina, in maniera da guadagnare le conoscenze necessarie per rispondere alla domanda che aveva rivolto al Comitato.
    Il Comitato ha accompagnato il proprio parere con due note in cui chi ha votato in maniera contraria e chi si è astenuto ha argomentato le proprie posizioni, e da due dichiarazioni di voto. Nella seconda dichiarazione i 7 membri firmatari hanno enfatizzato l’importanza di acquisire conoscenze sull’utilizzo della triptorelina e di creare strumenti per poter seguire lo sviluppo dei suoi effetti e di quello che si scoprirà in futuro, per esempio attraverso l’istituzione di un registro nazionale centralizzato sul suo utilizzo. LEGGI TUTTO

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    ”La ragazza più straordinaria”: Bianca Balti nel mezzo della chemio incontra l’amica Chiara Ferragni durante il viaggio in Italia

    La top model 40enne, in questi giorni a Milano, riabbraccia l’imprenditrice 37enne

    Le due sono felici di stare nuovamente vicine e sorridono raggianti

    Non aveva mai smesso di farle sentire la sua vicinanza nel corso degli anni e ora ancora di più, data la dura battaglia che sta combattendo contro il tumore alle ovaie. Bianca Balti nel mezzo della chemio incontra l’amica Chiara Ferragni durante il viaggio in Italia. La top model 40enne, in questi giorni a Milano, riabbraccia l’imprenditrice 37enne. Le foto, condivise sul social, raccolgono un mare di ‘like’. La fashion blogger non ha dubbi. “La ragazza più straordinaria”, sottolinea parlando della musa di Dolce & Gabbana. Ammira il suo grande coraggio.

    ”La ragazza più straordinaria”: Bianca Balti nel mezzo della chemio incontra l’amica Chiara Ferragni durante il viaggio in Italia

    Si sono sempre frequentate, anche se una vive nel Bel Paese e l’altra a Los Angeles. Chiara prima andava spessissimo nella città degli Angeli, in California, dove aveva anche casa. Lei e Bianca si vogliono bene. L’incontro tra le due nel capoluogo lombardo è scontato. Ma gli scatti in cui si abbracciano testimoniano ancora una volta il forte legame.

    La top model 40enne, in questi giorni a Milano, riabbraccia l’imprenditrice 37enne. Le due sono felici di stare nuovamente vicine e sorridono raggianti: si tengono per mano

    Chiara e Bianca prendono un delizioso tè insieme, si tengono per mano. La Ferragni comprende quanto sia complicato il cammino dell’amica, madre, come lei, di due figlie. La Balti sta cercando di scacciare l’intruso, le mancano quattro chemio per completare il ciclo: la speranza e l’ottimismo non la abbandonano mai. L’ex moglie di Fedez fa il tifo per lei. LEGGI TUTTO

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    Le foto di Elisabetta Canalis e la figlia in Italia: eccole tra Milano, Roma e la Sardegna

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    È stato scoperto un ricchissimo sito di fossili in Valtellina

    Un paio di anni fa l’escursionista Claudia Steffensen stava seguendo un sentiero della Val d’Ambria, nelle Alpi Orobie valtellinesi in provincia di Sondrio, quando notò alcuni strani motivi su una lastra di roccia. Del tutto casualmente, Steffensen aveva appena scoperto uno dei migliori ecosistemi fossilizzati nell’arco alpino, rimasto nascosto per oltre 280 milioni di anni. Le orme di anfibi e rettili, le impronte di pelle e le tracce di piante, semi e gocce di pioggia saranno studiate per comprendere meglio come funzionava la convivenza tra specie diverse in tempi remotissimi, quando le Alpi e in realtà tutta la geografia mondiale erano molto diverse dai giorni nostri.Steffensen aveva fatto la sua scoperta a circa 1.700 metri di quota e lo aveva poi raccontato a Elio Della Ferrera, un suo amico fotografo naturalista che aveva raggiunto la zona per scattare qualche fotografia di quelle lastre di roccia. Aveva poi inviato alcune immagini a Cristiano Del Sasso, un paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano, che aveva in seguito coinvolto altri ricercatori in Italia e in Germania, esperti nello studio dei sedimenti e di icnologia, la parte della paleontologia che si occupa dello studio delle interazioni tra gli esseri viventi e il substrato su cui vivevano.
    Nell’estate del 2023 furono organizzate le prime ricognizioni scientifiche in Val d’Ambria, che portarono alla scoperta di centinaia di tracce fossili a quote ancora più alte, fino a quasi 3mila metri sulle pareti pressoché verticali del Pizzo del Diavolo di Tenda, del Pizzo dell’Omo e del Pizzo Rondenino; altri fossili sarebbero stati trovati negli accumuli di rocce franati nel tempo alla base delle pareti. Buona parte delle tracce era riaffiorata e diventata osservabile solo negli ultimi tempi, in seguito alla riduzione del limite delle nevi perenni e alla fusione dei ghiacci dovuta al riscaldamento globale.
    Un grande masso con orme di tetrapodi (anfibi o rettili, entrambi camminavano su quattro zampe) allineate a formare piste; le orme più grandi hanno un diametro di circa 6 centimetri (Elio Della Ferrera, © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese)
    Tra le stratificazioni di rocce, il gruppo di ricerca iniziò a osservare una grande varietà di orme lasciate da rettili e anfibi (tetrapodi), ma anche da animali più piccoli come insetti e artropodi. Alcune delle orme erano allineate in lunghe file, la testimonianza di una camminata effettuata circa 280 milioni di anni fa durante il Permiano, l’ultimo dei sei periodi che fanno parte del Paleozoico.
    All’epoca non c’erano ancora i dinosauri, ma tra le tracce il gruppo di ricerca ha comunque trovato orme di dimensioni importanti, che suggeriscono il passaggio di animali di 2-3 metri di lunghezza. Il confronto tra le orme ha finora permesso di distinguere cinque specie diverse, che potranno essere identificate con maggiore precisione in una seconda fase di studio.
    Una fronda vegetale ramificata (Elio Della Ferrera, © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese)
    Non è insolito che sulle Alpi si trovino resti fossili risalenti a centinaia di milioni di anni fa, ma il ritrovamento di siti particolarmente ricchi è raro e offre l’opportunità di comprendere meglio come vivessero e interagissero tra loro specie diverse. Oltre a quelle degli animali, ci sono fossili vegetali di fronde, semi e frammenti di fusti delle piante che costituivano l’ambiente. La loro analisi può offrire elementi importanti per comprendere il clima dell’epoca, con una tendenza al riscaldamento globale all’epoca causata specialmente dalle gigantesche eruzioni vulcaniche che interessavano ampie zone del pianeta. Oggi le cause sono per lo più di natura antropica, cioè dovute alle attività degli esseri umani specialmente a causa del grande consumo di combustibili fossili.
    Tracce di gocce di pioggia impresse nel fango e rimaste nei successivi processi di formazione delle rocce sedimentarie (Elio della Ferrera, © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese)
    280 milioni di anni fa quelle che appaiono oggi come dure rocce di arenaria erano sabbie e fanghi, probabilmente lungo i margini di torrenti e laghi che nel periodo estivo si prosciugavano. Gli animali ci camminavano sopra quando erano ancora morbide, lasciando le loro impronte, poco prima che il calore del Sole estivo le facesse seccare e indurire, al punto da diventare resistenti a sufficienza per non essere cancellate dall’arrivo di nuova acqua nelle altre stagioni. Si formava in questo modo uno strato di argilla che ricopriva le orme, preservandole fino ai giorni nostri.
    Ricostruzione di una probabile scena avvenuta 280 milioni di anni fa lungo la riva di un lago temporaneo (Fabio Manucci)
    In generale, più sabbia e fango (i sedimenti) sono fini, maggiore è la probabilità che le tracce siano dettagliate. Nel caso dell’ecosistema fossile della Val D’Ambria è andata proprio in questo modo e sull’arenaria sono visibili le impronte dei polpastrelli delle zampe di alcuni animali, ma anche i motivi della loro pelle quando poggiavano il ventre a terra.

    La scomparsa del ghiaccio e della neve ha esposto le lastre di roccia su cui sono presenti le tracce e per questo è stato organizzato il loro recupero, in modo da poterle conservare al chiuso. Lo scorso 21 ottobre è stato organizzato il recupero dei primi reperti: con grande cautela, alcune lastre sono state staccate, imballate e trasportate poi a valle utilizzando un elicottero. Il gruppo di ricerca sta intanto organizzando nuove ricognizioni con droni per mappare l’intera area, valutare la quantità di fossili e stabilire quali debbano essere rimossi e portati al sicuro, evitando che siano distrutti da frane o dagli eventi atmosferici.
    I ritrovamenti sono avvenuti all’interno del Parco delle Orobie Valtellinesi e Doriano Codega, il suo presidente, ha confermato di voler collaborare con il Museo di Storia Naturale di Milano e le altre istituzioni per valorizzare il sito: «È un progetto ambizioso che richiede un grosso impegno e collaborazione, ma ci crediamo e da subito abbiamo garantito una prima tranche di fondi per permettere l’avvio dell’attività di ricerca». LEGGI TUTTO

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    Da novembre sarà disponibile gratuitamente il trattamento per prevenire la bronchiolite nei neonati

    Da novembre sarà possibile sottoporre gratuitamente i bambini al nirsevimab, un trattamento contro il virus respiratorio sinciziale umano (VRS), una delle cause delle bronchioliti nei bambini con meno di un anno. Il nirsevimab è un trattamento con anticorpi monoclonali, cioè anticorpi simili a quelli che produce il nostro sistema immunitario, ma realizzati con tecniche di clonazione in laboratorio. Il loro impiego consente di avere a disposizione direttamente gli anticorpi, senza che questi debbano essere prodotti dal sistema immunitario dopo aver fatto conoscenza con un virus. Il nirsevimab fa esattamente questo, in modo che un bambino che lo riceve abbia gli anticorpi per affrontare il VRS riducendo il rischio di ammalarsi. Il trattamento non è un vaccino, che svolge invece una funzione diversa e cioè stimolare la produzione degli anticorpi.Il trattamento è più noto con il nome commerciale Beyfortus, e finora non era ben chiaro se sarebbe infine stato disponibile gratuitamente, lasciando molti dubbi a chi avrebbe voluto sottoporre i propri figli al trattamento in vista della stagione fredda in cui il virus circola di più. Il piano di erogazione gratuita è riservato ai bambini nati da agosto 2024 in poi e ai bambini fragili con meno di 2 anni: la Conferenza Stato Regioni, che ha approvato il finanziamento del programma in carico al Servizio Sanitario Nazionale, ha detto che valuterà l’allargamento anche ad altre fasce d’età.
    Il VRS è un virus piuttosto diffuso e come quelli dell’influenza ha una maggiore presenza tra novembre e aprile. Nelle persone adulte in salute non dà sintomi particolarmente rilevanti (è più insidioso negli anziani e nei soggetti fragili), ma può essere pericoloso nei bambini con meno di un anno di età. È infatti una delle cause principali della bronchiolite, una malattia respiratoria che può comunque avere diverse altre cause virali (coronavirus, virus influenzali, rhinovirus e adenovirus, per citarne alcuni). LEGGI TUTTO

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    Che droga è la ketamina

    La ketamina, una sostanza con effetti anestetici e psicoattivi tradizionalmente usata come farmaco, è consumata come droga ricreativa da alcuni decenni, ma negli ultimi anni, e in particolare dopo la pandemia, si è diffusa velocemente e specialmente tra i più giovani, anche in Italia. Si presenta normalmente come una polvere bianca simile alla cocaina, ed è in circolazione specialmente alle serate techno, nei club e nei rave party, ma ormai anche in altri contesti più trasversali. Nell’ultimo anno se ne è parlato sui media anche per via delle notizie sulla morte di Matthew Perry, il celebre attore della serie tv Friends, e delle successive indagini.Nell’ultimo World Drug Report delle Nazioni Unite la ketamina è una delle sostanze a cui è data maggiore attenzione, sebbene non sia ancora usata quanto la cocaina, per esempio. È assunta anche tra gli adolescenti e ci sono casi di persone che ne abusano, rischiando di sviluppare danni significativi per la salute. Secondo il più recente studio del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) sul consumo di alcol, tabacco e droghe illegali tra gli adolescenti italiani, nel 2023 il 28 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni disse di aver usato almeno una volta una sostanza illegale e l’1,3 per cento di aver assunto ketamina.
    Lo scorso anno il consumo dichiarato di questa sostanza è stato il più alto mai registrato tra i giovani italiani. E al contempo è stato notato un aumento della sostanza nelle acque reflue di Milano, dove da circa 10 anni la presenza di ketamina è rilevata insieme a quella di altre droghe illegali dall’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”. Milano è insieme a Bristol, Barcellona, Zurigo, Anversa e Rotterdam una delle città europee nelle cui acque reflue sono state trovate le maggiori quantità di ketamina nel 2023, su 88 in cui sono state effettuate le analisi.
    Ad aver notato un aumento dell’uso di ketamina è anche chi lavora nei servizi di assistenza per le dipendenze e chi si occupa di “riduzione del danno”, cioè di tutte quelle attività per diminuire gli effetti negativi delle droghe tra le persone che non vogliono smettere di assumerle, o non riescono. È il caso di Neutravel, un progetto associato all’azienda sanitaria locale di Cirié, Chivasso e Ivrea (provincia di Torino) e attivo in tutto il Piemonte.
    «Se intorno al 2010 la ketamina era usata soprattutto nei free party [quelli comunemente chiamati rave, ndr]», spiega Elisa Fornero, assistente sociale responsabile del progetto, «in anni più recenti e soprattutto dopo la pandemia c’è stata una diffusione più trasversale». Riguarda tutta la fascia d’età compresa tra i 18 e i 30 anni, ma anche persone più vecchie. Tra le altre cose Neutravel offre un servizio gratuito di drug checking, ovvero di analisi chimica delle sostanze illegali per verificare che siano davvero quelle dichiarate da chi le vende, e così evitare effetti indesiderati e potenzialmente più rischiosi: si sono rivolte al progetto per testare dosi di ketamina anche persone di più di 30 anni che hanno dichiarato di essersi avvicinate a questa sostanza senza avere particolari esperienze pregresse con l’uso di droghe, fatta eccezione per l’alcol e per un consumo di marijuana non problematico.
    «In generale l’accessibilità delle sostanze illegali è aumentata con i lockdown», aggiunge Diletta Polleri, sempre di Neutravel, «perché il mercato illegale ha trovato nuovi modi per arrivare alle persone. Capita che anche le app di incontri siano sfruttate per lo smercio di sostanze». Per questo, sia per gli adolescenti che per le persone che fino a qualche tempo fa avrebbero avuto meno dimestichezza con l’acquisto di sostanze illegali, comprarle è diventato più facile.
    La ketamina è definita “anestetico dissociativo” perché ha effetti sedativi ma anche la capacità di indurre una sensazione di separazione della mente dal corpo. Riduce la percezione del dolore senza causare una riduzione della frequenza di respirazione, come invece fanno le sostanze oppioidi (come la morfina), per questo è considerata più sicura di molti altri anestetici. Inoltre agisce rapidamente. È molto usata in ambito veterinario, e specialmente in contesti di emergenza, per pazienti con traumi o in condizioni critiche, quando un sovradosaggio di anestetico potrebbe interrompere la respirazione. Inoltre produrla è economico e per questo il suo uso medico è particolarmente diffuso nei paesi meno ricchi. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) la include nella propria “lista dei farmaci essenziali” che tutti gli ospedali dovrebbero avere.
    Nei contesti medici la ketamina si usa in forma liquida, da iniettare, e si presenta incolore e insapore, indistinguibile dall’acqua. Chi la assume a scopo ricreativo invece la sniffa sotto forma di polvere, in modo analogo a come si fa con la cocaina, anche se tra le persone che hanno sviluppato forme di abuso della sostanza si sta diffondendo anche l’uso delle siringhe per l’iniezione intramuscolo – una modalità di assunzione in generale poco praticata per lo stigma associato all’eroina, oltre che per il maggiore impegno richiesto.
    Per quanto riguarda il consumo cosiddetto ricreativo, la ketamina può essere assunta per ragioni diverse. Nel contesto dei free party, i cui frequentatori hanno generalmente una propria cultura sull’uso delle sostanze psicoattive associato all’ascolto di musica e al ballo, può essere ricercato proprio l’effetto dissociativo, che per certi versi è simile alle sensazioni che si provano con gli psichedelici, senza le allucinazioni visive. Ad alti dosaggi (100 milligrammi o più) la ketamina provoca una sensazione di depersonalizzazione e netto distacco della mente dal corpo, chiamata “k-hole”, che si potrebbe tradurre come “tunnel della ketamina”. È una condizione in cui ci si può “vedere da fuori” e che viene spesso associata alle esperienze di pre-morte (near death experience), quelle sensazioni di vario tipo riferite da alcune persone che sopravvivono a una condizione di morte clinica reversibile, tipicamente l’arresto cardiaco. Per qualcuno lo stato di k-hole è simile a quello del sogno, ma è un’esperienza molto intensa e potenzialmente traumatica per il malessere che può provocare.

    – Leggi anche: Cosa sono davvero i rave

    Per via di questo tipo di effetto in passato l’uso della ketamina era stigmatizzato in alcuni contesti di free party, specialmente in alcuni paesi come la Francia, dice Fornero, «perché era accusata di “uccidere” il party». Più di recente però alla ricerca dell’effetto dissociativo si è aggiunto anche un altro tipo di utilizzo, che invece si è molto più normalizzato diffondendosi anche in altri contesti, dalle serate in discoteca alle feste in casa. Infatti in dosi limitate (ad esempio 10-35 milligrammi, anche se la quantità dipende dalla tolleranza sviluppata nei confronti della sostanza) la ketamina provoca sensazioni di euforia, diverse sia da quelle causate dall’alcol che da quelle dovute alla cocaina, anche se spesso viene usata in combinazione con queste altre droghe.
    Nel contesto del clubbing, cioè della cultura attorno alla techno e alle serate di musica elettronica nei club, contestualmente all’affermazione della ketamina si è sviluppata anche una diffusa diffidenza, specialmente tra le persone meno giovani. Il motivo è che provoca effetti diversi dall’MDMA, l’altra sostanza da sempre legata alle discoteche e alle serate techno, che però oltre all’euforia provoca anche un aumento dell’empatia e della voglia di condivisione, incrementando anche la connessione e il trasporto per la musica. La ketamina invece induce di più all’isolamento e all’introspezione, cosa che secondo molti ha peggiorato molto l’atmosfera dei dancefloor dove se ne fa uso. In molti club, peraltro, è cambiata anche la musica che viene suonata, per assecondare le preferenze di chi fa uso di ketamina.
    Per il momento non si conoscono in modo approfondito le motivazioni di chi assume ketamina perché è una droga che si è diffusa di recente. Secondo Polleri ce ne sono sicuramente diverse, per qualcuno può essere sperimentata per ottenere un senso di disconnessione dalla realtà, ma per molte altre persone è una forma di divertimento che viene cercata senza grandi riflessioni pregresse, anche per sentirsi parte di un gruppo: «Il fatto che sia apprezzata e si sia diffusa in questo periodo però dovrebbe farci interrogare sulla fase storica ed economica che stiamo vivendo».
    Ha un’opinione simile anche Raimondo Maria Pavarin, epidemiologo sociale e professore dell’Università di Bologna che fa ricerca sul consumo delle sostanze illegali: «La ketamina è interessante anche perché non la usano persone svantaggiate dal punto di vista economico e sociale, ma persone integrate che controllano l’uso della sostanza in vari modi e prendono precauzioni».
    Molte delle persone che si sono avvicinate alla ketamina negli ultimi anni hanno avuto un «profilo di rischio abbastanza basso» perché l’assunzione in genere avviene nei momenti dedicati al divertimento, occasionalmente, ma Neutravel entra in contatto sempre più spesso con casi di uso problematico e abuso. Nell’ultima indagine del progetto sull’uso delle sostanze, relativa ai primi sei mesi del 2024, è emerso che ci sono persone che fanno un uso di ketamina quotidiano. Inoltre, sempre di recente, Neutravel è entrata in contatto con persone per cui la ketamina è la prima delle droghe utilizzate, mentre in passato di solito ne dichiaravano l’uso persone che principalmente usavano sostanze più comuni come la cocaina.

    – Leggi anche: Una sostanza simile alla ketamina è stata da poco approvata come antidepressivo

    I rischi legati alla ketamina, così come ad altre sostanze psicoattive, dipendono dal contesto e dalle modalità di assunzione.
    Quando era usata soprattutto per cercare la dissociazione nel contesto dei free party il problema principale era legato alle condizioni di k-hole, che per alcune persone possono essere molto spiacevoli, causare incapacità di muoversi e una condizione simile al coma etilico, per cui spesso è necessario il ricorso al pronto soccorso. Uno studio del 2019 basato sui dati dei servizi di pronto soccorso di Bologna a cui aveva lavorato Pavarin individuò come profilo tipico delle persone che sviluppavano questi sintomi per l’assunzione di ketamina un uomo di circa 25 anni, che usava la sostanza nelle ore notturne o di primo mattino nei weekend.
    I k-hole spiacevoli si vedono tuttora (e in genere non hanno gravi ripercussioni, a meno che una persona non si faccia male mentre non ha il controllo del proprio corpo), ma Neutravel osserva sempre di più altri problemi legati alla ketamina. Sono sviluppati da chi, attraverso l’uso ripetuto, sviluppa una tolleranza agli effetti della sostanza e quindi ne aumenta le dosi e la frequenza di assunzione, fino ad arrivare a una forma di dipendenza. Queste persone possono avere gravi problemi all’apparato urinario e in particolare alla vescica e ai reni, che inizialmente si manifestano con la presenza di sangue nella pipì e possono arrivare alla necessità di asportare la vescica.
    Ma la ketamina può anche danneggiare lo stomaco e causare gravi lesioni alle mucose del naso e del palato dato che viene sniffata, in modo simile alla cocaina. Questo perché una volta che si è diventati tolleranti si tende ad assumerla molto di frequente, dato che la durata degli effetti è di circa un’ora. «Possono essere danni per cui è necessario un intervento di chirurgia maxillofacciale», precisa Polleri, «che non tutti possono permettersi. E se qualcuno arriva ai servizi per le dipendenze con questi danni significa che c’è anche un profondo senso di vergogna nel chiedere aiuto, dovuto al fatto che l’uso di questa sostanza è percepito come normale: è più difficile riconoscere di avere un problema».

    – Approfondisci con: Il numero di Cose spiegate bene su Le droghe, in sostanza LEGGI TUTTO

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    Il confine tra Svizzera e Italia sarà spostato a causa della fusione dei ghiacciai alpini

    Caricamento playerA causa della fusione dei ghiacci nelle Alpi, il confine tra Svizzera e Italia sarà spostato di alcuni metri nell’area del Plateau Rosa, uno dei più ampi pianori perennemente ghiacciati a sud-est del Cervino. Alla fine della scorsa settimana il Consiglio federale svizzero ha approvato la firma della nuova convenzione sui confini, che entrerà in vigore non appena il governo italiano farà altrettanto. Negli ultimi anni la fusione dei ghiacciai, dovuta in primo luogo al riscaldamento globale causato anche dalle attività umane, ha modificato sensibilmente la geografia dell’arco alpino rendendo sempre più necessari aggiustamenti ai confini che riguardano l’Italia.
    Per praticità e per ridurre i contenziosi, spesso i confini sono definiti dalla linea spartiacque delle montagne, cioè da come fluisce l’acqua da una parte o dall’altra di un versante creando bacini idrografici diversi e separati. Lo spartiacque alpino determina buona parte del confine tra Italia, Francia, Svizzera e Austria, con alcune eccezioni dovute a scelte politiche ed eventi storici. Uno spartiacque può essere relativamente stabile e corrispondere a un crinale di roccia esposta, oppure può essere più dinamico se corrispondente al crinale di un ghiacciaio, di un nevaio o ancora di nevi perenni.
    In questo secondo caso, la fusione e il ritiro dei ghiacci a causa del cambiamento climatico possono determinare uno spostamento dello spartiacque, che col passare del tempo può diventare di decine o centinaia di metri. Proprio per questo negli anni passati Svizzera e Italia avevano iniziato a discutere sull’opportunità di rivedere parte dei loro confini, in modo da farli corrispondere al nuovo spartiacque o trovando soluzioni tali da tutelare gli «interessi economici delle due parti».
    Lungo il confine, e soprattutto in quella zona, ci sono numerosi impianti sciistici e rifugi, che a seconda dei casi sono entro il confine italiano, quello svizzero o sostanzialmente a metà. È per esempio il caso del rifugio Guide del Cervino: una sua parte è italiana, nel comune di Valtournenche, in provincia di Aosta, e la parte rimanente è a Zermatt, in Svizzera. Queste strutture riescono comunque a lavorare senza troppi problemi, grazie alla collaborazione tra Italia e Svizzera, ma una definizione più chiara dei confini può rendere più pratica la gestione di alcune attività e soprattutto la gestione degli imprevisti, che ad alta quota spesso corrispondono a necessità di dare soccorso a sciatori e alpinisti.
    Il confronto tra governo italiano e svizzero negli anni passati aveva portato a qualche attrito, che si era comunque risolto tra il 9 e l’11 maggio del 2023 quando il Comitato per la manutenzione del confine nazionale tra Svizzera e Italia aveva discusso la ridefinizione del confine nell’area del Plateau Rosa in corrispondenza della Gobba di Rollin, che lo delimita a sud, e della Testa Grigia che lo delimita invece a ovest. Il confronto aveva anche riguardato l’area del rifugio Jean-Antoine Carrel, che si trova nel comune di Valtournenche in Valle d’Aosta. La convenzione ha richiesto diverso tempo per essere ratificata da parte della Svizzera e si è ora in attesa che il governo italiano faccia altrettanto.

    Non ci sono ancora molti dettagli, ma in diversi punti il confine sarà spostato verso l’Italia di alcune decine di metri, portando quindi la Svizzera ad avere un po’ più di territorio. Il cambiamento non dovrebbe comunque avere particolari conseguenze per le strutture costruite negli anni, come funivie e teleferiche, in uno dei comprensori sciistici più grandi e articolati delle Alpi occidentali.
    Nel 2023 i ghiacciai svizzeri hanno perso circa il 4 per cento del loro volume rispetto all’anno precedente, la seconda perdita più grande mai registrata dall’Accademia delle scienze della Svizzera (il precedente record del 6 per cento era del 2022). In alcune zone dell’arco alpino i ricercatori svizzeri hanno interrotto le misurazioni perché non ci sono più quantità di ghiaccio significative da misurare. Si prevede che a causa dell’aumento della temperatura media globale le Alpi perdano una parte rilevante dei loro ghiacciai nei prossimi decenni, cosa che porterà a nuovi cambiamenti della geografia e probabilmente a nuovi spostamenti dei confini. Oltre che con l’Italia, la Svizzera è impegnata da tempo con la Francia per ridefinire le loro aree confinanti su parte delle Alpi. LEGGI TUTTO

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    C’è molta confusione su un trattamento per prevenire la bronchiolite

    Caricamento playerNegli ultimi giorni si è generata molta confusione intorno al nirsevimab, un anticorpo monoclonale contro il virus respiratorio sinciziale umano (VRS) – una delle cause delle bronchioliti nei bambini con meno di un anno – noto con il nome commerciale Beyfortus. In un primo momento il ministero della Salute aveva ribadito che la spesa per il nirsevimab è a carico dei cittadini salvo diverse decisioni delle Regioni (con limiti per quelle con i conti sanitari non in ordine), ma in un secondo momento è stata diffusa una nota che annuncia l’avvio dei confronti necessari con l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) per renderlo accessibile a tutti gratuitamente. Una decisione definitiva non è stata ancora presa, lasciando molti dubbi a chi vorrebbe sottoporre i propri figli al trattamento in vista della stagione fredda in cui il virus circola di più.
    Il VRS è un virus piuttosto diffuso e come quelli dell’influenza ha una maggiore presenza tra novembre e aprile. Nelle persone adulte in salute non dà sintomi particolarmente rilevanti (è più insidioso negli anziani e nei soggetti fragili), ma può essere pericoloso nei bambini con meno di un anno di età. È infatti una delle cause principali della bronchiolite, una malattia respiratoria che può comunque avere diverse altre cause virali (coronavirus, virus influenzali, rhinovirus e adenovirus, per citarne alcuni).
    L’infiammazione nelle vie respiratorie riguarda i bronchi e i bronchioli, le strutture nei polmoni che rendono possibile il trasferimento di ossigeno al sangue e la rimozione dell’anidride carbonica: fa aumentare la produzione di muco che insieme ad altri fattori può portare a difficoltà respiratorie. Nella maggior parte dei casi l’infezione passa entro una decina di giorni senza conseguenze, ma possono esserci casi in cui la malattia peggiora. Negli ultimi anni alcuni studi hanno rilevato una maggiore quantità di casi gravi associati ad alcune varianti del VRS, che hanno reso necessario il ricovero dei bambini in ospedale e in alcuni casi in terapia intensiva.
    Le infezioni da VRS si prevengono con gli accorgimenti solitamente impiegati per altre malattie virali, quindi evitando il contatto con persone che hanno un’infezione in corso, lavandosi le mani e aerando regolarmente gli ambienti in cui si vive. A queste forme di prevenzione da qualche tempo si è aggiunta la possibilità di ricorrere a un trattamento con anticorpi monoclonali, cioè anticorpi simili a quelli che produce il nostro sistema immunitario, ma realizzati con tecniche di clonazione in laboratorio. Il loro impiego consente di avere a disposizione direttamente gli anticorpi, senza che questi debbano essere prodotti dal sistema immunitario dopo aver fatto conoscenza con un virus.
    Il nirsevimab fa esattamente questo, in modo che un bambino che lo riceve abbia gli anticorpi per affrontare il VRS riducendo il rischio di ammalarsi. Il trattamento non è un vaccino, che svolge invece una funzione diversa e cioè stimolare la produzione degli anticorpi; anche per questo motivo il trattamento è piuttosto costoso (contro il VRS esiste al momento un solo vaccino, il cui uso non è però consentito nei bambini).
    Il nirsevimab è stato autorizzato nell’Unione Europea nel 2022 e viene venduto come Beyfortus dall’azienda farmaceutica Sanofi, che lo ha sviluppato insieme ad AstraZeneca, e inizia a essere sempre più impiegato per fare prevenzione in paesi come la Francia e la Spagna dove è fornito gratuitamente. La sua somministrazione permette di fornire una maggiore protezione ai bambini con meno di un anno che vivono la loro prima stagione di alta circolazione del VRS. È  pensato per tutelarli nel periodo in cui sono esposti a qualche rischio in più perché ancora molto piccoli, poi crescendo non è più necessario.
    A inizio anno la Società italiana di neonatologia (SIN) aveva segnalato che il nirsevimab: «Ha una lunga emivita [durata nell’organismo, ndr] ed è in grado con una sola somministrazione di proteggere il bambino per almeno 5 mesi riducendo del 77 per cento le infezioni respiratorie da VRS che richiedono ospedalizzazione e dell’86 per cento il rischio di ricovero in terapia intensiva». La SIN segnalava inoltre che un impiego su larga scala del nirsevimab avrebbe permesso di ridurre i costi sanitari rispetto all’impiego di altri anticorpi monoclonali e di contenere le spese dovute ai ricoveri ospedalieri, per i ricoveri dei bambini che sviluppano forme gravi della malattia. Per questo motivo invitava il ministero della Salute e le Regioni, che mantengono ampie autonomie nelle politiche sanitarie, a considerare una revisione delle regole di accesso al trattamento.
    A oggi il nirsevimab è infatti compreso nei farmaci di “fascia C”, quindi a carico di chi li acquista, e ha un prezzo base al pubblico indicato dal produttore di 1.150 euro (importo che potrebbe essere più basso a seconda delle contrattazioni con i servizi sanitari regionali). Questa classificazione fa sì che le Regioni non possano utilizzare per il suo acquisto i fondi che ricevono dallo Stato per la gestione della sanità nei loro territori: hanno però la facoltà di offrirlo gratuitamente se finanziano l’iniziativa con altri fondi previsti nei loro bilanci. È una pratica che viene seguita spesso, ma con alcune limitazioni legate alla necessità di evitare che le Regioni non sforino troppo rispetto alle loro previsioni di spesa.
    Oltre a essere in “fascia C”, il nirsevimab non è compreso nel Piano nazionale prevenzione vaccinale ed è quindi un extra rispetto ai Livelli essenziali di assistenza (LEA), le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve obbligatoriamente fornire a tutti i cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket.
    In vista della stagione fredda, negli ultimi mesi alcune Regioni avevano annunciato di voler fornire il nirsevimab senza oneri per i pazienti, portando il ministero della Salute a diffondere una circolare il 18 settembre per ricordare le regole di finanziamento di queste iniziative. Oltre a segnalare la necessità di fornire il trattamento attingendo a fondi diversi da quelli sanitari regionali, il ministero aveva ricordato che «le regioni in piano di rientro dal disavanzo sanitario», cioè le regioni senza i conti a posto, «non possono, ad oggi, garantire la somministrazione dell’anticorpo monoclonale».
    La limitazione riguardava quindi Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia e portava di fatto a una disparità di trattamento per gli abitanti di queste regioni rispetto alle altre. La circolare aveva fatto discutere, soprattutto tra i genitori di bambini con meno di un anno ancora in attesa di capire se poter accedere o meno gratuitamente al trattamento, a ridosso dell’inizio della stagione di maggiore circolazione del VRS.
    In seguito alle proteste e alle polemiche il 19 settembre, quindi appena un giorno dopo la pubblicazione della circolare del ministero della Salute, la responsabile del Dipartimento della prevenzione, Maria Rosaria Campitiello, ha diffuso una nota con la quale ha annunciato l’avvio di un confronto con l’AIFA per rivedere le regole di accesso al nirsevimab per renderlo non a carico: «È nostra intenzione rafforzare le strategie di prevenzione e immunizzazione universale a tutela dei bambini su tutto il territorio nazionale, garantendo a tutte le regioni la somministrazione dell’anticorpo monoclonale senza oneri per i pazienti».
    Nella nota non sono però indicati tempi o modalità del confronto, che secondo diversi osservatori arriva comunque in ritardo considerato l’avvicinarsi del periodo in cui la diffusione di VRS ha il proprio picco. Il Board del calendario per la vita, iniziativa che comprende le federazioni dei medici e dei pediatri, aveva già raccomandato a inizio 2023 l’impiego del nirsevimab il prima possibile: «Nell’imminenza della autorizzazione all’immissione in commercio, auspicano che venga prontamente riconosciuta la novità anche in termini regolatori di nirsevimab, considerando la sua classificazione non quale presidio terapeutico (come sempre avvenuto per gli anticorpi monoclonali) ma preventivo, nella prospettiva dell’inserimento nel Calendario Nazionale di Immunizzazione». Nel caso di una fornitura non a carico il prezzo del trattamento dovrà essere contrattato con Sanofi, una procedura che richiede tempi che variano molto a seconda dei casi. LEGGI TUTTO