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    Alle presidenziali degli Stati Uniti si vota anche dallo Spazio

    Alle elezioni statunitensi di novembre potranno votare anche gli astronauti che si trovano nello Spazio. È possibile grazie al sistema di comunicazione che permette il trasferimento di documenti dallo Spazio alla Terra e a una legge del Texas del 1997. Negli anni passati anche astronauti sovietici, russi e francesi hanno votato per le elezioni nei rispettivi paesi.Al momento nello Spazio si trovano 14 persone: 3 sono astronauti cinesi, 4 sono russi e 7 statunitensi. Questi sette per votare hanno dovuto fare richiesta anticipatamente al governo statunitense di poter votare a distanza, secondo la stessa procedura seguita dai soldati inviati nelle missioni all’estero. Hanno poi ricevuto una password da un impiegato della contea in cui risiedono, per criptare il documento di testo con il voto e garantirne la segretezza. Dall’inizio del periodo del voto anticipato (che in Texas inizia lunedì 21 ottobre) possono quindi inviare un messaggio riservato contenente il loro voto all’ufficio elettorale locale, dopo una serie di passaggi.
    Quasi tutti gli astronauti statunitensi risiedono nello stato del Texas, dove si trova il Johnson Space Center, il principale centro di addestramento per andare in orbita della NASA, l’agenzia spaziale degli Stati Uniti. Per questo è spettato al Texas approvare una legge per permettere loro di votare anche durante le permanenze sulle stazioni spaziali, i laboratori scientifici che viaggiano nell’orbita terrestre.
    Nel 1996 la NASA cercò di fare in modo che l’astronauta John Blaha potesse votare nelle presidenziali di quell’anno (in cui alla fine il Democratico Bill Clinton venne riconfermato alla presidenza). Il tentativo fu fermato dal Segretario di stato del Texas, dato che lo stato non permetteva alcun tipo di voto elettronico: Blaha non poté votare.
    L’anno seguente il parlamento del Texas approvò una legge che permetteva il voto elettronico per chi avesse i requisiti per votare «ma si trovasse nello spazio durante il periodo del voto anticipato e nel giorno delle elezioni». Il primo astronauta statunitense a votare dall’orbita terrestre fu quindi David Wolf, che nel 1997 votò per il sindaco di Houston (una città del Texas) mentre si trovava a bordo della stazione spaziale russa MIR.
    Gli astronauti attualmente sulla Stazione Spaziale Internazionale: 7 di loro (quelli vestiti di nero e quello in primo piano a destra) sono statunitensi (NASA via AP)
    Prima di votare veramente gli astronauti ricevono una scheda elettorale finta, che reinviano a terra per controllare che il processo funzioni e mantenga la segretezza del voto. Ricevono poi la scheda vera, un documento di testo che compilano e rispediscono a terra tramite una rete di satelliti e antenne che permette alla NASA di comunicare con i satelliti nell’orbita terrestre, la Near Space Network (“Rete per lo Spazio vicino”).
    Tramite questa rete le informazioni vengono trasmesse al centro di ricerca di White Sands, in New Mexico. Da lì sono poi trasferite al centro di controllo delle missioni spaziali del Johnson Space Center, in Texas, che a sua volta le invia agli uffici elettorali della contea di Harris, in cui si trova il centro: qui il documento viene stampato e conteggiato assieme a tutte le altre schede della contea.
    Dal 2004, quando Leroy Chiao divenne il primo statunitense a votare per il presidente dallo Spazio, gli astronauti della NASA hanno votato in 3 delle 4 elezioni presidenziali seguenti (nel 2008, 2016, 2020): nel 2012 gli astronauti che si trovavano in orbita poterono votare anticipatamente secondo le procedure ordinarie. In almeno un caso, nel 2019, votò anche un astronauta statunitense che non risiedeva in Texas: Andrew Morgan votò nelle elezioni locali della Pennsylvania, grazie alla collaborazione fra le autorità locali e la NASA. L’ultima astronauta a votare dalla Stazione Spaziale Internazionale è stata Kathleen Rubins, che è anche l’unica ad aver votato due volte: nel 2016 e nel 2020. LEGGI TUTTO

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    Una decisione molto difficile per la NASA

    Caricamento playerLo scorso 5 giugno due astronauti della NASA sono partiti verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per una missione che sarebbe dovuta durare poco più di una settimana: nonostante di giorni ne siano passati quasi 80, non sono ancora tornati sulla Terra.
    Starliner, la capsula di Boeing che li aveva trasportati oltre l’atmosfera terrestre, ha avuto alcuni problemi tecnici e da più di due mesi la NASA si chiede se sia sicura a sufficienza per riportare indietro i suoi due astronauti. Dopo numerosi rinvii e tentennamenti, in una riunione in programma per sabato 24 agosto i responsabili dell’agenzia spaziale dovranno concordare un piano di recupero: una delle decisioni più difficili sulla sicurezza dei sistemi di trasporto per astronauti dal tempo degli Shuttle.
    Il lancio di Starliner a inizio giugno era andato secondo i piani, ma prima che la capsula raggiungesse la ISS erano emersi problemi ai sistemi di manovra. Cinque dei 28 propulsori utilizzati per orientare la capsula e regolare la sua rotta avevano smesso di funzionare, richiedendo alcune attività aggiuntive per rendere possibile l’attracco con la Stazione a circa 400 chilometri di altitudine.
    Per Starliner era il primo volo con astronauti a bordo – Butch Wilmore e Suni Williams – dopo anni di prove e ritardi sulle consegne costati finora a Boeing e alla NASA circa 6,7 miliardi di dollari. Il test, che formalmente è ancora in corso, era fondamentale per dimostrare l’affidabilità e la sicurezza di Starliner nell’ambito del programma della NASA per affidare i viaggi verso la ISS ai privati, come già fatto in precedenza e con successo con SpaceX, la società spaziale di Elon Musk.
    Dopo l’arrivo di Wilmore e Williams sulla ISS, i tecnici avevano provato a capire le cause del malfunzionamento dei propulsori. Per farlo, avevano effettuato alcuni test qui sulla Terra identificando un potenziale problema nella parte in Teflon (il materiale plastico che rende antiaderenti le padelle) delle valvole dei propulsori, che al passaggio del propellente si era deformata lievemente impedendo al propellente stesso di fluire nelle giuste quantità. Analisi svolte in seguito hanno però portato a mettere in dubbio quelle valutazioni: il Teflon una volta deformato difficilmente recupera la forma iniziale, eppure test svolti in orbita hanno mostrato che ora i propulsori sembrano funzionare normalmente. Il sospetto è che sia qualcos’altro che occlude temporaneamente le valvole e che il problema possa ripresentarsi nelle fasi di rientro di Starliner, con esiti che potrebbero essere catastrofici nel caso in cui un propulsore otturato causasse un’esplosione.
    Le incertezze sulle effettive cause del malfunzionamento dei propulsori hanno portato a un lungo confronto tra i tecnici di Boeing e della NASA, che continua ancora oggi e che ha determinato la prolungata permanenza di Williams e Wilmore sulla ISS. Sulla Stazione ci sono risorse più che sufficienti per provvedere ai due ospiti aggiuntivi, ma se dovessero rimanere ancora a lungo ci potrebbero essere conseguenze su altre missioni, perché i posti sulla ISS sono comunque limitati.
    Gli astronauti della NASA Butch Wilmore e Suni Williams a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (NASA via AP)
    Alcune conseguenze sulle attività in orbita ci sono del resto già state. Nelle settimane dopo il lancio di Starliner, la NASA ha rinviato di almeno un mese il lancio della prossima missione con astronauti verso la ISS e gestita da SpaceX. La partenza non avverrà prima del 24 settembre, ma i tempi sono comunque stretti: SpaceX deve sapere a breve se dovrà inviare quattro astronauti come inizialmente previsto o solamente due, in modo da poter accogliere nel viaggio di ritorno Williams e Wilmore. La necessità di saperlo con un certo anticipo deriva dai tempi che occorrono per configurare la capsula da trasporto Crew Dragon in base al numero di occupanti. La NASA dovrà quindi decidere che cosa fare entro pochi giorni e non sarà una scelta semplice.
    Nel caso in cui la decisione sia di non far rientrare Williams e Wilmore con Starliner, i due astronauti dovranno rimanere sulla ISS fino al prossimo febbraio, quando potranno effettuare il viaggio di ritorno con una capsula Crew Dragon. In questo scenario Williams e Wilmore rimarrebbero quindi a bordo della Stazione per otto mesi, una notevole estensione per una missione che sarebbe dovuta durare otto giorni. Prima dell’arrivo di Crew Dragon a fine settembre, Starliner dovrà comunque lasciare la ISS in modo da liberare lo spazio di attracco per la capsula di SpaceX. Starliner dovrebbe quindi essere configurata per effettuare un rientro in automatico sulla Terra, senza equipaggio a bordo, altra attività che richiede tempo e che rende necessaria al più presto una decisione da parte della NASA.
    La scelta finale dovrebbe spettare a Kenneth Bowersox, a capo della divisione dell’agenzia spaziale che si occupa delle operazioni di volo. Ex astronauta, nel 2003 Bowersox si trovava sulla Stazione Spaziale Internazionale quando avvenne il disastro dello Space Shuttle Columbia, che si disintegrò al proprio rientro nell’atmosfera terrestre determinando la morte delle sette persone a bordo, come ha ricordato Stephen Clark su Ars Technica. All’epoca erano stati sottostimati i danni causati allo scudo termico dello Shuttle da un detrito nella fase di lancio, una sottovalutazione che influì fortemente sul programma spaziale statunitense e sui criteri di sicurezza adottati dalla NASA da allora.
    Lo Space Shuttle Columbia si disintegra durante il rientro nell’atmosfera terrestre, 1 febbraio 2003 (Mario Tama/Getty Images)
    Bowersox deciderà basandosi sulle informazioni e sui pareri forniti dai gruppi di lavoro che si occupano della revisione dei voli spaziali, della sicurezza, delle missioni spaziali e si consulterà anche con i rappresentanti degli astronauti. Nel caso in cui dovessero emergere pareri discordanti, la decisione finale potrebbe essere affidata a Bill Nelson, l’amministratore della NASA (a sua volta ex astronauta). Lo stesso Nelson di recente ha cercato a suo modo di rassicurare sul processo decisionale: «Sono fiducioso, soprattutto perché spetta a me la decisione finale».
    Le persone che insieme a Bowersox dovranno decidere che cosa fare lavoravano già tutte alla NASA ai tempi del disastro del Columbia, cosa che secondo diversi esperti influirà sulle scelte dei prossimi giorni. I responsabili di Starliner, che dipendono da Boeing e con forti interessi nella decisione, hanno mostrato di essere un poco più propensi al rischio, ribadendo comunque che la sicurezza degli astronauti è prioritaria e che la scelta finale spetta ai responsabili della NASA.
    L’attuale direttore di missione di Starliner per conto di Boeing, LeRoy Cain, era direttore di volo quando il Columbia si disintegrò nel corso del suo rientro nell’atmosfera. All’epoca lavorava nel centro di controllo del Johnson Space Center della NASA e assistette in tempo reale all’incidente, ricevendo aggiornamenti sui sensori dello Shuttle che stavano rilevando vari cedimenti strutturali nella sua ala sinistra, che avrebbero poi portato alla distruzione dell’astronave. Ancora prima del lancio di Starliner, quando erano emersi altri problemi tecnici, Cain aveva promesso di non far partire la capsula fino a quando non fosse stata pronta.
    Proprio per il coinvolgimento di persone come Bowersox e Cain, nelle ultime settimane sono stati effettuati numerosi paralleli tra Columbia e Starliner, anche se le due astronavi hanno caratteristiche e storie molto diverse. Nel 2003 i danni effettivamente subiti dal Columbia al lancio non erano completamente chiari e, con le conoscenze dell’epoca, l’astronave sembrava avere tutti i requisiti per effettuare un rientro; non c’erano inoltre molte alternative e possibilità di studiare piani di recupero degli astronauti con altri mezzi. I problemi di Starliner sono invece ampiamente noti e si aggiungono a quelli emersi nella lunga fase di sviluppo, che ha richiesto molti più anni del previsto.
    Il lancio di Starliner sulla sommità di un razzo Atlas V il 5 giugno 2024 da Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (AP Photo/Chris O’Meara)
    La maggiore frequenza dei lanci spaziali con astronauti necessaria per gli avvicendamenti degli equipaggi sulla ISS hanno portato in questi anni a una percezione delle attività spaziali routinaria, al punto da essere per alcuni quasi scontato il fatto che ci siano esseri umani che superano l’atmosfera terrestre e vivono per alcuni mesi in orbita. In realtà raggiungere l’orbita è ancora oggi una delle attività più rischiose che si possano fare: gli astronauti e le astronaute ne sono consapevoli e sanno che i rischi fanno parte del loro mestiere e che le agenzie spaziali fanno il possibile per ridurli.
    Questo spiega le grandi precauzioni e i frequenti rinvii dei lanci spaziali con equipaggi, ma anche le cautele che la NASA sta mantenendo su Starliner, nonostante i ritardi e la prospettiva di dover rivedere alcuni piani non solo nel breve, ma anche nel lungo periodo.
    Se Starliner dovesse tornare sulla Terra senza equipaggio, potrebbe rendersi necessario un nuovo volo sperimentale per certificare la capsula spaziale per le missioni con esseri umani. I tempi si allungherebbero ulteriormente e Boeing potrebbe non essere in grado di garantire i sei lanci previsti da contratto entro il 2030, anno in cui la ISS smetterà di essere utilizzata. Per Boeing sarebbe inoltre un ulteriore danno di immagine, dopo quelli legati ai problemi di sicurezza emersi con alcuni dei propri aeroplani negli anni scorsi e che hanno fatto mettere in dubbio in generale l’affidabilità dell’azienda in termini di sicurezza.
    A prescindere dalla scelta di sabato della NASA, Boeing ha comunque perso la propria corsa allo Spazio con SpaceX. Dopo il pensionamento degli Shuttle nel 2011, nel 2014 la NASA affidò alle due aziende il compito di trasportare gli equipaggi in orbita, con un finanziamento di 2,6 miliardi di dollari per SpaceX e di 4,2 miliardi di dollari per Boeing. Mentre quest’ultima non ha ancora completato un volo di test, SpaceX in quattro anni ha inviato 11 equipaggi verso la ISS e si prepara per la dodicesima missione. LEGGI TUTTO

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    Ci sono due astronauti bloccati sulla Stazione Spaziale Internazionale

    Caricamento playerBarry Wilmore e Sunita Williams, i due astronauti della NASA che avevano raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) a bordo della prima missione della capsula spaziale Starliner di Boeing con equipaggio partita il 5 giugno, sarebbero dovuti restarci per otto giorni. Passati più di due mesi dal lancio, tuttavia, non è ancora chiaro come e quando rientreranno sulla Terra e la NASA non esclude che possa succedere addirittura il prossimo febbraio.
    Quella di Starliner è una delle missioni spaziali più importanti del 2024, ma durante il viaggio verso la ISS la capsula ha avuto dei malfunzionamenti che hanno causato il ritardo del rientro previsto settimane fa. In una conferenza stampa mercoledì la NASA ha spiegato perché Starliner potrebbe non essere sicura per il viaggio di rientro degli astronauti e ha detto di star valutando di farli rientrare con la Crew Dragon di SpaceX, la società spaziale privata di Elon Musk, rivale di Boeing.
    Se la NASA decidesse di far rientrare gli astronauti con la capsula di SpaceX anziché con Starliner la missione si allungherebbe ulteriormente di diversi mesi. Sarebbe inoltre l’ennesimo fallimento per Boeing, che negli ultimi anni ha avuto guai enormi, prima per i gravi incidenti aerei ai suoi 737 Max e più di recente per il volo di Alaska Airlines, che aveva perso un pezzo della fusoliera mentre era in volo.
    Starliner era partita dalla base di lancio di Cape Canaveral, negli Stati Uniti, lo scorso 5 giugno, dopo una serie di ritardi e rinvii per problemi tecnici vari. Wilmore e Williams avrebbero dovuto affiancare l’equipaggio che svolge missioni di lunga permanenza sulla Stazione per una settimana circa. La missione serviva per verificare i sistemi di lancio della capsula, quelli di attracco e quelli di atterraggio, in modo che la navicella di Boeing potesse ottenere le certificazioni finali della NASA per diventare ufficialmente uno dei veicoli privati da impiegare per il trasporto di persone e cose verso e dalla Stazione. Attualmente infatti per queste attività la NASA può fare affidamento solo su SpaceX e sui sistemi di lancio Soyuz dell’Agenzia spaziale russa (Roscosmos).
    Durante il viaggio verso la Stazione spaziale internazionale si sono però verificati dei malfunzionamenti: la NASA e Boeing hanno svolto test e simulazioni sui propulsori della capsula sia a terra che nello Spazio, concludendo che funzionano sufficientemente bene perché possa rientrare. Tuttavia i test non hanno chiarito con certezza cosa abbia provocato i malfunzionamenti e «in generale la comunità della NASA vorrebbe capire un po’ meglio sia la causa a monte che la fisica» dietro a questi inconvenienti, ha detto mercoledì Steve Stich, responsabile del programma dei voli commerciali dell’Agenzia.
    Alla conferenza stampa non era stato invitato alcun dirigente di Boeing, ma l’azienda aveva già espresso disaccordo con le valutazioni della NASA. In un comunicato diffuso la settimana scorsa aveva sostenuto che Starliner fosse in grado di completare il volo e di riportare gli astronauti sulla Terra «in sicurezza», come a suo dire dimostrato dai dati raccolti durante i test sui propulsori.
    (NASA via AP)
    Stich sostiene che l’opzione «preferita» continua a essere quella di riportare Wilmore e Williams sulla Terra con Starliner, anche perché fare diversamente creerebbe altri problemi. Secondo Ken Bowersox, uno dei responsabili delle operazioni spaziali della NASA, in base agli ultimi dati, alle ultime analisi e alle discussioni più recenti si sta però valutando di far tornare indietro Starliner senza equipaggio e di far rientrare gli astronauti con la capsula di SpaceX alla fine della sua prossima missione.
    Una delle opzioni possibili sarebbe appunto far rientrare Wilmore e Williams con la prossima missione Crew-9 di SpaceX, facendola partire con due astronauti anziché quattro, in modo che ci sia appunto posto per loro. Questo però comporterebbe integrarli nella rotazione degli astronauti impegnati nelle attività sulla ISS, e visto che la missione della Crew-9 dovrebbe durare fino al febbraio del 2025 Wilmore e Williams rimarrebbero sulla Stazione per altri sei mesi, per un totale di otto mesi contro una missione che sarebbe dovuta durare otto giorni.
    In questo caso la Starliner rientrerebbe sulla Terra da sola, ma questo implicherebbe la necessità di riconfigurare la capsula per il rientro senza equipaggio. Inoltre a quel punto la NASA dovrebbe decidere se i dati raccolti durante il rientro senza astronauti siano sufficienti per assegnare la certificazione per il trasporto di persone e cose a Starliner.
    I dirigenti della NASA hanno detto di avere più o meno «fino a metà agosto» per prendere una decisione definitiva.

    – Leggi anche: Un nuovo successo per Starship

    Boeing è la principale azienda statunitense produttrice di aeroplani nonché una delle due società che hanno vinto gli appalti per costruire due sistemi alternativi di trasporto per la NASA oltre appunto a SpaceX. Negli ultimi tempi tuttavia la fiducia dell’Agenzia nei confronti dell’azienda sarebbe calata, ha detto al Washington Post una persona vicina alla dirigenza della NASA citata in forma anonima perché non autorizzata a parlare pubblicamente.
    Per produrre la Starliner spaziale Boeing ha ottenuto un finanziamento da 4,2 miliardi di dollari, ma come SpaceX è stata a lungo in ritardo sulla progettazione e sulla costruzione della sua capsula, che a giugno è finalmente stata lanciata con i due astronauti a bordo dopo il mezzo fallimento della prima missione di test senza equipaggio del 2019 e altri problemi tecnici.
    Dal momento che per raggiungere la ISS la NASA può fare affidamento solo su SpaceX e sui sistemi di lancio Soyuz c’è anche chi ritiene che decidere di non usare Starliner per far rientrare i due astronauti potrebbe spingere Boeing a ritirarsi, ha notato sempre il Washington Post. Intanto la NASA ha fatto sapere di aver ritardato la partenza della missione Crew-9 dal 18 agosto alla fine di settembre in modo da avere più tempo per decidere cosa fare con Starliner. LEGGI TUTTO

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    La NASA ha allarmato per sbaglio un po’ di gente

    Caricamento playerA causa di un inconveniente tecnico la NASA ha trasmesso in diretta per circa otto minuti sul proprio canale ufficiale della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) una simulazione su un’emergenza sanitaria a bordo, senza specificare che si trattasse di un test. Molte persone hanno quindi pensato che ci fosse un’effettiva emergenza e hanno segnalato il problema sui social network, generando una certa apprensione e obbligando la NASA a pubblicare un insolito messaggio per spiegare l’errore e rassicurare sulle condizioni di salute dell’equipaggio sulla ISS.
    La simulazione di emergenza era stata trasmessa intorno alle 00:30 (ora italiana) di giovedì, con la segnalazione di una malattia da decompressione che aveva coinvolto un astronauta a bordo della Stazione. Una persona dal centro di controllo di Hawthorne, in California, si era identificata come medica di bordo e aveva poi iniziato a fornire alcuni consigli sulle pratiche da seguire in orbita. Aveva suggerito di fare indossare all’astronauta una delle tute per le attività extraveicolari (quelle che vengono comunemente definite “passeggiate spaziali”), in modo da pressurizzarla e iniziare un trattamento con l’ossigeno per ridurre i sintomi dovuti alla decompressione.
    La medica aveva aggiunto che la prognosi per l’astronauta non era incoraggiante e che sarebbe stato necessario un suo rientro anticipato sulla Terra, in modo da poterlo sottoporre ad altri trattamenti in ospedale. La malattia da decompressione si verifica quando ci si sottopone a una rapida riduzione della pressione nell’ambiente, per esempio in seguito a un’emersione rapida da una certa profondità nell’acqua, tale da far sì che i gas normalmente disciolti nel sangue o nei tessuti formino piccole bolle all’interno dei vasi sanguigni che possono provocare danni importanti.
    La ISS è costantemente pressurizzata rispetto all’ambiente spaziale circostante e così lo sono le tute da indossare per le attività extraveicolari. Gli astronauti si sottopongono a lunghe ore di preparazione prima di una attività all’esterno della Stazione anche per acclimatarsi alle diverse condizioni di pressione. Perdite nella tuta o in alcuni ambienti della ISS potrebbero causare una malattia da decompressione e per questo si effettuano test e simulazioni per garantire la sicurezza degli equipaggi.
    Dopo otto minuti circa di trasmissione accidentale della simulazione senza avvertenze, la NASA ha diffuso un comunicato per smentire le notizie su un’emergenza a bordo e spiegare l’errore:
    Non è in corso alcuna situazione di emergenza a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Intorno alle 00:28 l’audio è stato trasmesso sul live streaming della NASA da un canale audio di simulazione a terra indicando che un membro dell’equipaggio stava sperimentando effetti legati alla malattia da decompressione (MDD). Questo audio è stato inavvertitamente deviato da una simulazione in corso in cui i membri dell’equipaggio e le squadre di terra si addestrano per vari scenari nello spazio e non è correlato a un’emergenza reale. In quel momento i membri dell’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale erano nel periodo di sonno.
    La simulazione era quindi avvenuta esclusivamente a terra e non aveva coinvolto in alcun modo l’equipaggio sulla ISS, che in quelle ore stava dormendo in vista di una attività extraveicolare programmata per giovedì. Attualmente a bordo della Stazione ci sono sei astronauti statunitensi e tre cosmonauti russi. LEGGI TUTTO

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    Boeing ci riprova con Starliner

    Caricamento playerAggiornamento del 7 maggio 2024A causa di un problema tecnico legato al razzo Atlas V, il lancio di Starliner è stato rinviato a non prima di venerdì 10 maggio. Il rinvio consentirà ai tecnici di effettuare alcune verifiche su una valvola di regolazione della pressione sul serbatoio di ossigeno liquido dello stadio superiore del razzo, i tempi potrebbero allungarsi nel caso in cui si renda necessaria una sostituzione della valvola.
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    Il 20 dicembre 2019 i tecnici di Boeing osservarono con un certo imbarazzo il mezzo fallimento della prima missione di test senza equipaggio di Starliner, la loro nuova capsula spaziale in ritardo di anni sulla consegna e costata alla NASA miliardi di dollari. A causa di un problema tecnico, Starliner aveva mancato la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e sarebbe quindi rientrata sulla Terra senza possibilità di verificare i propri sistemi di attracco. Fu necessario un anno e mezzo di lavoro per risolvere i problemi riscontrati con la prima missione e infine raggiungere la ISS con un nuovo volo sperimentale, ancora una volta senza astronauti a bordo e con altri problemi tecnici. Dopo altri due anni passati a risolverli, Starliner è infine pronta per portare i primi astronauti in orbita: è una delle missioni spaziali più importanti e attese del 2024, un anno estremamente difficile per Boeing.
    L’azienda, una delle più importanti e storiche degli Stati Uniti con numerosi contratti pubblici nel settore aerospaziale, è stata per mesi al centro dell’attenzione delle autorità di controllo e dei media in seguito al distacco in volo di una porta di emergenza da un proprio aeroplano, un Boeing 737 MAX 9, il 5 gennaio scorso. L’aereo aveva effettuato un atterraggio di emergenza e tre delle 177 persone a bordo erano state lievemente ferite. L’incidente aveva portato a nuove critiche e dubbi sugli standard di sicurezza seguiti da Boeing nella produzione dei propri aerei, dopo che tra il 2018 e il 2019 due 737 MAX erano precipitati per evidenti responsabilità dell’azienda.
    Da diversi anni Boeing è quindi in difficoltà con la propria immagine e ha rischiato di perdere importanti contratti con alcune compagnie aeree a favore di Airbus, l’unica altra grande società produttrice di aerei civili al mondo. Starliner è realizzata da una divisione completamente diversa rispetto a quella che si occupa degli aeroplani, ma il marchio è comunque Boeing e i problemi riscontrati con la capsula negli anni scorsi fanno sì che la grande attesa che precede sempre i primi lanci con equipaggio sia un po’ diversa dal solito, con qualche elemento di attenzione in più soprattutto da parte dei media statunitensi.
    Salvo rinvii, il primo lancio con equipaggio di Starliner avverrà quando in Italia saranno le 4:34 del mattino di martedì 7 maggio da Cape Canaveral, il principale centro di lancio spaziale della NASA. La capsula, a forma di tronco di cono e che ricorda altri veicoli spaziali come quelli impiegati un tempo per le missioni lunari Apollo, è stata collocata in cima a un razzo Atlas V di United Launch Alliance: i motori del razzo avranno il compito di spingere la capsula oltre l’atmosfera e sulla giusta traiettoria per incrociare la Stazione Spaziale Internazionale, in orbita a circa 400 chilometri di altitudine a una velocità di 27.500 chilometri orari.
    Starliner sulla rampa di lancio a Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (AP Photo/Terry Renna)
    A bordo di Starliner ci saranno due astronauti di esperienza della NASA: Barry E. Wilmore, che ha 61 anni ed è al proprio terzo lancio, e Sunita L. Williams che di anni ne ha 58 ed è alla terza esperienza nello Spazio. Raggiunta la ISS, i due astronauti rimarranno a bordo per una settimana circa, in compagnia dell’equipaggio che svolge missioni di lunga permanenza sulla Stazione, poi torneranno su Starliner per raggiungere nuovamente la Terra. Il test servirà quindi per verificare i sistemi di lancio della capsula, quelli di attracco e quelli di atterraggio, in modo da ricevere le certificazioni finali da parte della NASA per diventare ufficialmente uno dei veicoli da impiegare per trasportare persone e materiale verso e dalla Stazione Spaziale Internazionale.
    Attualmente per queste attività la NASA può fare affidamento solamente su SpaceX, la società spaziale privata di Elon Musk, e sui sistemi di lancio Soyuz dell’Agenzia spaziale russa (Roscosmos), che mette a disposizione a pagamento alcuni posti nell’ambito dei programmi di collaborazione internazionale per il mantenimento della ISS. Fino al 2011 la NASA raggiungeva la Stazione grazie agli Space Shuttle, le grandi astronavi che partivano in verticale e tornavano sulla Terra planando come un aeroplano.
    Gli Shuttle furono però ritirati nel 2011 a causa degli alti costi di mantenimento e nel 2014 la NASA decise di affidare il compito di trasportare gli equipaggi nell’orbita bassa della Terra alle aziende private. SpaceX e Boeing vinsero gli appalti per costruire due sistemi alternativi di trasporto, ottenendo rispettivamente un finanziamento da 2,6 miliardi di dollari e da 4,2 miliardi di dollari. Nel 2020 SpaceX effettuò il primo volo con astronauti della sua capsula Crew Dragon e da allora ha trasportato 11 equipaggi verso la ISS, a differenza di Boeing che ha accumulato grandi ritardi e ha dovuto investire molto più denaro per superare imprevisti e problemi tecnici.
    La prima missione di prova nel 2019 si concluse senza raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale: a causa di un’anomalia nel sistema per calcolare il tempo trascorso dal momento del lancio, la capsula non aveva raggiunto il livello orbitale necessario per attraccare alla ISS. La capsula tornò sulla Terra normalmente e il test permise comunque alla NASA di rilevare decine di problemi e cose da sistemare in vista di un secondo tentativo, sempre senza equipaggio a bordo.
    Il lancio di Starliner il 20 dicembre 2019 da Cape Canaveral, Florida, Stati Uniti (AP Photo/Terry Renna)
    In seguito alcuni responsabili della NASA ammisero di non avere seguito Boeing con le stesse cautele con cui avevano seguito lo sviluppo di Crew Dragon da parte di SpaceX, semplicemente perché l’agenzia aveva una collaborazione di lunga data con Boeing sia in termini di personale sia di sistemi impiegati. Quella familiarità secondo alcuni osservatori sarebbe diventata anche una delle cause dei lenti e costosi progressi dello Space Launch System, il grande razzo sviluppato dalla NASA con migliaia di aziende in appalto per raggiungere l’orbita lunare nell’ambito del progetto Artemis.
    Alle difficoltà tecniche e di sviluppo, negli anni dopo l’insuccesso del 2019 si aggiunse la pandemia da coronavirus, che rallentò sensibilmente i lavori per correggere i problemi riscontrati su Starliner e per preparare una nuova capsula per una missione sperimentale. Il secondo lancio di test fu infine effettuato nel maggio del 2022 e per la prima volta la capsula spaziale riuscì ad attraccare regolarmente alla ISS, con il sollievo di molti tra i responsabili dell’azienda e della NASA.
    Non andò comunque tutto liscio nemmeno con il secondo test. Dopo il rientro al suolo della capsula, e la sua analisi, furono scoperti due problemi non secondari. I tecnici notarono che alcuni degli ancoraggi del sistema di paracadute, che si aprono una volta che la capsula è rientrata nell’atmosfera, avrebbero potuto cedere in caso di sollecitazioni maggiori rispetto a quelle normalmente attese, di conseguenza si resero necessarie alcune modifiche strutturali. Un’ispezione dei chilometri di cavi del sistema elettrico e di trasmissione dei dati fece inoltre emergere un problema legato al nastro isolante impiegato per assicurare i cavi: sopra una certa temperatura, prendeva facilmente fuoco. Fu quindi necessario sostituire circa un chilometro e mezzo di nastro isolante per sostituirlo con un’altra soluzione.
    La sistemazione di questi e altri problemi rese necessario un nuovo slittamento del primo test con equipaggio, inizialmente programmato per il mese di luglio del 2023. In mancanza del nuovo sistema di trasporto, la NASA fu costretta a rivedere parte del proprio calendario, spostando alcuni astronauti da Starliner a Crew Dragon per mantenere le normali rotazioni degli equipaggi che trascorrono circa sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale.
    I rinvii e i problemi riscontrati in questi anni hanno contribuito a fare aumentare l’attesa per il primo test con astronauti di Starliner. La NASA ha ribadito in più occasioni che la sicurezza dei propri equipaggi è da sempre la priorità, che i sistemi della capsula spaziale sono stati verificati e sperimentati più volte e che avere un secondo fornitore di trasporti verso la ISS oltre a SpaceX offrirà maggiori opportunità e alternative in caso di problemi tecnici.
    Wilmore e Williams occuperanno due dei cinque-sette posti a disposizione (la quantità varia a seconda della configurazione) nella capsula a tronco di cono che ha un diametro di 4,6 metri e un’altezza di cinque metri, comprensiva di un cilindro alla base – il Modulo di servizio – che viene impiegato per il trasporto di materiale e per altre strumentazioni. Dopo circa 4 minuti dal lancio, la parte (stadio) più grande del razzo Atlas V si separerà e ricadrà sulla Terra (non è previsto il suo recupero), mentre Starliner proseguirà il proprio viaggio spinto dal secondo stadio del razzo che si separerà una decina di minuti dopo. La capsula effettuerà poi l’ingresso nell’orbita necessaria per raggiungere la ISS e attraccarvi, consentendo all’equipaggio di salire a bordo della Stazione.
    Fase di preparazione di Starliner (Boeing)
    Se tutto procederà come previsto, dopo una settimana Wilmore e Williams saliranno nuovamente su Starliner che si separerà dalla ISS. Il suo scudo termico proteggerà il resto della capsula dall’alta temperatura che si sviluppa nelle turbolente fasi di rientro nell’atmosfera e infine si apriranno i paracadute per rallentare la discesa della capsula prima del suo arrivo al suolo negli Stati Uniti sud-occidentali.
    Starliner dopo il suo arrivo nell’area di White Sands, New Mexico, nel dicembre del 2020 (Bill Ingalls/NASA via AP)
    A differenza di Crew Dragon che si tuffa nell’oceano dove viene poi recuperata, Starliner è stata progettata per atterrare sulla terraferma, come fanno le Soyuz russe. Il rientro può essere in alcuni casi un poco più traumatico di un ammaraggio, ma semplifica di molto le attività delle squadre di recupero che non devono fare i conti con le condizioni del mare.
    Il ritorno sulla Terra segnerà la conclusione del test e renderà infine totalmente operativa Starliner, che nelle intenzioni di Boeing sarà una capsula riutilizzabile per una decina di viaggi prima di dover essere sostituita (la società ne realizzerà più di una). Starliner-1, la prima missione vera e propria, sarà effettuata all’inizio del 2025 e consentirà di trasportare sulla ISS due astronauti statunitensi, un astronauta canadese e uno giapponese. Come Crew Dragon, anche Starliner sarà utilizzata dalle altre agenzie spaziali che collaborano alla ISS, compresa l’Agenzia spaziale europea. LEGGI TUTTO

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    Dopo 878 giorni, Oleg Kononenko ha stabilito il nuovo record di permanenza nello Spazio in più missioni

    L’Agenzia spaziale russa (Roscosmos) ha reso noto che il cinquantanovenne cosmonauta russo Oleg Kononenko ha stabilito domenica il nuovo record di permanenza di un essere umano nello Spazio nel corso di più missioni, trascorrendo in orbita più di 878 giorni; il record precedente apparteneva al cosmonauta russo Gennady Padalka.Kononenko, da settembre scorso in missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dovrebbe raggiungere un totale di mille giorni nello spazio il 5 giugno. Ed entro la fine di settembre potrebbe averne accumulati in totale 1.110. «Sono orgoglioso di tutti i miei successi, ma sono ancora più orgoglioso del fatto che il record per la durata totale della permanenza umana nello Spazio resti di un cosmonauta russo», ha detto Kononenko all’agenzia di stampa russa TASS.
    Anche il record mondiale di permanenza ininterrotta di un essere umano nello Spazio appartiene a un cosmonauta russo: lo stabilì nel 1995 Valeri Polyakov, che rimase nello Spazio per 437 giorni a bordo della stazione spaziale russa Mir. LEGGI TUTTO

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    L’astronauta Frank Rubio è tornato sulla Terra dopo 371 giorni consecutivi nello Spazio, più di ogni altro astronauta statunitense

    L’astronauta Frank Rubio è ritornato sulla Terra dopo 371 giorni: è la più lunga permanenza consecutiva nello Spazio di un astronauta statunitense. Inizialmente la sua missione doveva durare circa 6 mesi, ma la durata è stata raddoppiata dopo che il veicolo che doveva portare lui e altri due cosmonauti russi a terra era stato danneggiato da un asteroide o da un pezzo di spazzatura spaziale. Il veicolo aveva dovuto tornare a terra vuoto, e gli astronauti avevano dovuto aspettare altri sei mesi per l’invio di un nuovo sistema di trasporto e la possibilità di tornare sulla Terra.Prima di Rubio, il record statunitense per la permanenza nello Spazio più lunga era di Mark Vande Hei, che era stato nello Spazio per 355 giorni, fra il 2021 e il 2022. Il record mondiale è però detenuto da un cosmonauta russo, Valeri Polyakov, che rimase nello Spazio per 437 giorni, fra il 1994 e il 1995, a bordo della stazione spaziale russa Mir.Con Rubio sono tornati a terra anche i cosmonauti russi Sergey Prokopyev e Dmitri Petelin. Tutti e tre si trovavano a bordo della Stazione spaziale internazionale. Sono atterrati in Kazakistan e hanno usato il sistema di trasporto russo Soyuz, come avviene di frequente per i viaggi di andata e ritorno dalla Stazione spaziale internazionale.– Leggi anche: Qui dentro ci sono pezzi di un asteroide L’astronauta statunitense Frank Rubio (Ivan Timoshenko, Roscosmos space corporation via AP) LEGGI TUTTO