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    Le probabilità al lancio della moneta sono proprio 50 e 50?

    Da moltissimo tempo, probabilmente da quando esistono le monete, lanciarne una è il metodo più comune per fare una scelta casuale, a volte necessaria per risolvere controversie o contese di vario tipo. Il presupposto è che la probabilità che la moneta dia testa (o dia croce) è esattamente del 50 per cento. Un professore di matematica e statistica alla Stanford University, Persi Diaconis, contestò tuttavia nel 2007 l’idea che nell’esperienza empirica il lancio della moneta dia un risultato effettivamente casuale. Sostenne che siano leggermente maggiori le probabilità che la moneta, per ragioni di fisica, mostri dopo il lancio la stessa faccia che mostrava al momento del lancio.Un gruppo di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Amsterdam e di altre università e istituti di ricerca in Europa ha cercato di dimostrare la tesi di Diaconis in un esperimento, i cui risultati sono stati pubblicati a ottobre in uno studio preprint (che deve quindi ancora essere sottoposto a una revisione indipendente). Il gruppo ha reclutato 47 volontari, tra cui amici e colleghi, provenienti da sei paesi diversi: ha quindi chiesto loro di riunirsi nei weekend per effettuare insieme migliaia di lanci, utilizzando diverse monete. Una delle sessioni di lanci più lunghe, durata 12 ore consecutive, è stata filmata e caricata su YouTube.
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    Lo studio ha complessivamente raccolto e analizzato i dati provenienti da ben 350.757 lanci, battendo un precedente record stabilito nel 2009 da un esperimento che si era fermato a 40mila lanci. I risultati indicano che il 50,8 per cento delle volte le monete dopo il lancio mostravano la stessa faccia che era rivolta verso l’alto al momento del lancio. Per quanto piccola, la «distorsione dello stesso lato» è stata ritenuta significativa dal gruppo di ricerca, perché la grande quantità di dati dovrebbe escludere il condizionamento di fattori imprevisti e non tenuti in considerazione. Nei lanci di alcune persone, definite dal gruppo «lanciatori deboli», l’effetto era ancora più marcato: quasi il 60 per cento delle volte la moneta dopo il lancio mostrava la stessa faccia di partenza.

    We found overwhelming evidence for a “same-side” bias predicted by Diaconis and colleagues in 2007: If you start heads-up, the coin is more likely to land heads-up and vice versa. How large is the bias? In our sample, the mean estimate is 50.8%, CI [50.6%, 50.9%]. pic.twitter.com/jmeHBHgkac
    — František Bartoš (@BartosFra) October 9, 2023

    In uno studio di fisica pubblicato nel 2007 Diaconis e altri colleghi avevano stimato una probabilità del 51 per cento, leggermente più alta rispetto a quella ottenuta dal gruppo di ricerca dell’Università di Amsterdam, guidato dal ricercatore Frantisek Bartos. Dal momento in cui una moneta viene lanciata in aria, secondo Diaconis e gli altri, tutta la traiettoria può essere calcolata secondo le leggi della meccanica, incluso l’esito del lancio (testa o croce). I ricercatori avevano osservato che le monete lanciate in aria non ruotavano attorno a un asse sul piano delle facce, ma tendevano a oscillare mantenendo rivolto verso l’alto lo stesso lato rivolto verso l’alto al momento del lancio.

    – Leggi anche: Il dilemma della bella addormentata

    Secondo la percentuale stimata dal gruppo di Bartos, sapere della distorsione sarebbe comunque ininfluente nella maggior parte dei casi pratici in cui è necessario lanciare una moneta, dal momento che la posizione iniziale della moneta spesso non è nota. E anche in quel caso, secondo un calcolo di Bartos, servirebbe comunque scommettere un dollaro sul risultato del lancio di una moneta mille volte per vincere mediamente 19 dollari.
    Amelia McNamara, professoressa di statistica alla University of St. Thomas in Minnesota, ha detto alla rivista Scientific American che, sebbene ininfluenti nella pratica di tutti i giorni, le conclusioni dello studio guidato da Bartos sono un’ottima prova empirica a sostegno dell’ipotesi della distorsione dello stesso lato. Parlando con la rivista New Atlas Stephen Woodcock, matematico della University of Technology Sydney, ha invece messo in dubbio che i lanci del gruppo non siano stati condizionati.
    Uno studio del 2009 citato da Woodcock ipotizzò che alcune persone siano in grado di condizionare l’esito del lancio della moneta utilizzando particolari trucchi difficili da notare. Secondo Woodcock non è possibile escludere che l’esperimento del gruppo guidato da Bartos sia stato in parte condizionato dal fatto che le persone coinvolte nello studio e quelle reclutate per i lanci sapessero della distorsione.

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    È stato confermato che centinaia di foche della Georgia del Sud, vicino all’Antartide, sono morte a causa dell’influenza aviaria

    La morte di centinaia di foche in Georgia del Sud, un’isola vicino all’Antartide, è stata confermata come causata dall’influenza aviaria. La diffusione del virus H5N, che causa l’influenza, fra i mammiferi come le otarie e gli elefanti marini (che fanno parte dei pinnipedi, la famiglia delle foche) è un segnale preoccupante: sia per la possibilità che il virus si trasmetta anche ad altri mammiferi, come gli umani, sia per i possibili danni ecologici che provocherebbe se arrivasse in Antartide. Al momento il contagio è sempre avvenuto fra uccelli e foche, e non fra foche. Il passaggio da un mammifero all’altro indicherebbe un maggiore adattamento del virus, e aumenterebbe i rischi di contagio.Una grande diffusione dell’influenza aviaria fra gli esseri umani non è considerata molto probabile. Una delle maggiori preoccupazioni dei biologi è invece la possibile espansione in Antartide dell’epidemia. I primi segnali che indicavano i contagi da H5N1 nella regione erano stati rilevati a ottobre e centinaia di elefanti marini con sintomi influenzali sono morti nelle isole della zona. Il timore maggiore è che l’epidemia possa fare grossi danni raggiungendo le popolazioni di pinguini dell’Antartide.
    Casi di influenza aviaria fra le foche erano già stati registrati in Nord America nel 2022 e in Sud America nel 2023. Le foche della Georgia del Sud probabilmente sono state contagiate da uccelli migratori provenienti dal Sud America. In Nord America erano state trovate prove della trasmissione del virus dell’influenza aviaria fra una foca e l’altra.

    – Leggi anche: Anche un orso polare è morto di influenza aviaria

    L’epidemia di influenza aviaria in corso è cominciata tra il 2020 e il 2021 e ha causato la morte di milioni di uccelli selvatici e di allevamento e migliaia di contagi tra i mammiferi, compresi alcuni esseri umani. La situazione è tenuta sotto controllo dalle principali organizzazioni sanitarie internazionali e non è ritenuta preoccupante per le persone, mentre è osservata con maggiore apprensione per quanto riguarda alcune specie di animali selvatici che in passato erano meno vulnerabili alle epidemie di influenza aviaria. LEGGI TUTTO

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    Perché la NASA ha rinviato i suoi piani per la Luna

    Caricamento playerLa NASA ha rinviato di almeno un anno il programma lunare Artemis, che nei progetti dell’agenzia spaziale statunitense dovrà riportare gli astronauti sulla Luna dopo le missioni Apollo di oltre 50 anni fa. Il rinvio era stato previsto da tempo da numerosi esperti e analisti considerati i ritardi in quasi tutti i settori del progetto, ma fino a ieri la NASA aveva mantenuto ufficialmente il calendario fissato anni fa e che prevedeva il primo viaggio intorno alla Luna di un equipaggio entro la fine di quest’anno. Il rinvio conferma le numerose difficoltà intorno ad Artemis, con ricadute non solo per la NASA, ma per le decine di aziende private e agenzie spaziali in giro per il mondo che collaborano al progetto, compresa l’Agenzia spaziale europea (ESA).
    A oggi il programma lunare avviato sette anni fa, sulla scia di precedenti iniziative, ha portato a termine una sola missione senza equipaggio: Artemis 1, un volo dimostrativo che nel novembre del 2022 aveva permesso di verificare il funzionamento del potente razzo SLS (Space Launch System) e di Orion, la capsula all’interno della quale viaggeranno un giorno gli astronauti diretti verso il nostro satellite naturale. Quella missione, arrivata dopo numerosi ritardi e rinvii a causa di problemi tecnici, era stata un successo, ma aveva comunque messo in evidenza numerosi problemi che secondo la NASA non potranno essere risolti entro la fine dell’anno, come inizialmente auspicato.
    Nel corso di una conferenza stampa organizzata martedì 9 gennaio, l’amministratore associato della NASA Jim Free ha pronunciato una frase che molti osservatori, non necessariamente i più critici, attendevano da tempo: «Dobbiamo essere realistici». Free ha ammesso che molti dettagli di Artemis devono essere ancora chiariti, ma soprattutto che alcune tecnologie non sono pronte per permettere al programma lunare di essere realizzato secondo i piani. Il progetto è del resto molto ambizioso e al tempo stesso complicato, se confrontato con il programma Apollo che per la prima volta portò gli astronauti sulla Luna.
    A differenza di come andarono le cose negli anni Sessanta, la NASA ha previsto per Artemis un forte coinvolgimento delle aziende private, affidando loro in appalto la gestione di numerose attività sulle quali sono richieste più autonomie rispetto al passato. La società spaziale SpaceX di Elon Musk, per esempio, ha ricevuto l’incarico di sviluppare un sistema per trasportare gli astronauti dall’orbita lunare al suolo della Luna, attraverso la sua nuova grande astronave Starship. Il veicolo spaziale è però ancora in fase di test, ha condotto due soli lanci e non ha mai compiuto nemmeno un’orbita intorno alla Terra. Musk sostiene che nei prossimi mesi ci sarà una rapida accelerazione nei test e nei progressi, ma servirà del tempo prima che Starship raggiunga i requisiti della NASA per essere certificata per il trasporto di esseri umani.
    Starship sulla rampa di lancio a Boca Chica in Texas (SpaceX)
    Artemis 2 non prevede l’utilizzo di Starship, perché l’equipaggio a bordo non compirà un allunaggio; nello sviluppo dei suoi sistemi sono comunque emersi problemi legati soprattutto a Orion. L’analisi della capsula dopo Artemis 1 aveva fatto riscontrare alcuni problemi allo scudo termico, la parte che la protegge durante il rientro nell’atmosfera in cui si sviluppano temperature molto alte, fino a 2.700 °C. Lo scudo in alcuni punti si è sfaldato, rimanendo ampiamente nei margini di sicurezza, ma in modo sufficiente da far staccare alcuni frammenti: la NASA vuole capire se questi avrebbero potuto colpire altre parti di Orion, costituendo un rischio per le missioni in cui ci sarà un equipaggio a bordo, a partire proprio da Artemis 2.
    Le analisi avevano inoltre messo in evidenza un altro problema legato al sistema di abbandono del lancio, fondamentale nel caso di un malfunzionamento del grande razzo SLS che spinge Orion oltre l’atmosfera terrestre e lo indirizza poi verso la Luna. La capsula è collocata in cima a SLS e c’è la possibilità di accendere alcuni razzi, molto più piccoli, per staccarsi dal lanciatore in poche frazioni di secondo se questo non dovesse funzionare come previsto. Le simulazioni e i test sul sistema di abbandono del lancio avevano dato i risultati attesi, ma era emerso un danneggiamento di alcune batterie della capsula, che potrebbe costituire un rischio per chi è a bordo e che devono quindi essere sistemate.
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    Altri problemi sempre legati a Orion sono emersi nella preparazione delle prossime missioni di Artemis, in particolare a causa di un errore di progettazione di un circuito che gestisce il funzionamento di alcune valvole all’interno della capsula impiegate tra le altre cose per ridurre i livelli di anidride carbonica al suo interno, mantenendo l’aria respirabile per l’equipaggio. I tecnici hanno dovuto smontare il modello di Orion realizzato per Artemis 2, in modo da poter sostituire i componenti difettosi. Questi lavori secondo le informazioni fornite dalla NASA sono stati una delle principali cause del rinvio.
    Il lancio di Artemis 2 era infatti previsto per settembre di quest’anno, ma si è deciso di rinviarlo a settembre 2025. Il rinvio fa sì che tutte le altre missioni di Artemis scalino di almeno un anno, con Artemis 3 – la prima missione con un allunaggio – che non avverrà prima di settembre 2026. L’amministratore della NASA, Bill Nelson, ha motivato in modo piuttosto perentorio, ripetendo un concetto che usa spesso quando si verifica qualche imprevisto nella programmazione delle missioni con equipaggi: «Non voliamo finché tutto non è pronto. La sicurezza è fondamentale».
    Artemis 2 prevede che a bordo di Orion ci siano quattro astronauti che dopo il lancio rimarranno in orbita intorno alla Terra per 24 ore, in modo da condurre vari test sulla capsula. Dopodiché inizierà il viaggio verso la Luna, ma senza che Orion entri in orbita intorno al satellite: lo supererà, sorvolerà la parte della Luna non osservabile dalla Terra a circa 7.400 chilometri di distanza e poi tornerà verso il nostro pianeta. La missione servirà per verificare buona parte delle strumentazioni, fatta eccezione per tutto ciò che sarà necessario per l’allunaggio, a cominciare da Starship.
    (CSA)
    La grande astronave di SpaceX servirà infatti per Artemis 3, una missione molto più complessa. Nei piani della NASA, Starship dovrà raggiungere autonomamente l’orbita lunare e attendere l’arrivo di Orion con quattro astronauti a bordo. I veicoli spaziali si uniranno, rendendo possibile il passaggio di due membri dell’equipaggio, una donna e un uomo, da Orion a Starship, che effettuerà poi le manovre per compiere l’allunaggio. Dopo avere trascorso alcune ore sulla superficie lunare, i due astronauti torneranno in orbita sempre con Starship e rientreranno su Orion, raggiungendo i due colleghi che li avevano attesi nel frattempo. L’equipaggio riunito potrà quindi tornare verso la Terra e concludere la missione.
    (NASA)
    Annunciando il rinvio, la NASA ha elencato le molte difficoltà ancora da superare per poter realizzare Artemis 3. La prima e più evidente è la mancanza a oggi di un sistema per effettuare l’allunaggio: Starship non ha mai raggiunto nemmeno l’orbita terrestre ed è ancora molto lontana dall’essere testata per il suo impiego con equipaggi, così come devono essere ancora sperimentati i sistemi di attracco tra Orion e l’astronave di SpaceX, essenziali per permettere ai due astronauti di effettuare l’allunaggio.
    C’è poi un dettaglio che preoccupa più di tutto molti esperti: dopo il lancio, Starship dovrà essere in grado di ricevere rifornimenti in orbita intorno alla Terra prima di poter iniziare il proprio viaggio verso la Luna. Il rifornimento di combustibile in orbita non è stato mai sperimentato e implica l’impiego di altre astronavi per poterlo fare. La procedura pone ulteriori difficoltà tecniche, senza contare che saranno necessari più rifornimenti per Starship per le missioni lunari.
    Ipotesi del sistema di rifornimento orbitale per Starship, in un’elaborazione grafica (SpaceX)
    In futuro la NASA sfrutterà altri sistemi per l’allunaggio commissionati ad altre aziende, ma in molti da anni si chiedono l’utilità di un sistema così complicato per Artemis, soprattutto se confrontato con quello del programma Apollo. Le missioni che portarono i primi astronauti sulla Luna utilizzavano un sistema relativamente più semplice, con il modulo per l’allunaggio (LEM) che viaggiava insieme all’equipaggio già dalla Terra e progettato insieme agli altri sistemi per il trasporto degli astronauti. Quella soluzione aveva però il difetto di limitare la quantità di materiale trasportabile, un problema che la NASA ha cercato di superare anche nell’ottica di costruire Gateway, una piccola base orbitale che sarà assemblata intorno alla Luna.
    Artemis ha avuto inoltre una genesi alquanto travagliata. Ufficialmente il programma lunare fu avviato alla fine del 2017, quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, chiese alla NASA di tornare a esplorare la Luna con astronauti il prima possibile. Il suo predecessore, Barack Obama, aveva invece deciso che la NASA si dovesse concentrare sulle esplorazioni con equipaggi di destinazioni molto più remote come Marte. SLS e Orion erano già in fase di sviluppo da tempo e con enormi ritardi: in un certo senso fu cambiata la loro destinazione d’uso.
    I piani iniziali di Artemis prevedevano che il primo allunaggio non sarebbe stato effettuato prima del 2028, cosa che però non piaceva all’amministrazione Trump. Nel 2019 il vicepresidente Mike Pence, che aveva le deleghe sulle attività spaziali, annunciò che sarebbe stata necessaria un’accelerazione dei progetti e tra lo stupore di molti disse che l’allunaggio si sarebbe verificato entro la fine del 2024. Trump all’epoca confidava di ottenere un secondo mandato e vedeva in Artemis la possibilità di terminare la propria presidenza con un grande evento.
    Pence disse che del resto tra il famoso discorso del presidente John F. Kennedy con l’annuncio di portare i primi astronauti sulla Luna e il primo allunaggio erano passati appena otto anni, di conseguenza si poteva ottenere un risultato simile se non migliore con Artemis. All’epoca però la NASA aveva ricevuto per anni finanziamenti enormi, incomparabili con quelli degli ultimi anni destinati all’agenzia. Poco tempo dopo gli annunci di Pence si concretizzarono i problemi previsti da numerosi osservatori, sulla base di come erano andate fino ad allora le cose con i grandi ritardi legati a SLS e Orion.
    Artemis 1 nei piani iniziali sarebbe dovuta avvenire alla fine del 2020, ma nella realtà dei fatti la missione fu pronta per partire solo a novembre del 2022, quando ormai Trump non era più presidente e al suo posto c’era Joe Biden. Artemis 1 fu comunque un successo e ciò convinse la nuova presidenza a mantenere i piani, anche perché ormai la NASA aveva stretto una grande quantità di contratti e avviato anche un piano di intenti internazionale, sottoscritto da numerose agenzie spaziali.
    La capsula da trasporto Orion della missione lunare Artemis 1 e sullo sfondo la Luna e la Terra, osservate da una delle telecamere del veicolo spaziale nel corso delle attività orbitali intorno al nostro satellite naturale. L’immagine è stata realizzata a fine novembre 2022 (NASA)
    Considerati i precedenti ritardi, anche le nuove date annunciate martedì dalla NASA sembrano difficili da rispettare, come hanno fatto notare alcuni giornalisti nel corso della conferenza stampa. Free ha risposto alle obiezioni ricordando che le società che lavorano in appalto per Artemis hanno concordato sulla definizione delle nuove scadenze: «Da come la vedo io, le persone coinvolte nell’industria spaziale sono qui per dirci che sono d’accordo. Per quanto riguarda il governo abbiamo firmato contratti che ci impegnano per quelle date, sulla base dei dettagli tecnici che ci hanno fornito, e che hanno valutato i nostri gruppi di tecnici».
    Il forte coinvolgimento delle aziende private non riguarda solamente le missioni con astronauti, ma anche la possibilità di raggiungere e trasportare sulla Luna materiale come robot e strumentazioni. La NASA vuole creare un ecosistema in cui i privati sono incentivati a essere il più autonomi possibile, riducendo in questo modo i costi per l’agenzia spaziale che potrà poi fruire dei loro servizi. Tra i progetti più importanti in tal senso c’è il Commercial Lunar Payload Services (CLPS) che ha di recente portato a Peregrine, una missione lunare privata gestita dalla società Astrobotic per portare sulla Luna strumentazioni di vario tipo, compresi alcuni sistemi per esperimenti scientifici della NASA. Dopo il lancio, la missione ha però avuto problemi tecnici e non sarà in grado di compiere un allunaggio.
    I progetti come CLPS consentono di accelerare i tempi delle missioni, ma come dimostra Peregrine non offrono le garanzie che di solito danno le iniziative gestite direttamente dalla NASA. I responsabili dell’agenzia ne sono consapevoli e dicono che i maggiori rischi sono comunque compensati dalla possibilità di avviare più di frequente nuove missioni verso la Luna. Le esplorazioni lunari sono del resto considerate essenziali sia per sperimentare soluzioni che un giorno potranno essere impiegate su destinazioni ancora più ambiziose, come Marte, sia per lo sfruttamento delle risorse lunari o per la produzione di nuovi materiali, sfruttando le diverse condizioni di gravità rispetto alla Terra. Prima, però, sulla Luna dobbiamo tornarci. LEGGI TUTTO

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    Il business delle sepolture sulla Luna

    Da lunedì 8 gennaio le ceneri di oltre 80 persone sono nello Spazio, trasportate dalla missione spaziale privata statunitense Peregrine. Avrebbero dovuto essere portate sulla Luna, dove sarebbero poi rimaste per sempre, ma a causa di un problema ai sistemi del veicolo spaziale non succederà: martedì sera Astrobotic, l’azienda che aveva organizzato la missione, ha detto che ci sono «zero possibilità» che Peregrine atterri sulla luna. Familiari e amici delle persone defunte erano preparati a un eventuale fallimento della missione, che nei mesi scorsi aveva suscitato qualche polemica e protesta da parte dei nativi americani della Nazione Navajo, una riserva nel sud degli Stati Uniti, per i quali la Luna è un luogo sacro che non può essere trasformato in un cimitero.Le società che organizzano queste missioni la pensano diversamente: per loro le sepolture sono un importante opportunità di affari, con prezzi intorno ai 13mila dollari per ogni partecipante.
    Peregrine era partita nella notte tra domenica 7 e lunedì 8 gennaio (in Italia era la mattina di lunedì) da Cape Canaveral in Florida, spinta da un nuovo razzo Vulcan della joint venture United Launch Alliance, al proprio volo inaugurale. Il lancio, considerato una delle parti più critiche della missione visto che Vulcan non era mai stato utilizzato prima, era andato come previsto e aveva permesso di collocare Peregrine nella giusta orbita per raggiungere la Luna. Nelle ore seguenti, però, Astrobotic aveva segnalato alcuni problemi nei sistemi per mantenere il veicolo spaziale stabile e nella giusta traiettoria verso la Luna, che avrebbe dovuto raggiungere a fine febbraio.
    Inizialmente sembrava che ci fossero margini per sistemare le cose, ma ulteriori analisi avevano portato all’identificazione di un malfunzionamento nel sistema di propulsione tale da compromettere l’arrivo sulla Luna. Martedì mattina Astrobotic ha confermato l’impossibilità di compiere un allunaggio, ma ha detto di essere comunque al lavoro per raccogliere quanti più dati possibile e cercare di fare avvicinare Peregrine alla Luna, prima di perderne il controllo.
    Peregrine era nata nell’ambito del Commercial Lunar Payload Services (CLPS), il programma avviato dalla NASA per inviare sulla Luna piccoli robot automatici per esplorarne il suolo, raccogliere dati sulle sue caratteristiche e prepararsi meglio alle future esplorazioni con esseri umani del programma lunare Artemis. A differenza di quanto avveniva un tempo, l’iniziativa prevede un forte coinvolgimento di aziende private, che hanno la diretta responsabilità sull’organizzazione della missione e che la finanziano attraverso contratti di appalto con la NASA e accordi con altre aziende e organizzazioni, interessate a trasportare sulla Luna robot, sensori, oggetti o, appunto, le ceneri di persone che in vita avevano espresso il desiderio di essere sepolte tra i crateri lunari.
    Il lander Peregrine nelle ultime fasi di preparazione prima dell’inserimento nel razzo per il lancio (Astrobotic)
    L’idea di avere una sepoltura spaziale non è nuova, anzi, è più longeva dell’era dell’esplorazione spaziale stessa, iniziata una settantina di anni fa. Tra i primi a immaginarla ci fu lo scrittore di fantascienza statunitense Neil Ronald Jones, che nel 1931 pubblicò il racconto The Jameson Satellite sull’ultimo essere umano sopravvissuto grazie a una capsula che lo aveva perfettamente conservato per 40 milioni di anni, in giro per lo Spazio.
    Si sarebbero però dovuti attendere più di sessant’anni prima che fosse effettuata una prima sepoltura spaziale, per quanto simbolica. Nel 1992 sullo Space Shuttle Columbia della NASA c’era un piccolo campione delle ceneri di Gene Roddenberry, diventato famoso per essere stato l’ideatore della serie televisiva Star Trek. Le ceneri furono riportate sulla Terra alla fine della missione, quindi formalmente il progetto servì più che altro per portare idealmente Roddenberry nello Spazio, l’ambiente che più aveva raccontato tramite la sua serie di fantascienza (oltre a essere una buona occasione per la NASA per farsi un po’ di pubblicità, risvegliando un certo interesse ormai sopito intorno alle missioni degli Shuttle).
    Le ceneri di Roddenberry tornarono nello Spazio cinque anni dopo, quando la società Celestis organizzò la prima sepoltura spaziale vera e propria, trasportando in orbita i campioni di 24 persone cremate. Per circa un mese, le ceneri orbitarono all’interno di una capsula intorno alla Terra, ma persero man mano quota fino a quando rientrarono nell’atmosfera finendo a nord-est dell’Australia.
    Il successo dell’iniziativa e l’interesse dimostrato da molte altre persone desiderose di avere le proprie ceneri nello Spazio portò Celestis ad ampliare le attività e a organizzare altri trasporti di campioni oltre l’atmosfera terrestre. Alla fine degli anni Novanta la NASA incaricò Celestis di organizzare qualcosa di diverso: portare le ceneri di una persona sulla Luna. Non una persona qualsiasi, ma Eugene Merle Shoemaker, geologo statunitense famoso per i suoi studi sugli impatti tra corpi celesti (identificò per tempo il grandioso impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove), morto nel 1997 in un incidente stradale in Australia, dove stava studiando un cratere.
    Due anni dopo un campione delle sue ceneri raggiunse la Luna a bordo di Lunar Prospector, una sonda della NASA per lo studio del campo magnetico e del campo gravitazionale lunare, fatta appositamente schiantare in un cratere alla fine della sua missione. Il 31 luglio 1999, a poco più di 30 anni dal primo allunaggio con gli astronauti dell’Apollo 11, Shoemaker divenne l’unico essere umano le cui ceneri erano state sepolte su un corpo celeste diverso dalla Terra. Il primato sarebbe dovuto cadere il prossimo febbraio, con l’arrivo dei campioni delle ceneri delle 66 persone gestite da Celestis e trasportate da Peregrine, ma il fallimento della missione rende improbabile questa circostanza (a bordo ci sono inoltre le ceneri di una ventina di altre persone gestite da Elysium Space, un’altra società specializzata in sepolture spaziali).
    Celestis offre diversi pacchetti e opzioni per portare oltre l’atmosfera terrestre le ceneri di qualcuno e negli anni ha ampliato la propria offerta commerciale, rispondendo a una domanda crescente per i suoi servizi. La società prenota dalle aziende spaziali un piccolo spazio sui loro razzi come “carico secondario”, rispetto a quello “primario” che può essere un satellite o una sonda. I carichi secondari sono un’importante opportunità per i centri di ricerca e alcune aziende per trasportare qualcosa nello Spazio, per effettuare test ed esperimenti di vario tipo, ma negli ultimi anni sono diventati anche una risorsa per le società che promettono di portare qualcosa (oggetti, piccole opere d’arte o appunto le ceneri di qualcuno) oltre l’atmosfera terrestre come iniziativa simbolica.
    Le capsule utilizzate da Celestis per il trasporto nello Spazio dei campioni di ceneri (Celestis)
    Un carico secondario deve avere una massa contenuta (ogni grammo conta quando si deve usare un sacco di energia per portare qualcosa nello Spazio), di conseguenza Celestis non porta tutte le ceneri derivanti dalla cremazione di una persona, ma solamente un piccolo campione che viene conservato in una capsula grande più o meno quanto una batteria stilo (AA). Sulla capsula vengono incisi nome e cognome della persona defunta e una frase per ricordarla.
    L’opportunità è sia rivolta alle persone direttamente interessate, che prima di morire si premurano di esprimere la loro volontà e firmano un contratto con Celestis, sia ai familiari e agli amici che decidono di mantenere un ricordo particolare della persona che hanno perso. Le tariffe variano molto a seconda dell’esperienza: per un semplice rapido passaggio nell’ambiente spaziale prima di tornare sulla Terra si spendono circa 3mila dollari, per un lancio in orbita si arriva a 5mila, mentre per una sepoltura sulla Luna o alla deriva nello Spazio si spendono circa 13mila dollari. La possibilità di farlo è inoltre vincolata alle leggi sul modo in cui possono essere conservate e disperse le ceneri, che variano molto a seconda dei paesi. Altre opzioni prevedono di poter inviare nello Spazio un proprio campione di DNA, cosa che può anche essere fatta in vita attraverso un prelievo di saliva che viene poi analizzata per sequenziarne il materiale genetico.
    Il maggiore coinvolgimento dei privati nelle attività verso la Luna, favorito sia dai piani della NASA sia in generale da una riduzione nei costi di lancio dalla Terra, ha fatto sì che aumentasse l’interesse per le sepolture spaziali in un contesto dove ci sono pochissime regole.
    Molte delle cose che si possono o non si possono fare oltre l’atmosfera terrestre sono regolate dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico (Outer Space Treaty), un documento internazionale sottoscritto da diversi paesi a partire dal 1967 dove si sancisce che l’uso dello Spazio è aperto a tutti, con qualche limitazione. Il trattato dice chiaramente che non si possono collocare armi atomiche e di distruzione di massa nello Spazio e che non si può nemmeno reclamare la sovranità su un territorio di un altro corpo celeste. Viene anche chiesto ai sottoscrittori di non causare contaminazioni che siano dannose per la Luna e i pianeti del sistema solare, specialmente nell’ottica di identificare eventuali tracce di vita riducendo il rischio che siano gli umani stessi a portarle dalla Terra.
    Sulle sepolture spaziali non ci sono indicazioni e il modo in cui sono state gestite finora rientra nei criteri del trattato, almeno secondo la maggior parte degli esperti. Celestis come le altre società del settore può quindi portare nello Spazio le ceneri, che del resto sono inerti e non possono comportare particolari contaminazioni. Ma su questo aspetto non tutti sono d’accordo e tra chi protesta da più tempo ci sono i rappresentanti della Nazione Navajo – la riserva indigena tra Arizona, Nuovo Messico e Utah – per i quali la Luna è sacra e non può diventare un luogo di sepoltura.
    La Luna vista da uno dei territori della Nazione Navajo (David McNew/Getty Images)
    Già alla fine degli anni Novanta quando era stata annunciata la sepoltura lunare di Shoemaker l’allora presidente della Nazione Navajo, Albert Hale, protestò con la NASA per la scelta di lasciare i resti di un essere umano in un luogo dalla valenza sacra per molte persone. All’epoca l’agenzia spaziale statunitense ammise che forse avrebbe potuto consultare più estesamente i membri di quella comunità, prima di procedere con l’iniziativa, e si impegnò a farlo nel caso in cui ci fossero state altre sepolture sulla Luna.
    Quella consultazione, hanno segnalato nei mesi scorsi i rappresentanti della Nazione Navajo, non è però poi avvenuta in occasione del lancio di Peregrine nonostante il problema fosse stato sollevato più volte in passato. I responsabili della NASA hanno risposto ricordando che tecnicamente la missione è interamente gestita da Astrobotic e che l’agenzia non ha alcun controllo su ciò che l’azienda decide di portare sulla Luna, al di là delle strumentazioni per le attività scientifiche gestite dalla NASA. La giustificazione è stata percepita come una sorta di scaricabarile spaziale, suscitando ulteriori malumori nella comunità.
    L’attuale presidente della Nazione Navajo, Buu Nygren, ha detto che: «L’atto di depositare sulla Luna resti umani e altro materiale, che potrebbe essere percepito come uno scarto in qualsiasi altro luogo, equivale a una profanazione di un posto sacro». Il CEO e cofondatore di Celestis, Charles Chafer, la pensa diversamente: «Penso che sia l’esatto opposto di una profanazione. È una celebrazione. Non capisco perché fare questa cosa su un corpo celeste “morto” sia una profanazione, mentre abbiamo letteralmente milioni di luoghi in cui vengono disperse le ceneri su un pianeta vivente come la Terra, e non lo consideriamo una profanazione».
    A inizio anno la NASA si era comunque offerta di avviare un ulteriore confronto sulla questione. La tendenza in generale è comunque normare il meno possibile iniziative di questo tipo, considerato che per ora riguardano pochissime aziende e che regole troppo rigide potrebbero fermare la crescita in generale del settore delle esplorazioni spaziali private. Il problema comunque esiste, perché man mano che ci saranno nuove opportunità di raggiungere la Luna a costi più bassi aumenterà anche la quantità di materiali trasportati sul suolo lunare, molti dei quali a un certo punto diventeranno rifiuti.
    Nei prossimi giorni si capirà che fine farà Peregrine e come proseguirà il viaggio nello Spazio delle ceneri che ha a bordo. Tra queste c’è anche un campione delle ceneri di Arthur C. Clarke, autore di fantascienza britannico famoso soprattutto per il romanzo 2001: Odissea nello spazio del 1968 e il film con lo stesso titolo diretto da Stanley Kubrick, nel quale immaginò tra le altre cose una base lunare prima ancora che i primi astronauti l’avessero raggiunta nella realtà. La sepoltura lunare di Clarke avrebbe avuto per molti appassionati un importante valore simbolico, ma l’autore è comunque già ricordato con un asteroide (4923) e con il nome informale dato all’orbita geostazionaria della Terra. LEGGI TUTTO

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    Quante specie viventi si trovano in una casa con giardino?

    Nel marzo del 2020, durante uno dei lockdown per il coronavirus, tre scienziati che si occupano di ecologia decisero di condurre un studio scientifico inedito: contare e catalogare tutte le specie viventi animali, vegetali e fungine presenti nella loro casa con giardino a Brisbane, in Australia. A dicembre i tre hanno pubblicato sulla rivista scientifica Ecology il risultato del conteggio: nel corso di un anno avevano osservato 1.168 specie diverse, di cui 876 di insetti. Sono più del triplo di quelle che si aspettavano i tre scienziati e 157 loro colleghi a cui avevano chiesto di provare a fare una stima verosimile.(Andrew M. Rogers, Russell Q-Y. Yong, Matthew H. Holden)
    Andrew Rogers è un ecologo che tra le altre cose si occupa di animali e piante invasive. Russell Yong è un biologo tassonomista, cioè esperto di classificazione delle specie viventi. Matthew Holden invece è un matematico specializzato nelle applicazioni della sua materia a problemi complessi che riguardano gli ecosistemi. Nel 2020 lavoravano tutti e tre per l’Università del Queensland e condividevano una casa con tre camere da letto e giardino che complessivamente occupa circa 400 metri quadri ad Annerley, un quartiere di Brisbane.
    Rogers ha raccontato al Brisbane Times che l’idea di contare tutti gli animali e le piante presenti nella casa gli venne facendo le pulizie, dopo aver notato che nel suo armadio c’erano parecchi ragni: «Stavo cercando di farli uscire, per evitare di farli finire dentro l’aspirapolvere ed erano tanti. Mi sono chiesto quanti coinquilini avessi tra i ragni e poi tra le falene, le mosche e via dicendo». Coinvolse nell’impresa Yong e Holden, che peraltro invitarono altri scienziati del mondo a imitarli proponendo la conta delle specie di casa come un’attività per passare il tempo durante i lockdown.

    How many species are in your home? Count them! #StayHomeBiodiversityChallenge. We’re surveying our home for plants & animals. Opportunity to learn about local flora/fauna. Look at these beautiful moths & butterflies #StayHomeAustralia #stayHome #COVID19 #stayathome #quarantine pic.twitter.com/bPgf5XPriD
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) April 1, 2020

    Tra le specie osservate dai tre nel giardino tra il 29 marzo 2020 e il 28 marzo successivo ce ne sono tante che si trovano facilmente lungo la costa orientale dell’Australia: uccelli come l’ibis bianco australiano e il kookaburra, e il tricosuro volpino, un marsupiale molto comune, furono avvistati fin dai primi giorni del monitoraggio. Molte altre sono più rare e tre non erano nemmeno incluse nel principale elenco scientifico delle specie presenti in Australia: una specie di zanzara, una di mosca e una di vermi piatti, animali vermiformi non molto conosciuti. Quest’ultima è la specie chiamata Platydemus manokwari, nativa della Nuova Guinea e invasiva e dannosa in varie parti del mondo.
    Secondo Rogers, Yong e Holden è improbabile che le tre specie ancora non registrate come presenti in Australia siano rare nel paese: «Il fatto che la loro presenza non fosse documentata indica piuttosto che sottostimiamo molto le popolazioni degli ambienti urbani».

    Say hello to our #vampire moth, Calyptra minuticornis! It mostly pierces fruit, but vampire moths get their name from the fact that they also have been observed sucking the blood of mammals. No threat to humans though. #StayHomeBiodiversityChallenge @UQ_CBCS pic.twitter.com/kgVwSHG5jJ
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) April 20, 2020

    Tra gli insetti, quelli più comuni trovati dai tre scienziati sono stati lepidotteri, cioè farfalle e falene. In totale 437 specie: alcune grandi come una mano umana, ma la maggior parte di dimensioni molto ridotte. Una di quelle che hanno interessato di più Rogers, Yong e Holden è la specie Calyptra minuticornis, detta “falena vampira”: non ha un aspetto particolarmente vistoso, ma deve il suo nome al fatto che in alcune occasioni succhia il sangue dei mammiferi su cui si posa, esseri umani compresi.
    I tre scienziati si sono stupiti di aver osservato meno di cento specie di coleotteri, l’ordine di insetti che comprende un maggior numero di specie: «Può darsi che il nostro risultato sia il sintomo del declino delle popolazioni di coleotteri, che è stato osservato nel mondo», hanno scritto, «ma può anche darsi che sia stato un pessimo anno per i coleotteri nel nostro quartiere».
    Le specie di piante individuate nel giardino della casa sono state 103, di cui 100 non originarie dell’Australia. Quest’abbondanza di specie vegetali provenienti da altre parti del mondo non deve stupire perché è una situazione comune nei giardini e negli spazi verdi urbani, dove da circa due secoli vengono fatte crescere in grande misura piante acquistate nei vivai a scopo decorativo: in tutte le città del mondo si trovano piante originarie di luoghi lontani. Nove delle piante osservate erano quelle che comunemente sono chiamate “erbacce”, e che sono tra le specie più adattabili in assoluto.
    Rogers, Yong e Holden pensano che il gran numero di specie che hanno trovato sia dovuto in buona parte al fatto che il giardino della casa non era molto curato. Di solito sui prati tagliati di frequente e nelle aiuole ordinate non si trova una gran varietà di specie di insetti, che invece possono prosperare più facilmente in un giardino dove non vengono usati tagliaerba e insetticidi.

    Cute close up with a parasitic wasp this weekend. Yet to ID this species for our #StayHomeBiodiversityChallenge where we count the wildlife found at home. One of 27 wasps so far. Probably a type of Brachonid wasp? More photos of it on @inaturalist https://t.co/pVihWwemF8 pic.twitter.com/DeKOIzqkQr
    — Matthew Holden 🏳️‍🌈 (@MattHHolden) June 22, 2020

    Brisbane è una grande città con quasi 2 milioni e mezzo di abitanti, ma si trova in uno dei paesi che si stima abbiano una maggiore biodiversità, cioè ricchezza di specie animali diverse. Per questo Nicola Bressi, zoologo curatore del Museo civico di storia naturale di Trieste ed esperto dei rapporti tra gli esseri umani e le altre specie animali, stima che facendo un esperimento analogo in una casa con giardino in Europa si incontrerebbe un numero di specie più ridotto: «Dipende dalla città e dal tipo di giardino intorno alla casa, i tre naturalisti immagino lo tenessero molto “bio”. Diciamo che a mia esperienza potremmo ridurre la conta a un terzo. Forse un quarto nelle città meno verdi e più inquinate e trafficate. E ovviamente più si scende da Oslo verso Catania, più aumentano gli inquilini».
    Nel conteggio delle 1.168 specie australiane rientra anche Homo sapiens, a cui chiaramente appartengono Rogers, Yong e Holden: è stata inclusa per precisione. Non sono state prese in considerazione invece le specie viventi che generalmente sono invisibili all’occhio nudo, cioè i batteri e gli archei. Se fosse stato fatto il numero di specie totali trovate nella casa sarebbe stato significativamente più alto.

    – Leggi anche: Il forestale che credeva ai folletti, uno Storie/Idee di Nicola Bressi LEGGI TUTTO

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    Il primo lancio del nuovo razzo Vulcan dagli Stati Uniti è stato un successo

    Nella mattina di lunedì il nuovo razzo Vulcan della joint venture United Launch Alliance (ULA) ha effettuato con successo il proprio lancio inaugurale da Cape Canaveral in Florida, negli Stati Uniti, trasportando oltre l’atmosfera terrestre la missione Peregrine per l’esplorazione della Luna con un lander per conto della NASA.Il primo lancio era atteso da tempo a causa di alcuni ritardi nello sviluppo di Vulcan, un razzo molto importante per l’esplorazione spaziale dagli Stati Uniti frutto della collaborazione tra le due grandi aziende aerospaziali Boeing e Lockheed Martin, che lavorano insieme nell’ambito di ULA. Il successo del lancio è una prima conferma dell’affidabilità di Vulcan, che sostituirà i precedenti lanciatori Atlas V e Delta IV, più costosi e meno efficienti.
    ULA ha già venduto più di 70 lanci con Vulcan, la maggior parte dei quali ad Amazon, che ha necessità di portare rapidamente in orbita centinaia di piccoli satelliti per attivare Project Kuiper, il proprio progetto per portare Internet dallo Spazio. ULA riceverà inoltre almeno un paio di commissioni da parte della United States Space Force, quindi per strumentazioni militari, ma a patto che anche il prossimo lancio di un Vulcan avvenga senza problemi.

    We have liftoff! The first American commercial robotic launch to the Moon will deliver science instruments to study its surface, a critical part of preparing for future #Artemis missions. https://t.co/KoOZjXvqjD pic.twitter.com/Vo2Dnn6TwA
    — NASA (@NASA) January 8, 2024

    Peregrine raggiungerà la Luna nelle prossime settimane e se il suo lander toccherà regolarmente il suolo lunare avvierà alcune analisi, raccogliendo dati importanti per le nuove iniziative della NASA legate all’esplorazione della Luna anche con astronauti nei prossimi anni. La missione è totalmente gestita dalla società privata Astrobotic Technology, che ha ricevuto un appalto da 108 milioni di dollari da parte della NASA. LEGGI TUTTO

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    La sonda spaziale indiana Aditya-L1 ha raggiunto con successo la sua destinazione in orbita attorno al Sole

    Sabato la sonda spaziale indiana Aditya-L1 ha raggiunto con successo la sua destinazione in orbita attorno al Sole, a 1,5 milioni di chilometri di distanza dalla Terra. L’obiettivo della sonda è osservare il Sole con continuità, anche quando dalla Terra è nascosto a causa di eclissi, e portare avanti diversi studi: in particolare saranno analizzate la corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera solare, la fotosfera, ossia la superficie solare, e la cromosfera, cioè il sottile strato dell’atmosfera solare spesso 10mila chilometri fra corona e fotosfera.La missione di Aditya-L1 era partita il 2 settembre, a pochi giorni di distanza da un risultato storico per l’agenzia spaziale indiana ISRO: l’atterraggio sulla Luna della missione Chandrayaan-3, che prevede di esplorare il suolo del satellite con un robot automatico (rover) per un paio di settimane. Tale missione è stata la prima ad approdare con successo al polo sud della Luna.
    La sonda realizzata per studiare la stella del Sistema solare è stata chiamata Aditya in onore della divinità indù del Sole, conosciuta con questo nome oltre che con quello di Surya. La sigla L1 rappresenta il punto di Lagrange 1, cioè la destinazione finale raggiunta oggi. Tra le altre cose Aditya-L1 permetterà di capire meglio i venti e le eruzioni solari, fenomeni dell’attività del Sole che influenzano la Terra e gli oggetti nella sua orbita (satelliti compresi) attraverso radiazioni, calore, flussi di particelle e flussi magnetici.

    India creates yet another landmark. India’s first solar observatory Aditya-L1 reaches it’s destination. It is a testament to the relentless dedication of our scientists in realising among the most complex and intricate space missions. I join the nation in applauding this…
    — Narendra Modi (@narendramodi) January 6, 2024 LEGGI TUTTO

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    Weekly Beasts

    In alcuni zoo del mondo l’inizio dell’anno nuovo ha coinciso con il censimento dei suoi animali: lo zoo di Londra, come da tradizione, ha cominciato a contare ogni singolo animale delle più di 300 specie che ospita, comprese zebre, pinguini e millepiedi che trovate in questa raccolta. Poi ci sono una femmina di gorilla e il suo cucciolo, un’iguana e oche e cigni che si muovono in spazi urbani allagati per le forti piogge in Inghilterra. LEGGI TUTTO