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    Premier time, Meloni oggi in Senato. Dai dazi alle bollette, i temi sul tavolo

    Giorgia Meloni è attesa oggi alle 13.30 nell’Aula del Senato per il premier time, previsto inizialmente per il 23 aprile e rinviato a causa della morte di Papa Francesco. La presidente del Consiglio dovrà rispondere ai quesiti di opposizioni e maggioranza su diversi temi. Dopo quasi un anno e mezzo dall’ultima volta, Meloni torna alla prova delle domande dei parlamentari. In questo caso dei senatori. E se il 24 gennaio 2024 l’arena di Montecitorio si animò sulla vertenza Stellantis, le critiche al rinnovato Patto di stabilità e lo Stato di Palestina (per la premier, in dissenso dal governo Netanyahu) ora i quesiti si spostano sui rapporti con gli Usa di Donald Trump, i dazi, le bollette, le spese per la difesa militare e le riforme costituzionali promesse. A meno di cambiamenti dell’ultim’ora, vista la pressante richiesta delle opposizioni che il governo riferisca sulla situazione a Gaza.

    I precedenti

    Per la presidente del Consiglio è il quarto premier time negli oltre 900 giorni del suo esecutivo. Ed è molto atteso, essendo finito nei giochi delle casualità e coincidenze del Vaticano, prima con la morte di Papa Francesco e poi con il Conclave. Inizialmente, infatti, il question time era in programma il 23 aprile ma la morte del Pontefice, due giorni prima, ha costretto al rinvio. Fissato al 7 maggio, è stato anticipato dalle 16 alle 13.30 per non finire in concomitanza con l’inizio del Conclave che si apre questo pomeriggio.
    I quesiti
    Nove i quesiti sul tavolo. Meloni li affronterà nei tempi stringati previsti dal regolamento. Tre minuti per illustrare ogni quesito, tre per la risposta e altri 2 concessi all’autore della domanda, per replicare. Aria di sfida si attende da Matteo Renzi pronto a interrogare la premier sulle riforme, con una domanda secca quasi da quiz tv: “Quali sono le tre riforme che il governo ritiene fondamentali e che punta a chiudere nella legislatura”, dovrebbe essere il senso del quesito. Stefano Patuanelli del M5s e Carlo Calenda di Azione chiederanno conto delle spese per la difesa. Il primo per sapere con quali fondi e se davvero l’Italia non farà ricorso al fondo di coesione. Calenda anche per sondare il governo sull’intenzione di partecipare alla “costruzione di un pilastro europeo della Nato”. Avs si concentra su effetti e risultati del bilaterale tra Meloni e Trump a Washington, per conoscere “le ragioni a fondamento della decisione di garantire 40 miliardi di euro dei cittadini italiani al governo Usa?”. Il Pd resta sul caro bollette (“visto il palese fallimento del decreto bollette”) e per sapere che impegno ha preso Meloni a Washington sugli acquisti del gas naturale liquido.

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    Meloni e la sfida nazionale

    Le domande della maggioranza

    Lavoro ed economia saranno invece tra i temi oggetto di interrogazioni da parte delle stesse forze di maggioranza. In questo contesto, la presidente di Fratelli d’Italia è pronta a rivendicare i risultati del suo esecutivo, come fatto in occasione del primo maggio: oltre un milione di posti di lavoro creati in due anni e mezzo; record per quanto riguarda il numero complessivo degli occupati, più di 24 milioni e 300mila, e l’occupazione femminile. Meloni potrebbe rimarcare l’impegno sul fronte della sicurezza, “con nuove risorse, più controlli, incentivi e una forte spinta sulla prevenzione e sulla formazione”: di questo si parlerà anche giovedì, in occasione dell’incontro tra governo e sindacati (appuntamento che non figura nell’agenda della premier, la cui presenza non è confermata). Non mancheranno i migranti tra i quesiti. A porre la questione sarà proprio il partito della premier, Fratelli d’Italia, che presenterà un’interrogazione sulle politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina.

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    Governo e opposizione, un bilancio di metà legislatura LEGGI TUTTO

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    Referendum 8 e 9 giugno, il compenso per gli scrutatori e i presidenti di seggio

    Domenica 8 e lunedì 9 giugno gli italiani saranno chiamati a votare su cinque referendum che affrontano temi centrali come il lavoro e la legge per la concessione della cittadinanza. In vista della consultazione, è utile sapere quale sarà il compenso previsto per chi sarà chiamato a svolgere il ruolo di scrutatore o presidente di seggio. Per entrambi i ruoli è previsto un compenso stabilito per legge, che varia in base al numero di schede da scrutinare e alla presenza di eventuali elezioni amministrative nello stesso comune. Ecco tutto quello che c’è da sapere.

    Il compenso per gli scrutatori

    Secondo la normativa in vigore, gli scrutatori riceveranno un compenso base di 104 euro, a cui si aggiunge una maggiorazione a ciascun quesito in più oltre il primo, pari a 22 euro a scheda. Con cinque quesiti in programma, l’importo complessivo per ogni scrutatore sarà quindi di 192 euro. Nei comuni italiani in cui si voterà contemporaneamente anche per il rinnovo delle amministrazioni locali, essendo una doppia consultazione, il compenso salirà a 208 euro.
    Il compenso per i presidenti di seggio
    Più elevato l’importo destinato ai presidenti di seggio, che ricevono un rimborso forfettario netto di 262 euro nei comuni dove si voterà solo per i referendum. In caso di consultazione combinata con le amministrative, il compenso previsto sarà di 282 euro. In entrambi i casi, si tratta di importi esenti da tassazione.
    Riposi compensativi per i lavoratori
    Chi ricopre il ruolo di presidente o scrutatore ed è anche un lavoratore dipendente ha diritto al cosiddetto riposo compensativo. Questo significa che, per ogni giornata di effettivo servizio al seggio coincidente con una giornata lavorativa, il lavoratore potrà usufruire di un giorno di riposo aggiuntivo, senza decurtazioni di stipendio.
    Requisiti e scadenze
    Per candidarsi come scrutatore o presidente di seggio è necessario essere cittadini italiani, aver compiuto 18 anni ed essere iscritti agli appositi albi comunali. Chi aspira a ricoprire il ruolo di presidente di seggio deve inoltre essere in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado. Le scadenze per presentare la propria disponibilità variano da comune a comune. A Milano, ad esempio, è possibile segnalare la propria disponibilità fino al 5 giugno 2025. A Roma, la scadenza è fissata al 12 maggio per gli scrutatori e al 4 giugno per i presidenti di seggio. LEGGI TUTTO

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    Referendum 8 e 9 giugno 2025, le posizioni dei partiti: da Fratelli d’Italia al Pd

    Il Partito Democratico si schiera a favore del sì su tutti e cinque i quesiti e in particolare su quelli che puntano a smantellare parti del Jobs Act, la riforma sul lavoro approvata durante il governo Renzi. La segretaria Elly Schlein ha ribadito la volontà di correggere quelle norme che, secondo il Pd, hanno indebolito le tutele dei lavoratori. “Si vota per dei referendum che vogliono contrastare la precarietà, aumentare la sicurezza di chi lavora nel Paese che nella Costituzione dice che la Repubblica è fondata sul lavoro, ma non sul lavoro qualsiasi, sul lavoro dignitoso, sul lavoro di qualità, sul lavoro non precario, non povero, su un lavoro più sicuro. Andremo a votare anche per affermare il diritto di cittadinanza di tutte quelle persone a cui dopo tanto tempo in Italia è ancora negato”, ha riferito Schlein. L’invito rivolto agli elettori è quindi quello di recarsi alle urne e votare sì per abrogare le disposizioni in materia di tutele crescenti, licenziamenti e contratti a termine LEGGI TUTTO

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    Firme digitali, quali referendum hanno avuto più adesioni? I dati

    Il referendum in programma il prossimo 8 e 9 giugno è il primo che si tiene grazie alla nuova piattaforma di raccolta delle firme digitali. Negli ultimi anni solo il referendum sulla cittadinanza dopo 5 anni e quello contro l’autonomia differenziata hanno raggiunto il quorum delle 500 mila firme: anche di questo si è parlato nella puntata di “Numeri”, il programma di Sky TG24 andato in onda il 5 maggio 2025 LEGGI TUTTO

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    Perché Meloni vuole cambiare il Rosatellum per un proporzionale con premio oltre il 40%

    Ascolta la versione audio dell’articolo5′ di letturaPremio di maggioranza al posto dei collegi, preferenze e/o listini bloccati, soglie di sbarramento. E chi più ne ha più ne metta. La riforma della legge elettorale è un evergreen, un classico di ogni legislatura. Con la maggioranza di turno che, va da sé, prova ad acconciarsi il sistema elettorale che più la potrebbe favorire. A volte riuscendoci (Silvio Berlusconi con il Porcellum che cancellò in Mattarellum) a volte no (Matteo Renzi con l’Italicum prima, bocciato dalla Corte costituzionale, e con il proporzionale con sbarramento al 5% poi, affossato nel segreto dell’urna alla Camera).Al via l’eterno gioco della legge elettorale: perché ora, visto che si vota a giugno 2027?Il gioco del cambio delle regole elettorali è dunque, se non lecito, sdoganato dalla prassi degli ultimi lustri. C’è solo una regola, rigorosamente non scritta: la legge per eleggere il Parlamento, se va cambiata, va cambiata nell’ultimo anno di legislatura, se non altro perché nessun parlamentare ha la sicurezza di essere rieletto e di conseguenza nessun parlamentare ha interesse a mettere sul tavolo della politica la pistola carica di un nuovo sistema elettorale pronto all’uso per eventuali elezioni anticipate. E allora perché il tema è tornato d’attualità, quando le prossime elezioni politiche si dovrebbero tenere solo a giugno 2027, con soli tre mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura? (La volta scorsa si è votato il 23 settembre per la repentina caduta del governo Draghi, ma l’accordo tra Palazzo Chigi e Quirinale è già quello di un leggero anticipo per non interferire con la sessione di bilancio e quindi l’approvazione della finanziaria di fine anno). Ma, soprattutto, che interesse ha la premier a cambiare la legge elettorale che l’ha fatta vincere tre anni fa quando il suo partito è saldamente primo nei sondaggi, tra il 28 e il 30%, e la coalizione di centrodestra supera la somma delle opposizioni, somma per altro politicamente molto difficile?Loading…Tutti i rischi del Rosatellum per la premier Meloni: con le opposizioni unite esito incertoQui occorre fare un passo indietro. Giorgia Meloni lo aveva già fatto capire nella conferenza stampa di fine/inizio anno: anche se la riforma del premierato non dovesse essere pronta all’uso in tempo per la prossima legislatura, la legge elettorale con cui andremo a votare tra la fine del 2027 e l’inizio del 2028 potrà subire “migliorie”. L’idea ormai prevalente a Palazzo Chigi è quella di approvare il premierato in Parlamento con calma e di celebrare il referendum confermativo solo dopo le politiche per non correre troppi rischi (il tonfo di Renzi, costretto a lasciare Palazzo Chigi dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 2016, è sempre ben presente ai nostri politici). Ma l’attuale legge elettorale – ossia il Rosatellum, basato sul 37% di collegi uninominali e per il resto su un proporzionale con liste bloccate – ha agli occhi della premier il difetto di costringerla a una defatigante trattativa con i partiti minori del centrodestra per la “spartizione” dei collegi uninominali. Basta un dato: oggi la Lega, che nel 2022 ha ben fatto pesare il suo radicamento al Nord, ha 94 parlamentari sul totale di 600, corrispondenti al 16 per cento degli eletti, quando alle urne prese poco meno del 9%. Ma non solo. C’è soprattutto il dato di fatto che con il Rosatellum non c’è la certezza della vittoria: nel 2018 l’esito è stato quello di nessuna maggioranza, tanto che nella scorsa legislatura sono nati tre governi di segno politico diverso (giallo-verde M5s-Lega, giallo-rosso a guida M5s-Pd, la grande coalizione di Draghi); al contrario nel 2022, grazie al fatto che il centrosinistra si è presentato diviso in tre (Pd con Avs e Più Europa, M5s da solo e Terzo polo di Renzi e Calenda), il centrodestra è riuscito a vincere nella quasi totalità dei collegi ottenendo una supermaggioranza.Per non correre rischi al Sud meglio un proporzionale con premio al di sopra del 40%E se alla fine le opposizioni dovessero trovare l’accordo mettendosi tutte assieme, magari solo per un accordo elettorale nei collegi come ha proposto un big del Pd come Dario Franceschini? Secondo le proiezioni il centrosinistra unito, dal M5s ai centristi passando naturalmente per il Pd, vincerebbe tutti i collegi uninominali di regioni come la Campania e la Puglia: grazie al recupero al Sud, in particolare al Senato il centrosinistra potrebbe dunque impedire la formazione di una maggioranza chiara di centrodestra. Dal punto di vista di Palazzo Chigi meglio optare subito, anche senza premierato, sulla soluzione da sempre preferita dal centrodestra e che è anche il “canovaccio” per la futura elezione diretta del premier: un proporzionale con un premio che assicuri a chi vince una maggioranza del 55%. Insomma, sul tavolo c’è un Porcellum che però preveda una soglia per far scattare il premio: nel 2014 la Corte costituzionale, nel bocciare quella legge, ha stabilito infatti che il premio non può in ogni caso superare il 15%. Soglia al 40%, dunque. Cosa fare al di sotto di quella soglia, vista l’allergia del centrodestra e in particolare della Lega al ballottaggio nazionale, non è chiaro. Meloni sarebbe favorevole a prevedere in questo caso residuale un ballottaggio tra le prime due coalizioni, ma la resistenza degli alleati è tale che in Fratelli d’Italia non si esclude di non prevedere alcuna norma di chiusura: se nessuno raggiunge il 40% non scatta il premio e la fotografia del Parlamento resta proporzionale. Ipotesi considerata appunto men che residuale a Palazzo Chigi, a meno che uno degli alleati non voglia affossare Sansone (ossia Meloni) con tutti i filistei sfilandosi dalla coalizione. Un suicidio, insomma.La mina piazzata sotto il campo largo: l’indicazione del capo della coalizioneQuanto alla scelta degli eletti, le ipotesi sul tavolo sono due: o piccoli listini bloccati di tre o quattro nomi riconoscibili da parte degli elettori oppure capilista bloccati e preferenza per tutti gli altri, il che significherebbe però che i partiti piccoli e medi riuscirebbero ad eleggere quasi solo i capilista. Un motivo, questo, di scontro con il Pd e con il M5s, che insistono almeno formalmente sulle preferenze tout court (meno formalmente è vero che tutti i leader di partito vogliono controllare e scegliere le candidature). Ma, preferenze a parte, il Porcellum rivisitato contiene una vera e propria bomba pronta ad esplodere sotto il Pd di Elly Schlein e di conseguenza sotto l’intero centrosinistra: il premio di maggioranza, così come era nel Porcellum, si porta dietro il vincolo del nome del capo della coalizione e quindi il candidato premier. Per Meloni è un modo per avere già alle prossime politiche un premierato di fatto, con la scelta del premier anche se non con la sua elezione diretta, pur senza riforma della Costituzione. Ma questo si traduce in problemi a non finire per il costituendo campo largo, visto che non c’è una premiership riconosciuta da tutti e visto che il leader del M5s Giuseppe Conte non nasconde la sua ambizione di tornare un giorno a Palazzo Chigi. Come dice il costituzionalista ed ex parlamentare del Pd Stefano Ceccanti, «finché si resta nel Rosatellum si possono anche fare accordi solo “in negativo” e non chiarire la questione dei candidati premier, ma se si passa ad una legge con il premio di maggioranza puoi fare le primarie di coalizione, puoi indicare di comune accordo un federatore, puoi anche indicare un nome temporaneo e dire che comunque verrà proposto il nome del leader del partito che prenderà più voti: l’unica cosa che non puoi fare è eludere il problema». Già. LEGGI TUTTO

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    Elezioni comunali a Taranto 2025, chi sono i sei candidati sindaco

    Introduzione
    Taranto si prepara alle elezioni comunali per eleggere il suo nuovo sindaco. La città pugliese è tra quelle chiamate a votare domenica 25 maggio dalle ore 7 alle 23, e lunedì 26 maggio dalle ore 7 alle 15. Nel caso in cui nessun candidato ottenesse il 50%+1 dei voti al primo turno, si procederà con il ballottaggio già in calendario per domenica 8 e lunedì 9 giugno. Si tratta delle stesse giornate in cui in tutta Italia si tornerà alle urne anche per i referendum abrogativi relativi a lavoro e cittadinanza. In tutto sono sei i candidati sindaco, mentre uno è stato escluso. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla sfida elettorale a Taranto.  LEGGI TUTTO

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    Caso Almasri, fonti dell’esecutivo: il governo invia memoria alla Cpi

    Il governo ha trasmesso alla Corte penale internazionale dell’Aja la propria memoria difensiva sulla vicenda del mancato trasferimento di Njiiem Almasri, il comandante libico arrestato a Torino il 19 gennaio e rimpatriato appena due giorni dopo. Lo si apprende da fonti dell’esecutivo. L’invio del documento è avvenuto alla vigilia della scadenza della proroga concessa alla stessa autorità italiana per depositare le proprie osservazioni. Lunedì, dopo l’ultima richiesta di rinvio, l’incartamento è stato inviato agli uffici dell’Aja in formato digitale.  L’atto, che riassume la posizione dell’esecutivo nell’affaire, è ora all’attenzione dei giudici con base nei Paesi Bassi che, in sostanza, accusano l’Italia di non aver eseguito il mandato d’arresto, di non aver perquisito Almasri, di non aver sequestrato i dispositivi in suo possesso e di aver sperperato denaro pubblico rimpatriandolo a Tripoli a bordo di un aereo dell’intelligence. 

    Quale era la posizione del ministro Nordio

    Secondo quando si apprende, non è escluso che nell’incartamento sia stato ribadito quanto affermato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, nel corso dell’informativa in Parlamento a febbraio scorso. In sostanza il numero uno di via Arenula aveva sostenuto che l’arresto del generale libico, accusato di crimini contro l’umanità, era avvenuto senza una preventiva consultazione con il ministero, che il mandato della Corte penale internazionale conteneva “gravissime anomalie” e dunque era “radicalmente nullo”. In Aula Nordio ha ricordato che è il ministero della Giustizia, secondo la legge 237 del 2012, a curare “in via esclusiva” – recita la norma – i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale. Ma nel caso di specie – è la posizione ribadita dal ministro – via Arenula è stata tagliata fuori fin dall’inizio.  Una notizia informale dell’arresto, avvenuto a Torino alle 9.30 del 19 gennaio, spiegò davanti ai parlamentari, “venne trasmessa da un funzionario Interpol a un dirigente del nostro ministero alle 12,37”. Solo il giorno dopo, lunedì 20 alle 12.40, il procuratore della Corte d’appello di Roma ha inviato “il complesso carteggio”. Ed alle 13.57 l’ambasciatore italiano all’Aja ha trasmesso al ministero la richiesta di arresto. La comunicazione della questura, ha spiegato a febbraio Nordio, “era pervenuta al ministero ad arresto già effettuato e, dunque, senza la preventiva trasmissione della richiesta di arresto a fini estradizionali emessa dalla Cpi al ministro”.     LEGGI TUTTO

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    Elezioni comunali a Bolzano, Andriollo e Corrarati al ballottaggio il 18 maggio

    Si andrà al ballottaggio, il 18 maggio, a Bolzano, per le elezioni comunali. La sfida a due sarà tra l’assessore comunale uscente, Juri Andriollo, e Claudio Corrarati, per molti anni a capo del Cna altoatesino. Questo il risultato del voto del 4 maggio (RIVEDI LE NOTIZIE DELLA GIORNATA ELETTORALE) che ha visto Andriollo, candidato del centrosinistra, raccogliere il 27,3% delle preferenze. Mentre Corrarati, sostenuto dal centrodestra, ha ottenuto il 36,3%. Le regole prevedono che, nel caso in cui nessuno dei candidati ottenga il 50%+1 dei voti validi, si tenga un ballottaggio: per questo si tornerà alle urne domenica 18 maggio a Bolzano, dalle ore 7 alle 22. 

    Andriollo: “Convinti di poter vincere”

    “Siamo convinti di poter vincere il ballottaggio. Cercheremo di aggregare e convincere l’elettorato, portando più partecipazione al voto. Il risultato del Pd è in risultato buono, considerando che non sono in lista e non viene considerato il mio seggio”, il commento sui risultati del candidato sindaco Andriollo.
    Corrarati: “Risultato storico”
    “Dobbiamo anzitutto ringraziare i bolzanini per questo grande risultato che ci attesta per la prima volta da vent’anni in netto vantaggio come coalizione di centrodestra. Se i dati si confermeranno su questa linea di tendenza, si tratterà di un risultato storico, che esprime la volontà di cambiamento dei bolzanini e che si potrà concretizzare definitivamente il 18 maggio grazie al loro voto”, spiega, in una nota, Corrarati. LEGGI TUTTO